Chapel of Disease – .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye

Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere e ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Crescita di personalità esponenziale per i tedeschi Chapel Of Disease, i quali nell’arco di sei anni hanno evoluto il loro suono dal death metal legato alle origini di Summoning Black Gods (2012), acerbo e senza particolari spunti, fino all’attuale opera .​.​.​And As We Have Seen The Storm, We Have Embraced The Eye, in cui un suono caleidoscopico e vario impregna tutte i brani.

Già nell’opera del 2015, The Misterious Way Of Repetitive Art, i musicisti di Colonia avevano intrapreso un percorso verso una propria identità, ampliando il loro raggio sonoro con un tocco gotico e meno old school, ma ora ci conducono su sentieri peculiari innestando su un base death, neanche particolarmente estrema, sonorità metal classiche e non solo. L’opener Void of Words mette subito in chiaro che il viaggio sonoro sarà ricco di perturbazioni affascinanti e inaspettate, con un lavoro chitarristico di primo ordine, ora atmosferico ora più dinamico, sempre ispirato in fase solistica; nella parte finale il solismo si lascia andare in direzione classic rock rimembrando addirittura Mark Knopfler! I musicisti non temono la sfida e con sincera ispirazione compongono sei canzoni che necessitano di essere ascoltate con attenzione, tante sono le variazioni atmosferiche presenti; nulla di avanguardistico o sperimentale, gli ingredienti sono noti ma l’amalgama non risulta forzata, tutto fluisce spontaneo e il piacere è garantito. Intensi profumi lisergici e acidi fuoriescono, come se fossimo a fine anni ’60, dalla splendida Song of the Gods che procede spedita e potente su un canovaccio che trascende il comune suono death, per approdare nel suo florilegio chitarristico in lidi metal. Pur non essendo avanguardistici, il termine di paragone non appare semplice tante sono le varianti innestate nella struttura delle tracce (Null) e ormai anche il nome della band creato in omaggio dei Morbid Angel (Chapel of Ghouls e Angel of Disease) non li identifica più come semplici “cloni” della band floridiana. Ormai il mondo death si sta evolvendo verso forme che un tempo sarebbero state impensabili, l’old school rappresenta sempre la base di partenza ma giustamente molte band (Horrendous, Venenum, Obliteration ed altre) hanno il coraggio di osare, sfidando le convenzioni di un genere, ampliando gli orizzonti sonori con forza e personalità.

Tracklist
1. Void of Words
2. Oblivious – Obnoxious – Defiant
3. Song of the Gods
4. Null
5. 1.000 Different Paths
6. The Sound of Shallow Grey

Line-up
Christian Krieger – Bass
David Dankert – Drums
Cedric Teubl – Guitars
Laurent Teubl – Vocals, Guitars

CHAPEL OF DISEASE – Facebook

Descrizione Breve

Prins Obi & The Dream Warriors – Prins Obi & The Dream Warriors

Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano.

Prins Obi è il nome di battagliadi Georgios Dimakis, farmacista greco e per nostra fortuna musicista dei Guru, ora al secondo disco con il suo progetto solista insieme ai grandi The Dream Warriors, dopo l’acclamato The Age Of Tourlou del 2017.

La loro proposta è composta da uno psyhc rock anni settanta molto godibile, profondo e con un’incredibile aderenza ai canoni di quegli anni. Se questo disco fosse uscito negli anni settanta avrebbe avuto un sicuro successo, perché sia la composizione che la produzione sono molto in linea con quei dettami musicali. Si spazia un po’ in tutti gli ambiti, dalla psichedelia più acida dai rimandi floydiani a momenti che sembrano usciti da un Sgt. Pepper greco, infatti, quando le liriche sono in lingua madre la magia è maggiore. Tutte le note di questo disco sono suonate con un senso, tutto appartiene ad un sentimento superiore della musica, quella che avvolge e che scorre nelle vene, e che porta molto lontano. Chi segue da qualche anno la nuova scena psichedelica greca sa che possiede gruppi notevolissimi, ma qualcosa come questo disco non si era ancora sentito. Con ciò non si vuole affermare che esso sia il punto più alto di suddetta scena, ma è un qualcosa di molto importante. Innanzitutto sorprende la grande naturalezza con la quale Prins Obi ed il suo gruppo si lanciano nell’agone musicale, e dopo una prima parte del disco più veloce ed incalzante si passa ad una seconda più riflessiva che sfiora il folk psichedelico, e che comunque si lega benissimo alla prima. Difficile cadere nella noia con un lavoro così ben costruito e suonato ancora meglio, dato che gli interpreti sono molto capaci con un risultato d’insieme che diviene l’obiettivo comune. Gioia e stupore psych per un altro grande disco greco della Inner Ear Records.

Tracklist
1.Concentration
2.Flower Child (Reprise)
3.Negative People / Άμοιρε Άνθρωπε
4.Astral Lady Blues
5.Fingers
6.Δίνη
7.Αδαμάντινα Φτερά
8.Sally Jupinero
9.Guilty Pleasure Theme
10.For Absent Friends
11.Wide Open
Line-up
Georgios Dimakis – lead vocals, piano, synths –
Pantelis Karasevdas – drums, percussion –
Sergios Voudris – bass, electric guitar –
Kwstas Red Hood – percussion –
Chris Bekiris – electric guitar-
URL Facebook

PRINS OBI & THE DREAM WARRIORS – Facebook

Zero23 – Songs From The Eternal Dump

Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative.

Frequenze terrestri che sembrano aliene, suono che si mostrano per ciò che sono, senza gli inutili fronzoli della forma canzone.

Zero23 fa parte dell’etichetta più avanguardistica degli ultimi tempi in Italia, la massese Kaczynski Editions, che sta sondando in maniera mirabile il più nascosto sottobosco italiano. Songs From The Eternal Dump si inserisce molto bene nel discorso portato avanti da questi coraggiosi, ovvero improvvisazione ed oltre, per arrivare ad una nuova formulazione di musica. Qui non c’è nulla di alternativo o di sperimentale, ma troviamo una costante ricerca sonora che riverbera vari aspetti della realtà. Per degustare al meglio questo disco si consiglia di ascoltarlo con le cuffie, perché ci sono moltissime cose che si aggirano nella sua struttura minimale, ronzii e frequenze basse che esprimono concetti alti. Non ci si può approcciare a quest’opera (davvero limitativo chiamarlo disco, ma tant’è) con fretta o con la sicumera di avere delle risposte o delle domande, qui si medita ascoltando e si avanza meditando. Il pensiero che scaturisce dalla musica e dai rumori è potente e qui è molto presente, un ascoltare altro, un trovare altri sentieri, discostandosi dalle strade più battute e finanche inutili, quelle falsamente chiamate alternative. L’intento del disco è di recuperare e valorizzare ciò che sembra inutile e ormai perso, facendolo ritornare sotto forma di suono anche solo per un secondo, un vecchio campione riverberato che flasha la mente. Molto affascinante è il modo in cui questo lavoro riesca a calmare i nervi, o a spogliare improvvisamente la stanza dove vi trovate, come una pillola di Matrix che depauperi la realtà dalle cose in eccesso, lasciando il distillato matrice. Si respira anche grande libertà di espressione qui, come in tutti i lavori della Kaczynski Editions, che tenendo fede al suo esplosivo mentore sta minando le fondamenta del finto alternative italiano e speriamo lo faccia cadere presto.

Tracklist
1.empty little space
2.false step
3.broken souls
4.dead rats blues
5.far from home
6.crepusculo
7.macchinari avariati
8.Rome

San Leo – Y

Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste.

Il duo riminese San Leo è un gruppo che usa la musica per contornare un universo profondo e tutto da scoprire.

Le composizioni sono molto ben strutturate e sono assolutamente slegate dalla forma canzone, possiedono un ritmo ed una vita tutta loro e molto particolare; questo è l’ultimo capitolo della trilogia comincia con XXIV nel 2015 e proseguita con Dom nel 2017, un lungo percorso esoterico di ricerca sia spirituale che musicale. La musica vera e profonda, con un significato anche nel suono oltre che in ciò che si vuole dire, è come questa dei San Leo, che non ha in pratica un genere di riferimento, ma scaturisce da una sorgente profonda che è arcaicamente insita dentro di noi. I titoli lunghi, in un’era come la nostra connotata dal simbolismo dell’eiaculazione precoce in cui tutto deve essere veloce e chiaro, sono già poesie e prese di posizione di per sé, e si accompagnano benissimo alla musica. Il duo chitarra e batteria è una forma diffusa nel mondo della musica, e ne abbiamo alcuni validi esempi anche qui in Italia, ma dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora in questo ambito, perché questo è un processo alchemico che non vi lascerà come prima. Inutile cercare di usare qui la dicotomia musica facile e comprensibile versus musica difficile e intellettuale: qui c’è la musica che ricerca, che va incessantemente avanti, senza fermarsi per farsi acclamare. Le idee sono molte e tutte molto valide e ben congegnate, il dipanarsi della trama ha un senso ben compiuto, che però cela moltissimo di quello che non si vede e che si deve scoprire, e per tutti avrà un significato diverso, perché siamo tutti ricettori differenti. Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste. Y è un disco incredibile per una traiettoria musicale unica in Italia, supportata da varie e notevoli etichette italiane.

Tracklist
1) Una presenza, una doppia entità nascosta nell’ombra: tra le fenditure del legno risiedeva il riflesso
del vero volto
2) La lama in attesa, la vertigine di un gesto inesorabile, l’eco sinistra delle urla del re
3) Lasciami precipitare come pioggia di meteore: a me fuoco e distruzione, a me catastrofe e
rinascita
4) Nella risacca udì la voce della mutazione marina, un mormorio di ossa tramutate in conchiglie

Line-up
Marco Tabellini – guitar
Marco Migani – drums

SAN LEO – Facebook

Slap Guru – Diagrams Of Pagan Life

Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Gli Slap Guru sono un gruppo hard blues psichedelico madrileno: il loro primo lavoro intitolato Cosmic Hill uscì un paio di anni fa per la Andromeda Relix ed ora tornano sul mercato con il full length Diagrams Of Pagan Life, per la Sixteentimes Music.

Il sound proposto richiama le band hard rock degli anni settanta, e tutto in questo album è fortemente legato ai primi anni del decennio più importante della storia del rock, andando se vogliamo ancora più a ritroso e sconfinando nella decade precedente.
Led Zeppelin, Cream e Bad Company, strafatti di psichedelia e sostanze illegali, si materializzano in questo viaggio del quartetto spagnolo, composto da dodici brani che formano un’unica jam di retro rock in grado di portarci su altri mondi, spaziando tra blues e rock psichedelico e a tratti progressivo.
Diagrams Of Pagan Life è rivolto agli amanti dei suoni vintage, l’aria che si respira è in tutto e per tutto quella degli anni a cavallo tra gli anni sessanta e settanta, e l’impatto di quest’opera, dalla copertina alla musica prodotta, è assolutamente e volutamente retrò, quindi assolutamente fuori portata se non siete più che fans della musica suonata in quel periodo, ma che in tal caso sa regalare momenti di grande rock, con brani come My Eerie Universe, Contemporary Blankness e Streams On A Plain.
Un album intenso, con il blues e la psichedelia a dettare atmosfere e tempi, per questi quattro musicisti scaraventati quasi indietro di mezzo secolo da una macchina del tempo ma in grado di regalare ottima musica rock.

Tracklist
01.Çk-üsa
02.Diagrams Of Pagan Life
03.My Eerie Universe
04.Into The Gloom
05.To Forget Is To Forgive
06.Contemporary Blankness
07.Earth Cycles
08.The Same Old Way – Diagrams Of The Solar System
09.A Daily Loser – Dropping Electrons In A Hydrogen Atom
10.A Wornout Tool – Diagrams On A Blaze
11.Streams On A Plain
12.An-ühataN-üda

Line-up
Valerio ‘Willy’ Goattin – Voices, electric & acoustic guitars
Alberto Martin Valmorisco – Electric & classic guitars, sitar, baglama, cosmic frequency collector
Javier Burgos Labeaga – Bass
Jose Medina Portero – Drums, percussion

SLAP GURU – Facebook

Crippled Black Phoenix – The Great Escape

Ci sono concatenazioni sonore che sono tipiche del gruppo di Waters, Gilmour e soci, e poi c’è quel tocco in stile Mogwai in libera uscita che è qualcosa di bellissimo.

Quando sei un collettivo che annovera fra i propri membri molti nomi fra il meglio della scena psichedelica mondiale e specialmente quella inglese non è facile fare ottimi dischi e non sbagliarne uno, ma i Crippled Black Phoenix ci riescono anche questa volta.

Tutte le dilatate note di questo ultimo lavoro valgono la pena di essere ascoltate e sofferte, perché qui c’è il fumo che esce dallo specchio rotto delle nostre esistenze. Ogni disco del collettivo britannico ha rappresentato un episodio particolare e a sé stante, nel senso che ogni volta era uno splendido capitolo a parte, un qualcosa di assoluto. Il filo che lega tutti i loro dischi è la qualità, la bravura nel creare un’atmosfera oppiacea e particolarissima, e in The Great Escape ci si può immergere e non ne uscirete come prima. Qui siamo maggiormente nei territori dello slow core, ma con un disegno assai più ampio di quello a cui ci hanno abituato gli altri gruppi. Personalmente, e come tutte le visioni soggettive può essere sbagliata, ho sempre visto i Crippled Black Phoenix come la versione moderna e in certi frangenti migliore dei Pink Floyd, e questo lavoro rafforza ulteriormente la mia convinzione. Ci sono concatenazioni sonore che sono tipiche del gruppo di Waters, Gilmour e soci, e poi c’è quel tocco in stile Mogwai in libera uscita che è qualcosa di bellissimo. Come detto sopra ogni disco è a sé, e qui addirittura ogni canzone vive in uno proprio stato, sempre di grazia ma con sfumature diverse. Il lavoro questa volta è doppio, anche perché ogni canzone è di lunga durata, e questo gruppo riesce a fare brani di nove minuti come il singolo To You I Give ( sentite i primi due minuti della canzone e pensate a chi somigliano…) dei quali non si ha mai abbastanza. Nell’underground questo collettivo ha una grande e solida reputazione ed è più che meritata, ogni album è sempre ottimo e denota un ulteriore avanzamento. Il primo disco è più lento, nel secondo invece ci sono delle cose più veloci, quasi tribali, ma sempre uniche e particolari. I Crippled Balck Phoenix sono uno dei gruppi migliori e più originali della scena underground, da sentire e risentire sia questo disco che tutta la loro produzione.

Tracklist
1 You Brought It Upon Yourselves
2 To You I Give
3 Uncivil War (Pt I)
4 Madman
5 Times, They Are A’Raging
6 Rain Black, Reign Heavy
7 Slow Motion Breakdown
8 Nebulas
9 Las Diabolicas
10 Great Escape (Pt I)
11 Great Escape (Pt II)
12 Hunok Csataja (Bonus)
13 An Uncivil War (Pt. I & II) (Bonus)

Line-up:
Justin Greaves
Daniel Änghede
Mark Furnevall

Ben Wilsker
Tom Greenway
Jonas Stålhammar
Belinda Kordic
Helen Stanley

CRIPPLED BLACK PHOENIX – Facebook

L’Ira Del Baccano – Si Non Sedes Is – Live MMVII

Torna in doppio vinile e in cd digipack una delle pietre miliari della psichedelia pesante italiana, un autentico capolavoro di suggestioni e stimoli neuronali.

Torna in doppio vinile e in cd digipack una delle pietre miliari della psichedelia pesante italiana, un autentico capolavoro di suggestioni e stimoli neuronali.

Il disco uscì in origine nel 2007 ed era finora disponibile esclusivamente in download digitale o in copie pirata in rete. Ora è il momento del suo ritorno in uno splendore maggiore rispetto all’originale, dato che il Pisi Mastering Studio ha compiuto un ottimo lavoro sullo spettro sonoro e sul bilanciamento dello stesso. In questa ristampa della Subsound Records si po’ quindi godere maggiormente della bellezza sonora di questo gruppo che è ciò che si avvicina di più in Italia alla mentalità dei Grateful Dead, ovvero suonare in libertà, bellissime jam che fluttuano libere nell’atmosfera. Ciò che è ancora più bello e che è L’Ira del Baccano fa psichedelia pesante. Questo esordio ha inoltre una storia particolare, perché è l’atto di nascita del nome L’Ira Del Baccano (tra l’altro un nome fantastico che avrebbe fatto la felicità degli esoteristi junghiani), dato che il disco fu registrato in due concerti nei quali il gruppo si chiamava ancora Loosin’o’Frequencies che ebbe un mini cd prodotto da Paul Chain come unica uscita. Oltre a sancire il cambio di nome, il disco dal vivo fu anche il decisivo momento di svolta per il gruppo, che divenne da quel momento totalmente strumentale. Inoltre il cambio di ragione sociale fu deciso quando il mix era già pronto. Questa è la storia per i posteri, ma la cosa più importante è che ci hanno dato questo disco che è un autentico capolavoro di libertà musicale, di psichedelia che si congiunge carnalmente con il metal, riuscendo a rimanere eterea e a far sognare l’ascoltatore. Infatti il disco all’epoca dell’uscita e negli anni successivi si fece una solida e molto meritata fama nel sottobosco musicale, e molti lo indicano come uno dei dischi fondamentali dell’ambito. Ascoltandolo ci si perde catturati dalla bellezza di queste note libere, suonate con uno spirito che si rifà agli anni settanta, ma che è anche proiettato anche nel futuro, perché infatti nei due ottimi dischi successivi, Terra 41 del 2014 e Paradox Hourglass del 2017, il discorso cominciato nel 2007 continua ulteriormente. Questo disco è bellissimo da ascoltare senza mai staccare le cuffie dalla testa, in un continuum spazio temporale appartenente ad una dimensione diversa dalla nostra.
Un’importante ristampa di un disco fondamentale per la musica pesante italiana e non solo.

Tracklist
1.Doomdance
2.Sussurri Di Nascita Celeste/Grateful to Jerry
3.875
4.Don Bastiano
5.Tempus Inane Flago Requiem Spatiumque Furori
6.Live Jam on Sussurri Theme (INEDIT VINYL ONLY bonus track)
7.Doomdance Apocalypse ’80 mix(VINYL ONLY bonus track;from ” Split 2010 ” digital ep)

Line-up
Alessandro “Drughito” Santori – guitar/direction and architecture of Baccano
Roberto Malerba – guitar/synth
Sandro “fred” Salvi – drums
Ivan Contini Bacchisio – bass

L’IRA DEL BACCANO – Facebook

Earthless – From The West

La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto.

Album dal vivo per i magnifici Earthless, che hanno la loro missione nello stare davanti ad un pubblico a suonare.

Il disco è stato registrato dal vivo a San Francisco il primo marzo 2018 e cattura alla perfezione tutta la potenza e la varietà musicale di questo grande gruppo. Si può affermare forse a sproposito che questa band potrebbe corrispondere ai Grateful Dead della psichedelia pesante, nel senso che dal vivo cambia tutto rispetto all’ascolto su supporto fonografico. Il tour del concerto qui presente era quello dell’ultima fatica, Black Heaven che è già un bel disco di per sé, che qui viene stravolto rimanendo un punto di partenza per ciò che saranno gli Earthless nel futuro, o forse già solo dal prossimo concerto. La band californiana è un ensemble che affonda le sue radici e la sua ragion d’essere nella musica dal vivo, fatta per stare su un palco e volare alto. La già ricca musica dal vivo si espande, raggiunge lo stato gassoso al più presto e viene inalata dagli spettatori. L’impianto è quello della jam, quasi fosse un’equazione da sviluppare dati gli elementi di partenza, e che nel suo sviluppo acquista vita propria. Per fare pezzi di dieci minuti, ed anche oltre, dal vivo bisogna avere un talento fuori dal comune, perché non è per nulla facile. Le trame sonore si fondono fra loro nel suono stesso, e il trio ha una potenza psichedelica notevole che si fonde con un tiro musicale che va bene oltre i generi o le classificazioni. Dentro ci si può sentire anche un po’ della grandezza dal vivo dei Grand Fuck Railroad, quel vivere per suonare e stare su di un palco che è una dote innata. Prendere il proprio disco e plasmarlo in una veste radicalmente diversa dal vivo, ecco cosa fanno gli Earthless, infatti questo è da considerare a tutti gli effetti una raccolta di inediti, perché sono davvero altro rispetto alla versione in studio. In From The West troviamo anche una cover di Communication Breakdown degli Zeppelin che da ben l’idea di cosa siano gli Earthless, ovvero un gruppo psicotropo più che psichedelico. Un disco dal vivo gigantesco e bellissimo.

Tracklist
01. Black Heaven
02. Electric Flame
03. Gifted By The Wind
04. Uluru Rock
05. Volt Rush
06. Communication Breakdown
07. Violence Of The Red Sea
08. Acid Crusher

Line-up
Mario Rubalcaba
Isaiah Mitchell
Mike Eginton

EARTHLESS – Facebook

The Fog Ensemble – Throbs

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita.

I The Fog Ensemble sono un gruppo greco forse fra i più originali al mondo, e non si sta esagerando.
La loro musica è una strana ed esplosiva miscela di shoegaze, post punk, minimalismo e psichedelia molto non convenzionale.

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita. Il gruppo greco usa tutti gli elementi in suo possesso per fare una musica che colpisce al cuore chi ama le distorsioni che portano la propria anima in un altro posto. Vi sono molte influenze e sono quasi tutte inglesi, perché si può dire quello che si vuole, ma la terra di Albione in quanto a distorsioni malinconiche è sempre al primo posto. I The Fog Ensemble hanno inciso il disco nello studio degli Shellac, e qualcosa anche del gruppo americano è rimasto all’interno del disco, ma la quasi totalità è opera loro. Il disco ha un andamento lento e dolcemente mortale, come un’incredibile dolcezza che ti possiede prima della fine, ci sono momenti ripetitivi e paranoici, e al contempo immense aperture melodiche che si schiudono quando meno te lo aspetti. I brani sono totalmente strumentali e ciò conferisce loro una forza che forse le parole avrebbero disperso, o forse no, ma ascoltando questi brani strumentali la meraviglia è comunque tanta. Raro è l’ascolto di un disco che non sai cosa ti possa riservare, e Throbs è una continua sorpresa, anche grazie ad un uso sapiente dell’elettronica che va a coadiuvare gli altri strumenti in maniera molto adeguata. Ogni canzone è un potenziale singolo per accompagnare dolci e tremendi momenti di smarrimento, e questo disco è un continuo perdersi dentro la musica, recuperando quel gusto antico di ascoltare un disco da capo a piedi, senza mai staccare, o solo per girare il lato. Un lavoro estremamente completo ed ipnotico, per gli amanti di varie sonorità, e soprattutto per chi apprezza la musica che scatena un vortice di emozioni.

Tracklist
01. Lighthouse
02. Droog Party
03. Fever Bliss
04. Weather Girl
05. False Moves
06. Throbs
07. Breathe

Line-up
Antonis Karakostas – Guitars,Loops,Programming
Nicholas Kondylis – Bass
George Nanopoulos – Drums

THE FOG ENSEMBLE – Facebook

Emphatica – Time

Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note.

Lo scorrere del tempo è la chiave di lettura di questi settanta minuti di musica totale, un viaggio scandito dalle innumerevoli ispirazioni e sensazioni che il polistrumentista Gerardo Sciacca immette nello spartito di Time, ultimo lavoro a firma Emphatica.

Ne avevamo già parlato quattro anni fa di questo musicista e songwriter nostrano il quale torna, dopo lo splendido Metamorphosis, con un altro mastodontico lavoro.
Progressive rock, ma non solo, è quel che si trova nello scrigno di sensazioni, paesaggi musicali dai mille colori che questa volta si muovono dalle ispirazioni psichedeliche degli anni 60/70 (Rising Moon) per arrivare ai giorni nostri in un’escalation di note che, parlando la lingua universale della musica moderna, lasciano poche briciole al loro passaggio come una sorta di pollicino musicale, per indicarci una via che ci conduca alla comprensione di questo nuovo lavoro.
Nel sound degli Emphatica vivono una moltitudine di anime: psichedeliche, rock, elettroniche, new wave, classiche che si scambiano continuamente il timone portando l’ascoltatore verso sensazioni diverse, creando un via vai di emozioni cangianti.
All’ascolto di Time ognuno prediligerà un capitolo rispetto ad un altro (splendide a mio avviso le note progressive settantiane di Echoes From The Past, quelle classiche di Fireplaces Tales, le liquide divagazioni di Echoes From The Future e il sunto compositivo dei quattordici lunghi minuti di Dying Sun), ma è nel suo complesso che l’album trova una precisa identità, trattandosi di un’opera strumentale che pretende un ascolto attento e scrupoloso per godere di ogni nota, passaggio e movimento.
Un’ altra perla musicale firmata Emphatica da non perdere assolutamente se siete ascoltatori attenti aldilà dei generi.

Tracklist
1.Rising Moon
2.Echoes From the Past
3.Wandering in the Desert
4.Our Sleeping Souls
5.Fireplace Tales
6.Mother (Once We Had a Dream)
7.Reversal
8.Shattered Lights
9.Echoes From the Future
10.Before We Grow Old
11.Deep Space Dissonance
12.Dying Sun

Line-up
Gerardo Sciacca

EMPHATICA – Facebook

Krakow – Minus

Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

I Krakow danno alle stampe il loro quinto album, sterzando verso sonorità a metà strada tra psych rock, progressive e metal estremo e confezionando un piccolo gioiello di musica non così scontata come si potrebbe pensare, specialmente se si considera la band norvegese una gruppo progressive moderno.

Il quartetto di Bergen ha condensato il materiale in poco più di mezzora di musica evocativa, psichedelica e dai tratti progressivi, ma lascia spazio pure a sonorità più cool come lo stoner per un risultato interessante.
In Minus, quindi, non ci sono riempitivi, la musica scorre su un letto psichedelico, creando atmosfere fuori dal tempo sferzate da venti progressivamente metallici; la parte estrema, rilevante nella notevole The Stranger, si contrappone ai momenti evocativi ed atmosferici, mai dilatati ma tenuti in tensione da un songwriting essenziale.
Phil Campbell è ospite gradito nell’opener Black Wandering Sun, in From Fire From Stone nuvoloni sludge appaiono all’orizzonte portando perturbazioni di stampo Neurosis, mentre è il doom/progressive che rende la title track il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Difficile posizionare perfettamente la musica dei Krakow in un genere definito, forse psych/progressive metal/rock è la definizione più vicina a quello che suona il quartetto norvegese, bravo nel saper unire le varie atmosfere ed ispirazioni in un unico e suggestivo sound.

Tracklist
1. Black Wandering Sun
2. Sirens
3. The Stranger
4. From Fire, From Stone
5. Minus
6. Tidlaus

Line-up
Frode Kilvik – Bass, Vocals
René Misje – Guitar,Vocals
Kjartan Grønhaug – Guitar
Ask Ty Arctander – Drums

KRAKOW – Facebook

Ayahuasca Dark Trip – Upaya

Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.

Upaya è un disco uscito originariamente nel 2017, per essere poi ristampato nel 2018 dall’italiana Argonauta Records.

Gli Ayahuasca Dark Trip sono una bestia che nasce e prolifera in diverse nazioni, come il Perù con Brayan Anthony, negli Usa con Indrayudh Shome dei Queen Elephantine (anche loro su Argonauta Records), Pedro Ivo Araújo dei Necro dal Brasile, la colonia olandese formata da Buddy van Nieuwenhoven dei Cosmic Nod, Floris Moerkamp e Robin van Rooij, e infine la Grecia con Sifis Karadakis. La loro proposta va ben oltre la musica, essendo un rituale vero e proprio, dove la sonorizzazione è solo uno degli aspetti coinvolti. Molti gli stili che qui trovano un rifugio sicuro, a partire da suoni provenienti da diverse zone del mondo e dei loro strumenti, dalla musica per meditazione per poi arrivare ad una psichedelia poco convenzionale, come dovrebbe essere questo genere. Decisamente difficile riuscire a descrivere questa musica usando solo le parole invece che le note: ascoltando Upaya si viaggia moltissimo, partendo dai nostri esordi primordiali, quando la musica era pienamente catartica e non mero intrattenimento, e serviva quale portale per accedere a dimensioni sconosciute e precluse a chi non voleva vedere oltre. Gli Ayahausca Dark Trip sono proprio come l’infuso da cui il gruppo prende il nome, che è un potente sostanza psicotropa e anche un purgante, perché il corpo umano fa entrare ed uscire molte cose: questo disco non può essere infatti ascoltato come si fa di solito con le musiche alle quali siamo abituati, ma deve essere potenziato usando sostanze o semplicemente mettendosi le cuffie ed estraniandosi. Il gruppo entra direttamente nel limitatissimo novero di gruppi che fa realmente musica rituale come i Nibiru (tanto per rimanere in casa Argonauta Records), pur se su piani differenti. Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.
Un rituale davvero riuscito, dedicato alla memoria di Robin Van Rooij, il 27enne batterista del gruppo, scomparso poco prima dell’uscita del disco.

Tracklist
1.Rhythm of the Caapi
2.Water from Above, Water from Below
3.The Vine
4.Eternal Return
5.Drowning in the Godhead
6.Gathering Psychotria

Line-up
Indrayudh Shome
Floris Moerkamp
Buddy Van Nieuwenhoven
Sifis Karadakis
Thijs Meindertsma
Pedro Ivo Araujo
Brayan Anthony
Robin Van Rooij

AYAHUASCA DARK TRIP – Facebook

Somali Yacht Club – The Sun + 1

The Sun + 1 è composto da post rock, stoner, psichedelia, post metal e addirittura da momenti dub, insomma quasi si fosse dalle parti degli Ozric Tentacles visti da un’ariosa prospettiva post rock.

Ristampa in cd, cassetta e digitale per il debutto del trio ucraino Somali Yacht Club, originariamente uscito nel 2014, e ora riedito dalla loro nuova etichetta Robustfellow Prods., per la quale quest’anno è uscita anche la loro seconda fatica The Sea.

La ristampa ha anche una canzone in più rispetto al disco originario, Sun’s Eyes, che doveva originariamente entrare a far parte del disco registrato in un’unica sessione. Il gruppo di Lviv, l’antica Leopoli, è uno degli ensemble maggiormente interessanti usciti negli ultimi tempi, e ascoltando questa ristampa il piacere inonderà i vostri canali auditivi. I tre ucraini fondono insieme vari registri musicali per raggiungere un risultato che è allo stesso tempo notevole e assai piacevole. The Sun + 1 è composto da post rock, stoner, psichedelia, post metal e addirittura da momenti dub, insomma quasi si fosse dalle parti degli Ozric Tentacles visti da un’ariosa prospettiva post rock. Infatti la struttura sonora dei Somali Yacht Club è simile al suddetto genere, nel senso che le canzono si dilatano naturalmente, viaggiando come una nave che pesca molto, e che viaggia però leggera e sinuosa. L’impianto sonoro è minimale, ma non lo è altrettanto il risultato, perché grazie al suo talento e al grande affiatamento il trio regala un disco dolce e sognante, che fa andare lontano e che parla al cuore con diversi linguaggi, volendo fare del bene a chi lo ascolta.
Tutto scorre perfettamente, e potrebbe durare lo spazio di un bellissimo tramonto, basta chiudere gli occhi e lasciarsi prendere.

Tracklist
1. Loom
2. Sightwaster
3. Up In The Sky
4. Signals
5. Sun
6. Sun’s Eyes (bonus track)

Line-up
Mez – guitar, vocals
Artur – bass
Lesyk – drums

SOMALI YACHT CLUB – Facebook

Fvzz Popvli – Magna Fvzz

I Fvzz Popvli possiedono molte ottime idee sonore che permettono di non annoiare mai l’ascoltatore, introducendolo ad una lascivia sonora, e non solo, sconosciuta ai più in questa epoca distopica e senza godimento.

Tornano i romani Fvzz Popvli, il power trio romano che attraverso distorsioni suonate ad ampio volume tanta meraviglia hanno destato in Europa e non solo.

Nati nella capitale nel 2016, i nostri esordiscono l’anno seguente con l’ep dal titolo omonimo e grazie ad esso cominciano a suonare in giro. La loro miscela sonora è composta in primis dal fuzz rock di matrice fortemente psichedelica, ma c’è molto di più. Il gruppo riesce a spaziare in generi diversi, ma soprattutto ha un suo stile molto personale, e anche se il fuzz psych è la componente principale si può trovare nella loro musica un qualcosa di oscuro e di tenebroso, che ne arricchisce ulteriormente il suono e l’immaginario. Nello stesso 2017 entrano a far parte del prestigioso roster della Heavy Psych Sounds e pubblicano il loro debutto su lunga distanza, Fvzz Dei, che è accolto molto bene sia dalla critica che dal pubblico, portandoli ad una ancora più intensa attività dal vivo, dato che il loro habitat naturale è il palco.
Entrare nel loro suono distorto e acido è come entrare in un vortice psichedelico che distorce la realtà e ci fa vivere sensazioni chimiche, ed è proprio questo che vogliamo. La musica proposta dal trio romano è assai credibile, ed è un’evoluzione di un suono che nasce tanti anni fa, ma che nella musica sotterranea non è mai morto e genera ancora oggi molte piacevoli deviazioni. La regina è la chitarra che fa girare intorno a sé gli altri strumenti, ma è solo dall’unione del tutto che si ricava la perfetta fusione sonora, e anche la fusione cerebrale. I Fvzz Popvli possiedono molte ottime idee sonore che permettono di non annoiare mai l’ascoltatore, introducendolo ad una lascivia sonora, e non solo, sconosciuta ai più in questa epoca distopica e senza godimento. Pienezza ed ampia soddisfazione di molti palati sonori è ciò che provoca Magna Fvzz, e la fuzz qui è davvero grande.

Tracklist
1. Let It Die…
2. Napoleon
3. The Deal
4. Get Me
5. Rvmpeltum
6. Cherry Bowl
7. Magnafvzz

FVZZ POPVLI – Facebook

Moto Toscana – Moto Toscana

Moto Toscana è un progetto che parte da qualcosa di conosciuto per andare lontano, generando diverse sensazioni ed invitando ad ascolti ripetuti.

Album di debutto per il trio tedesco Moto Toscana, che partendo dai canoni dello stoner rock riescono a creare un unicum che comprende un basso molto funk, una chitarra fuzz, una batteria che segue il tutto ed una voce che cambia spesso modulo.

Il debito nei confronti dei Kyuss e di quella genia è molto importante, ma è solo il punto di partenza per sviluppare un discorso musicale affatto ovvio, dove il desert rock devia in molte direzioni, ed anche il pop ed il grunge hanno la loro importanza. Il timbro è lascivo e sensuale, l’andamento è sinuoso e minimale. Il gruppo ha registrato il tutto in una sola sessione e si sente l’approccio molto analogico, fatto di passione, ma anche di competenza ed originalità. Il basso è forse l’elemento singolo più innovativo, dato che segue partiture tutte sue, dalla forte impronta funk ed addirittura vicino ad un certo tipo di math rock. La musica dei Moto Toscana è molto introspettiva, minimale ma potente, con un qualcosa che sale ascolto dopo ascolto, e il disco è adatto a molti usi, anche solo per lasciarlo in sottofondo mentre ci si bevono due birre con gli amici, poiché può essere molte cose. Moto Toscana è un progetto che parte da qualcosa di conosciuto per andare lontano, generando diverse sensazioni ed invitando ad ascolti ripetuti. Il contenuto di questo lavoro si discosta enormemente dalla media dei lavori stoner rock attuali, ha un’anima che si potrebbe definire new wave per come riformula l’approccio al genere. Da sentire e risentire.

Tracklist
1. Sickandtwisted
2. Sweet Demise
3. Craving
4. Dolorous
5. Never Over
6. All Of It
7. Ride
8. Exclusive
9. Among The Dead

Line-up
Andy – Vocals
Michi – Bass
Chrisch – Drums

MOTO TOSCANA – Facebook

Black Space Riders – Amoretum Vol.2

Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Come avevano promesso, i rockers tedeschi Black Space Riders tornano, a distanza di pochi mesi dal primo capitolo, con Amoretum Vol.2.

Si continua a parlare di amore, oscurità e luce in un mastodontico lavoro di settanta minuti che è un viaggio nell’hard rock vintage, o se preferite nella New Wave of Heavy Psychedelic Spacerock, come la band definisce il proprio suono.
L’album è perfettamente in linea con il primo capitolo, con tutti i pregi e i difetti riscontrati qualche mese fa, quindi nulla cambia da Amoretum Vol.1, continuando la tradizione del gruppo (giunto al sesto album) nell’unire hard rock, space e psych rock e post punk.
Unendo i due album si parla di più di due ore di musica, un’opera monumentale che risulta a tratti prolissa e con soluzioni ripetute all’infinito, un difetto non marginale se consideriamo la natura rock’n’roll del sound creato dai Black Space Riders.
Come nel primo album, anche questa seconda parte vive così di alti e bassi con brani che si animano di un’urgenza punk rock come Assimilating Love, e altri nei quali le influenze tornano a far parlare di Pink Floyd e del David Bowie versione starman (Take Me To The Stars).
Comunque ricca di melodia, l’opera offre sicuramente una panoramica esaustiva sulle ispirazioni e sul credo musicale della band tedesca, assolutamente coraggiosa nel proporre un album di questa lunghezza in un genere e in anni nei quali il tempo per assimilare musica è ridotto all’osso dall’urgenza di un mercato schizofrenico.
Nel suo complesso, anche questa seconda parte si porta a casa un giudizio positivo: anche se di difficile assimilazione il sound prodotto dai Black Space Riders troverà estimatori tra i fruitori del rock vintage.

Tracklist
Chapter Three:
1. Before my eyes
2. LoveLoveLoveLoveLoveLoveLoveLove Love (Break the pattern of fear)
3. Walls away
4. Slaínte (Salud, dinero, amor)
5. Assimilating love

Chapter Four:
1. In our garden
2. Leaves of life (Falling down)
3. Body move

Chapter Five:
1. Take me to the stars
2. Ch Ch Ch Ch pt. I (The ugly corruptor)
3. Ch Ch Ch Ch pt. II (Living in my dream)

Chapter Six:
1. Chain reaction
2. No way
3. The wait is never over

Line-up
JE – lead vocals, guitars, keys, electronics
SEB – lead vocals, keys, percussion, electronics
C.RIP – drums, percussion, digeridoo
SLI – guitars
MEI – bass guitar

BLACK SPACE RIDERS – Facebook

Mr. Bison – Holy Oak

Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

I Mr. Bison sono uno dei migliori gruppi italiani di musica pesante con innesti psichedelici.

Provenienti da Cecina sono al quarto disco, e ad ogni uscita si può notare un miglioramento rispetto a quella precedente. Holy Oak è un disco che suona benissimo, potente, bilanciato e con ottime scelte sonore. La loro musica è uno stoner di livello superiore, con intarsi desert e sconfinamenti negli anni settanta, perché la loro musica ha fortissime radici in quegli anni. Il groove generato da questi signori toscani è un qualcosa che vi conquisterà, come ha già conquistato molti, soprattutto coloro che hanno avuto l’occasione di vederli dal vivo. Cosa li differenzia dagli altri gruppi? I Mr. Bison hanno una maniera differente di trattare la musica, la fanno sgorgare libera e fresca dagli ampli, hanno un tocco southern senza esserlo strettamente, hanno gli anni settanta dentro, ma senza essere derivativi, e riescono sempre ad essere piacevoli usando la musica pesante. Nel loro contesto si muovono moltissimi gruppi, la media qualitativa, soprattutto in Italia, è cresciuta molto, ma gruppi come i Mr. Bison ce ne sono pochi. E questo è un fatto oggettivo, non soggettivo, basta ascoltare Holy Oak, o i dischi precedenti, per capire che qui c’è qualcosa in più: sarà talento o gusto, ma esiste ed è tangibile. Tante influenze mescolate benissimo, un suono molto personale, un giro continuo, un disco solidissimo che fa viaggiare.

Tracklist
1.Roots
2.Sacred Deal
3.Heavy Rain
4.Earth Breath
5.Holy Oak
6.The Bark
7.The Wave
8.Red Sun
9.Beyond the Edge

Line-up
Matteo Barsacchi – Guitar, Vocals
Matteo Sciocchetto – Guitar Vocals
Matteo D’Ignazi – Drums, Sounds

MR.BISON – Facebook

La Morte Viene Dallo Spazio – Sky Over Giza

Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

La label genovese BloodRock Records, da anni attiva nella scena underground italiana ed internazionale, ci presenta questa misteriosa realtà space rock, dalle forti ispirazioni psichedeliche ed influenzata dalle colonne sonore dei film di fantascienza italiani usciti qualche decennio fa.

Quattro musicisti dei quali non si conoscono le generalità hanno unito le loro forze, prima con l’incontro tra La Morte (flauto) e Lo Spazio (chitarra) ed in seguito raggiunte dalle due sacerdotesse al basso ed al synth/moog, per creare musica rituale, per lo più strumentale ed estremamente affascinante.
Sky Over Giza è un ep composto da quattro brani che formano una lunga jam psichedelica, illegale come un trip, acida e liquida nel suo incedere, mentre dallo spazio la morte, sotto svariate forme, si avvicina a noi accompagnata dai suoni e dalle atmosfere cosmiche che la musica del combo milanese disegna nella nostra mente.
La title track è una lunga intro che prepara l’ascoltatore all’arrivo degli zombie dalla stratosfera e il brano (Zombie Of The Stratosphere, appunto) dà il via all’invasione, con la voce in sottofondo che recita su un tappeto di suoni space rock.
Sigu Tolo è strutturata come un brano che segue delle immagini  sfocate dal fumo del rituale che ormai è giunto al culmine, mentre la conclusiva Fever torna a muoversi tra i pianeti gassosi in attesa che la morte inizi la sua discesa sulla terra.
Sky Over Giza è un lavoro che non mancherà di affascinare gli amanti dello space rock e delle colonne sonore, un lungo rituale che dallo spazio ci giunge come avvertimento: la morte sta arrivando e non riuscirete a salvarvi.

Tracklist
1.Sky over Giza
2.Zombies Of The Stratosphere
3.Sigu Tolo
4.Fever (Bonus Track)

LA MORTE VIENE DALLO SPAZIO – Facebook

Otehi – Garden Of God

Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro.

Gli Otehi sono un gruppo romano che parte dallo stoner per andare molto lontano. Il loro suono è un lento e possente incedere di suggestioni sciamaniche messe in musica, come un nativo che ti prende per mano dopo aver mangiato un peyote.

Garden Of God è una mostra di delizie, e i cinque pezzi che fanno parte del disco sono tutte ottime composizioni, si prendono il tempo che devono per arrivare a destinazione, ma in realtà la destinazione non ce l’hanno, perché è il viaggio l’importante, il vero scopo del tutto. Esplorare attraverso il suono, la psichedelia arriva e si maschera, cambiando i contorni di ciò che pensavamo sicuro, cambia il gioco rendendolo più vero. Gli Otehi sono un gruppo che si differenzia per la sua impronta personale, per fare un desert stoner connotato e strutturato molto bene nel quale ogni nota ha la sua importanza, ed è una scala verso il cielo. Nato nel 2011, questo trio ha sempre portato avanti con convinzione un certo tipo di discorso musicale, riuscendo a trovare una via personale e potente. Ascoltando Garden Of God si capisce che la musica pesante può benissimo sposare la psichedelia, un matrimonio alchemico che cambia la composizione chimica di chi lo ascolta e di chi lo suona. Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro. Fare musica da meditare per un gruppo stoner è un gran bel obiettivo e questi ragazzi lo hanno centrato in pieno.

Tracklist
1.Sabbath
2.Naked God
3.The Great Cold
4.Verbena
5.Purified
6.Esbath

Line-up
Domenico Canino – Guitar, Effects, Voice & Tribal Instruments
Maciej Wild Mikolajczyk – Bass, Voice, Effects & Tribal Instruments
Corrado Battistoni – Drums, Percussions

OTEHI – Facebook