FRAGARAK

Il video di Alucinari IV – The Fall, dall’album A Spectral Oblivion'(Transcending Obscurity).

Il video di Alucinari IV – The Fall, dall’album A Spectral Oblivion'(Transcending Obscurity).

Damnation Defaced – Invader From Beyond

Sviluppato su una quarantina di minuti, il terzo lavoro dei Damnation Defaced scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici, valorizzati dal lavoro in sala del guru svedese Dan Swanö.

I tedeschi Damnation Defaced pubblicano un album death metal molto ispirato, il terzo sulla lunga distanza  intitolato Invader From Beyond, che alterna e amalgama la tradizione old school con il filone melodico e progressivo.

La presenza in studio di registrazione di uno come Dan Swanö è garanzia di qualità, e grazie alle cure del produttore e musicista svedese anche il nuovo lavoro del gruppo tedesco trova un equilibrio melodico di spessore, incastonato tra death metal brutale e parti progressive, con l’uso di synth e tasti d’avorio, se non in abbondanza, almeno presenti il giusto per donare un tocco di eleganza all’estremo attacco dall’aldilà.
Invader From Beyond gioca le sue carte così, senza mai affondare il colpo né dal lato melodico né da quello estremo, riuscendo a mantenere un continuo bilanciamento tra il death alla Bolt Thrower e quello melodico scandinavo, con un mood epico e prog che. senza andare a parare nelle realtà a firma Swanö, ci regala ottima musica estrema melodica.
Sviluppato su una quarantina di minuti l’album scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici che fanno da tappeto e struttura a bombe come Goddess Of Machines, The Observers, la diretta Back From Apathy e la progressiva Embraced By Infinity.
Invader From Beyond è una buona prova che vive anche del buon impatto di un gruppo al suo terzo lavoro, di solito quello della verità, e i Damnation Defaced le loro carte se le sono giocate al meglio.

Tracklist
01. NIOM: 004D004F0049004E
02. Goddess Of Machines
03. Invader From Beyond
04. Mark Of Cain
05. The Observer
06. The Key To Your Voice
07. Rendezvous With Destiny
08. All Comes To Its End
09. Back From Apathy
10. The Creator’s Fall
11. Embraced By Infinity

Line-up
Philipp Bischoff – Vocals
Lutz Gudehus – Guitar
Lutz Neeman – Guitar
Lucas Katzmann – Drums
Kim-Patrick Friedrichs – Bass

DAMNATION DEFACED – Facebook

KREATOR

Il video di ‘Hail To The Hordes’, dall’album “Gods Of Violence” (Nuclear Blast).

Il video di ‘Hail To The Hordes’, dall’album “Gods Of Violence” (Nuclear Blast).

W.E.B. – Tartarus

Gli W.E.B. hanno alle spalle una storia ultradecennale che farebbe presupporre un percorso leggermente più personale, anche se sarebbe riduttivo considerare il symphonic/dark black del gruppo una semplice fotocopia dei più famosi Septicflesh.

Se è sicuramente lecito per qualsiasi band trarre ispirazione dai Septicflesh dell’ultimo decennio, ovvero quelli della fase sinfonico orchestrale, lo è ancora di più se a farlo è un gruppo greco.

Gli W.E.B. però non sono agli esordi, ma hanno alle spalle una storia ultradecennale che farebbe presupporre un percorso leggermente più personale, anche se il symphonic/dark black del combo guidato da Darkface (Sakis Prekas) può essere considerato derivativo ma non una vera e propria fotocopia.
Tartarus, quarto full length della band ateniese, è un lavoro formalmente ineccepibile e si capisce che i musicisti coinvolti sono esperti e ben addentro la materia ma, a lungo andare, emerge il reale problema che opacizza il lavoro cioè la mancanza del guizzo, il classico tocco del campione che decide la gara o la genialità dello scultore che dà vita alla materia inerte.
Alla fine dell’ascolto, la title track , posizionata in scaletta subito dopo l’intro, resta il brano più ficcante e riuscito, mentre le restanti tracce sono apprezzabili per la loro adesione precisa ad uno stile compositivo certo non di banale riproposizione.
La trilogia finale Thanatos, comprensiva dell’imprimatur fornito dell’intervento vocale di Sotiris Vayenas nella sua prima parte Golgotha, conferma le impressioni destate fino a quel momento, ovvero che gli W.E.B. siano destinati a restare interpreti credibili ma inevitabilmente sbiaditi del sound caratteristico dei Septicflesh: un qualcosa, come detto, ugualmente apprezzabile, ma dagli sbocchi limitati se a farlo è una band in pista ormai da molti anni.

Tracklist:
1. Where Everything Begun
2. Tartarus
3. Ave Solaris
4. Dragona
5. I, the Bornless
6. Morphine for Saints
7. Cosmos in Flames
8. Thanatos Part I – Golgotha
9. Thanatos Part II – Epitaphios
10. Thanatos Part III – Mnemosynon

Line-up
Darkface – Vocals, Guitars
Petros Elathan – Bass
Sextus Argieous Maximus – Guitars
Nikitas Mandolas – Drums

W.E.B. – Facebook

Silenzio Profondo – Silenzio Profondo

Silenzio Profondo è un album riuscito, perfetto nell’uso del cantato italiano, potente e melodico il giusto per fare breccia nei nuovi e vecchi fans dell’heavy metal.

Giungono al debutto sulla lunga distanza i lombardi Silenzio Profondo, tramite l’attivissima Andromeda Relix che, come dal cilindro di un mago, estrae sempre ottime realtà dalla scena metal/rock nazionale.

Questa volta si parla di heavy metal potenziato da scudisciate thrash e cantato in lingua madre: la band ha da poco festeggiato i dieci anni di attività tra vari problemi di line up ed un terzetto di lavori costituiti dall’ep del 2007 Iniziando a Sperare, Alias uscito due anni dopo, ed Heartquake licenziato nel 2011.
Sei lunghi anni e finalmente, dopo ancora vari avvicendamenti in formazione, Silenzio Profondo arriva a confermare che le fatiche del gruppo non sono state vane, con otto brani di metal tra tradizione e modernità che l’idioma italiano avvicina a band storiche come gli IN.SI.DIA, anche se musicalmente parlando i nostri seguono la strada dell’heavy classico, lasciando al thrash metal solo qualche accelerazione e qualche ritmica di stampo groove che rappresenta la parte moderna del sound.
Prodotto e registrato professionalmente, Silenzio Profondo non lascia dubbi sulla buona tecnica del quintetto e sul sound che, pur cantato in italiano. riesce a mantenere un’ottima coesione con la musica, grazie a ritornelli melodici ed un impatto che rimane alto per tutta la durata di un album composto da brani medio lunghi.
Il tempo trascorso ha fatto crescere il gruppo mantovano che, oltre ad una notevole grinta, mette sul piatto l’esperienza e l’attitudine giusta per dare a brani di classico metallo pesante come l’opener Senz’anima, la maideniana A Stretto Contatto, la cavalcata Terzo Millennio e la metallica Donna Senza Testa la giusta atmosfera per non considerare Silenzio Profondo un album old school, bensì un lavoro di metal ben saldo nel nuovo secolo.
La title track è un crescendo che torna a far parlare di Maiden e che chiude un disco riuscito, perfetto nell’uso del cantato italiano, potente e melodico il giusto per fare breccia nei nuovi e vecchi fans dell’heavy metal.

Tracklist
1.Senz’anima
2.A stretto contatto
3.Terzo millennio
4.Fragile
5.Jack Daniel’s
6.Fuga dalla morte
7.Donna senza testa
8.Silenzio Profondo

Line-up
Maurizio Serafini – Vocals
Gianluca Molinari – Guitars
Manuel Rizzolo – Guitars
Tommaso Bianconi – Bass
Alessandro Davolio – Drums

SILENXIO PROFONDO – Facebook

Mercyless – Coloured Funeral

L’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.

La debordante death metal band francese chiamata Mercyless è tornata da qualche anno a devastare palchi e padiglioni auricolari, prima con Unholy Black Splendor, uscito nel 2011 dopo tredici anni di silenzio (l’ultimo album di inediti licenziato risaliva infatti al 2000 e si intitolava Sure To Be Pure) e lo scorso anno con l’ottimo Pathetic Divinity.

Il 2017  ha visto la band impegnata in vari progetti minori ed ora arriva questa notevole iniziativa da parte della Xenokorp, ristampa il capolavoro del gruppo, quel Coloured Funeral uscito originariamente nel lontano 1993 e che risulta il cuore compositivo dei Mercyless, all’epoca sul mercato con quattro lavori in otto anni, dal 1992 anno di uscita del primo Abject Offerings, fino al 2000 ed alla pubblicazione Sure To Be Pure.
In mezzo il gruppo transalpino sparò due atomiche di death metal che oggi chiamiamo old school ma a quei tempi era il sound che regnava sul mercato estremo, scalfito dalla furia black metal che dalla Scandinavia scendeva verso l’Europa meridionale a colpi di chiese bruciate, omicidi e suicidi più o meno famosi.
Coloured Funeral e C.O.L.D (1996) sono sicuramente il meglio della produzione del gruppo, qui davvero sopra le righe con un lavoro che nulla aveva da invidiare ai gruppi storici e ai relativi lavori che hanno fatto scuola.
Prodotto da Colin Richardson, all’epoca guru del death metal mondiale, l’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.
Mirrors Of Melancholy, la tellurica Forgotten Fragments e Serenades (Into Your Limbs) sono brani di una bellezza estrema sconvolgente, con la band che non sfigurava di certo al cospetto di colleghi illustri come Asphyx, Morbid Angel ed Immolation, esibendo una sua precisa identità che lo rende ancor oggi un gruppo di primo piano anche se meno conosciuto rispetto a molti nomi contemporanei.
Se vi siete persi Coloured Funeral ai tempi avete la possibilità di rimediare, mentre se siete giovani e volete conoscere la storia del genere l’album è sicuramente un acquisto consigliato.

Tracklist
1. Spiral of Flowers
2. Mirrors of Melancholy
3. Travel Through a Strange Emotion
4. Forgotten Fragments
5. Contemplations
6. Agrazabeth
7. Serenades… (into Your Limbs)
8. Naked Forms
9. Beyond God

Line-up
Stéphane Viard – Guitars (lead)
Max Otero – Vocals, Guitars
Gerald Guenzi – Drums
Rade Radojcic – Bass

MERCYLESS – Facebook

GOD + Gigantomachia- Live at Traffic club

In prossimità del Natale, periodo ricco di appuntamenti, è certamente da non perdere il doppio concerto metal che il 14 dicembre 2017 vedrà il ritorno nella Capitale dei cremaschi Genus Ordinis Dei in tour per l’uscita del full-length “Great Olden Dynasty” (Eclipse Records, 24 novembre 2017), bel disco con dieci nuovissime tracce di “splendore tecnico-sinfonico” impreziosito dalla presenza di Cristina Scabbia dei Lacuna Coil nel brano “Salem”.
I Genus saranno introdotti sul palco del Traffic Live dai giovani e agguerritissimi Gigantomachia, band epic/death metal di Alatri che porta in giro i sette brani del loro album di debutto “Atlas” (prossimo alla pubblicazione per Agoge Records), ottimo lavoro di riffs melodici e potenti e di growling/screaming a sostegno di mitologiche ambientazioni.
Non mancate questa serata, titanica e travolgente.

https://www.facebook.com/events/523336591379824/

Concrete Jelly – Amless In Wonderland

I Concrete Jelly concludono nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché la loro è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio.

Terza ed ultima puntata della trilogia di Amless da parte dei Concrete Jelly, un gruppo triestino di rock and roll pesante e pensante.

Il musicista maledetto Amless ed il suo fido socio Chaz vivono la loro ultima avventura e sarà tutta da scoprire. I Concrete Jelly hanno dipanato una storia molto particolare su Amless, unendo narrativa, musica e dimensione onirica. Amless In Wonderland è fatto di blues, hard rock anni settanta e tanto altro. I generi suddetti sono dominati con saggezza ed estrema tranquillità, l’importanza maggiore è data alla musica che si incrocia con la storia, e ascoltando il disco si entra o in profondità in entrambe. Ciò che colpisce della musica dei Concrete Jelly è la perfetta consecutio temporum nella composizione, ovvero tutto va al suo posto, ed incastrandosi perfettamente rende tutto molto piacevole. Non parlo tanto di tecnica, che qui è comunque ben rappresentata, quanto della chiarezza con la quale si sviluppa il lavoro. Ci sono momenti maggiormente vicini alla jam, altri maggiormente strutturati, ma è tutto molto bello e di valore. Il gruppo triestino è composto da amanti e profondi conoscitori della musica ed il loro operato è il giusto risultato di tutto ciò. C’è uno spirito anni settanta che aleggia per tutto il disco, ma non è solo una nostalgia, quanto uno stimolo musicale, perché poi la proposta dei Concrete Jelly si fonda sull’originalità e su una certa dolcezza musicale, accarezzando le orecchie nonostante la musica sia rumorosa. Il gruppo conclude nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché questa  è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio. Amless in Wonderland è la loro prova più lucente, convincente come e più delle precedenti, che già erano ottime. Il disco vedrà la luce in un prossimo futuro, non si sa ancora quando, ma se amate l’hard rock imbastardito e di qualità, qui c’è il meglio.

Tracklist
1. Rock Town
2. The Memory Hurts
3. Good Ol’ Chaz
4. The Dealer
5. The Drug
6. Black Curtains
7. Head Out
8. Monsters
9. Elicse Atarme Pt.3

Line-up
Francesco Braida: Guitar & Voice
Sebastiano Belli: Drums
Matteo Monai: Bass & Voice
Sebastiàn Gerlini: Guitar

CONCRETE JELLY – Facebook

Руины вечности – Будни войны

l’operato del gruppo siberiano si colloca ben al di sopra della sufficienza ma si rivela la classica messa in scena dei dettami di base di un genere, con l’inserimento di tutti gli ingredienti necessari senza che appaiano mai davvero coesi tra loro.

In un scena death doom russa davvero fiorente, il full length d’esordio di questa band di Krasnoyarsk chiamata Руины вечности (Ruins Of Eternity), corre il serio rischio di finire in secondo piano.

Questo non deriva del tutto dal valore di un album come Будни войны (The Whispers of Forgotten Hills), tutt’altro che riprovevole, bensì dal fatto che la concorrenza, anche interna, è forte e qualificata; l’operato del gruppo siberiano si colloca ben al di sopra della sufficienza ma si rivela la classica messa in scena dei dettami di base di un genere, con l’inserimento di tutti gli ingredienti necessari senza che appaiano mai davvero coesi tra loro.
Così succede che il violino, elemento sempre peculiare benché non siano affatto poche le band che utilizzano questo strumento, sembra scontrarsi più che amalgamarsi con i riff chitarristici, la base ritmica ed il growl del vocalist; per essere sulla carta un death doom melodico, l’album offre con il contagocce momenti capaci di creare un adeguato flusso emotivo, puntando più su un impatto robusto e che, molto spesso, devia verso una sorta di avanguardismo, convincendo molto di più nei momenti in cui il sound sembra avvicinarsi maggiormente alle sfumature sinfonico orchestrali dei nostri Dark Lunacy.
Quando sembra che la melodia possa finalmente assumere una forma compiuta e prendere il sopravvento, come per esempio in Эхо, viene sempre meno quel momento chiave capace di dar seguito a tali intuizioni, sia per scelta da parte della band sia per una produzione che restituisce il sound in una maniera a mio avviso troppo secca, con le tastiere che non svolgono quel ruolo di raccordo che competerebbe loro in una formazione strutturata in questa maniera.
Detto ciò, l’ascolto di Будни войны è tutt’altro che superfluo, ma il confronto con Shallow Rivers o Откровения Дождя, per esempio, vede i pur bravi Руины вечности ancora diversi gradini sotto il livello raggiunto dalle band viciniori collocabili nello stesso segmento stilistico.

Tracklist:
01. Будни войны
02. Брест
03. Кто будет первым?!
04. Танк
05. Победа для мёртвых
06. Для тех, кто потерялся на этой войне
07. Эхо
08. Наследие

Line-up:
Andrei Nasekailov – guitar
Pavel Golovnin – bass
Konstantin Terentiev – drums
Pavel Maiboroda – vocals
Eugenia Antsyferova – violin, keys
Aleksander Gasenko – guitar
Roman Nasibov – backing vocals, keys

Poste942 – Long Play

Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Sembra proprio che i suoni hard rock, dai rimandi settantiani o dal retrogusto southern siano la nuova/vecchia frontiera.

Dai gruppi dalla spiccata anima hard blues, a quelli dalle ispirazioni più moderne ed in linea con l’alternative/stoner metal, non passa giorno senza che i suoni scaldati dalla marmitta di un chopper o di un’Harley non raggiungano i padiglioni auricolari del sottoscritto, al quale non pare vero di godere del vecchio ma pur sempre amato hard rock.
Dagli States, alla Scandinavia passando per il nostro paese, scalando le Alpi come Annibale ma, con al posto degli elefanti una motocicletta, si scende verso la pianura transalpina per incontrare i Poste942, un monicker curios, ma un  sound che fa vibrare i pistoni del vostro bicilindrico a suon di rock duro.
Questo primo lavoro sulla lunga distanza intitolato Long Play, per questi cinque metal/rockers transalpini, accomuna hard rock, stoner e groove a manetta senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana; lo stile dei Poste942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui  il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze che tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene  ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nella esuberante vena di 49.3, nella semi ballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Tracklist
1.Batavia
2.Color of Red
3. Whiskey
4.Devil’s Complaint
5.Punky Booster
6.49.3
7.Grace
8.Pigs in Paradise
9.Lonely Day
10. Psycho Love Part. I
11.Psycho Love Part. II
12.Breathe
13.Le Chantier

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitar
Nicolas – Millo – Drums
Ludovic Favro – Bass
Sébastien Usel – Vocais

POSTE 942 – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

HumanasH – Reborn From The Ashes

I sei brani mostrano variazioni di atmosfera ed impatto, rimandando appunto all’heavy speed metal ottantiano, ma vengono arricchiti  da un talento tutto italiano per le tematiche oscure ed horror.

Primo lavoro per gli HumanasH, creatura nata dall’oscurità, strettamente legata all’horror metal old school e ai maestri Death SS, pensata dal 1993 ma solo ora realizzata.

La mente dietro a questo interessante progetto è Giovanni Cardellino, qui con lo pseudonimo di John Goldfinch, singer dei doom progsters L’impero Delle Ombre, qui in versione molto più veloce ed heavy.
Goldfinch asseconda la sua fame di heavy metal chiamando a sé una manciata di ottimi musicisti della scena nostrana come il batterista Dario Petrelli, suo compagno nell’Impero Delle Ombre, Nicola Lezzi e Gabriele Muja, rispettivamente bassista e chitarrista dei Ghost Of Mary e Francesco Probo, chitarrista dei Mnemos.
Licenziato dalla Jolly Roger Records, Reborn from the Ashes è un mini album di sei tracce che vede la partecipazione di Steve Sylvester in veste di ospite sull’opener Evil Metal Obsession, a ribadire l’influenza che la leggendaria band ha avuto sulla nascita del progetto.
I sei brani mostrano variazioni di atmosfera ed impatto, rimandando appunto all’heavy speed metal ottantiano, ma vengono arricchiti  da un talento tutto italiano per le tematiche oscure ed horror.
Dimenticate dunque il classico lavoro speed alla tedesca, anche se in Reborn From The Ashes si viaggia spediti (Night Adventure in a Desecrated Church) sul pendolino metallico che compare dal nulla, un treno fantasma che ci accoglie nel suo mondo orrorifico, tra vampiri, chiese sconsacrate e monasteri dove si nasconde Lucifero, tra il saio di monaci maledetti.
La title track è una classica song heavy speed, così come la precedente The Nightmare Begins e la devastante The Liberation Of The Cursed Spirit, mentre la conclusiva The Eternal Darkness è una suggestiva traccia dal taglio horror, nella quale una eterea voce femminile ci accompagna tra i corridoi bui di un maniero abbandonato: le possibilità di ritornare alla luce si fanno sempre più labili man mano che ci addentriamo, ipnotizzati da questa dannata sirena e la band ci lascia al nostro destino mentre le note sfumano.
Per gli amanti dell’horror metal e dell’heavy metal old school, Reborn From the Ashes è un lavoro decisamente da non perdersi.

Tracklist
1.Evil Metal Obsession
2.Night Adventure in a Desecrated Church
3.The Nightmare Begins
4.Reborn from the Ashes
5.The Liberation of the Cursed Spirit
6.Eternal Darkness of Being

Line-up
John Goldfinch – Vocals
Gabriel Goya – Lead and Rhythm Guitar
Francis Probus – Lead and Rhythm Guitar
Nicholas Lestat – Bass
Peruvian – Drums

HUMANASH – Facebook

Jupiterian – Terraforming

Dallo scrigno brulicante di inquietanti forme di vita musicali della Transcending Obscurity, eccoci arrivare questo secondo full length dei brasiliani Jupiterian, interpreti di un maestoso sludge death doom.

Dallo scrigno brulicante di inquietanti forme di vita musicali della Transcending Obscurity, eccoci arrivare questo secondo full length dei brasiliani Jupiterian, interpreti di un maestoso sludge death doom.

Ho notato che sia oggi che in passato questo gruppo paulista ha riscosso pareri decisamente discordanti, e io stesso avevo apprezzato ma senza esaltarmi il death doom offerto dai nostri circa tre anni fa con l’ep di debutto Archaic, ma credo che questo sia il destino chi non si limita ad offrire musica accondiscendente o banale: personalmente ritengo che Terraforming, oltre a costituire un’evoluzione sonora davvero decisa ed importante, sia pressapoco la miglior forma possibile di sludge che si possa offrire di questi tempi perché, se proviamo a prendere una band che interpreta il genere nella maniera più estrema ed incopromissoria possibile, come per esempio i Primitive Man, conferendole una quantità minima ma fondamentale di senso melodico, ecco venirne fuori l’essenza musicale dei Jupiterian.
E’ grazie a questo che l’album non ottiene solo l’effetto di opprimere l’ascoltatore perché, aprendosi a passaggi più fruibili nonostante non venga mai meno un’assoluta pesantezza, riesce ad attrarre irresistibilmente così come farebbe l’enorme massa gravitazionale del maggiore dei pianeti richiamato dal monicker della band.
Se Matriarch e Forefathers sono l’emblema del migliore è più compiuto sludge doom (con annessi accenni di ambient), in Unearthly Glow si fanno largo quelle insperate melodie che che paiono riportare il tutto su un piano più accessibile, e se nella title track lo sperimentatore Maurice De Jong (Gnaw Their Tongues) offre il suo contributo ad un notevole break ambientale/rumoristico, la successiva Us And Them dei Jupiterian non ha davvero nulla in comune con la ben più nota canzone pinkfloydiana, anche se alla fine la chitarra disegna passaggi gradevolmente cristallini, prima che Sol rada al suolo definitivamente quel poco che era rimasto barcollante in posizione verticale, con un riffing dal carico oppressivo difficilmente descrivibile.
A mio avviso la dote migliore dei Jupiterian sta essenzialmente nel loro non accontentarsi di picchiare soltanto, ricordando a noi e a molti dei propri colleghi di genere quanto sia fondamentale variare ed offrire di tanto in tanto agli ascoltatori degli appigli ai quali potersi aggrappare per non essere spazzati via dallo tsunami di riff che la band brasiliana non fa certo mancare.

Tracklist:
1. Matriarch
2. Unearthly Glow
3. Forefathers
4. Terraforming (ft. Maurice de Jong of GNAW THEIR TONGUES)
5. Us and Them
6. Sol

Line up:
V – Voices, Guitars, Percussions, Synths
A – Guitars
R – Bass
G – Drums

JUPITERIAN – Facebook

Dubby Dub – Empty Nation

Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere.

I ferraresi Dubby Dub non sono di primo pelo, e grazie alla loro esperienza riescono a pubblicare un disco di hard rock con molti momenti e stili diversi.

Il gruppo è nato nel 2001 e ha avuto varie pause per i diversi progetti dei suoi componenti, la cui ossatura sono i fratelli Pulga, Mario ed Andrea, già visti e sentiti nel gruppo hardcore H – Strychnine . Nonostante diversi periodi di iato questo disco è il terzo nella carriera del gruppo, il primo per la Buil2Kill Records. La proposta è un hard rock che è maggiormente virato al rock piuttosto che all’hard, e trova decisi riferimenti nella scena inglese anni novanta, anche se ha un tocco di originalità notevole, perché non è per nulla derivativo, ma è piuttosto uno sforzo di cercare qualcosa di diverso e di piacevole sia da sentire che da suonare. Uno dei maggiori pregi di questo disco è la totale assenza di ansia nel cercare di piacere facendo qualcosa che esuli dalle corde di questo gruppo. Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole, e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere. In tutto ciò galleggia una dose di grunge che è sempre presente nelle migliori ricette musicali. Insomma un bel disco di rock anni novanta che suona fresco e bello sgargiante, e non lo te lo aspetteresti dalla copertina, che avrebbe meritato qualche sforzo in più, ma questo si può perdonare alla luce del risultato.

Tracklist
1.You & I
2. Spread & multiply
3.Empty nation
4I’ll lose myself
5.Cold issues
6.Out of the shell
7.Grow machines
8.Rainbow
9.Romance
10.About to shine
11.Right now
12.They never last
13.Deny

Line-up
Andrea Pulga – Vox – Guitars
Mauro Pulga – Guitars – Vox
Flavio Tomei Guitars – Vox
Enrico Negri – Drums – Vox

DUBBY DUB – Facebook

URSINNE

Il video di Something Wicked This Way Comes, dall’album Swim With The Leviathan (Transcending Obscurity Records).

Il video di Something Wicked This Way Comes, dall’album Swim With The Leviathan (Transcending Obscurity Records).

Incarnal – Mortuary Cult

Un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.

Death metal vecchia scuola, feroce e senza compromessi, per restare una buona mezzora immersi nelle atmosfere putride ed estreme degli Incarnal e del loro nuovo album, Mortuary Cult.

Nata nel 2010, la band polacca debutta due anni dopo con il primo full length, Where Evil Has Its Beginning, seguito da un ep e dal secondo lavoro licenziato nel 2014 ed intitolato Hexenhammer.
Tre anni dopo i cinque deathsters riaffiorano dagli inferi con Mortuary Cult, un concentrato di death metal oscuro ed abissale, epico a tratti e profondo come la gola di un mostro dimenticato nell’abisso più oscuro dove nascono questi otto inni al death metal: un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.
A brani più ordinari ne spiccano altri davvero interessanti, in un vortice di fetida aria putrefatta che sale verso il suolo: il gruppo alterna così tracce violente e devastanti a mid tempo potenti ed evocativi come la bellissima Wolves Of The God, introdotta da canti gregoriani e tenuta a freno da un affascinante giro di tastiere.
Under The Sign Of Fire segue la strada della traccia precedente, aumenta quel tanto che basta la velocità e forma il cuore nero di questo lavoro, che fa degli Incarnal un gruppo da seguire nel folto panorama estremo.
Ovviamente non mancano i momenti in cui il blackened death metal di tradizione del loro paese compare come un demone in uno specchio, ma il sound di Mortuary Cult rimane legato al death metal old school.

Tracklist
1.Behold the King of Mortuary Cult
2.Night on Bald Mountain
3.In Blood I Bathe
4.Wolves of the God
5.Under the Sign of Fire
6.Cold as the Dead Man’s Skin
7.In Death We Trust
8.Bestial Rising Tide

Line-up
Karol “North” Łapczyński – vocals
Krzysztof Kiecana – guitars
Alek Szymański – guitars
Mikołaj “Total” Kujda – drums
Mateusz “Raven” Szymanek – bassR

INCARNAL – Facebook

Genus Ordinis Dei – Great Olden Dynasty

Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.

La premessa doverosa sulla qualità altissima dei prodotti che escono dal nostro paese è diventata una prassi da ormai qualche anno, rischiando persino che le lodi alla scena rock/metal italiana diventino un qualcosa di scritto e ripetuto all’infinito.

D’altronde davanti a opere come Great Olden Dynasty, secondo lavoro dei Genus Ordinis Dei, non si può che supportare con ancora più convinzione le band di casa nostra, ormai perfettamente in grado di tenere botta ai colleghi stranieri.
La band di Crema, fondata nel 2009 e con un bellissimo esordio alle spalle datato 2013 (The Middle), torna dopo tre anni dall’ep omonimo con questo bellissimo esempio di death metal feroce, epico e maestoso.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil presente come ospite sulla conclusiva Salem, il nuovo lavoro dei Genus Ordinis Dei è un bellissimo esempio di metal estremo che, accompagnato dalle orchestrazioni sempre presenti e non solo usate come intro o outro ai brani, travolge l’ascoltatore con un suono violento e pomposo, vario e dal taglio progressivo nelle ritmiche, diretto e dall’impatto di un carro armato sinfonico.
Nick K, singer dotato di un growl da brividi, prende per mano il sound, valorizzato dalle splendide orchestrazioni create da Tommy Mastermind e dal lavoro ritmico di Steven F.Olda (basso) e Richard Meiz (batteria) e l’album deflagra fin dall’opener The Unleashed per non scendere più sotto il livello d’eccellenza.
Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.
Dall’ascolto escono prepotentemente la straordinaria bellezza di Morten, brano in crescendo che, da una partenza atmosferica da ballata metal, si trasforma in una portentosa traccia progressiva, e le mille varianti ritmiche ed atmosferiche della conclusiva Greyhouse, traccia che torna al sound caratterizzante l’album dopo la parentesi Salem, canzone più in linea con il death metal dal piglio melodico valorizzato dalla voce di Cristina e da un ottimo chorus.
Great Olden Dynasty è un album intenso ed estremo, che arriva come un fulmine a ciel sereno in questo ultimo scorcio dell’anno, ennesimo colpo di coda di una scena metal nazionale di altissimo livello.

Tracklist
1. The Unleashed
2. You Die In Roma
3. Cold Water
4. The Flemish Obituary
5. Sanctuary Burns
6. Morten
7. ID 13401
8. Halls of Human Delights
9. Salem (featuring Cristina Scabbia)
10.Greyhouse

Line-up
Nick K – vocals & guitars
Tommy Mastermind – guitars & orchestra
Steven F. Olda – bass
Richard Meiz – drums

GENUS ORDINIS DEI – Facebook

Skarlett Riot – Regenerate

Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.

L’apertura mentale nel fare proprie tutte le note dei generi che compongono l’universo musicale non è da tutti, e rimane per i più fortunati il piacere di passare con disinvoltura tra un genere all’altro per non farsi sfuggire album come questo bellissimo Regenerate del quartetto inglese chiamato Skarlett Riot.

Dal 2010 sul mercato con una manciata di lavori minori ed il full length Tear Me Down, uscito nel 2013, la band capitanata dalla singer Skarlett arriva a questo nuovo lavoro dopo il successo dell’ep Sentience e la firma con la label Despotz Records, che licenzia questa nuova raccolta di brani di moderno metal, duro come una roccia ma dall’appeal altissimo, grazie ad un tornado di melodie racchiuse in un songwriting davvero notevole.
Una raccolta di hit quindi, che il quartetto britannico interpreta con piglio metallico valorizzato dalla splendida voce della cantante e grazie ad un sound a tratti devastante nelle ritmiche.
In This Moment e Bullet for My Valentine sono le band di riferimento, dunque il genere è quello più odiato dai metallari duri e puri, ma che trova nuovi adepti tra gli amanti del metal alternativo e chi ama le atmosfere dark e drammatiche, all’ombra di cascate di riff e chorus, un tappeto di ritmiche a tratti forsennate e tanto talento per le melodie.
Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.
Album da ascoltare tutto d’un fiato, Regenerate vi colpirà a morte e vi renderete conto di esservene innamorati prima di esalare l’ultimo respiro.

Tracklist
1.Break
2.Closer
3.Stand Alone
4.What Lies Beneath
5.Calling
6.Affliction
7.Outcast
8.Paralyzed
9.The Storm
10.Warrior

Line-up
Skarlett – Vocals, Guitars
Danny – Guitars, Backing Vocals
Martin Shepherd – Bass, Backing Vocals
Luke – Drums

SKARLETT RIOT – Facebook

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