Rabid Dogs – Italian Mysteries

Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza.

Gli abruzzesi Rabid Dogs stanno diventando grandi, spingendosi in territori ancora inesplorati sia per loro che per molti degli ascoltatori. Nati nel 2009 ispirandosi al cinema popolare italiano, e al famoso ventre molle dell’Italia, i nostri sono arrivati con Italian Mysteries al quarto disco, e questo lavoro è la loro fatica più convincente.

I Rabid Dogs fanno un genere unico, un misto di stoner, metal, punk e puntate nel grindcore. Ci sono giri di chitarra che danno pugni in faccia, la batteria che picchia incessante, ma si può trovare anche l’armonica, o qualcosa di southern, e anche tanto altro, infatti ci sono anche momenti che esulano dal metal. Italian Mysteries è una discesa dentro il nostro paese, una spirale di merda e diamanti, dove tutto è apparenza, ma anche il suo contrario è falso. Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza. I Rabid Dogs sono un gruppo che appartiene a quella schiera di band e musicisti come i Southern Drinkstruction, che affrontano il metal con passione ed ironia. Il disco è un concentrato di tante cose, ma soprattutto di durezza e bravura nel rendere certe situazioni che a noi italiani sembrano scontate solo perché le viviamo tutte i giorni, ma che in realtà sono tragicomiche. Rimane nel sottobosco del loro suono una forte attitudine punk hardcore, ed è forse questa la loro spinta in più: il risultato è buono e finalmente divertente, cosa che per un disco di questi tempi non è affatto facile o scontata.

Tracklist
1. Blu Notte
2. King Midas
3. John Philip Forsythe
4. Straight To Jail!
5. Total Clan War
6. The Black Mind
7. The Lodge
8. Alfa 146
9. Milk Of Mother-In-Law
10. What If You’re Right And They’re Wrong
11. Flower Of Bad

Line-up
Doc – Guitar & Vocals;
Blade – Bass & Vocals;
32 – Drums & Vocals

RABID DOGS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=SVZagHlr6BU

Last Bullet – ’80-69-64 ep

Cinque rocker di Toronto alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere Sex & Rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock.

Provateci voi a stare fermi mentre i Last Bullet suonano il loro hard rock.

Attivo dal 2009, il gruppo canadese torna a scuotere anime, tormentandole con un’overdose di rock’n’roll dopo il primo album, uscito ormai cinque anni fa (Love Lust Illusion) e lo fa con questo ep di sei brani per una ventina di minuti travolgenti, intitolato ’80-69-64.
I cinque rocker di Toronto vanno alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere sex & rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock moderno tra alternative e dosi massicce di groove, sparato a mille in un contesto rock’n’roll.
Bright Lights è la miccia che si accende, e pericolosamente tramite l’orgiastica Gimme Time corre verso il candelotto di dinamite che esplode alle prime note di Little Miss Filthy.
Bryan Fontez con il suo canto lascivo vi provoca, vi gira attorno come una belva assetata di sangue e poi vi azzanna tra le note di Smoke & Ashes, per poi lasciare la morsa tornare sulla route, accompagnato dalle note di Southern Lips.
Velvet Revolver, Aerosmith, Lynyrd Skynyrd, Buckcherry: questo nomi sono per indurvi a non perdere neanche un minuto di musica di questa bomba hard rock.

Tracklist
01. Sin
02. Gimme Time
03. Bright Lights
04. Southern Lips
05. Smoke & Ashes
06. Little Miss Filthy

Line-up
Bryan Fontez – lead vocals
Brendan Armstrong – lead guitar
Michael Silva – rhythm guitar
Will Shannon – bass
Chriz Galaz – drums

LAST BULLET – Facebook

Circo Boia – Circo Boia

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

Il gruppo si divide tra Italia e Usa, dove hanno già fatto due tour di concerti, e il suono è molto vicino a quello a stelle e strisce, con riff potenti e una melodia ben definita che traspare dagli strati di chitarre e batteria. Circo Boia è il debutto del duo, che ha già molto chiaro cosa fare, e che sta andando in una direzione ben definita. Le influenze sono tante e tutte di buona qualità, si va dai Cure al grunge, con una sintesi molto convincente. L’ottima produzione è di Gian Maria Accusani, il deus ex machina di Prozac + e Sick Tamburo, una persona con un orecchio molto fine per ruvide melodie, e qui fa scaturire il meglio dal gruppo, riuscendo ad amalgamare le diverse influenze insieme al gran talento del duo per il grunge, quello spirito melodico e potente che non vuole andare via e continua sottotraccia. Il tiro dei Circo Boia è notevole, sinceramente in Italia è molto difficile sentire dischi musicalmente vari e belli come questo; infatti il loro debutto uscirà anche negli Usa per la Wiener’s Records e sarà molto interessante vedere come sarà accolto.
I generi toccati sono molti, senza però mai perdere una visione d’insieme molto forte ed interessante; il duo di Grosseto è pronto, e il Circo Boia è appena partito

Tracklist
1.Doppler
2.Fight For Love
3.Ye!Ho!
4.She Walks Into The Fire
5.The World Of Tomorrow
6.Lick The Hell
7.Hellride
8.I Think You’re Right
9.Negen
10.Liar

Line-up
Erika Fassari: chitarra, voce
Joey Chiarello: basso, backing vocals

Guest members:
Matteo Maggi: batteria
Gian Maria Accusani: backing vocals, chitarra, synth

CIRCO BOIA – Facebook

DE LA MUERTE

Il lyric video di De La Muerte, dall’album Venganza in uscita a dicembre (Revalve Records).

Il lyric video di De La Muerte, dall’album Venganza in uscita a dicembre (Revalve Records).

Nastyville – Glam Caramel

Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato questi suoni all’attenzione degli ascoltatori.

Si torna a far muovere le natiche a tempo di rock’n’roll stradaiolo con il secondo album dei Nastyville, quintetto piemontese da anni immerso nella scena glam rock dello stivale.

Dopo un primo album licenziato qualche anno fa e un paio di assestamenti nella line up, la band che vede ben saldo sul ponte di comando il batterista Danny Boy (un passato a suonare con gentaglia del calibro di Gilby Clarke e John Corabi), se ne esce tramite l’attivissima label partenopea Volcano Records con questo irresistibile esempio di hard rock glam made in Los Angeles intitolato Glam Caramel.
Con il nuovo entrato MarkEvil Lee dietro al microfono, la band sforna dieci brani assolutamente devoti al genere che contribuì a rendere speciali gli anni ottanta e un paradiso per i rockers il Sunset Boulevard, pur con i piedi ben saldi nel nuovo millennio.
Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato il genere all’attenzione degli ascoltatori.
Dopo la valanga di suoni alternativi iniziata sul finire del secolo scorso, il ritorno di queste sonorità (non solo per qualche fortunata reunion) è, per assurdo una ventata di freschezza nell’ormai troppo serioso ambiente del rock, quindi muovete le chiappe, stappate la vecchia bottiglia di Jack Daniels e buttatevi nella mischia al suono delle varie Nerd Superfly, Big Band Theory e le altre tracce presenti su Glam Caramel.
La bolgia è frenetica e vi travolgerà, mentre potenti trame su tempi medi si spintonano per un posto al sole con frizzanti partenze dallo spirito rock’n’roll, tra Motley Crue e Warrant, senza dimenticare le nuove leve della scena glam internazionale come Crazy Lixx e Crashdiet.
Lady Boy, Macho Girl e ancora Star Whore e la conclusiva Tha King faranno sparire ogni vostro tabù e vi daranno la possibilità di essere voi stessi: almeno per una cinquantina di irresistibili minuti, lasciatevi andare e godete, it’s only rock’n’roll.

Tracklist
1. Nerd Superfly
2. Big Band Theory
3. Jelly Toy Goes
4. Lady Boy
5. Sert-Control
6. Granny Awards
7. Macho Girl
8. Star Whore
9. Camel Toe
10. Tha King

Line-up
Mark – Voice, Guitar
David – Guitar
Manuel – Guitar
Fabian – Bass Guitar
Danny Boy – Drums

NASTYVILLE – Facebook

Hadal – Painful Shadow

Chi si fosse perso un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di splendide canzoni, a cavallo tra gothic/doom e rock/metal alternativo.

Ci ritroviamo a parlare con una certo ritardo, rispetto alla sua uscita, del secondo full length degli Hadal, Painful Shadow, uscito per la Sliptrick Records nello scorso mese di marzo.

Poco male, visto che la buona musica non va mai in prescrizione e l’occasione per averne una copia ci è stata fornita dalla partecipazione della band triestina al Doom Heart Fest dell’11 novembre, del quale abbiamo reso ampiamente conto nei giorni scorsi.
Intanto va detto che l’interpretazione del doom da parte degli Hadal è piuttosto originale, non tanto per la ricerca di improbabili sperimentazioni, quanto per la riuscita commistione con sonorità riconducibili al miglior rock alternativo, con un occhio di riguardo alla storica scena di Seattle: un qualcosa già fatto ottimamente quest’anno anche dai croati Old Night, ma partendo da una base prossima al doom tradizionale anziché dal gothic/death doom, nelle corde invece della geograficamente vicina band giuliana.
Ciò che ne scaturisce è un lotto di canzoni che stupiscono per freschezza ed orecchiabilità, pur senza apparire mai scontate, tanto che la title track, scelta anche per essere abbinata ad un video, non è neppure il brano in assoluto più fruibile, ma a convincere è lo spessore complessivo di un album che, come c’è stato modo di constatare direttamente, si rivela penetrante anche nella sua riproposizione dal vivo.
Il gruppo triestino ci tiene, del resto, a rimarcare quanto il proprio sound sia frutto della confluenza di vari stili musicali che, uniti in maniera davvero magistrale, vanno a formare il tessuto sonoro di Painful Shadow: grazie a questo, i dieci brani più intro appaiono tutti saldamente legati tra loro nonostante le diverse sfumature conferiscano a ciascuno di essi una decisa identità.
Senza voler sminuire l’ottimo lavoro dei restanti componenti della band, tutti musicisti di grande esperienza ed in quanto tali perfettamente a loro agio in ogni frangente, per la riuscita del lavoro si rvela determinante la prestazione vocale di Alberto Esposito, davvero bravo ed espressivo con il growl ma soprattutto con una voce pulita profonda, versatile e all’altezza della situazione anche in sede live, cosa tutt’altro che scontata (chi ha visto di recente i Paradise Lost dal vivo purtroppo sa a cosa mi riferisco).
A proposito, detto che a livello di influenze gli appena citati maestri di Halifax hanno sicuramente un certo peso, la bravura degli Hadal sta nel non focalizzarsi su un punto di riferimento specifico, così che nel loro sound non è difficile riscontrare dosi sapienti di tutto il meglio che il rock ed il metal dalle venature più cupe e romantiche hanno offerto negli ultimi decenni (Moonspell, Type 0 Negative, Septic Flesh epoca Revolution DNA, ma anche Alice In Chains e Pearl Jam per il versante grunge e tracce di Disturbed ed Alter Bridge per quanto riguarda l’alternative rock/metal).
Insomma, chi si fosse perso (come noi) un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di canzoni tra le quali si fa davvero fatica a trovarne una che spicchi con decisione sul resto del lotto: obbligato a scegliere opto, oltre che per la già citata title track, per Slow Violence, traccia molto robusta ma dal chorus intriso di una certa malinconia, per Nocturnal, che fin dal titolo, simile a quello di una dei brani più famosi della band lusitana, mostra graditi riferimenti ai Moonspell, e per Illusion, che fa convivere un lavoro chitarristico dal grande potenziale evocativo con un chorus legittimamente figlio del metal più moderno.
Painful Shadow è un album che ha tutte le caratteristiche per aprirsi ad un pubblico ben più ampio di quello dei soli appassionati di doom, in virtù di una grande freschezza e di una serie di canzoni che si imprimono con un certo agio nella memoria senza che venga mai sacrificata la loro profondità: in sintesi, la definizione di un’opera pressoché priva di punti deboli.

Tracklist:

1. Intro
2. Painful Shadow
3. The Shape of Lies
4. Dying Fall
5. Slow Violence
6. Illusion
7. Vox Arcana
8. Nocturnal
9. Land of Grief
10. Black Flowers
11. White Shade

Line-up
Teo – Bass
Franco – Guitars (lead)
Max – Guitars (rhythm)
Daniele – Drums
Alberto – Vocals

HADAL – Facebook

Old Man Wizard – Innocent Hands/The Blind Prince

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.

Meritano di essere portati all’attenzione dei lettori di MetalEyes gli Old Man Wizard, trio attivo tra San Diego e Los Angeles con il debutto sulla lunga distanza licenziato nel 2013 (Unfavorable, uscito anche nella versione strumentale) e questo singolo che funge da apripista al nuovo album in uscita (Blame It All On Sorcery).

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.
I due brani (Innocent Hands e The Blind Price) si compongono di umori diversi, ora alternativi ora smaccatamente hard progressivi e dai rimandi alla tradizione, mentre le vocals molto melodiche contrastano con ritmiche pesanti, ma varie grazie al gran lavoro della sezione ritmica.
Prendete i Soundgarden e maltrattateli con dosi massicce di progressive e metal estremo, poi accarezzateli con sfumature rock di estrazione americana ed avrete più o meno un’idea di quello che suonano Andre Beller (voce e basso), Francis Roberts (chitarra e voce) e Kris Calabio (batteria e voce).
Inutile dirvi che la curiosità per il full length in arrivo non manca, quindi occhio alle nostre pagine virtuali.

Tracklist
1.Innocent Hands
2.The Blind Prince

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

https://youtu.be/8iEOIBilmBg

DEEP AS OCEAN

Il video di “Broken Dreams”dall’album “LOST HOPES | BROKEN MIRRORS”, in uscita a novembre (The Jack Music Records).

Il video di “Broken Dreams”dall’album “LOST HOPES | BROKEN MIRRORS”, in uscita a novembre (The Jack Music Records).

Serenade – Onirica

I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.

Secondo lavoro per i Serenade, altra ottima realtà nel vasto mondo del metal sinfonico e dalle trame gotiche.

Superba voce soprano, tanto metallo aggressivo e dalle ritmiche power, una buona alternanza tra momenti atmosfericamente più pacati e dal taglio gotico, come da copione, e fughe heavy metal fanno di Onirica un’ottima colonna sonora al racconro incentrato sul viaggio nel mondo dei sogni e nelle paure dell’animo umano.
La band veneta è attiva dal 2009, il primo album intitolato Wandering Through Sorrow è ormai vecchio di cinque anni, ma il tempo ha giocato a favore del gruppo e della Revalve Records, vista la buona riuscita di Onirica.
I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.
Grande voce e carisma sono le principali virtù della singer Claudia, soprano dalla splendida ugola, assecondata da un songwriting mai banale e dalle buone prestazioni dei singoli musicisti; Insomnia apre l’album prima che When Darkness Will Fall arrivi come una perturbazione metallica e Kill Your Pain irrompa con le sue trame power sinfoniche, regalandoci il primo duetto tra la singer e Fabio Dessi degli Arthemis, che si ripeterà sul crescendo di Luceafarul.
I Serenade mantengono sempre un approccio heavy che a tratti sfocia in potenti frustate estreme come in Oceanus, brano mastodontico  preceduto da Hold Me Bank, primo singolo e video tratto dall’album; è invece delicatamente gotica e lasciata al solo piano che accompagna la voce di Claudia la ballad Stormborn, mentre la già citata Luceafarul e il crescendo metallico di Sleeping Dream concludono il nostro viaggio nel mondo dei sogni accompagnati dalla band padovana.
Onirica si rivela un album riuscito e piacevolmente heavy, valorizzato dalle buone prestazioni del gruppo e dalla splendida voce della sua musa: per gli amanti del genere un gioiellino da non perdere.

Tracklist
01.Insomnia
02.When Darkness Will Fall
03.Kill Your Pain
04.Hold Me Back
05.Oceanus
06.Lullaby
07.Stormborn
08.Luceafarul
09.Sleeping Dream

Line-up
Claudia – Vocals
Filippo – Guitars
Alberto – Guitars
Dario – Bass
Leonardo – Drums

SERENADE – Facebook

Talv – Entering a Timeless Winter

Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Entering a Timeless Winter è il primo lavoro a firma Talv, one man band italiana appartenente all’affollata cerchia del black metal atmosferico.

L’interpretazione fornita dal musicista milanese A. presenta in effetti diversi richiami che possono ricondurre al depressive e all’ambient e, fondamentalmente, è dotata di una sua efficacia, con il trascinarsi dolente del sound lungo brani piuttosto lunghi, all’interno dei quali una sottile linea melodica viene sporcata da uno screaming disperato che la canonica produzione lo-fi colloca in un riverberato sottofondo.
Allo stesso tempo, la ripetitività ossessiva a livello di ritmiche e di soluzioni compositive rischia di penalizzare sul lungo termine un lavoro comunque interessante, ma indirizzato ad ascoltatori dalla consolidata propensione per queste sonorità. La più breve cover di Winterreise dei Coldworld di Georg Börner chiude un album che sicuramente esprime in maniera efficace il misantropico sentire dell’autore ma che, nel contempo, mostra come sia necessario anche, da parte sua,  compiere un passo avanti a livello di registrazione, visto che linee melodiche mai banali  (quelle in A Sad Moon Concealed by Pines, su tutte) restano spesso soffocate dall’opprimente incedere del sound nel suo insieme.
Probabilmente si tratta una scelta ben precisa di A. il quale, nonostante un’attività iniziata come Talv solo da pochi anni, ha già all’attivo numerose uscite discografiche, per cui non può essere sicuramente l’esperienza a fargli difetto; è altresì vero che il tutto corrisponde ampiamente all’idea di black metal che sta dietro a questo monicker: a partire dalla copertina, fino ad arrivare all’ultima nota di Entering a Timeless Winter, tutto è pervaso da un’ostinata purezza che si traduce in un’ortodossia compositiva capace di comunicare un senso di gelo ed estraniazione dell’animo umano, al cospetto di una realtà che, mai come al giorno d’oggi, pare scorrerci dinnanzi alla stregua di un interminabile film in bianco e nero.
Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Tracklist:
01 – Dreaming a Funeral in Another Life
02 – A Sad Moon Concealed by Pines
03 – An Eternal Snowfall Will Come
04 – Sidereal Hypothermia
05 – Winterreise (Coldworld cover)

Line up:
A.

TALV – Facebook

Kroh – Pyres

Sempre fortemente legato al doom classico ma valorizzato da una componente psichedelica che lo accomuna a quello dei gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritta al genere.

Tornano a pochi mesi di distanza dal secondo full length Altars (recensito si queste pagine) i doomsters britannici Kroh, con un nuovo lavoro in formato ep intitolato Pyres.

Niente di nuovo nelle catacombe di Birmingham dove si aggirano la sacerdotessa Oliwia Sobieszek ed i suoi fedeli adepti, anche questi nuovi brani seguono le liturgiche atmosfere sabbathiane già presenti nel precedente lavoro.
Ancora più atmosfericamente sacrale di Altairs, il nuovo album emana un acre odore di morte, mentre le litanie sabbatiche accompagnano riti occulti tra serpi velenose e lame luccicanti in un’atmosfera che si fa a tratti ipnotizzante.
La Sobieszek, da musa affascinate quale è, si aggira tra gli astanti, persi nelle lunghe marce dettate dal lento battere del tempo, quasi fermo, mentre potenti esplosioni metalliche (Rigor Mortis) violentano le ipnotiche danze sacrali che i musicisti del gruppo hanno creato per far danzare la ipnotica singer.
Il basso che pulsa tra le note di Nemertean Girl, il vorticoso incedere della vulcanica Moriah e la potenza stonerizzata della conclusiva Despair Resolve, imprimono al lavoro una forza sorprendente, mentre il gruppo alterna con buona personalità esplosioni metalliche e rituali atmosferici dove tutto si compie.
Sempre fortemente legato al doom classico, ma valorizzato da una componente psichedelica che li accomuna ai gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritto al genere.
Una band che, piano piano, troverà il suo spazio tra i gruppi di culto nel panorama del doom classico odierno.

Tracklist
1.Triumph of Death
2.Rigor Mortis
3.Nemertean Girl
4.Moriah
5.Despair/Resolve

Line-up
Rich Stanton – Drums
Paul Harrington – Guitars
Paul Kenney – Guitars
Oliwia Sobieszek – Vocals
Darren Donovan – Bass

KROH – Facebook

Tyakrah – Wintergedanken

Wintergedanken è a suo modo anomalo, in quanto disco di non facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare.

I Tyakrah provengono da Münster, città natale anche degli ottimi Helrunar, e come loro sono un duo, composto dai misteriosi J.R. e I.XII.

Mai come in questo caso l’artwork ci fornisce un’indizio riferito a quanto ci dobbiamo attendere: l’aspro scenario invernale, infatti, viene trasposto in musica con grande cura e fedeltà, offrendo un’interpretazione del black metal tutto sommato neppure troppo convenzionale e decisamente più aperto a sonorità nordamericane rispetto alle abitudini delle band tedesche.
Così, oltre alla solennità e al glaciale rigore che caratterizzano le uscite black metal in terra germanica, rinveniamo anche quel senso di inquietudine e malinconia che non viene confinato solo alle tre tracce strumentali (Praeludium, Interludium e Postludium) ma trova un suo sfogo nelle notevoli e frequenti incursioni di chitarra solista di I.XII, il quale non si limita al solo tremolo come gran parte dei suoi colleghi ma si lascia andare lunghe ed efficaci progressioni dal tocco più morbido e diluito.
Wintergedanken (anche il titolo dice molto sullo spirito che aleggia sul lavoro) è a suo modo anomalo, in quanto disco non di facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare: il risultato sono quattro brani di lunghezza media sui sette minuti dotati di una buona profondità e, soprattutto, molto focalizzati sul lato emotivo del sound.
Forse proprio l’utilizzo corposo della chitarra solista potrebbe non essere una buona notizia per i puristi del genere, ma lo è invece per chi vuole provare qualche brivido che non sia provocato solo dalle basse temperature evocate dalla copertina: a tale proposito è interessante notare come l’unico essere vivente, un cervo, sia raffigurato in una dimensione minuscola, quasi a voler rimarcare come tutte le forme di vita (uomo incluso) siano insignificanti di fronte alla maestosità della natura. Non so se effettivamente questo corrisponda all’intento dei Tyakrah, ma mi piace pensare che sia così, anche perché il sound della band tedesca si confà perfettamente a questo tipo di sentire.

Tracklist:
01. Praeludium – Auf kalten Wegen
02. Gefrorne Tränen
03. Wintergedanken
04. Interludium – Eisige Andacht
05. Fährten im Schnee
06. Erstarrende Nacht
07. Postludium – Ende des Weges

Line-up:
J.R. – vocals, drums, lyrics
I.XII – guitars, synths, bass

TYAKRAH – Facebook

Painted Black – Raging Light

I Painted Black dimostrano d’aver raggiunto quella maturità necessaria per mettersi nella nobile scia dei maestri del gothic metal lusitano ed europeo chiamati Moonspell, facendolo però con una buona personalità e soprattutto cercando con successo di sottrarsi ad imbarazzanti paragoni con la band di Ribeiro.

Quando si pubblica un secondo full legth a sette anni di distanza da quello d’esordio è normale attendersi dei cambiamenti, in certi casi anche piuttosto sensibili.

È questo il caso dei portoghesi Painted Black, i quali dopo un album come Cold Comfort, riconducibile al filone gothic death doom, sono approdati ad una forma di rock/metal oscuro che non rinnega affatto le origini ma che sposta decisamente la barra verso lidi più melodici e liquidi; un’evoluzione per certi versi naturale e che trova i suoi potenziali prodromi nell’album d’esordio del progetto Sleeping Pulse, che vedeva all’opera Luís Fazendeiro, chitarrista e compositore principale della band lusitana, avvalersi della voce di Mick Moss per raggiungere vette di lirismo prossime, appunto, a quelle degli Antimatter.
Non stupisce più di tanto, quindi, ritrovare in Raging Light riferimenti a quell’area stilistica che parte dai Katatonia ed arriva fino agli ultimi Anathema, con la band svedese che aleggia sicuramente nei passaggi leggermente più robusti e meno atmosferici e quella inglese, invece, che emerge dai brani più melodici e suadenti, tutto questo senza dimenticare del tutto le radici metal che di tanto in tanto riemergono restando un elemento importante ma non preponderante nell’economia del lavoro.
Il sound dei Painted Black è decisamente elegante, sempre controllato e modellato con sapienza da Fazendeiro e compagni, con Daniel Lucas capace di fornire una buona prestazione vocale sia con voce pulita che in growl.
L’album parte ottimamente con due brani davvero belli come The Raging Light, oscillante tra un’indole intimista e l’antico retaggio gothic doom, e Dead Time, dallo sviluppo simile ma contenente una più decisa accelerazione nella fase centrale, il tutto sempre caratterizzato da un notevole lavoro chitarristico a tessere le opportune trame.
Il resto del lavoro si muove costantemente attraverso queste oscillazioni, mantenendo un’aura malinconica per la quale il colore più indicato nel monicker sarebbe il grigio piuttosto che il nero.
La chiusura è affidata ad una traccia molto lunga come Almagest, vera e propria summa dell’idea musicale dei Painted Black, i quali dimostrano d’aver raggiunto quella maturità necessaria per mettersi nella nobile scia dei maestri del gothic metal lusitano ed europeo chiamati Moonspell, facendolo però con una buona personalità e soprattutto cercando con successo di sottrarsi ad imbarazzanti paragoni con la band di Ribeiro.
Raging Light non rappresenta ancora l’album perfetto per i Painted Black, perché a mio avviso l’emotività che dovrebbe trasmettere un’opera di questo tipo arriva ancora in maniera discontinua, ma per certi versi questo è un bene, in quanto significa che la band portoghese ha nelle proprie corde un potenziale ancora superiore a quello già importante esibito in quest’occasione

Tracklist:
1 – The Raging Light
2 – Dead Time
3 – The Living Receiver
4 – Absolution Denied
5 – Chamber
6 – In The Heart Of The Sun
7 – I Am Providence
8 – Almagest

Line-up:
Daniel Lucas – Vocals
Luís Fazendeiro – Rhythm & Lead Guitars, Clean Guitars, Piano & Synths, Bass on tracks 1,3,5 and 8
Gonçalo Sousa – Lead & Rhythm Guitars

Guests:
Marcelo Aires – Drums
Pedro Mendes – Bass on tracks 2,4,6 and 7
Mick Moss – spoken words on track 3
Amber Moss – spoken words on track 3
Jenny O’Connor – spoken words on track 3

PAINTED BLACK – Facebook

Whiskeycold Winter

Il video del singolo Neptune.

I Whiskeycold Winter, retro/heavy/psych rock band da Napoli, hanno appena realizzato un videoclip per il loro nuovo singolo -“Neptune”- in collaborazione con Marco Adamo (Lee Van Cleef) che si è occupato del videomaking.

Il brano ,rilasciato a Luglio 2017, è stato invece registrato, prodotto e masterizzato da Guido Minervini (Lee Van Cleef) presso La Saletta studio e co-prodotto da Simone Pennucci e Pietro La Tegola.
L’artwork invece è stato realizzato da Laura Zoè.
Con Cosmic Hangover, EP del 2016 si chiude una prima fase della band, incentrata su sonorità più tradizionali.
Il nuovo corso, iniziato con Neptune, vorrebbe introdurre elementi più vicini alla psichedelia, allo stoner e al doom, senza perdere però di vista i riferimenti bluesy/folk/settantiani delle produzioni precedenti.
La band è attualmente in cerca di label/booking agencies/collaborazioni di ogni genere.

LINKS:
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCkdG7-0XflZKFBaelybKeYw/videos
Bandcamp:https://whiskeycoldwinter.bandcamp.com/track/neptune
Facebook: https://www.facebook.com/WhiskeycoldWinter/
Apple music: https://itunes.apple.com/it/artist/whiskeycold-winter/id1096100601?l=en
Amazon: https://www.amazon.com/s/ref=ntt_srch_drd_B01DBO0S94?ie=UTF8&fieldkeywords=Whiskeycold%20Winter&index=digital-music&search-type=ss
Spotify: https://play.spotify.com/artist/2CeelkZpqIIxZJUUtXZABB

Witchery – I Am Legion

In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.

La copertina del nuovo album degli ormai storici Witchery esprime alla perfezione l’atmosfera maligna e pervasa da un’insana impronta black, mai così accentuata, che il nuovo album si porta dietro.

Ad un anno esatto dal ritorno con il già notevole In His Infernal Majesty’s Service, la band torna con il lavoro più malvagio della sua ormai lunga carriera, fatta di alti e bassi ma sempre all’insegna di un blackened thrash metal senza compromessi.
In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.
Gli Witchery più invecchiano più diventano come il buon vino, magari allungato col sangue che da i brani di questo splendido lavoro estremo esce copioso, mentre Legion ci invita al massacro e True North ci offre la prima canzone sopra la media dell’album con un inizio solenne e terrorizzante da infarto.
Si parte a velocità della luce, una luce fioca che crea ombre diaboliche tra le note di Welcome, Night e Of Blackened Wing, fino al masterpiece Amun-Ra, dove Angus Norder sciorina a metà pezzo un growl profondo come l’inferno mentre la coppia Jensen/Rimfält ci incolla al muro con riff e solos dannatamente coinvolgenti.
D’Angelo e Barkensjö sono il solito motore ritmico instancabile, ma in I Am Legion è la putrida atmosfera che si respira tra i solchi dei brani a fare la differenza, come se i cinque musicisti fossero anch’essi demoni e ed allo stesso tempo piccoli pezzi di un puzzle vivente volto a riunirsi per evocare il male assoluto.
Il giro armonico del mid tempo che fa da tappeto a A Faustian Deal e la conclusiva The Alchemist sono gli ultimi botti di un album che conferma il grande ritorno del gruppo svedese, uno dei massimi esponenti del blackened/thrash metal internazionale, già sopra le righe con l’album precedente e qui perfetti e malvagi cantori estremi.

Tracklist
1. Legion
2. True North
3. Welcome, Night
4. Of Blackened Wing
5. Dry Bones
6. Amun-Ra
7. Seraphic Terror
8. A Faustian Deal
9. An Unexpected Guest
10. Great Northern Plague
11. The Alchemist

Line-up
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Heir – Au Peuple De l’Abîme

Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.

Abbiamo avuto a che fare con i blacksters francesi Heir, riguardo all’uscita del bellissimo split licenziato dalla Les Acteurs de l’Ombre lo scorso anno, dove i nostri dividevano la scena con Spectrale ed In Cauda Venenum.

Attivo da solo un paio d’anni in quel di Tolosa, il quintetto estremo rilascia il primo album, questo notevole pezzo di granito black/sludge dal titolo Au Peuple De l’Abîme, poco più di mezzora di black metal dai tratti atmosferici accentuati, violentati da chitarre torturate e portate al limite, accelerazioni e più lineari momenti dove le sfumature si fanno intimiste.
Black metal, post rock e sludge al servizio del metal estremo creato da questa giovane band che conferma le buone impressioni suscitate dallo split, con cinque brani medio lunghi nei quali  le caratteristiche peculiari del sound del gruppo sono ben rappresentate.
Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.
Lo chiamerei black metal d’autore, non fosse che quando gli Heir decidono di distruggere lo fanno con una forza spaventosa e con brani d’impatto come Meltem o L’Ame Des Foules.
Un album che conferma le impressioni positive suscitate, quindi consigliato agli amanti di questa frangia del metallo nero.

Tracklist
1.Au Siècle des Siècles
2.L’Heure D’Helios
3.Meltem
4.L’Âme des Foules
5.Cendres

Line-up
F.B – Bass
D.D.A – Drums
L.H – Vocals
M.D – Guitars
M.S – Guitars

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Enrico Sarzi – Drive Through

Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle nei primi anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici.

Buone nuove dalla Burning Minds, questa volta affiancata dalla Street Symphonies con la quale licenzia il primo lavoro solista di Enrico Sarzi, cantante dei rockers Midnight Sun con cui ha registrato due album.

Impegnato come ospite su due opere notevoli come l’album omonimo degli Shining Line e Moonstone Project, il musicista nostrano ha avuto l’occasione di suonare insieme a musicisti storici o autentiche leggende della scena hard rock internazionale come Glenn Hughes, Ian Paice e Robin Beck, esperienze importanti prima che la sua avventura solista diventasse il suo presente musicale.
Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle all’inizio degli anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici, prima che l’elettrica torni a ruggire tra lo spartito che si sporca di blues.
Un album sentito, Drive Through, pregno di magiche atmosfere che ci portano tra malinconiche strade secondarie, tra fattorie che il tempo ha dimenticato mentre in noi si fa sempre il ricordo di un brano come Rooster degli Alice in Chains.
Non privo di ottimi inserti di fiati, solos dal taglio rock ed hard rock sempre in bilico tra grunge e hard rock settantiano, l’album vive di questa altalena di umori, mentre Sarzi passa agevolmente da toni cantautorali a parti nelle quali rivive lo spirito del miglior Cantrell (Nothing To Live For, The Repentant, la title track).
Le ballad come detto non mancano e sono tutte valorizzate da atmosfere e sfumature mai banali, piacevolmente intimiste raggiungono, con Strange Freedom a rappresentare il punto più alto, attraversata dal suono di un malinconico sax che lascia spazio all’assolo più bello di tutto l’album.
Drive Through rivisita il rock americano in un paio delle sue migliori vesti e conferma il talento, anche compositivo, di Enrico Sarzi.

Tracklist
01. Shameless
02. Afraid To Be Myself
03. Nothing To Live For
04. S.O.S. To God
05. Strange Freedom
06. The Repentant
07. Inferno
08. Let Me Go
09. Drive Through
10. Sex Perfume
11. Cielo

Line-up
Enrico Sarzi – Vocals, Acoustic Guitars
Cristiano Vicini – Electric Guitars
Marco Nicoli – Bass
Marco Micolo – Keyboards
Alessandro Mori – Drums

Special Guests:
Stefano Avanzi – Sax
Alberto Valli – Piano
Luciana Buttazzo – Vocals

ENRICO SARZI – Facebook

Solfernus – Neoantichrist

I quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti o con accelerazioni repentine, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

I Solfernus sono una band ceca che torna in pista dopo oltre un decennio di stop, guidata da Igor Hubik, attuale chitarrista degli storici Root.

Neoantichrist è un discreto lavoro, che denota venature heavy/thrash in fondo non lontane dal gruppo del grande vecchio della scena Big Boss, e comunque non aderisce in maniera totale ai dettami della scuola scandinava, approdando a una forma meno algida e solenne.
L’album è ben prodotto e suonato da musicisti che dimostrano padronanza del genere, pur senza un filo conduttore specifico e comunque di uno o più brani capaci di colpire in maniera indelebile, ma la sensazione è che comunque i Solfernus abbiano un approccio abbastanza disincantato e, nel complesso altrettanto diretto, senza propensioni sperimentali o modernismi assortiti.
Anche per questo i quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti come la title track e Mistresserpent, o con le accelerazioni repentine contenute in Between Two Deaths, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

Tracklist:
01. Ignis ~ Dominion
02. Glorifired
03. Mistresserpent
04. Pray For Chaos!
05. That One Night
06. Between Two Deaths
07. Once Upon A Time In The East
08. My Aurorae
09. Neoantichrist
10. Stone In A River

Line-up:
Khaablus – vocals
Igor – guitar, vocals
Paramba – bass
Paul Dread – drums

SOLFERNUS – Facebook

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