Beartooth – Disease

Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

I Beartooth sono una alternative rock/punk metal statunitense nata inizialmente come one man band dell’ex Attack Attack! Caleb Shomo, ad oggi band a tutti gli effetti con Kamron Bradbury e Zach Huston alle chitarre e la sezione ritmica composta da Oshie Bichar al basso e Connor Denis alla batteria.

Per Red Bulls Records esce Disease, il terzo lavoro sulla lunga distanza, dopo gli ottimi riscontri ed il successo diel debutto Disgusting licenziato nel 2014 e soprattutto del secondo album uscito un paio di anni fa ed intitolato Aggressive.
I Beartooth sono la classica band alternative da classifica che amalgama metal moderno, punk, un pizzico di cattiveria hardcore e melodie rock dall’appeal radiofonico, quindi con l’aspettativa di fare un buon bottino di dollari e diventare uno dei gruppi più amati dai kids mondiali dai gusti che guardano ai canali rock satellitari.
Caleb Shomo è il guru del progetto Beartooth, cantante dalla voce che convince, tra rabbiose parti scream e toni melodici che più ruffiani di così non si può, che attira su di sé l’attenzione dei fans e da abile songwriter riesce a creare una raccolta di brani piacevoli e con le potenzialità per fare sfracelli.
Disease non aggiunge e non toglie niente ai lavori di genere: dodici tracce tra grinta rock/metal e melodie pop, rock alternativo dal successo assicurato, a suo modo ben strutturato ed in possesso di un talento per cori e refrain di facile presa che sono la strada per il successo.
L’album scorre che è un piacere, la formula è quella usata a suo tempo da chi di questi suoni è maestro e la lista dei brani da top ten parte dall’opener Greatness Or Death per arrivare alla conclusiva Clever, passando per la title track, You Never Know ed Enemy.
Disease conferma i Beartooth quale potenziale new sensation dell’alternative rock/metal a stelle e strisce, grazie ad una raccolta di brani inattaccabili e imperdibili per gli amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.Greatness or Death
2.Disease
3.Fire
4.You Never Know
5.Bad Listener
6.Afterall
7.Manipulation
8.Enemy
9.Believe
10.Infection
11.Used and Abused
12.Clever

Line-up
Caleb Shomo – Vocals
Kamron Bradbury- Guitar
Zach Huston – Guitar
Oshie Bichar – Bass
Connor Denis – Drums

BEARTOOTH – Facebook

Nookie – Exceptions

Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.

Nookie è lo pseudonimo con cui la cantante Daria Stavrovich degli alternative rockers russi Slot si cimenta con la band che prende il suo nome.

La Sliptrick Records licenzia il loro terzo album, una raccolta di brani alternative rock, con qualche sporadico salto nel new metal, senza però andare oltre ad una grinta controllata e radio friendly.
Exceptions è comunque un buon lavoro, nel quale il gruppo asseconda con bravura il talento vocale di Nookie, bravissima nel saper variare la sua voce a seconda dell’atmosfera di ogni canzone, proponendo sfumature vocali che vanno dalla rabbia, alla disperazione, dalla dolcezza alla mera esecuzione, davvero sorprendente quando gareggia tra intricate ritmiche con gli strumenti.
Exceptions è nel suo complesso un buon lavoro di genere, l’urgenza del metal moderno si alterna con trame rock di chiara matrice statunitense, le influenze si dipanano per i brani senza però dare quel senso fastidioso di deja vu, anche perché rapiti dall’interpretazione della singer a tratti rimembrante la pantera Skin.
Tredici brani per cinquanta minuti di musica non sono pochi nel genere, ma i Nookie sanno bene come tenere alta l’attenzione dell’ ascoltatore non abbassando mai la guardia con brani che si alternano tra rock diretto e scariche di intricatissime ritmiche metalliche.
Magari poco conosciuta nel mercato occidentale, la band russa ha invece le carte in regola per piacere ai fans dell’alternative metal/rock a cui va il consiglio di non perdersi questo lavoro.

Tracklist
01.Au
02.Before I Die
03.Isklyucheniya
04.Vverkh
05.Znaki
06.Myprostoest
07. In-Yan
08.Vremennaya
09.Samim soboy
10.Prodolzhaem dvizhenie
11.Tantsuy, kloun, tantsuy
12.Yadovitaya
13.Kosmos

Line-up
Nookie – Lead Vocals
Sergey Bogolyubskiy – Guitar
Andrey Ostrav – Bass
Alexander Karpukhin – Drums

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KrashKarma – Morph

Morph è un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

I KrashKarma sono un duo statunitense, formato dalla cantante/batterista Niki Skistimas e dal chitarrista/cantante Ralf Dietel, indicato come una sorta di The White Stripes del metal che, però, con la rock band di Jack e Meg White non hanno nulla a che fare.

Niente rock’n’roll,blues o garage per la coppia, che invece ci travolge con un hard rock moderno, ispirato dall’alternative metal a cavallo dei due millenni, e da qualche più poderosa ispirazione nu metal.
Il primo vagito della band risale al 2009 con il primo ep, seguito da due full length, Straight To The Blood del 2011 e Paint The Devil del 2015 che hanno portato buoni giudizi e quel pizzico di popolarità che sicuramente verrà rimpinguata dopo l’uscita di Morph, ultimo lavoro composto da una dozzina di brani da buon appeal, con il buon uso delle voci che si alternano in tracce dure e melodiche, pregne di chorus che catturano fin dal primo ascolto.
Ai KrashKarma non manca certo la carica metallica, su cui si strutturano brani dal buon impatto, e le ispirazioni si muovono tra le top band del periodo in cui il genere faceva sfracelli sui canali e radio satellitari, con accenni più o meno espliciti a Linkin Park, Avril Levigne e Disturbed.
A tratti ci vanno giù veloci e diretti i ragazzi: Morph Into A Monster alterna infatti ritmiche veloci e dirette a chorus di pesantissimo nu metal, risultando il brano più devastante di un lotto di brani che, imperterrito, continua ad alternare melodia e violente sciabolate di hard rock moderno, con la voce della Skistimas in grado di alzare la temperatura quando si fa carico dei chorus.
Morph è in definitiva un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

Tracklist
1. Wake Them Up
2. Stranded
3. Footsteps Of A Lemming
4. The Forgotten Man
5. R.I.O.T.
6. Mechanical Heart
7. Children Of The Never
8. Morph Into A Monster
9. Bury Me Alive
10. Way In/Way Out
11. War
12. Picture Perfect

Line-up
Niki Skistimas – Vocals, Drums
Ralf Dietel – Vocals, Guitars

KRASHKARMA – Facebook

Ehfar – Everything Happens For A Reason

Metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.

Dopo tanto scrivere e suonare per gli altri Titta Tani ha deciso di fare qualcosa di completamente proprio e sono nati gli Ehfar, quartetto che si completa con Emiliano Tessitore alla chitarra (Stage Of Reality), Matteo Dondi al basso (Theia) e Andrea Gianangeli alla batteria (Dragonhammer).

Ex di DGM ed Astra (tra gli altri), batterista dei Claudio Simonetti’s Goblin e cantante degli Architects of Chaoz, Titta Tani è sicuramente una delle figure più importanti e carismatiche nella scena metal/rock tricolore, un musicista dall’enorme talento confermato anche in questo suo nuovo progetto.
La band debutta con Everything Happens For A Reason, album composto da nove brani che spaziano tra i generi in cui il mastermind si è dedicato in questi anni: quindi nell’album troverete metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.
A Man Behind The Mask risulta la traccia più classica dell’opera, con Oliver Hartmann (Avantasia, At Vance, Iron Mask) che compare come ospite al microfono, mentre il resto dell’album mantiene un approccio moderno, progressivo e a tratti durissimo, schegge impazzite di metal tecnicamente ineccepibile, tra atmosfere drammatiche ed un approccio melodico sopra le righe.
Everything Happens For A Reason ci riserva una escalation di emozioni che dalle prime note dell’opener Shout My Name, passando per il groove della seguente Night After Night, esplodono nelle due spettacolari e bellissime tracce poste verso la fine dell’opera (Victims e Master Of Hypocrisy), le quali in pochi minuti uniscono Alice In Chains, Symphony X e Savatage nello stesso splendido e drammatico spartito, prima che il crescendo di emozioni della splendida Losing You concluda questo bellissimo lavoro.
Nel mezzo tanta ottima musica metal moderna, melodica e progressiva, dura e pulsante che vi avvicinerà al mondo di questo bravissimo musicista e songwriter nostrano.

Tracklist
01. Shout My Name
02. Night After Night
03. A Man Behind the Mask
04. Dead End Track
05. Once Upon a Time
06. Someone Save Me
07. Victims
08. Master of Hypocrisy
09. Losing You

Line-up
Titta Tani – Vocals
Emiliano Tessitore – Guitars
Matteo Dondi – Bass
Andrea Gianangeli – Drums

EHFAR – Facebook

Fear Of Domination – Metanoia

Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Nonostante siano apparentemente ancora molto giovani, i finlandesi Fear Of Domination sono attivi da una decina d’anni e questo ultimo Metanoia rappresenta il loro sesto full length.

La band nordica è formata da ben otto elementi (con due vocalist) e questo sicuramente favorisce la costruzione di un sound piuttosto saturo, specialmente nei passaggi più robusti che sono l’espressione meglio riuscita di un sound che si muove tra un pizzico di industrial e pulsioni gothic/elettroniche che vanno a confluire in una forma di modern metal piuttosto ammiccante.
Fatte le debite premesse, non si può non rimarcare il fatto che il prodotto dei Fear Of Domination sia sicuramente ricco di un certo appeal commerciale, aspetto che è il suo pregio ma, soprattutto, il suo limite visto che, alla lunga, anche dopo diversi ascolti, rimane ben poco se non l’impressione d’aver ascoltato un album ben costruito, a tratti divertente, ma che in una fascia di ascoltatori più adulta faticherà a ricavarsi una seconda od una terza chance di passaggio nel lettore.
La sensazione è che la band provi a sondare un po’ tutte le strade del metallo più abbordabile, sia con brani che richiamano gruppi come i Deathstars ( Sick and Beautiful, We Dominate), sia proponendo ritmi più ragionati e suadenti in quota Evanescence (Shame, Ruin) sfruttando la vena della brava vocalist Sara Strömmer, ma in definitiva creando un coacervo sonoro che richiama a tratti i più nobili Linkin Park così come l’impalpabile ed adolescenziale metalcore in voga di questi tempi.
Il risultato finale è un album come detto gradevole, ammantato di una cattiveria di facciata che copre come un sottilissimo velo contenuti nella loro sostanza ben più morbidi: certo, i dischi brutti sono diversi da Metanoia, ma anche quelli che dovrebbero migliorare la vita a chi li ascolta …

Tracklist:
1. Dance with the Devil
2. Obsession
3. Face of Pain
4. Sick and Beautiful
5. Shame
6. Lie
7. We Dominate
8. The Last Call
9. Mindshifter
10. Ruin

Line-up:
Saku Solin – Vocals
Lauri Ojanen – Bass
Jan-Erik Kari – Guitars
Johannes Niemi – Lead guitars
Vesa Ahlroth – Drums
Lasse Raelahti – Keyboards
Sara Strömmer – Vocals
Miikki Kunttu – Percussions, stage monkey

FEAR OF DOMINATION – Facebook

Like A Storm – Catacombs

Catacombs è un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Terzo album per la band neozelandese Like A Storm, formata dai fratelli Brooks (Chris, Matt e Kent) più il batterista Zachary Wood.

Il gruppo, dopo il debutto uscito nel 2009 (The End of the Beginning), ha raggiunto una discreta popolarità con Awaken The Fire, lavoro che gli ha dato la possibilità di suonare in giro per il mondo di supporto alle star dell’ alternative rock Alter Bridge.
Il sound del gruppo è un post grunge animato da scariche nu metal, niente di nuovo quindi, ma perfetto per fare breccia nei cuori del fans del rock radiofonico, anche se leggermente in ritardo sulla tabella di marcia.
I fratelli Brooks hanno sicuramente il vantaggio di saper scrivere canzoni melodiche, ruffiane ma dure ed alternative quel tanto che basta per non apparire troppo adolescenziali: il rock di matrice post grunge (Alter Bridge, Nickelback) si allea con il metal moderno tra metalcore e nu metal e ne esce un album piacevole anche se non troppo personale.
I Linkin Park sono la terza band che forma il triumvirato artistico ispiratore della musica dei Like A Storm, che partono benissimo con l’opener The Devil Inside per poi inserire il pilota automatico, così da viaggiare ad andature standard, senza troppi scossoni e senza grossi sbandamenti.
All’ascolto di Catacombs si evince la ricerca di una perfezione formale, tutto è carino e al posto giusto, le sferzate metalliche, così come le melodie pop rock, si prendono a turno la scena: l’intenzione di costruire una raccolta di hits porta i Like A Storm a perdere molto in genuina attitudine e personalità, un peccato che chi segue i trend saprà perdonare ai tre fratelli neozelandesi.
Catacombs è dunque un lavoro costruito per provare il definitivo salto, almeno per quanto riguarda la popolarità: se la band ci sarà riuscita si vedrà più avanti, sicuramente non mancherà di trovare estimatori tra il popolo del rock in rotazione sui canali audio/visivi più popolari.

Tracklist
1.The Devil Inside
2.Out Of Control
3.Catacombs
4.Complicated (Stitches & Scars)
5.Solitary
6.The Bitterness
7.Until The Day I Die
8.Hole In My Heart
9.Bullet In The Head
10.These Are The Bridges You Burned Down
11.Pure Evil

Line-up
Chris Brooks – Lead vocals, guitar, didgeridoo, keys/programming
Matt Brooks – Vocals, lead guitar, keys/programming
Kent Brooks – Bass, vocals, keys/programming
Zachary Wood – Drums

LIKE A STORM – Facebook

Voodoo Diamond – Darkness Becomes It

Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.

Nel mondo del metal moderno ed alternativo, la linea che divide un buon lavoro dalla solita ed ormai abusata formula in uso nel metallo da classifica rischia ogni volta di spezzarsi, rivelandosi ormai sottilissima e sempre più sollecitata da opere di bassissimo livello artistico.

L’eccezione che conferma la regola è rappresentata da quei gruppi che hanno tanto da dire in termini musicali e sorprendenti protagonisti di ottimi album come quello di debutto su lunga distanza dei londinesi Voodoo Diamond, trio multietnico con base nel Regno Unito, con due ep già licenziati prima che Darkness Before It, con l’aiuto del produttore Scott Atkins (Cradle Of Filth, Amon Amarth) e di Fredrik Nordstrom (Bring Me The Horizon, Arch Enemy, Architects, In Flames, Soilwork, Opeth) per quanto riguarda mix e mastering, esploda nei lettori dei giovani appassionati dai gusti moderni in giro per il mondo.
Dieci brani vengono dati in pasto dal gruppo alle radio rock, dieci tracce perfette, tra melodie alternative, marziali ritmiche metalcore e rabbiose accelerazioni thrash, il tutto legato da una performance vocale ottima, sia nelle clean che nel vocione estremo.
Ma ovviamente chi fa la differenza in questo lavoro è il songwriting ispiratissimo, che permette all’album di non avere pause o riempitivi, solo un lotto di potenziali singoli, perfetti nei refrain, buoni nel saper alternare melodie radiofoniche a rabbiose parti core, valorizzato da un gran lavoro chitarristico che non risparmia solos di stampo heavy in un contesto moderno ed alternativo.
Deny è il singolo lanciato per far innamorare perdutamente i fans del rock/metal moderno, ma non è sicuramente da meno la splendida opener Black Ice o Trigger, tracce che non lasciano scampo, per l’alchimia perfetta tra Trivium, Killswitch Engage, Parkway Drive e Linkin Park .
Ne sentiremo parlare dei Voodoo Diamond, le carte in regola per sfondare ci sono tutte e scommetto che al prossimo giro li ritroveremo come la new sensation lanciata da qualche major: per ora resta da godersi questo ottimo debutto.

Tracklist
1.Black Ice
2.With My Hands Clenched
3.Deny
4.While She Sleeps
5.Trigger
6.Broken Mirrors
7.Forgive Me Not
8.Givin It All
9.Son Of A Bastard Sun
10.Violins

Line-up
Filipe Martins – Vocals, Guitars
Alex Dias – Vocals
Doug Rimington – Bass

VOODOO DIAMOND – Facebook

Annisokay – Arms

Gli Annisokay propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme.

Se volete avere uno sguardo esaustivo sul metal moderno, o se volete ascoltare il meglio del metalcore insieme ad una robusta dose di elettronica o di post hardcore, Arms è il disco che fa per voi e che vi eviterà tante delusioni.

I tedeschi Annisokay sono una delle band migliori in circolazione in campo modern metal e metalcore, e hanno molto di più degli stilemi di questi due generi. Il loro nome nasce dal testo di una canzone di Michael Jackson, uno dei loro idoli che hanno anche omaggiato in passato con una cover, e più precisamente da Smooth Criminal dove si parla di una ragazza che si chiama Annie e che viene attaccata nel suo appartamento, e non se ne sa più nulla, quindi Annie is Okay ? Da qui nel 2007 da Halle an der Saale, ha inizio la storia di uno dei gruppi europei che stanno avendo maggior successo, grazie ad una molto intensa attività live, basti vedere il prossimo tour che li porterà via per molto tempo e che attraverserà in maniera massiva soprattutto gli Stati Uniti e la natia Germania, passando anche per il Giappone. I tedeschi propongono un metalcore molto moderno e melodico, con una doppia voce, ovvero il cantato più metal e quello più pulito che funzionano molto bene assieme. Uno dei tratti distintivi del gruppo sono le tastiere che sono presenti in maniera adeguata, andando ad arricchire il suono che è molto florido. Tutto il suono e quindi il disco funzionano molto bene, e oltre ad una ricerca della melodia vi è anche un ottimo bilanciamento con le parti più pesanti, ma soprattutto ci sono idee chiare. Gli Annisokay hanno la loro impronta immediatamente riconoscibile e non vanno dietro a quello che può piacere, anche se sono ottimi per il mercato statunitense. Il lavoro si fa ascoltare molto bene, ha tante ottime idee e riesce ad essere coinvolgente e caldo, con un fortissimo immaginario anni ottanta. Un ottimo disco di metal moderno, e un altro notevole gruppo nel solidissimo palinsesto della Arising Empire, sussidiaria della Nuclear Blast per il campo modern metal.

Tracklist
1.Coma Blue
2.Unaware
3.Good Stories
4.Fully Automatic
5.Sea of Trees
6.Innocence Was Here
7.Humanophobia
8.End of the World
9.Escalators
10.Private Paradise (feat. Chris Fronzak)
11.One Second
12.Locked Out, Locked In

Line-up
Dave Grunewald – Shouts
Christoph Wieczorek – Clean Vocals/Guitar
Norbert Kayo – Bass
Philipp Kretzschmar – Guitar
Nico Vaeen – Drums

ANNISOKAY – Facebook

Hanzel Und Gretyl – Satanik Germanik

Satanik Germanik è un album non imprescindibile ma senz’altro gradevole, costellato di buone intuizioni ritmiche e melodiche: basta ed avanza per ascoltarlo con un certo interesse.

In auge fin dagli anni novanta, gli Hanzel Und Gretyl, nonostante esibiscano un monicker, i titoli degli album e, in genere, un immaginario che riporta alla Germania, sono in realtà un duo newyorchese composto da Kaizer Von Loopy e Vas Kallas.

Anche le sonorità prescelte, sotto forma di un industrial elettronico (specialmente nella prima fase della carriera), ha reso la coppia decisamente contigua a sonorità tipicamente teutoniche, portandola a supportare nei tour americani i colossi germanici Rammstein, oltre a Marylin Manson e i Prong.
Con un tale pedigree era difficile attendersi dagli Hanzel Und Gretyl un album deludente, specialmente se si hanno nelle corde certe sonorità marziali, a tratti volutamente becere ed eccessive nonché intrise di un particolare senso dell’humour.
Satanik Germanik, ottavo full length della discografia, prosegue dunque sulla falsariga del precedente Black Forest Metal, che aveva già visto un indurimento in direzione metallica del sound e va detto che questa ibridazione si rivela davvero efficace.
Ogni brano è connotato da un groove spesso irresistibile e, anche quando i ritmi si rallentano parzialmente, ne scaturiscono cose notevoli, come I Am Bad Luck, condotta dalla lasciva interpretazione di Vas Kallas.
A fare da contraltare arriva puntualmente la successiva Trinken mit der Kaizer (Die Bierz from Hell), dai riff squadrati di scuola rammsteiniana, episodio trascinante quanto antitetico ad ogni idea di raffinatezza musicale.
In generale, però, la bravura nel trattare la materia in modo tale da renderla credibile, esibita da questi collaudati musicisti, rende la raccolta una buona occasione di rifarsi le orecchie per coloro ai quali mancano dannatamente Lindemann e soci, senza dimenticare spunti provenienti dai migliori Manson, Rob Zombie o Ministry, il tutto condito in salsa germanica meglio di quanto saprebbero fare le stesse band autoctcone.
Se il rischio di scadere nel kitsch fine a sé stesso è molto alto, gli Hanzel Und Gretyl lo scongiurano brillantemente grazie ad un’attenzione alla forma canzone che rende ogni episodio degno d’attenzione, con menzione particolare per i più riusciti e coinvolgenti Black Six Order, Weisseswald e Hellfire und Grimmstone, oltre alle tracce di apertura e di chiusura, Golden Dammerung e Kinamreg Kinatas, che sono di fatto lo stesso brano basato su canti simil-gregoriani poggiat,i nel primo caso, su una base elettronica e, nel secondo, scossi invece da un più pesante riffing.
Satanik Germanik è un album non imprescindibile ma senz’altro gradevole, costellato di buone intuizioni ritmiche e melodiche: basta ed avanza per ascoltarlo con un certo interesse.

Tracklist:
1. Golden Dammerung
2. We Rise as Demons
3. Black Six Order
4. Weisseswald
5. I Am Bad Luck
6. Trinken mit der Kaizer (Die Bierz from Hell)
7. Hellfire und Grimmstone
8. Sonnenkreuz
9. Unter alles
10. 13 Moons
11. Kinamreg Kinatas

Line-up:
Kaizer Von Loopy – Guitars, Programming, Vocals
Vas Kallas – Vocals, Bass

HANZEL UND GRETYL – Facebook

Bleeding Through – Love Will Kill All

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Tornare dopo quattro anni dall’annuncio del tuo scioglimento (con relativo tour di addio) ti obbliga a dare più del tuo meglio, ed è quello che ha fatto il gruppo americano: Love Will Kill All può infatti essere considerato il miglior disco dei Bleeding Through, o almeno quello che racchiude le loro cose più interessanti.

Il suono non è cambiato granché, è diventato però più granitico e pesante, quasi un metalcore sinfonico molto ben composto ed eseguito con impeto e passione. I Bleeding Through sono uno dei gruppi che ha incendiato il mondo con il fuoco del metalcore, vivendone la maggior espansione possibile e dettandone anche le linee guida a partire dal 1999, ed in questo disco se ne comprende bene il perché. Love Will Kill All racchiude in sé il meglio del metalcore, melodia, cattiveria, e quel senso di colonna sonora di videogioco che è uno degli ingredienti fondamentali della ricetta. In molti disprezzano questo genere mentre chi lo ama invece lo difende a spada tratta: la soluzione sta forse nel prenderlo per quello che è, un ottimo intrattenimento e un qualcosa di aggressivo che non fa male, ma che ricrea in maniera godibile ed apprezzabile. Questi ragazzi di Orange County, California, sono tornati insieme per rimettersi in gioco e lo hanno fatto in maniera convincente, si può poi parlare per giorni sulle motivazioni; sicuramente il fattore economico è importante, ma si deve anche pensare che per questa gente il metalcore è il pane, e per i progetti solisti questo non è il tempo adatto. Il disco è il meglio che possano fare, cioè un gran bel massacro dall’inizio alla fine: davvero un gran ritorno, e nessuno sperava in fondo che potesse essere cosi positivo. Qui c’è il miglior metalcore che possiate trovare in giro.

Tracklist
1. Darkness, A Feeling I Know
2. Fade Into The Ash
3. End Us
4. Cold World
5. Dead Eyes
6. Buried
7. No Friends
8. Set Me Free
9. No One From Nowhere
10. Remains
11. Slave
12. Life

Line-up
Vocals: Brandan Schieppati
Keyboards: Marta
Guitar: Brian Leppke
Guitar: Dave Nassie
Guitar: Scott Danough
Drums: Derek Youngsma
Bass: Ryan Wombacher

BLEEDING THROUGH – Facebook

Loathe/Holding Absence – This Is As One

Split album per due band britanniche molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Due notevoli realtà britanniche uniscono le forze in questo split intitolato This Is As One, edito dalla Sharptone Records: gli inglesi Loathe, dei quali vi abbiamo parlato all’uscita del bellissimo full length The Cold Sun, licenziato lo scorso anno, ed i gallesi Holding Absence.

Due brani per ognuno dei gruppi, alle prese con un heavy moderno e sperimentale dalle reminiscenze djent per i Loathe, e con un post hardcore melodico gli Holding Absence.
Come sull’album, il gruppo del bravissimo singer Kadeem France spara bordate di metal moderno, caricato a pallettoni metalcore ma originale nel saper cambiare atmosfera in un nanosecondo: teatrale, e per certi versi progressivo, il sound di questi due nuovi brani conferma i Loathe come un’entità a sé stante nel panorama metallico moderno, con White Hot e Servant And Master che accrescono le aspettative per un nuovo album.
Il sound degli Holding Absence è molto più lineare e meno originale di quello dei loro colleghi: la band gallese ha un approccio melodico e radiofonico, ciò che serve per cercare la gloria tra i fans di un certo alternative rock più consono alle classifiche e vicino ai 30 Second To Mars.
L’alternanza tra melodie catchy e sfuriate rock sono valorizzate dalla voce del singer Lucas Woodland, con i due brani in programma che, in qualche modo, placano il clima estremo respirato con i Loathe.
Due band molto diverse tra loro ma che, per diversi motivi, meritano di essere condivise dai fans delle sonorità alternative.

Tracklist
1. Loathe – White Hot
2. Loathe – Servant and Master
3. Holding Absence – Saint Cecilia
4. Holding Absence – Everything

Line-up
Loathe :
Kadeem France
Erik Bickerstaffe
Sean Radcliffe
Connor Sweeney
Feisal El-Khazragi

Holding Absence:
Lucas Woodland – Vocals
Feisal El-Khazragi – Guitars
Giorgio Cantarutti – Guitars
James Joseph – Bass
Ashley Green – Drums

LOATHE – Facebook

HOLDING ABSENCE – Facebook

Orphan Skin Diseases – Dreamy Reflections

Dreamy Reflections è un viaggio di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.

Debutta per Logic Il Logic Records e Burning Minds Music Group questo quartetto di rockers nostrani chiamato Orphan Skin Diseases, fondato dal batterista Massimiliano Becagli, con un passato negli storici No Remorse,  raggiunto in seguito da Gabriele Di Caro (ex Sabotage, ex Outlaw al microfono), Juri Costantino (ex Creation al Basso) e David Bongianni (ex Virya, Little CB alla chitarra).

Mixato e masterizzato da Oscar Burato agli Atomic Stuff Studio, Dreamy Reflections, anticipato dal video del brano Flyin’ Soul, è un’opera massiccia, un tour de force di settanta minuti tra il metal/rock degli ultimi trent’anni, attraversato da un alone di oscuro e drammatico spirito dark e animato da ispirazioni diverse riunite in un sound che, cercando di semplificare, si può certamente descrivere come alternative metal.
Settanta minuti sono tanti, ma la band cerca di alternare le varie sfumature della propria musica che vanno dal metal moderno, al thrash, dal progressive all’hard rock, mantenendo un’ aura drammatica che si evince dai testi, impegnati a difesa dei più deboli e argomentati da una serie di denunce politiche e sociali.
Parlando di musica l’approccio al mondo del metal/rock alternativo è molto maturo e personale, e l’anima progressiva si fa spazio in quei brani che evidenziano un crescendo emotivo, sorretti da molte ottime idee che valorizzano la struttura di tracce come The Storm, As A Butterfly Crub, il potente macigno sonoro Sorrow & Chain e la conclusiva Just One More Day, brano diviso in tre parti dove intro e outro a titolo She Was fanno da contorno a Fathered, splendido brano che tanto sa di post grunge.
Dreamy Reflections unisce in un unico sound generi diversi ed ispirazioni che vanno dai Life Of Agony agli Alice In Chains, dai Tool ai Metallica, aggiungendo un personale tocco progressivo che ne valorizza la struttura dei brani e l’ascolto.

Tracklist
01. Into A Sick Mind
02. Flyin’ Soul
03. The Storm
04. Rapriest (Stolen Innocence)
05. Do You Like This?
06. As A Butterfly Grub
07. Awake
08. Leave A Light On
09. Sorrow & Chain
10. The Wall Of Stone
11. Waves
12. Just One More Day – She Was (Intro)
13. Just One More Day – Fatherend
14. Just One More Day – She Was (Outro)

Line-up
Gabriele Di Caro – Vocals
Dimitri Bongianni – Vocals, Backing Vocals
David Bongianni – Guitars, Backing Vocals
Juri Costantino – Bass, Backing Vocals
Massimiliano Becagli – Drums

ORPHAN SKIN DISEASES – Facebook

Flames At Sunrise – Born In Embers

Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Arrivano da Barcellona i Flames At Sunrise, giovane band alternative al debutto con Born In Embers, full length del quale la Wormholedeath cura la promozione.

In questo ambito, oltre a buone canzoni, se hai tra le tue fila un talento al microfono, uomo o donna che sia, parti già con parecchi metri di vantaggio sulla concorrenza e questo è il caso del gruppo catalano, che può vantare le prestazione di Eve Nezer, giovanissima cantante che si produce in una notevole prova tra clean e scream d’impatto.
Il sound dei Flames At Sunrise si posiziona perfettamente tra il rock ed il metal alternativo, dal piglio dark/gothic quando le melodie prendono spazio ed il gruppo lascia alla cantante la scena, spettacolare nei vari cambi di tonalità e molto interpretativa.
Ma i Flames At Sunrise ovviamente non si fermano qui ed il resto della band sale in cattedra nei momenti più metallici dell’album quando scudisciate alternative colmano di umori nu metal brani dal piglio drammatico come Shades Falls Into Oblivion (in quota Disturbed), brano che da solo, se non vi sono bastati i fuochi d’artificio di Ark Flesh e The Myth (Eurodice’s Death), vale l’acquisto di questo ottimo lavoro.
I Flames At Sunrise conquistano: delicatamente dark quando si placa la tempesta, rabbiosi e potentissimi quando le chitarre gridano dolore seguendo le montagne russe su cui sale con una naturalezza disarmante la voce della cantante.
Born In Embers spara le sue nove frecce alternative come un cupido terribilmente dispettoso, voi cadrete nell’incantesimo e non potrete che innamorarvi dei Flames At Sunrise.

Tracklist
1.Ember
2.Dolmer
3.Ark Flesh
4.Dark Ages
5.The Myth (Eurodice’s Death)
6.Never Coming Home II
7.Shades Falls Into Oblivion
8.III faces
9.More Than Fear

Line-up
Eve Nezer – Vocals
Jordi Domìnguez – Guitars
Eric Knight – Guitars
Jose Escobar – Bass
Alvaro Garcia – Drums

FLAMES AT SUNRISE – Facebook

Savage Hands – Barely Alive

I Savage Hands fanno un genere che nella loro terra madre è decisamente inflazionato, ma lo eseguono in maniera al di sopra della media, e questo ep potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto interessante.

Continua l’attacco alla gioventù metal e rock della Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast, deputata a diffondere nuovi gruppi e nuove maniere di declinare la musica pesante.

Questa volta è il turno degli americani Savage Hands con il loro debutto Barely Alive, un concentrato di post hardcore veloce ed emozionale, con tute le cose al loro posto, a partire da un’ottima produzione.
Il gruppo nasce tra il Maryland e la Virginia dalle ceneri di precedenti esperienze hardcore, con la voglia di fare qualcosa di nuovo e di ambizioso. Questo ep è la dimostrazione che gli sforzi di questi ragazzi sono andati a buon fine. Il suono è prettamente e fortemente americano, con chitarre che girano incessanti, voce molto potente ma non bassa, sezione ritmica che va in doppia cassa quando serve, e tanta melodia ai momenti giusti, per un risultato che non è originale ma è prodotto molto bene. I Savage Hands fanno un genere che nella loro terra madre è decisamente inflazionato, ma lo eseguono in maniera al di sopra della media, e questo ep potrebbe essere l’inizio di qualcosa di molto interessante, anche perché il mercato del post hardcore è sempre molto aperto ed interessato alle novità. Ritornelli killer e molto radiofonici che gireranno molto nella radio dei campus americani ed un gruppo da tenere sott’occhio per gli appassionati della scena.

Tracklist
1. Red
2. Barely Alive
3. Unconditional
4. Know It All
5. Taken
6. Dream Dead
7. Your Own Hell

Line-up
Mike Garrow – vocals
Justin Hein – guitar/vocals
Ryan Evans – guitar
Nathan O’Brien – bass/vocals
Jonny Melton – drums

SAVAGE HANDS – Facebook

While My City Burns – Prone To Self Destruction

Prone To Self Destruction è un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere.

Le vie del metal moderno sono infinite ed arrivano fino all’estremo nord, in Islanda, dove ad attenderci per devastare in nostri padiglioni auricolari ci sono i While My City Burns, quintetto di Reykjavík che propone un buon esempio di metalcore.

La band, attiva dal 2013, debutta per Wormholedeath con Prone To Self Destruction, un vulcano che erutta metallo potente, moderno e vario, contaminato da inserti elettronici e sferzate hardcore.
Ottimo l’uso delle voci, e devastante l’approccio con la sezione ritmica che martella senza pietà, ed un’atmosfera “nervosa” come una fiera tenuta a fatica tra le briglie.
L’album è quindi il classico lavoro di genere, ma con qualche buona idea che lo distingue dalle solite uscite: i brani si snodano rabbiosi con la melodia sempre presente e di matrice post hardcore, alternandosi a muri di watt.
Un’urgenza che si esprime tramite un sound estremo, sorprendente se si pensa alla provenienza del gruppo, che più che natio di quelle epiche e fredde terre pare essersi formato tra le strade di una qualche metropoli statunitense.
Prone To Self Destruction risulta così un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere: le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi di punta, senza che ciò renda i While My City Burns poco personali o mere fotocopie.

Tracklist
1.Intro
2.New beginnings
3.Alligator char
4.Monument
5.Dear dad
6.Stranger things
7.You know who you are
8.Heartbreaker
9.Wolves are among us
10.Vivens mortua
11.Where do we go from here
12.Best of me – Bonus Track
13.Out of my mind – Bonus Track

Line-up
Gauti Hreinsson – Vocals
Alexander Glói Pétursson – Guitar ,Vocals
Úlfar Alexander Úlfarsson – Guitar
Kristófer Berg Sturluson Paraiso – Bass
Guðjón Trausti Skúlason – Drums

WHILE MY CITY BURNS – Facebook

Vampillia – Happiness Brought By Endless Sorrow

Sei minuti di musica riescono nell’impresa di coinvolgere in un modo sorprendente, quattro brani dove sono racchiusi i generi più importanti della musica contemporanea.

Nella misteriosa terra del sol levante si aggira un’affascinante e brutale realtà che si definisce un’orchestra, un’entità estrema composta da dieci elementi che crea musica originale e fuori dagli schemi dal 2009, anno di uscita di Spears.

Da quell’anno il monicker Vampillia ha cominciato a girare tra gli addetti ai lavori, grazie soprattutto ad altri quattro album ed una serie di collaborazioni illustri (Attila Csihar, Nadja, The Body e Yellow Swans tra gli altri).
La misteriosa e brutale orchestra, di cui non si conoscono precisamente i componenti, licenzia un ep di quattro brani per sei minuti di musica geniale intitolato Happiness Brought By Endless Sorrow.
Grindcore, post-rock, ambient, shoegaze, classica, progressive, black metal, industrial, tutti questi generi creano un sound particolare e contorto, una bestia musicale estrema che non conosce confini nè barriere, una macchina da guerra oliata e perfettamente sincronizzata, tanto che i generi, usati come acquarelli di un quadro musicale bellissimo ed inconsueto, appaiono assolutamente e precisamente incastonati in queste quattro esplosioni di arte musicale straordinaria.
Sei minuti di musica riescono nell’impresa di coinvolgere in un modo sorprendente, quattro brani dove sono racchiusi i generi più importanti della musica contemporanea.

Tracklist
1.Winter Ash
2.Back to…..
3.ggggzzgggzzz
4.Hell PM

VAMPILLIA – Facebook

Charlotte In Cage – Times Of Anger

L’album coinvolge con la sua altalena tra i generi e le ispirazioni che hanno portato le Charlotte In Cage alla realizzazione di questa raccolta di brani, sicuramente consigliati agli amanti dei suoni alternativi ma che potrebbero risultare soddisfacenti anche a chi è abituato a musica più estrema.

Non è poi così semplice convogliare in un unico sound alternative metal, atmosfere gothic e reminiscenze post grunge, perché la sfida potrebbe risultare più difficile del previsto ed il flop è dietro l’angolo.

Le Charlotte In Cage, gruppo nostrano tutto al femminile, in arrivo con il debutto Times of Anger su Sliptrick Records, ci sono riuscite creando un proprio suono che accoglie tra le sue trame di tutto un po’ da questi generi, con puntate nel metal estremo dettate dal growl che appare come un’anima nera quando la tensione sale alta e rabbiosa.
La band, nata a Salerno tre anni fa, ha già avuto diversi avvicendamenti nella line up che ad oggi vede Marianna Forino (chitarra), Susanna Angelino (basso e responsabile del growl) e Annalisa Barra alla batteria.
L’album parte alla grande con due brani che affondano le radici nel metal/rock degli anni novanta: Liar e I Hate Myself sono la perfetta sintesi di quello che le Charlotte In Cage suonano, accomunando sotto lo stesso tetto stilistico Hole, Nymphs, Kittie e Sentenced.
Times of Anger vive in questo labile equilibrio di stili con tutta l’attitudine da riot girl delle musiciste campane, cantrici delle problematiche delle donne con una raccolta di brani che non lasciano trasparire cali di tensione, anche quando i suoni si fanno più pacati e vicini all’alternative gothic rock (Dionysus).
Con la sua intensa mezz’ora scarsa di durata, l’album coinvolge con la sua altalena tra i generi e le ispirazioni che hanno portato le Charlotte In Cage alla realizzazione di questa raccolta di brani, sicuramente consigliati agli amanti dei suoni alternativi ma che potrebbero risultare soddisfacenti anche a chi è abituato a musica più estrema.

Tracklist
01. Liar
02. I Hate Myself
03. Yours Faithfully
04. Dionysus
05. 13 Years Old
06. Times Of Anger
07. Monster I Became
08. The Plastic Beast

Line-up
Marianna Forino – guitar
Susanna Angelino – bass/back vocals
Annalisa Barra – drums
Antonella Della Monica – Vocals

CHARLOTTE IN CAGE – Facebook

L’Ora X – Sottovoce

E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.

In ritardo sull’uscita targata 2017, il primo lavoro dei fratelli Mangano (Gabriele e Ilario, degli Yattafunk) merita sicuramente di essere portato all’attenzione dei lettori di MetalEyes dai gusti alternativi.

Sottovoce, infatti,  è un album composto da dieci brani (più la cover di Non é Francesca di Battisti) che formano un concept sull’amore e le sue sfumature, raccontato dal duo tramite un sound che si nutre di quel nu metal che fece sfracelli tra la fine del secolo scorso e l’alba del nuovo millennio, senza perdere di vista l’alternative rock tricolore.
Cantato (benissimo) in lingua madre, Sottovoce vede la partecipazione in studio di Wahoomi Corvi (responsabile degli arrangiamenti), che i lettori conoscono per il suo importantissimo lavoro in tante opere targate Wormholedeath, e Mika Jussila, alle prese con il master ai Finnvox Studios in Finlandia.
L’album mantiene le promesse, in un susseguirsi di atmosfere che vanno dalla rabbia alla malinconia, dalla disperazione alla gaudente felicità che l’amore porta inevitabilmente con sé, e la musica accompagna questo saliscendi emozionale tra esplosioni metalliche, rock e rap.
E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano, con il marchio L’Ora X, siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.
Difficile trovare brani meritevoli d’attenzione più di altri, Sottovoce va ascoltato nella sua interezza, e se magari può sembrare in ritardo di qualche anno a livello di sound, vi apparirà davvero intenso se godete della musica aldilà delle mode del momento.
Ed allora, tra le trame di Lebbracadabra, Io Ci sarò, Quello Che I Miei Occhi Non vedono e Daimyo troverete splendide note accostabili a Limp Bizkit, Adema, Non Point e Timoria, quindi niente di originale, ma davvero ben fatto.

Tracklist
1.Animae
2.Lebbracadabra
3.Gaius Baltar
4.Non é Francesca
5.Io Ci sarò
6.Quello Che I Miei Occhi Non vedono
7.Sweet Home Roma est
8.Che Sarà Di Noi
9.Daimyo
10.X
11.Sottovoce

Line-up
Gabriele Mangano- Voce, Chitarra, Batteria, Tastiere
Ilario Mangano – Chitarra, Basso

Arrangiamenti: Ilario Mangano, Gabriele Mangano, Wahoomi Corvi

L’ORA X – Facebook

Niamh – Corax

Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore.

Alternative metal di buon livello è il sound proposto dai Niamh, gruppo proveniente da Vercelli composto da musicisti con passate esperienze in band come Indigesti e Arcadia.

La band piemontese offre un metal moderno ed alternativo ispirato al sound dominante nei primi anni del nuovo millennio, bilanciato con spaccati metalcore: questo troverete in Corax, album composto da sette tracce inedite più la cover di Maniac, brano tratto dalla colonna sonora del film Flashdance.
Rock, metal e non poche divagazioni elettroniche sono la ricetta con cui i Niamh deliziano i palati dei fans del genere, le sfuriate metalcore sono addolcite da un uso abbondante di melodie accattivanti di scuola Linkin Park, rendendo vario l’ascolto.
Davvero ottime le linee vocali, specialmente (e non è così scontato nel genere) nei ritornelli ultra melodici, colme di groove le ritmiche che quando alzano il muro di mattoni core fanno male.
Corax è un buon lavoro, l’appeal e il taglio internazionale del sound rendono consigliato l’ascolto di una raccolta di canzoni che richiamano tanto la band del compianto Chester Bennington, quanto i Deftones in versione metalcore; un esordio che piace per una band che ha già trovato una sua strada ben delineata, per farsi spazio nel mondo affollato dell’alternative metal.

Tracklist
1. Putting The Fun In FUNeral
2. The WOW Effect
3. Eat. Pray. Kill.
4. Mrs Fletcher’s Relatives
5. My Antichrist Anaemia
6. The Voices Made Me Do It
7. Paracetamolotov
8. Maniac

Line-up
Bellix – Drums
Mike – Vocals
Tommy – Guitars
Mateja – Bass

NIAMH – Facebook