L’Ora X – Sottovoce

E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.

In ritardo sull’uscita targata 2017, il primo lavoro dei fratelli Mangano (Gabriele e Ilario, degli Yattafunk) merita sicuramente di essere portato all’attenzione dei lettori di MetalEyes dai gusti alternativi.

Sottovoce, infatti,  è un album composto da dieci brani (più la cover di Non é Francesca di Battisti) che formano un concept sull’amore e le sue sfumature, raccontato dal duo tramite un sound che si nutre di quel nu metal che fece sfracelli tra la fine del secolo scorso e l’alba del nuovo millennio, senza perdere di vista l’alternative rock tricolore.
Cantato (benissimo) in lingua madre, Sottovoce vede la partecipazione in studio di Wahoomi Corvi (responsabile degli arrangiamenti), che i lettori conoscono per il suo importantissimo lavoro in tante opere targate Wormholedeath, e Mika Jussila, alle prese con il master ai Finnvox Studios in Finlandia.
L’album mantiene le promesse, in un susseguirsi di atmosfere che vanno dalla rabbia alla malinconia, dalla disperazione alla gaudente felicità che l’amore porta inevitabilmente con sé, e la musica accompagna questo saliscendi emozionale tra esplosioni metalliche, rock e rap.
E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano, con il marchio L’Ora X, siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.
Difficile trovare brani meritevoli d’attenzione più di altri, Sottovoce va ascoltato nella sua interezza, e se magari può sembrare in ritardo di qualche anno a livello di sound, vi apparirà davvero intenso se godete della musica aldilà delle mode del momento.
Ed allora, tra le trame di Lebbracadabra, Io Ci sarò, Quello Che I Miei Occhi Non vedono e Daimyo troverete splendide note accostabili a Limp Bizkit, Adema, Non Point e Timoria, quindi niente di originale, ma davvero ben fatto.

Tracklist
1.Animae
2.Lebbracadabra
3.Gaius Baltar
4.Non é Francesca
5.Io Ci sarò
6.Quello Che I Miei Occhi Non vedono
7.Sweet Home Roma est
8.Che Sarà Di Noi
9.Daimyo
10.X
11.Sottovoce

Line-up
Gabriele Mangano- Voce, Chitarra, Batteria, Tastiere
Ilario Mangano – Chitarra, Basso

Arrangiamenti: Ilario Mangano, Gabriele Mangano, Wahoomi Corvi

L’ORA X – Facebook

Rebirth Of Enora – Revelation 8

Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Ormai il metal moderno parla quasi esclusivamente la lingua del metal core, eppure c’è ancora chi suona alternative metal, genere salito agli onori della cronaca negli anni a cavallo del nuovo millennio, oggi messo in ombra dalle più rabbiose e più cool sferzate modern metal, ma sicuramente più vario e aperto a sperimentazioni, più o meno riuscite.

Un esempio perfetto risulta questo ottimo lavoro, il primo sulla lunga distanza dei ferraresi Rebirth Of Enora, quartetto alternative metal attivo dal 2011 che bene aveva fatto scrivere gli addetti ai lavori, specialmente all’indomani dell’uscita di Downgrading, ep uscito nel 2015.
La band torna dunque con Revelation 8, ispirato dalla Bibbia e al libro dell’Apocalisse di San Giovanni, trasportato al giorno d’oggi e alle paure intrinseche dell’uomo: un concept importante, affrontato dal gruppo con un sound maturo, un metal/rock che si nutre di input orchestrali, tracce di quel nu metal ormai scomparso dalle radio, e di un rock dal piglio drammatico e dark.
Revelation 8 ha momenti davvero intensi sotto l’aspetto emotivo, non così scontati nel genere, con i Rebirth Of Enora che si tengono lontani dai mid tempo pesanti ma freddi del metal core, restando più legati ad un concetto di rock che passa agevolmente tra i generi elencati, mantenendo alta una tensione tangibile come quella dell’uomo in preda alle sue paure.
Ottimo è l’uso della voce, d’impatto gli arrangiamenti elettro/orchestrali che spesso fanno da tappeto alle scorribande elettriche degli strumenti tradizionali: Revelation 8 è composto da dieci brani, tutti sopra la media, ognuno con la propria anima e con il proprio carico di sofferenza e drammaticità, con la band che riesce a non fossilizzarsi su una sola formula e regala ottimo rock moderno e suggestivo.

Tracklist
1.Inside My Brain
2.The Phantom of Myself
3.World on Fire
4.I Would Never
5.When, Where, Why
6.See You
7.Uniforms
8.Take Me On
9.These Words We Say
10.The End Is Getting Closer

Line-up
Daniele Finardi – Lead Vocals, Guitars
Nicola Franciosi – Backing Vocals, Guitars
Francesco Gessi – Backing Vocals, Drums
Enrico Dolcetto – Backing Vocals, Bass, Orchestrations and Programming

REBIRTH OF ENORA – Facebook

A Perfect Circle – Eat The Elephant

Gli A Perfect Circle, senza dovere escogitare qualcosa di particolare, hanno prodotto un album di grande spessore, che riesce a differenziarsi dalle produzioni odierne in virtù di un’interpretazione del rock alternativo in qualche modo “antica”, proprio per la sua lontananza dalla natura usa e getta del rock più radiofonico e commerciale.

Se non fosse che il fatto stesso di ricevere il promo di un album così atteso sia motivo di soddisfazione, l’obbligo di dover commentare un disco come Eat The Elephant degli A Perfect Circle è una delle prove a cui tutto sommato ci si sottrarrebbe volentieri, un po’ per il fatto che noi di ME siamo orientati per indole ad occuparci di band che hanno sulla loro pagina Facebook 200 o 2.000 like e non 2 milioni, ma soprattutto in quanto sappiamo benissimo che ogni parere emesso al riguardo diviene a sua volta oggetto di infinite discussioni e di sterili polemiche.

Infatti, ogni uscita che coinvolge Maynard James Keenan, che sia a nome della sua band principale (Tool) o di altri progetti collaterali (Puscifer e, appunto, A Perfect Circle), viene spesso accolta dal pubblico in maniera tutt’altro che oggettiva, facendo pesare in sede di valutazione diversi aspetti che con la musica hanno ben poco a che vedere, derivanti per lo più dalla personalità inusuale del vocalist e del suo modo di porsi sicuramente non troppo alla mano.
Aggiungiamoci poi che l’interminabile assenza dalle scene dei Tool ha aumentato esponenzialmente l’attesa verso questo nuovo lavoro degli A Perfect Circle, a loro volta in stand by da ben quattordici anni, andando a comporre uno scenario nei confronti del quale è facile perdere di vista l’aspetto più importante, che è pur sempre quello musicale.
Provando così ad ascoltare Eat The Elephant senza alcun pregiudizio, in un senso o nell’altro, ciò che se ne ricava è la sensazione d’essere in presenza di un gran bel disco, nel quale è stata immessa una cura dei particolari degna di altri tempi da parte del buon Billy Howerdel (sul quale, è sempre bene ricordare, pesa l’onere compositivo, liriche escluse, negli APC).
Soprattutto, questo è un album fatto di canzoni, nel senso più autentico del termine. E quando queste godono di una produzione ed un’esecuzione strumentale che rasenta la perfezione, di un songwriting piuttosto ispirato, e di un cantante che, lo si apprezzi o meno, possiede doti interpretative non comuni, ecco che il pranzo è servito, per la gioia dei non pochi amanti di questo tipo di cucina.
Tra la dozzina di brani proposti ne troviamo diversi irresistibili, dotati di passaggi capaci di imprimersi nella memoria in maniera pressoché indelebile per sovvenire anche nei momenti meno propizi (So Long, And Thanks For All The Fish, Delicious, Disillusioned, The Doomed), altri dallo sviluppo più ricercato ed intimista ma dagli esiti ugualmente eccellenti (la title track, Get The Lead Out) e alcuni, pochi per fortuna, gradevoli ma decisamente meno brillanti, appartenenti alla categoria di quelli che musicisti di simile caratura compongono con il pilota automatico (By And Down The River, Feathers) oppure cervellotici e parzialmente fuori contesto (Hourglass).
Eat The Elephant è un’opera molto meno nervosa di Mer de Noms e anche di Thirteenth Step, ed appare evidente la scelta di prediligere un certa orecchiabilità che per fortuna non scade nella banalità, cosa questa che avrebbe sorpreso non poco se si fosse verificata; quello che appare evidente è che gli A Perfect Circle, senza dovere escogitare qualcosa di particolare, hanno prodotto un album di grande spessore, che riesce comunque a differenziarsi dalle produzioni odierne in virtù della classe superiore alla media di un compositore come Howerdel e di un cantante come Keenan (autore come sempre di testi tutt’altro che scontati), offrendo un interpretazione del rock alternativo in qualche modo “antica”, proprio per la sua lontananza dalla natura usa e getta del rock più radiofonico e commerciale.

Tracklist:
1. Eat The Elephant
2. Disillusioned
3. The Contrarian
4. The Doomed
5. So Long, And Thanks For All The Fish
6. TalkTalk
7. By And Down The River
8. Delicious
9. DLB
10. Hourglass
11. Feathers
12. Get The Lead Out

Line-up:
Maynard James Keenan
Billy Howerdel
James Iha
Jeff Friedl
Matt McJunkins

A PERFECT CIRCLE – Facebook

Urban Steam – Under Concrete

Colori che sfumano o che luccicano intensi, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in un’alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica e da un songwriting ispiratissimo.

Un’altra ottima realtà nata nella capitale e presentata da Red Cat sono gli Urban Steam, quartetto attivo dal 2012 e protagonista di un metal/rock alternativo dai molti spunti progressivi.

I musicisti si sono ritrovati sotto il monicker Urban Steam dopo varie esperienze in altre band, e Under Concrete risulta il riassunto della loro avventura musicale, un quadro dove ogni dettaglio è perfettamente disegnato su una tela progressiva, con colori che sfumano o luccicano di intenso spessore, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in una alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica ed un songwriting ispiratissimo.
Si parte con l’opener Storm e lentamente il motore comincia a carburare, con brani che sono piccoli gioielli di musica senza barriere, moderni nel suono ma attenti alla tradizione, vari nel tenere per il colletto l’ascoltatore con la tensione sprigionata da funamboliche parti progressive, o lasciare che l’emozione prenda il sopravvento, quando il blues ed il soul si insinuano tra i solchi del capolavoro Soul.
La title track è un brano tra Deep Purple e Rush, hard rock che la parte progressiva rende raffinato, mentre Cross The Line e City Lights tornano a far parlare la parte più sanguigna del sound degli Urban Steam, in cui la durezza del blues viene raffinata da un tocco soul per un risultato molto intrigante.
Davvero bravo ed interpretativo il singer Paolo Delle Donne, ma è il gruppo tutto che si presenta al pubblico offrendo una prestazione da manuale, aiutata da una raccolta di brani sopra la media.
Wake Up e la progressivamente metallica Years concludono Under Concrete, album che non lascia dubbi sulle doti di questa ottima band meritevole dell’attenzione di chi alla musica chiede emozioni e qualità, aldilà del genere proposto.

Tracklist
1.Storm
2.They Live
3.Soul
4.Under Concrete
5.Cross The Line
6.City Lights
7.Wake Up
8.Years

Line-up
Paolo Delle Donne – Vocals
Diego Bertocci – Drums
Federico Raimondi – Guitars
Fabrizio Sclano – Bass

URBAN STEAM – Facebook

The Sunburst – Resilience & Captivity

I The Sunburst confermano la crescita già manifestata a chi li ha seguiti dal vivo in questi anni: Resilience & Captivity è un album bellissimo che ha nella durata esigua il solo difetto, ma sono sicuro che sul palco la band ligure si farà ampiamente perdonare.

In questo periodo capota spesso di  parlare di quelle band che, a due o tre anni dal precedente album, stanno tornando sul mercato per confermare la bontà della loro proposta e l’alta qualità della scena tricolore che non smette di stupire, grazie a lavori di ottima fattura dall’hard rock al metal estremo.

I savonesi The Sunburst tornano a quattro anni dal magnifico debutto Tear Off The Darkness, album che li ha portati in seguito a suonare sui palchi dell’Europa dell’est, forti di una manciata di brani che univano il rock di Seattle, all’alternative metal, valorizzati da un talento melodico che ne faceva una raccolta di hit da fare invidia a band straniere più blasonate.
Davide Crisafulli, Francesco Glielmi, Luca Pileri e Stefano Ravera tornano con un secondo album incentrato su un dilemma: il coraggio di non mollare quando tutto sembra andare storto è segno di forza d’animo, o l’obbligo a cui è incatenato lo spirito che non sa rassegnarsi al proprio destino?
Resilience & Captivity, ovvero il contrasto emotivo tra il concetto di resilienza e quello di prigionia, viene reso da un sound che si fa più maturo ed emozionale, ad opera di una band compatta, capitanata da un cantante che si dimostra come uno dei più bravi nel genere, almeno nel nostro paese: queste sono le prime impressioni sul ritorno del quartetto, meno dipendente dagli Alter Bridge e più concentrato a lasciare qualcosa di personale in questo mondo del rock che fagocita tutto e non restituisce quasi nulla.
La band punta al sodo, con ventidue minuti (forse l’unico rammarico per un album che poteva regalare qualcosina in più) di hard rock moderno che parte, dopo l’intro, con Crows And Dust, dal chorus che non lascia scampo, mentre la sei corde sprizza energia metallica e la sezione ritmica accenna passaggi progressivi, punto di forza del nuovo lavoro.
La title track torna a parlare il verbo dei Soundgarden (altro gruppo che ha ispirato non poco i The Sunburst) rivelandosi più oscura e ruvida del brano precedente, ma sottolineata da una prova sentita di Crisafulli e da potenti riff sabbathiani.
Pileri ha il suo momento di gloria in Phoenix, brano progressivo che alterna parti intimiste a sfuriate metalliche in un crescendo da applausi.
Purtroppo siamo già al capolinea, mentre Eternal Life (cover di Jeff Buckley) concede gli ultimi fuochi d’artificio e scorrono i titoli di coda di un ritorno aspettato a lungo e che non delude le attese.
I The Sunburst confermano la crescita già manifestata a chi li ha seguiti dal vivo in questi anni: Resilience & Captivity è un album bellissimo che ha nella durata esigua il solo difetto, ma sono sicuro che sul palco la band ligure si farà ampiamente perdonare.

Tracklist
1. Resilience
2. Crows and Dust
3. Diamond
4. Breeze
5. What If
6. Captivity
7. World On Fire
8. Ashes
9. Phoenix
10. Eternal Life

Line-up
Davide Crisafulli – Vocals, Guitars
Luca Pileri – Guitars
Stefano Ravera – Drums
Francesco Glielmi – Bass

THE SUNBURST – Facebook

Special Ops – Baby Take It All

Ep di tre brani per gli alternative rockers canadesi Special Ops, band consigliata agli amanti dell’alternative metal e del crossover.

Gli Special Ops sono una band alternative metal canadese, nata all’inizio del nuovo millennio e con una discografia abbastanza nutrita, tra full length e lavori minori.

In passato il quartetto suonava una miscela originale di metal classico, digressioni jazz e musica tradizionale orientale, trovando un discreto successo per via di un brano utilizzato in uno spot pubblicitario.
Baby take It All è un mini cd di tre brani che segue di pochi mesi l’ultimo album (Tangents), il quarto della storia del gruppo di Montreal.
La title track è il classico brano alternative, un hard rock moderno dal metallico riff iniziale che sterza il tiro del sound verso un rock più radiofonico e mainstream, così come la seguente Dead Are Calling, traccia oscura e melodica che lascia spazio alla notevole Salt, un ritorno a quelle sonorità che che si riassumono in un unico termine: crossover.
Rock, jazz, sezioni di fiati che impreziosiscono ritmiche funky, fanno di quest’ultimo brano il motivo per dare un ascolto a questo ep e fare la conoscenza dei rockers canadesi.

Tracklist
1.Baby take It All
2.Dead Are Calling
3.Salt

Line-up
AK Johnson – Guitar/Vocals,
Weka BW – Lead Guitar,
Waldo Thornhill – Bass,
Clarence Mcgillucutty – Drums & Percussion

SPECIAL OPS – Facebook

Babel Fish – Follow Me When I Leave

Post rock in linea con quanto offerto nel mondo del rock alternativo in questi anni, intimista e scandito da crescendo che portano ad esplosioni elettriche, con le chitarre che a tratti mostrano tracce sanno di noise e sfumature dark wave.

I modenesi Babel Fish licenziano il loro secondo lavoro, un ep di quattro brani dal titolo Follow Me When I Leave, pregno di sonorità alternative e post rock.

La band nasce nella provincia modenese nel 2015, dall’unione di quattro musicisti dalle svariate esperienze nella scena underground, con lo scopo di portare in giro la propria musica.
Il primo demo è il passo obbligato per Gabriele Manzini (voce, chitarra), Edoardo Zagni (chitarra), Matteo Vezzelli (basso) e Giordano Calvanese (batteria), per dare il via alla storia del gruppo che si snoda tra esperienze live e la scrittura di questo secondo lavoro.
Lo stile offerto è il  post rock, in linea con quanto offerto nel mondo del rock alternativo in questi anni, intimista e scandito da crescendo che portano ad esplosioni elettriche, con le chitarre che a tratti mostrano tracce sanno di noise e sfumature dark wave.
In Follow Me When I Leave troviamo quattro brani per una ventina di minuti in atmosfere di liquido rock alternativo ispirato ai Radiohead, dall’opener Morning Birds fino alla conclusiva title track, con pochi guizzi e tanta maniera; in ogni caso la musica della band modenese potrebbe essere un buona scoperta per i fans del genere, con le note ci passano davanti come se fossero posate delicatamente sul letto di un fiume che sfocia nel mare della scena rock attuale, rischiando però di perdersi tra le onde.

Tracklist
1.Morning Birds
2.TGD
3.Veins
4.Follow Me When I Leave

Line-up
Gabriele Manzini – Voice and Guitar
Edoardo Zagni – Guitar
Matteo Vezzelli – Bass
Giordano Calvanese – Drums

BABEL FISH – Facebook

Social Crash – Burn Out

Quando mi sono messo all’ascolto di questo album, pensavo di trovarmi al cospetto del solito album hardcore/punk con qua e là qualche ritmica core per accontentare i fans del metal più cool.

Non avevo fatto i conti con la Wormholedeath ed il suo ormai famoso fiuto per band e sound che hanno qualcosa da dire (musicalmente parlando).
Se poi ci si aggiunge una buona vena satirica e l’irriverente sfrontatezza tipica del punk rock, ecco che i francesi Social Crash risultano una piccola fialetta di adrenalina punk/metal tra le chiappe di chi pensa che nel 2017 non si possa produrre musica personale.
Certo, a ben vedere il sound proposto da questo interessante debutto intitolato Burn Out accoglie tra il proprio spartito una serie di ispirazioni che a mio vedere, valorizzano il sound dei Social Crash, quindi va dimenticato  il classico punk rock da barricate e ribellione rock’n’roll, concentrandosi su quello che la band sagacemente introduce nella propria musica.
Quaranta minuti scarsi di rock/metal alternativo, suonato e soprattutto cantato con una personalità notevole, una serie di brani che si differenziano a seconda dell’ispirazione che la band usa a suo piacimento per rendere Burn Out il meno scontato possibile, tra accenni ai Clash, così come ai Primus e ai Rancid, con la sezione ritmica che è protagonista di un gran lavoro, sempre un passo avanti a quello che l’ascoltatore si aspetta seguendo l’andamento dei brani e la chitarra che si fa grossa con alcune bordate che richiamano l’hard rock.
Un album al quale l’etichetta punk sta un in effetti stretta e può andare per l’attitudine che il gruppo esibisce nelle trame di brani come Still Wolf To Man, Propaganda Melody e Dissidence, che si accompagna però con il rock alternativo di fine secolo.

Tracklist
1.The Whore Generation
2.Still Wolf To Man
3.My Banker Shot Me Down
4.Propaganda Melody
5.Burn Out
6.Weapon of Mass Seduction
7.Alive 8.Burning Karma
9.Straitjacket
10.Dissidence

Line-up
Manu Wild – vocals
Don Armando – guitar
Wilson Raych – drummer
Julien Harbulot – bass

SOCIAL CRASH – Facebook

The Sleeplings – Elusive Lights of the Long-forgotten

Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.

Non è così semplice descrivere la musica creata da questo trio danese chiamato The Sleeplings, attivo da una decina d’anni e con un primo album targato 2008.

La band di Århus torna tramite la Marrowphone Recordings con Elusive Lights of the Long-forgotten, album di rock alternativo che tra il suo spartito accoglie e coccola molte sfumature ed ispirazioni da generi diversi, creando un sound originale, magari leggermente dispersivo ma oltremodo affascinate.
Con una sorpresa dopo l’altra, Elusive Lights of the Long-forgotten ci mostra una band che a spallate butta giù barriere e fortini in cui si barricano i generi musicali per fornirci una panoramica musicale il più ampia possibile.
Rock, alternative, progressive, indie e pop, con tutte le loro aperture e varianti, fanno da infinita cornice a questa raccolta di brani creata da Steen Lauridsen (batteria), Peter Just Rasmussen (piano, basso e tastiere) e Jesper Kragh (chitarra, basso voce) aiutati da una manciata di ospiti e tanto anticonformismo musicale che li porta a viaggiare tra la musica degli ultimi cinquant’anni.
L’opener Dead Horse, scelta come singolo, è probabilmente la più lineare tra le tracce proposte, essendo una canzone progressivamente alternative che ci da il benvenuto nel mondo del gruppo danese.
Apothecary, Mary The Quiet, la splendida Broken Light Spectre e via tutte le altre saltano tra un genere e l’altro e con abilità ci deliziano, con citazioni che vanno dai Beatles agli Smashing Pumpkins, dai Gentle Giant e Pink Floyd agli Waterboys, in un quadro ad acquarello dove le note sono come i colori usati da un pittore un po’ pazzo ma assolutamente geniale.
E i The Sleeplings di genialità ne hanno da vendere e come per i veri geni la loro opera va assimilata e compresa.

Tracklist
1. Dead Horse
2. Apothecary
3. Faye Valley Skeleton
4. Mary the Quiet
5. Fog Walkers
6. Broken Light Spectre
7. James
8. Long-forgotten

Line-up
Steen Lauridsen – drums
Peter Just Rasmussen – pianos, keys, double bass
Jesper Kragh – guitars, basses, vocals

THE SLEEPLINGS – Facebook

Bluestones – Groupie

Grunge, stoner, alternative metal e sferzate hardcore sono le carte giocate dai Bluestones per rendere il loro lavoro il più vario possibile, aggiungendo un tocco di insana psichedelia e poderose frustate noise.

Questo lavoro è dedicato alle muse del rock, insostituibili presenze e prime fans dei gruppi che a queste ancelle della musica del diavolo dedicavano brani od interi album: le groupies, deliziose e procaci ragazze che prima dell’uomo adorano il musicista, un po’ streghe , un po’ angeli, ognuna con la sua storia da raccontare tra bordo, palchi e letti sfatti in stanze di alberghi distrutte in giro per il mondo.
E i Bluestones alle groupies hanno dedicato questo interessante secondo album, che segue di quattro anni Born in a Different Cloud, primo lavoro su lunga distanza rigorosamente autoprodotto.
Il trio proveniente da Reggio Calabria, composto da Roberto Iero (voce e chitarra), Vincenzo Cuzzola (batteria) e Alessandro Romeo (basso), ci fa partecipi di un’opera emozionante, dura e non facile da assimilare in poco tempo, anche per l’ora di durata in tempi in cui sono considerati full lenght album che non superano nemmeno la metà del tempo necessario per lo sviluppo del concept di Groupie.
La musica con cui i Bluestones raccontano il lato rosa ed un po’ malinconico del rock e del suo mondo è un alternative rock dalle mille sfumature, influenzato ed ispirato da generi diversi ma perfettamente maneggiati ed amalgamati tra le note dell’album.
Grunge, stoner, alternative metal e sferzate hardcore sono le carte giocate dai Bluestones per rendere il loro lavoro il più vario possibile, aggiungendo un tocco di insana psichedelia e poderose frustate noise.
Ne esce un album affascinante, una raccolta di brani che attraversano il mondo del rock moderno con una personalità debordante, aiutata da una preparazione tecnica che permette ai tre musicisti di giocare con lo spartito a loro piacimento.
Si passa da canzoni più lineari a lunghe jam, valorizzate da un ottimo songwriting e da una valanga di idee vincenti che ad ogni passaggio appaiono sempre più in evidenza, dallo swing, al rock’n’roll, dal punk a passaggi cadenzati al limite del doom.
Tra le tracce presenti, tutte di livello qualitativamente alto, l’opener Worn-Out Organism, l’hardcore/punk Death By Fire, la psichedelica Mantide ed il bellissimo strumentale C.Mazzone sono i brani che più colpiscono l’ascoltatore che, ad un successivo ascolto, troverà in altre canzoni più di un motivo per innamorarsi di Groupie.

Tracklist
1.Worn-out Organism (To Dance on Fate)
2.Death by Fire
3.Vs (Break the Inertia)
4.My Hurricane
5.Mantide
6.Pre/Scylla (Intro)
7.Scylla
8.Pin-up Groupies
9.C. Mazzone (Instrumental)
10.Slave
11.To Those Who Left Us

Line-up
Roberto Iero – Vocals, Guitars
Vincenzo Cuzzola – Drums
Alessandro Romeo – Bass

BLUESTONES – Facebook

Fall Has Come – Nowhere

I Fall Has Come continuano ad attraversare in lungo ed in largo l’America, senza scendere troppo a sud come nel primo album, ma riuscendo ad imprimere il loro marchio su una track list che avvicenda hard rock melodico a sferzante metallo alternativo valorizzato da melodie dall’appeal vincente.

I campani Fall Has Come tornano dopo due anni dal debutto con un nuovo lavoro e confermano quanto di buono si era scritto all’epoca dell’uscita di Time To Reborn.

La band guidata dal cantante Enrico Bellotta, dopo l’uscita dell’album precedente non è stata certo a guardare e ha girato per lo stivale e oltre confine suonando e calcando palchi, accumulando esperienze e stringendo amicizie: tutto questo è raccontato su Nowhere, nuovo album in uscita per Sliptrick Records e registrato a Napoli nei Black Eight Studio.
Questa sorta di diario in musica ci presenta una band compatta e affiatata, perfettamente in grado di reggere l’importante prova del secondo album senza deludere chi aveva apprezzato il sound proposto sul precedente lavoro.
E la musica non cambia, Bellotta è sempre il bravissimo cantante apprezzato in passato, il songwriting è ancora una volta di alto livello e l’innata propensione a creare melodie vincenti continua a mietere vittime anche su Nowhere.
Si parlava di rock americano, e infatti i Fall Has Come continuano ad attraversare in lungo ed in largo l’America, senza scendere troppo a sud come nel primo album, ma riuscendo ad imprimere il loro marchio su di una track list che avvicenda hard rock melodico a sferzante metallo alternativo valorizzato da melodie dall’appeal vincente.
Una manciata di hit che farebbero sciogliere le radioline nelle stanze dei college statunitensi, qualche accenno al new alternative metal ed atmosfere che si fanno epiche in un paio di canzoni capolavoro come l’opener Believe (che sa tanto di U2) e la stupenda Breathless, fanno di Nowhere un album dalle potenzialità enormi esaltato da un cantante che (senza sminuire il gran lavoro dei suoi compagni) è fuori categoria per il genere, strappando applausi in ogni sfumatura che caratterizza la sua performance.
Nowhere è un album nato per essere suonato dal vivo, una raccolta di brani memorizzabili e che non faranno prigionieri sotto un palco che brucerà come la fiamma del rock al suono delle varie Last Begin, Our Lives e One Minute To Be Alive.

Tracklist
01. Believe
02. Last Begin
03. Our Lives
04. Awaken
05. Carillon
06. Breathless
07. In Everything
08. It’s Over
09. One Minute To Be Alive
10. The Long Way To Run To Be A Human Again

Line-up
Enrico Bellotta – Vocals
Enrico Pasarella – Guitar
Raffaele Giacobbone – Guitar
Salvatore Laurella – Drums
Alberto Laurella – Bass

FALL HAS COME – Facebook

Unmask – One Day Closer

Gli Unmask sanno come amalgamare le varie ispirazioni cercando di apparire il più personali possibile e ci riescono, anche grazie ad un’ottima padronanza degli strumenti ed un songwriting che non scade mai troppo nel cerebrale e non esce dai binari di un ascolto che rimane interessante per tutta l’ora di durata dell’album.

Post rock, post metal, post dark, post progressive, la nuova moda che fa tanto cool è piazzare un bel post davanti ai soliti generi per avere qualcosa di nuovo su cui costruire una descrizione di un album o di una band, dicendo tanto o nulla a seconda dei casi.

Parla come sempre la musica, che viene manipolata dagli artisti a loro piacimento per donarla a chi ha la fortuna di poterla ascoltare.
Gli Unmask per esempio fanno rock progressivo, moderno, intimista e dal taglio alternativo ma pur sempre rock, il loro sound li porta a sedersi vicino a chi, nel nuovo millennio si è arricchito dell’eredità musicale dei Tool e dei Porcupine Tree, l’ha manipolata con il metal e l’ha rivestita di stoffa dark.
Nato a Roma più di dieci anni fa e con un primo lavoro (Sophia Told Me) licenziato nel 2010, il gruppo torna con One Day Closer, un album che sposa le varie sfumature del rock alternativo internazionale del nuovo millennio, di questi tempi non più una sorpresa, ma sicuramente un buon modo per fare rock al giorno d’oggi.
L’album è quindi un tuffo nelle sonorità moderne che hanno reso ancora più elaborato ed intimista il genere, e gli Unmask sanno come amalgamare le varie ispirazioni cercando di apparire il più personali possibile e ci riescono, anche grazie ad un’ottima padronanza degli strumenti ed un songwriting che non scade mai troppo nel cerebrale e non esce dai binari di un ascolto che rimane interessante per tutta l’ora di durata dell’album.
Musica che va comunque assimilata, dandole il tempo necessario per rendere affascinante l’ascolto di brani come Far Away, Childhood e soprattutto la splendida Now (l’unica traccia che porta con sé note progressive tradizionali) e  facendosi spazio in chi si lascerà ipnotizzare dai saliscendi umorali della musica degli Unmask.
Ottimo il singolo Memento, mentre la conclusiva Frammenti, unico brano cantato in italiano, chiude il lavoro e mette la parola fine su un album sentito, emozionale e ben suonato, vario negli umori e nelle sensazioni e con quel tocco passionale tutto Made in Italy.

Tracklist
1.Flowing
2.Far Away
3.Midnight Date
4.Childhood
5. Wanted
6. Now
7. Margot
8. Memento
9. Ancièn Regime
10. Frammenti

Line-up
Ignazio Iuppa – Voicals, Piano and Synth
Claudio Virgini – Guitars
Daniele Scarpaleggia – Bass guitar
Dario Santini – Drums

UNMASK – Facebook

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – REQUIEM

Un album in cui non c’è niente da perdere,se non sé stessi. Un ascolto che nemmeno ad un muro potrebbe risultare anonimo. È una porta aperta per una stanza di cui voi decidete il contenuto,irrazionalmente. Fatevi guidare dal vento gelido di questa band in un viaggio che sfugge agli occhi indiscreti.

Il concetto di “giudizio”, divino o umano che sia, è sempre soggetto a distorsioni e mistificazioni.

E allora a spiegarcelo meglio ci pensano i francesi Silent Whale Becomes A° Dream con il loro terzo album Requiem.
Perché di giudizio si parla, nella sua accezione più pura, quella da cui nessuno può nascondersi. È quello della coscienza, e di un mondo capace di assoggettare anche i più magnanimi a sensi di colpa inesistenti.
Come nei lavori precedenti, alla band francese non servono addobbi particolari, ma bastano quattro brani per raccontare qualcosa (addirittura, in Architeuthis era solo uno). Il titolo dell’album, così come quelli delle singole canzoni, rimanda al Dies Irae, proprio una delle sequenze del Requiem. La lingua latina, oltre che madre della nostra, risulta eternamente elegante e capace di immortalare ogni sensazione, come in questo caso.
Non si lasciano scappare questi particolari i nostri amici francesi, creando un mondo in musica verso il quale si può solo mettersi comodi, ma mai passivi. 57 minuti e 46 secondi in cui il benessere sconfinato ed eterno si intreccia all’inquietudine incalzante, all’angoscia che sta in agguato e sempre fa parte di noi.
Non manca la sana malinconia, per un futuro che si compone piano piano durante l’ascolto, e la breve pausa intorno al terzo minuto del brano Recordàre assomiglia ad un profondo respiro chiarificatore.
Questo calderone di emozioni si relaziona con lo scenario, che assume qui un ruolo quasi mistico, del mare. Dal mare può provenire un pericolo, ma soprattutto proviene il giudizio, il confronto. Ispirati dal mare, i francesi producono un sound quasi elitario, sulla scia dei God is an Astronaut, solo ed esclusivamente per chi sarà paziente e capace di seguirli, ma soprattutto di seguire sé stesso.
Ma come finirà questo loro racconto? Una risposta forse possiamo trovarla nel pezzo finale Lacrymósa Dies Illa (Giorno di lacrime, quello), che si sposta senza problemi, come delle soffici onde, tra inferno, purgatorio e, dulcis in fundo, paradiso. Come negli altri brani, vi è un’esplosione improvvisa, ma stavolta ha dei connotati diversi. Stavolta possiamo percepire la grandiosità nonostante i travagli passati.
In definitiva, i Silent Whale Becomes A° Dream hanno le idee chiare pur in un percorso che si mette sempre in discussione per sua stessa natura, e forse la parola chiave adatta per i loro lavori futuri, più che “giustizia” può essere “curiosità”.

Tracklist
1.Dies Iræ, Dies Illa
2.Cor Contritum Quasi Cinis
3.Recordàre
4.Lacrymósa Dies Illa

Line-up
S.
D.
E.
M.

SILENT WHALE BECOMES A° DREAM – Facebook

Dubby Dub – Empty Nation

Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere.

I ferraresi Dubby Dub non sono di primo pelo, e grazie alla loro esperienza riescono a pubblicare un disco di hard rock con molti momenti e stili diversi.

Il gruppo è nato nel 2001 e ha avuto varie pause per i diversi progetti dei suoi componenti, la cui ossatura sono i fratelli Pulga, Mario ed Andrea, già visti e sentiti nel gruppo hardcore H – Strychnine . Nonostante diversi periodi di iato questo disco è il terzo nella carriera del gruppo, il primo per la Buil2Kill Records. La proposta è un hard rock che è maggiormente virato al rock piuttosto che all’hard, e trova decisi riferimenti nella scena inglese anni novanta, anche se ha un tocco di originalità notevole, perché non è per nulla derivativo, ma è piuttosto uno sforzo di cercare qualcosa di diverso e di piacevole sia da sentire che da suonare. Uno dei maggiori pregi di questo disco è la totale assenza di ansia nel cercare di piacere facendo qualcosa che esuli dalle corde di questo gruppo. Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole, e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere. In tutto ciò galleggia una dose di grunge che è sempre presente nelle migliori ricette musicali. Insomma un bel disco di rock anni novanta che suona fresco e bello sgargiante, e non lo te lo aspetteresti dalla copertina, che avrebbe meritato qualche sforzo in più, ma questo si può perdonare alla luce del risultato.

Tracklist
1.You & I
2. Spread & multiply
3.Empty nation
4I’ll lose myself
5.Cold issues
6.Out of the shell
7.Grow machines
8.Rainbow
9.Romance
10.About to shine
11.Right now
12.They never last
13.Deny

Line-up
Andrea Pulga – Vox – Guitars
Mauro Pulga – Guitars – Vox
Flavio Tomei Guitars – Vox
Enrico Negri – Drums – Vox

DUBBY DUB – Facebook

Circo Boia – Circo Boia

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

Il gruppo si divide tra Italia e Usa, dove hanno già fatto due tour di concerti, e il suono è molto vicino a quello a stelle e strisce, con riff potenti e una melodia ben definita che traspare dagli strati di chitarre e batteria. Circo Boia è il debutto del duo, che ha già molto chiaro cosa fare, e che sta andando in una direzione ben definita. Le influenze sono tante e tutte di buona qualità, si va dai Cure al grunge, con una sintesi molto convincente. L’ottima produzione è di Gian Maria Accusani, il deus ex machina di Prozac + e Sick Tamburo, una persona con un orecchio molto fine per ruvide melodie, e qui fa scaturire il meglio dal gruppo, riuscendo ad amalgamare le diverse influenze insieme al gran talento del duo per il grunge, quello spirito melodico e potente che non vuole andare via e continua sottotraccia. Il tiro dei Circo Boia è notevole, sinceramente in Italia è molto difficile sentire dischi musicalmente vari e belli come questo; infatti il loro debutto uscirà anche negli Usa per la Wiener’s Records e sarà molto interessante vedere come sarà accolto.
I generi toccati sono molti, senza però mai perdere una visione d’insieme molto forte ed interessante; il duo di Grosseto è pronto, e il Circo Boia è appena partito

Tracklist
1.Doppler
2.Fight For Love
3.Ye!Ho!
4.She Walks Into The Fire
5.The World Of Tomorrow
6.Lick The Hell
7.Hellride
8.I Think You’re Right
9.Negen
10.Liar

Line-up
Erika Fassari: chitarra, voce
Joey Chiarello: basso, backing vocals

Guest members:
Matteo Maggi: batteria
Gian Maria Accusani: backing vocals, chitarra, synth

CIRCO BOIA – Facebook

Red Ring – Dark Light

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via.

Da anni l’Italia sfoggia una scena rock alternative molto interessante, proponendo da nord a sud ottime realtà che vanno dall’hard rock moderno e groovy al rock alternativo dall’impatto melodico e pregno di umori diversi ma ben assemblati in album che, guardando spesso aldilà dell’Atlantico, regalano ottima musica rock.

Melodia, groove rock, grinta metallica e qualche atmosfera dark, ecco la ricetta per un album esplosivo, seguendo a tratti (con l’opener Drowning) la strada tracciata dagli ultimi Lacuna Coil, per poi deviare al primo incrocio e trovare la propria via..
Questo in poche righe è quello che troverete in Dark Light, secondo album dei marchigiani Red Ring, licenziato in questo scorcio d’autunno dalla Volcano Records.
Attiva dal 2007 con il nome di Last Minute, cambiato in quello attuale nel 2013 e con un debutto (Knock Out) uscito due anni fa, la band si ripresenta sul mercato con questo buon lavoro, alternativo ed altamente melodico, non solo per la splendida voce della singer Elisa Goffi, ma anche per l’approccio radiofonico, che non fa sicuramente mancare la giusta grinta ma si concede refrain e chorus dall’ottimo appeal, sempre in bilico tra forza e delicata armonia.
Ne esce un lavoro che tocca da subito le corde giuste di chi riempie le sue giornate musicali con la musica delle radio rock nazionali, affascinante e duro il giusto specialmente nelle ritmiche dal buon groove (Best Wishes) e tenendo sempre la tensione ad un livello consono per sorprendere con brani dal piglio drammaticamente metallico (Escape).
La produzione, che va di pari passo con la musica, esplode potente e cristallina, valorizzando non poco i brani presenti, ed un songwriting che non ha cadute, mantenendo alto il livello dei brani per poco più di mezzora (scelta giusta) di rock davvero ben eseguito, sono le virtù principali di un lavoro che piace fino all’ultima nota della bellissima e conclusiva Is There Still Time?.
Dark Light, se spinto a dovere, potrà regalare molte soddisfazioni al gruppo marchigiano, rivolgendosi senza dubbio ai rockers del nuovo millennio ai quali va il consiglio di non farselo sfuggire.

Tracklist
1. Drowning
2. In your veins
3. If you didn’t exist
4. Is this life?
5. No regret
6. Best whishes
7. Escape
8. You are here
9. Is there still time?

Line-up
Elisa Goffi – Voice,
Edoardo Sdruccioli – Bass Guitar
Juri Cucchi- Drums
Davide Landi – Rhythm Guitar
Giacomo Lanari – Lead Guitar

RED RING – Facebook

Stairs Of Life – The Man In A Glass

Un rock che spazia tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.

Progressive rock moderno e alternativo, ormai non più così originale come qualche anno fa, ma molto suggestivo e drammaticamente dark.

The Man In A Glass è il debutto in formato ep dei nostrani Stairs Of Life, gruppo attivo nella capitale da qualche anno e ora sul mercato grazie alla Sliptrick Records.
Un rock che spazia, dunque, tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.
Meno metal di quello che ci si poteva aspettare, il sound del gruppo romano si incupisce e, dolcemente intriso di disperata malinconia, porta con sé quel male di vivere e storie al limite raccontate con buona padronanza della materia che nella musica degli Stars Of Life si traduce in atmosfere e sfumature progressivamente tinte di grigio, colore dell’anima di chi usa l’alcol (The Man in the Glass) per sfuggire alla realtà, di chi perde una persona amata (You Are Gone) o chi è costretto ad interpretare un ruolo non suo per affrontare la vita di tutti giorni (The Mask).
La musica della band segue quindi il mood oscuro e melanconico del progressive moderno e dai rimandi alternativi, quindi le ispirazioni del gruppo vanno dai Porcupine Tree agli ultimi Anathema, passando per le classiche influenze pinkfloydiane.
The Man In A Glass è un buon esordio e se il genere è presente nelle vostre corde, vi saprà regalare una ventina di minuti di musica raffinata ed emozionante.

Tracklist
01. Mask
02. The Man In A Glass
03. You Are Gone
04. Our Lady Of Grace

Line-up
Luca Aldisio – Vocals, Acoustic Guitar, Flute
Alessio Erriu – Electric Guitar
Giordano Maselli – Bass, Keyboards, Synth
Fabio Vitiello – Drums

STAIRS OF LIFE – Facebook

Dancing Scrap – This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk

Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Cambio di monicker (da Dancing Crap a Dancing Scrap), qualche aggiustamento ulteriore nella line up e Ronnie Abeille torna con la sua band ì, con una S in più ma non solo.

Avevamo lasciato la band nostrana all’indomani dell’uscita di Cut It Out, debutto sulla lunga distanza licenziato un paio di anni fa, ed è già tempo di nuova musica, mentre il sound ha subito qualche leggero cambiamento sterzando verso atmosfere più moderne e, come suggerisce il titolo, alternative.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk risulta infatti meno pervaso dallo spirito rock ‘n’ roll che aveva contraddistinto il suo predecessore, le sfumature elettroniche e funky contribuiscono a rendere l’album in sintonia con il rock americano più mainstream, facendo sì che le parti campionate e alternative, già comunque presenti in Cut It Out, diventino preponderanti nell’economia dell’album.
Se tutto questo è un bene dipende molto dai gusti di chi presterà ascolto a questa nuova raccolta di brani, sicuramente il gruppo (con la supervisione di Gianmarco Bellumori, che si è occupato del mix e della masterizzazione dell’album) ha fatto un buon lavoro, cercando di non soffermarsi troppo su un genere ma allargando i suoi orizzonti così da presentarsi come una realtà di non facile catalogazione.
This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk vive di alternative metal come di rock ‘n’ roll, sguazza in soluzioni elettropop e ci sbatte in faccia quell’irriverenza punk che continua ad essere l’arma in più del sound, con Abeille che a tratti ricorda non poco il Johnny Rotten post Sex Pistols.
Mezzora di musica dritta sul muso dei rockers, dallo stivale al Regno Unito, che Acid presenta al pubblico con un riff appunto acido e i ritmi che si mantengono su di un mid tempo rock, per poi trasformarsi in un irresistibile alternative funky alla Red Hot Chili Peppers in Big Fuckin’ Deal.
Il singolo I Like It, uscito qualche mese fa, segue le linee di ciò che poi si svilupperà lungo l’intero lavoro, con un rock sporcato di elettronica e punk che gioca a nascondino tra montagne di campionamenti.
I brani si susseguono con dei picchi di originalità (SWC e la conclusiva Bitch… And You Know It) che valorizzano il lavoro svolto dal gruppo, che continua imperterrito ad alternare i generi descritti non lasciando mai una traccia sicura per seguire l’andamento e riuscendo nell’impresa di non far perdere attenzione all’ascoltatore, ora sorpreso, ora divertito dai vari scenari musicali presentati su This Is Sexy Sonic Alternative Iron Punk.
Un altro ottimo album, vario ed originale ad opera di un gruppo a cui non mancano coraggio e buone idee, da consumare se siete amanti del rock a prescindere da odiati compartimenti stagni.

Tracklist
1.Acid
2.Big Fuckin’ Deal
3.I Like It
4.Renegades
5.SWC
6.Ready for the Show
7.The Rocker You’re Not
8.My Goddess
9.Yet to Come
10.Watered Down Drink
11.Bitch… and You Know It (The Drunken Bass Song)

Line-up
Ronnie Abeille – Vox
Sal Ariano – Guitar
Eugenio “The Joker” Pavolini – Guitar
Bobby Gaz – Bass
Danilo “Wolf” Camerlengo – Drums

DANCING SCRAP – Facebook

Gerda/ Lleroy – Volumorama #4

Volumorama come al solito è sempre un’avanguardia del rumore, un vorticare di idee che saranno pure per pochi ma sono davvero un piacere per il cervello e per le orecchie di chi vuole un qualcosa che non sia omologato e fatto con passione e qualità.

Nuovo episodio per la serie Volumorama – Esplosioni di Underground Italiano – della Bloody Sound Fucktory, una delle etichette più innovative e di alta qualità del sottobosco italiano.

Questo è il primo Volumorama del 2017 ed è tutto marchigiano, rabbia e distorsione con un pezzo per uno dai Gerda di Jesi e dai Lleroy, jesini pure loro, ma trapiantati a Bologna. I Gerda con la loro traccia Vipera fanno sentire a che punto è la loro incredibile parabola musicale, una delle più interessanti del panorama italiano, con un emocore molto modificato e di difficile classificazione, ma di grande soddisfazione e profondità. I Gerda non sono mai ovvi, stupiscono sempre e riescono ad elaborare un suono sempre in movimento, mutante e potente, un percorso che non è ancora finito e riserverà grandi sorprese. I Lleroy sono un combo di hardcore moderno, che forse non è nemmeno definibile hardcore, ma mudcore come fanno loro, insomma bisogna sentirli per farsi un’idea. E l’ascolto di questo duo da l’idea di cosa sia il rumore fuori dallo schema, e Siluro li rappresenta molto bene. Inoltre i Lleroy sono usciti pochi mesi fa con Dissipatio Hc, un gran bel disco in free download sul loro bandcamp, e più di così cosa potrebbero fare?  Volumorama come al solito è sempre un’avanguardia del rumore, un vorticare di idee che saranno pure per pochi ma sono davvero un piacere per il cervello e per le orecchie di chi vuole un qualcosa che non sia omologato e fatto con passione e qualità.

Tracklist
01. Gerda – Vipera
02. Llleroy – Siluro

BLOODY SOUND FACTORY – Facebook

Old Night – Pale Cold Irrelevance

Questo disco d’esordio degli Old Night si presenta come una delle più belle sorprese dell’anno in ambito doom.

Questo disco d’esordio degli Old Night si presenta come una delle più belle sorprese dell’anno in ambito doom.

La band istriana, guidata da Luka Petrović, membro di una band storica della scena croata come gli Ashes You Leave, imprime da subito la propria interpretazione del genere, con l’intento piuttosto evidente di proporre un doom tradizionale ma con ampie sfumature che riportano al grunge più evocativo, e in primis agli Alice in Chains
Autori di una prova superba su tutta la linea, gli Old Night si avvalgono della notevole prestazione vocale di Matej Hanžek, raro esempio di equilibrio laddove molti eccedono in tonalità troppo stentoree oppure scelgono soluzioni opinabili.
Il substrato sonoro è robusto e rallentato come da copione ma la differenza viene fatta appunto da quella componente che trasporta i ragazzi di Rjieka direttamente all’estremo nord della West Coast senza che il tutto appaia affatto forzato e derivativo.
Pale Cold Irrelevance cresce con gli ascolti oltre che con lo scorrere della tracklist, avviandosi con brani più vicini al doom classico, pur se parzialmente intrisi di una componente alternative, per poi approdare ad una seconda metà davvero splendida, con una Architects of Doom degna dei miglior brani cadenzati degli Alice In Chains, per arrivare alle conclusive Something is Broken e Contemptus Mundi, quest’ultima splendente gioiello che si avvale di uno dei tanti ottimi assoli di Bojan Frlan, fotografando al meglio il talento e la maturità di questi ragazzi croati.
Da non sottovalutare neppure una evocativa Thieves of Innocence, altra testimonianza di una rara freschezza nella scrittura, nonostante le sonorità esibite affondino saldamente le loro radici nei fertili anni novanta; Pale Cold Irrelevance si colloca senza dubbio tra i migliori esordi di quest’anno, presentandoci nella maniera più sfolgorante una nuova band come gli Old Night, in grado di emozionare riproponendo in maniera personale sonorità immortali, in barba ai molti che frettolosamente le ritengono già archiviate.

Tracklist:
1. The Last Child of Doom
2. Mother of all Sorrows
3. Thieves of Innocence
4. Architects of Doom
5. Something is Broken
6. Contemptus Mundi

Line up:
Matej Hanžek – Vocals (lead), Guitar
Luka Petrović – Bass, Vocals
Nikola Jovanovic – Drums
Bojan Frlan – Guitars (lead)
Ivan Hanžek – Guitars (lead), Vocals

OLD NIGHT – Facebook