Embrional – Evil Dead

Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.

Sono passati quattro anni da quando gli Embrional fecero la loro maligna apparizione su quelle che erano pagine metal di Iyezine con quell’oscuro massacro sonoro dal titolo The Devil Inside, e il diavolo pare proprio che continui ad ispirare alla band polacca musica estrema malefica e putrescente.

Il gruppo torna con questo ottimo lavoro intitolato Evil Dead, composto da otto brani di death metal oscuro e diabolico, dai tratti black ed accostabile ai soliti Behemoth.
Gli Embrional manipolano la materia a loro piacimento, creando una valanga di riff forgiati negli oscuri abissi dell’inferno, tra tempi veloci ed altri più rallentati, maligni come demoni intenti a portare il verbo oscuro sulla terra.
Dall’opener Ending Up On The Gallows in poi è un susseguirsi di atmosfere oscure e possessive, un crescendo di odio e malvagità che trova nell’oppressiva Lords Of Skull, nella violenta e veloce Day Of Damnation e nella conclusiva Damned By Dogmas il culmine di tensione di questo nuovo lavoro degli Embrional, altro ordigno sonoro appannaggio degli amanti del death metal di scuola est europea.

Tracklist
1.Ending up on the Gallow
2.Vileness…
3.Inhuman Lusts
4.Lord of Skulls
5.Day of Damnation
6.Endless Curse
7.Abomination
8.Damned by Dogmas

Line-up
Armagog – Bass
Skullripper – Guitars, Vocals
Młody – Drums
Tomasz Nowok – Guitars

EMBRIONAL – Facebook

Belzebubs – Pantheon Of The Nightside Gods

Una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti.

I Belzebubs sono dei cartoni animati che suonano un ottimo black metal dai forti legami con il death e arrivano fino al numero uno della classifica dei dischi fisici in Finlandia.

Se ciò doveva accadere, sarebbe stato per forza in Finlandia, il paese dove c’è un incredibile e genuino amore per il metal tutto, meglio se estremo. Dopo l’esordio su Century Media con il sette pollici Blackened Call, i nostri arrivano al loro debutto su lunga distanza, ed è un gran bel sentire. Il disco è potente e ben calibrato, è black metal nella sua essenza, ma ci sono tanti altri elementi che concorrono alla sua creazione per farne un disco di metal totale, un vero e proprio atto d’amore verso questa musica. Ad esempio non pochi sono i momenti sinfonici, che vanno ad accrescere il pathos dell’opera. I Belzebubs sono un gruppo vero, i loro membri rilasciano interviste e sono molto presenti, anzi sono molto meglio di certi gruppi in carne ed ossa. Non si sa chi ci sia veramente dietro ai personaggi disegnati dall’ottimo cartoonist finlandese Jp Ahonen, che ha avuto questa idea montata, poi, fino a diventare un grande successo e un grandissimo spot per il metal. Pensate infatti se, fin da bambini o da adolescenti, aveste auto la possibilità di vedere dei cartoni animati di black e death metal, fatti con passione e competenza. Il disco è davvero buono, c’è anche tanto humour ma non si scherza, i Belzebubs sono un vero gruppo e lo si sente soprattutto quando fanno canzoni di oltre otto minuti dalla grande struttura. Basta vedere il video di Cathedrals Of Mourning per capire le immense potenzialità di questo progetto: una ventata di aria malefica, un disco black death dalle tante sfumature che regala molte emozioni e lascia stupiti. Solo gioie dalla Finlandia.

Tracklist
1. Cathedrals Of Mourning
2. The Faustian Alchemist
3. Blackened Call
4. Acheron
5. Nam Gloria Lucifer
6. The Crowned Daughters
7. Dark Mother
8. The Werewolf Bride
9. Pantheon Of The Nightside Gods

Line-up
Samaël – drums
Hubbath – vocals, bass
Sløth – guitars, vocals
Obesyx – lead guitars

BELZEBUBS – Facebook

Kull – Exile

Questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Chiunque abbia un minimo di conoscenza della storia del metal degli ultimi 25 anni, ascoltando questo album d’esordio dei Kull si troverà a pensare d’essersi imbattuto in una band clone dei Bal-Sagoth.

L’impressione sarebbe più che giustificata, se non fosse che questo gruppo ha tutti i diritti di riprendere in maniera fedele quelle sonorità epiche e magniloquenti trattandosi, di fatto, degli stessi Bal-Sagoth con un diverso vocalist al posto del declamatorio fondatore Byron Roberts.
Il perché i fratelli Maudling (accompagnati dall’altro membro storico Alistair MacLatchy e da Paul Jackson, entrato nella band dopo l’uscita dell’ultimo full length) non abbiano utilizzato il monicker originale non è dato saperlo, ma è probabile che possa avere a che fare con diritti sul suo utilizzo: fatto sta che questo Exile lo si può considerare lecitamente sia l”esordio dei Kull sia il settimo album dei Bal-Sagoth.
Fatta questa lunga ma doverosa premessa, si può dire che il lavoro mantiene in pieno le caratteristiche ben conosciute da chi ama e da chi odia la storica band, per cui l’effetto divisivo resta tale e quale; quel che cambia è che Tarkan Alp è vocalist più tradizionale di Byron, nel senso che interpreta i brani con un più canonico e vario approccio da cantante black metal, optando per l’evocativo recitato utilizzato continuativamente dal predecessore solo a tratti.
Se vogliamo, questo fa pendere l’ago della bilancia a favore di quel minimo di discontinuità che conferisce ai Kull lo status di band a sé stante, anche se è è innegabile che a cavalcate come Vow of the Exiled, A Summoning to War o Aeolian Supremacy, per non parlare dell’intro strumentale Imperial Dawn, bastano poche note per svelare agli ascoltatori chi si nasconda dietro ai Kull.
Exile nel complesso appare più ruvido (persino troppo, sentendo un brano come Of Stone and Tears) rispetto alle uscite dei Bal-Sagoth del nuovo millennio, complice anche il trademark vocale di Alp e una minore predominanza della tastiere di Jonny Maudling, nonostante questo resti lo strumento che fa e disfa all’interno dell’opera; nel complesso questo rende il tutto più vicino per impatto a Starfire Burning upon the Ice-Veiled Throne of Ultima Thule che non a The Power Cosmic, cosa che a un fan della prima ora dei Bal-Sagoth come il sottoscritto non può che far piacere.
In definitiva, questo primo passo targato Kull appare tutt’altro che una minestra riscaldata, anche se il potenziale epico ed evocativo dei primi lavori dei Bal-Sagoth resta difficilmente riproducibile; resta sicuramente la soddisfazione di rivedere in pista questi musicisti che sembrano avere ancora voglia di regalare al pubblico il loro epico e sinfonico black metal ispirato alle opere di Howard.

Tracklist:
01. Imperial Dawn
02. Set-Nakt-Heh
03. Vow of the Exiled
04. A Summoning to War (Dea Bellorum Invicta)
05. Horde’s Ride
06. An Ensign Consigned
07. Pax Imperialis
08. By Lucifer’s Crown (Lapis Exillis)
09. Of Stone and Tears
10. Aeolian Supremacy: Wrath of the Anemoi
11. Of Setting Suns and Rising Moons

Line-up:
Tarkan Alp – Vocals
Chris Maudling – Guitars
Jonny Maudling – Keyboards/synths
Alistair MacLatchy – Bass
Paul “Wak” Jackosn – Drums

KULL – Facebook

Doombringer – Walpurgis Fires

I misteriosi Doombringer potenziano con mid tempo sepolcrali il loro death metal dal piglio black, lente litanie estreme dalle atmosfere che a tratti sfiorano il doom, anche se l’approccio rimane quello di un gruppo più estremo.

Le origini dei Doombringer sono in Polonia, la patria del death/black metal che i Behemoth hanno contribuito a plasmare diventando negli anni uno dei generi che più hanno influenzato le nuove generazioni di musicisti estremi.

La svolta gothic che la band di Nergal ha preso con l’ultimo, bellissimo lavoro lascia un vuoto sul trono di questo tipo di sound che la band di Kielce contribuisce a tenere vivo con il nuovo album, intitolato Walpurgis Fires.
Il gruppo polacco mantiene un’attitudine old school anche in questo lavoro, in arrivo tramite la Nuclear War Now! Productions cinque anni dopo il debutto sul lunga distanza The Grand Sabbath, dato alle stampe successivamente ad una manciata di demo ed ep.
I misteriosi Doombringer potenziano con mid tempo sepolcrali il loro death metal dal piglio black, lente litanie estreme dalle atmosfere che a tratti sfiorano il doom, anche se l’approccio rimane quello di un gruppo più estremo.
Walpurgis Fires risulta quindi un lavoro discretamente congeniato, ben caratterizzato da atmosfere e sfumature maligne e morbose, pregno di male e terrore racchiusi in brani come Into The Woodlands, Samhain Melancholia e Walpurgis.
Un prodotto estremo che nulla toglie e nulla aggiunge al tipo di sound che i Doombringer suonano, ma che merita un ascolto specialmente se si è fans accaniti del genere.

Tracklist
1.Into The Woodlands
2.Agenda Del Aquellare
3.Sworn To Malice
4.Samhain Melancholia
5.Stupor Infernal
6.Briceia Chants The Spells
7.Unnatural Acts Of Flying
8.Walpurgis

Line-up
Old Coffin Spirit – Bass, Vocals
Sepelchral Ghoul – Drums
Tribes Of The Moon – Guitars
Medium Mortem – Vocals

DOOMBRINGER – Facebook

Handful of Hate – Adversus

La Code666 Records ha di nuovo fatto centro. Adversus è un album completo, perfetto ed armonioso, nella sua aggressiva e rabbiosa struttura musicale. Nulla viene lasciato al caso: un album studiato nei minimi dettagli, che dovrebbe essere riposto nelle collezioni di ogni blackster, tra un Immortal ed un Marduk.

Dalla lontana Scandinavia… pardon, dalla vicina Toscana, ci giunge tra le mani questo Adversus, settimo full length degli Handful Of Hate, quartetto di stanza in quel tratto di terra, che dalle colline lucchesi giunge sino al mar Tirreno, e più precisamente a Livorno. Toscana, terra di sole, di campagne sterminate, di campi in fiore e di dorati terreni coltivati, ove i vivaci colori della primavera quasi bruciano il cuore e le torride estati infiammano l’anima.

Sole? Cuore? Colore? Mai tali termini sono stati utilizzati così impropriamente, per identificare questo combo, che pare provenire più che dalla terra del Chianti, dal gelido Finnmark norvegese. La Scandinavia a casa nostra, potrebbe essere il corretto termine per disegnare il percorso musicale di Nicola Bianchi e soci. Freddo, rigido, quasi polare, il suono degli Handful Of Hate. Vero, puro, genuino, il Black Metal dei Nostri. L’album dipanato su 10 tracce, ci proietta alla velocità della luce in un mondo di occulti vizi e perverse maligne attitudini sessuali, tematiche che costituiscono un po’ una costante, nei testi dei ragazzi toscani.
Un Black suonato alla perfezione, che denota una padronanza degli strumenti fin troppo rara, oggigiorno, nel guazzabuglio musicale di band che nascono, suonano (si fa per dire) e muoiono, in sordina, come mosche effimere, senza lasciare alcuna traccia per i vivi e per i posteri. Qui, il discorso è (per fortuna) completamente differente. Grazie anche ad una produzione veramente all’altezza (la Code666 Records di Imola, non è proprio un’etichetta nata ieri. E’ dal 1999 che ci delizia, producendo band del calibro di Negura Bunget, Aborym, Manes e Konkhra), canzoni come la marziale An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae), la norvegese Severed and Reversed (Feudal Attitude) o l’atmosferica Down Lower (Men and Ruins) divengono gioielli, quasi inattesi, incastonati alla perfezione nel collier di oro nero, che potrebbe adornare maleficamente il candido collo di perfide principesse o regine come Fredegonda, la spietata regina dei Franchi, Maria Tudor, detta “la sanguinaria”, o la nostra cara Elizabeth Bathory (cosa vi aspettavate? Cenerentola forse?). Potenza, velocità (sempre sotto controllo), cattiveria che spurga da ogni singola nota, un crudele scream (complimenti a Mr. Bianchi), sottile, venefico, maligno, costituiscono i petali della corolla, di un nero fiore, che non appassirà mai, dove la grande creatività dei Nostri rappresenta il gambo, su cui si sorregge stabilmente , ben radicato, in un terreno di capacità tecniche e padronanze musicali non comuni. L’imperversare di scale Death, ordite su una trama di vero genuino Black, mai banale, rendono tracce come Celebrate Consume… Burn! o Thorns to Redemption (Gemendo Germinat), vere gemme musicali che indurrebbero un ascoltatore poco attento e svogliato, con cartina politica dell’Europa sotto mano, a cimentarsi nell’ardua (e sicuramente inutile) ricerca della città di provenienza degli Handful Of Hate, errando tra le fredde Terre del Nord, colpevolmente inconsapevole che dovrebbe volgere lo sguardo più in basso, e col dito tracciare una linea immaginaria, quasi perpendicolare, che da Oslo giunge quasi magicamente in Toscana.
Complimenti quindi a questi scandinavi toscani, che nulla hanno da imparare dai soci vichinghi ma che, forse, qualcosa hanno da insegnare.

Tracklist:
1. An Eagle Upon My Shield (Veteris Vestigia Flammae)
2. Before Me (The Womb of Spite)
3. Carved in Disharmony (Void and Essence)
4. Severed and Reversed (Feudal Attitude)
5. Down Lower (Men and Ruins)
6. Celebrate Consume… Burn!
7. Toward the Fallen Ones (Psalms to Discontinuity)
8. Thorns to Redemption (Gemendo Germinat)
9. Idols to Hung
10. Icons with Devoured Faces

Line-up:
Nicola Bianchi – Guitars, Vocals
Aeternus – Drums
Andrea Toto – Guitars, Bass

HANDFUL OF HATE – Facebook

Numenorean – Adore

La matrice depressivo-malinconica dei testi e di certi passaggi finisce per divenire il valore aggiunto in un album che, se non apre una nuova strada compositiva, è comunque abbondantemente ricco di brani e passaggi convincenti, capaci di avvincere anche chi non ha di norma un rapporto molto amichevole con modern metal e dintorni.

Adore è il secondo album per i canadesi Numenorean dopo l’esordio Home, di tre anni fa, che li aveva portati all’attenzione di chi apprezza una commistione tra black e modern metal.

In effetti il gruppo dell’Alberta viene incasellato in ambito post black ma, partendo dal presupposto che tutto ciò che è post alla fine non è un vero e proprio genere, la realtà è che quanto viene offerto è spesso molto più vicino ad un metalcore che racchiude al suo interno diverse variazioni e soprattutto un notevole impatto emotivo.
Proprio la matrice depressivo-malinconica dei testi e di certi passaggi finisce per divenire il valore aggiunto in un album che, se non apre una nuova strada compositiva, è comunque abbondantemente ricco di brani e passaggi convincenti, capaci di avvincere anche chi non ha di norma un rapporto molto amichevole con modern metal e dintorni.
La varietà di Portrait of Pieces e il trascinante incedere di Horizon sono indicatori piuttosto precisi di quanto racchiuso in un lavoro che, complice l’ideale durata di una quarantina di minuti, gode di una buona sintesi e si tiene alla larga da passaggi a vuoto. La stessa Regret, che lì per lì sembra il classico brano metalcore gonfio di rabbia repressa ma privo di sbocchi, si apre improvvisamente a livello melodico tenendosi però ben alla larga da certe stucchevolezze di maniera e lasciando alla fine un piacevole retrogusto.
Detto di altri due brani notevoli per impatto come la title track e Coma, e aggiungendo che le altre cinque tracce (tra le quali spicca Stay, sorta di mini-ballad) sono degli interludi tutt’altro che superflui in virtù della buona tecnica in dote a questi ragazzi, Adore rappresenta un approccio al metal moderno nel quale non viene sacrificata la profondità a favore di quello che, invece, si presenta frequentemente come uno spesso involucro all’interno del quale è racchiuso poco più che il nulla.
Non solo, ma in buona parte anche per questo motivo, i Numenorean potrebbero raccogliere consensi in un contesto di appassionati trasversale ai generi.

Tracklist:
1. Nocebo
2. Portrait of Pieces
3. Horizon
4. And Nothing Was the Same
5. Regret
6. Stay
7. Coma
8. Alone
9. Adore
10. DDHS

Line-up:
Byron Lemley – Guitar/Vox
Brandon Lemley – Vocals
Roger LeBlanc – Guitar/Vocals
Alex Kot – Bass
David Horrocks – Drums

NUMENOREAN – Facebook

Death Worship – End Times

Un prodotto affascinante proveniente da un underground che sa regalare vere gemme di musica estrema e diabolica.

Dall’abisso in cui era stato risucchiato dopo aver licenziato il primo malefico parto (Extermination Mass del 2016), torna il supergruppo canadese Death Worship, malefica e putrida realtà conosciuta nell’underground black/death metal dove nomi come Conqueror e Blasphemy rimembrano devastanti opere nere come la pece.

DeathLörd of Abomination & War Apocalypse (Conqueror, Blasphemy) alla chitarra, al basso e alla prima voce, aiutato ancora una volta da Nocturnal Grave Desecrater and Black Winds (Blasphemy) alla seconda voce e J.Read (Conqueror, Blasphemy) alla batteria, frantumano i nostri padiglioni auricolari cone queste nuove quattro tracce che formano End Times, ep che arriva a sfiorare i quindici minuti ma che, in così poco tempo, ci risucchia in un atmosfera catacombale, dove la morte nell’ombra segue i nostri passi prima di sferrare l’ultimo colpo con la sua micidiale falce.
Un clima soffocante ci accoglie tra le spire di Stand Witness to Atrocity, e le ragnatele che si attaccano al viso sono il preludio all’entrata nel caos che i Death Worship creano; orrende creature si muovono tra le trame death/black/thrash metal di The Poisoned Chalice e Slaughtersiege, offuscate da visioni di morte e perdizione, mentre la forza maligna di Masters And Monolith mette fine alle nostre sofferenze terrene.
Un prodotto affascinante proveniente da un underground che sa regalare vere gemme di musica estrema e diabolica.

Tracklist
1.Stand Witness to Atrocity
2.The Poisoned Chalice
3.Slaughtersiege
4.Masters and Monolith

Line-up
Deathlord of Abomination and War Apocalypse – Guitars, Bass, Vocals, Effects

J. Read – Drums, Effects
Nocturnal Grave Desecrator and Black Winds – Vocals (backing), Effects

DEATH WORSHIP – Facebook

Darkened Nocturn Slaughtercult – Mardom

Da ascoltare con devozione il ritorno del gruppo teutonico, indomito nel ricreare la tradizione del Black Metal, con una ispirazione fresca e mai monotona.

Oggi e da sempre il quartetto teutonico rappresenta una garanzia per chi vuole ascoltare Black Metal non contaminato da altri generi, anche con il nuovo “Mardom”, dopo sei anni da “Necrovision” l’arte espressa segue un solco tradizionale, fedele alla “second wave” e al grande spirito scandinavo. Non ci sono variazioni di formazione, i quattro artisti sono profondi conoscitori della materia, hanno un approccio genuino, vero, vitale e il risultato è notevolissimo.

Sesto album, per una carriera che iniziò nel 1999 con il demo “The pest called humanity”, e ancora i musicisti non hanno perso un grammo di ferocia, di attitudine e di violenza; dieci brani costruiti in modo tradizionale ma capaci di esprimere una furia devastatrice che annichilisce fino dal primo brano, dopo un breve intro, “Mardom – echo zmory”… guitar work instancabile, veemente a combattere con la sezione ritmica vitale e tellurica e sopra a tutto lo scream rantolante di Onielar, la strega polacca (Yvonne Wilczynska), da sempre nella band, capace con le sue raggelanti e sinistre vocals di portarci in lande di odio e violenza senza pari. Il booklet interno con i testi e le foto ci confermano che la predisposizione non è cambiata con i testi che trattano temi occulti, satanici e oscuri, mentre la musica ci entra sottopelle, ricordandoci ancora una volta la ragione per cui ascoltiamo e ci nutriamo di Black Metal. Le atmosfere antiche e dannatamente buie di “A beseechment twofold”, con i suoi cambi di tempo raggelanti, dimostrano che il vero verbo non è stato assolutamente dimenticato e scorre fluido nel sangue di veri artisti della nera fiamma. Non saranno tra i nomi di punta della scena europea, ora più rivolta verso altre scene e umori più atmosferici, ma i DNS sono capaci di far vibrare le corde giuste, donandoci momenti di assoluto piacere, solcando si la tradizione ma con ispirazione fresca e mai monotona. Da ascoltare con devozione.

Tracklist
1. Inception of Atemporal Transition
2. Mardom – Echo Zmory
3. A Sweven Most Devout
4. T.O.W.D.A.T.H.A.B.T.E.
5. A Beseechment Twofold
6. Exaudi Domine
7. The Boundless Beast
8. Widma
9. Imperishable Soulless Gown
10. The Sphere

Line-up
Adversarius – Bass
Onielar – Vocals, Guitars
Velnias – Guitars
Horrn – Drums

DARKENED NOCTURN SLAUGHTERCULT – Facebook

Vereor Nox – Vereor Nox

Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Incredibile concept album sul videogioco Dark Souls, pieno di ottimo symphonic black metal e di archetipi eterni come la Luce e la Tenebra.

Ascoltando l’ultimo lavoro dei Vereor Nox si viene catapultati all’istante in una miriade di mondi , risucchiati dalla Fiamma nell’eterna lotta fra Luce e Tenebra, fra bene e male, ma con molte più sfumature. Il gruppo è attivo dal 2014 su idea di Kronos (Gianluca Moreo) e Fenrir (Beatrice Traversin), con lo scopo di suonare black metal e trattare temi introspettivi ma anche mitologici, e gli uni non escludono affatto gli altri, anzi. Questo ultimo lavoro, il secondo su lunga distanza per il gruppo, richiede molta attenzione perché musicalmente possiede una varietà e una ricchezza non comuni, oltre ad uno studio sui testi davvero notevole. Il punto di partenza è il videogioco giapponese Dark Souls, che volendo dare una definizione disperatamente riduttiva è un rpg dark fantasy, ma in realtà è molto di più ed infatti in questo disco c’è un grande approfondimento. In pratica i Vereor Nox, intorno all’universo del videogioco compongono, un’opera ispirata dal black metal mediterraneo classico, e molto forte è la componente sinfonica che, come un coro greco, interviene nelle situazioni di maggior pathos. Come detto c’è un grande lavoro concettuale dietro il lavoro, ma la musica non è da meno, rafforzata da un grande padronanza tecnica; c’è solo una cosa che non è al suo massimo livello in questo disco, ed è la produzione, perché senza questa sbavatura saremmo davanti forse al disco dell’anno italiano in tale ambito. I Vereor Nox riescono sempre a trovare la soluzione adatta, aiutati da un grande senso della melodia, e producono un album che merita ripetuti ascolti per cogliere il tutto, perché è sterminato quanto l’universo di Dark Souls. Ogni canzone ha molteplici passaggi nascosti, c’è un bel ritornello e sotto si trova una linea di basso ipnotica, oppure una doppia cassa incessante mentre la chitarra esegue degli arpeggi da sogno. Molto adeguata è anche la durata delle canzoni, che non debordano mai. Vereor Nox è una gemma del black metal underground, un disco che lega mondi diversi, tutti molto interessanti, e soprattutto figlio di una passione smisurata e pura.

Tracklist
1. Within The Flames
2. My Dear Sister
3. Born Under The Moon
4. The Crossbreed
5. The Silence In The Cathedral
6. Void
7. Dense Of Nothingness
8. Your Grave

Line-up
Fenrir (Beatrice Traversin) – vocals & lyrics
Gwyn (Emiliano Bez) – guitars, backing vocals, main composer
Seath (Ivano Lo Iacono) – bass, composer

VEREOR NOX – Facebook

Deorc Absis – The Nothingness Transfiguration

Il suono dei Deorc Absis oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto.

Black death metal dissonate e schizofrenico, molto tecnico e davvero inusuale.

L’esordio degli italiani Deorc Absis per l’etichetta americana Redefining Darkness Records è uno di quei dischi che colpiscono duro e che stupiscono. La levatura tecnica è elevata, come notevole è la capacità compositiva, le tre canzoni sono strutturate in maniera labirintica, e dentro ci sono molte cose. Il loro suono oscilla tra black e death metal, con un’importante parte sinfonica che arricchisce molto il tutto. Il gruppo ha un impatto violento, ma non esibisce solo la potenza, preferendo l’effetto dell’insieme alla singola voce musicale. E il risultato è un suono molto originale, che crea un effetto cinematografico sull’ascoltatore, nel senso che il racconto procede per racconti di immagine, e la lunga durata delle tracce permette uno sviluppo esauriente delle stesse. Si potrebbe pensare che tre pezzi possano essere pochi, ma tre canzoni con questa intensità e con questa densità richiedono un’attenzione speciale, con un occhio di riguardo per la qualità, che con un numero maggiore di pezzi potrebbe diluirsi, mentre qui rimane inalterata. Una ricerca notevole permea questo disco, e la poetica musicale messa in campo qui è rivolta verso il futuro, usando elementi del passato ma guardando sempre avanti.
Il lavoro del gruppo è notevole, una menzione speciale va all’incredibile basso di Marcello Tavernari che costruisce fisionomie mostruose, colonna portante del suono dei Deorc Absis. L’esordio è notevole e merita attenzione, musica estrema fatta con passione e competenza.

Tracklist
1.Stasis
2.Epanastasis
3.Metamorphosis

Line-up
Claudio Miniati: Vocals
Alessandro D’Antone: Guitars
Marcello Tavernari: Bass
Marco Taiti – Drums

DEORC ABSIS – Facebook

Inter Arma – Sulphur English

Incandescente fusione di sludge, death, black e doom per la band statunitense, che abbina con grande personalità pesantezza e atmosfera.

Arde senza tregua il furore creativo degli statunitensi Inter Arma che, attivi dal 2007, giungono al loro quarto full length dopo lo splendido Paradise Gallows del 2016.

Credevo fosse difficile superare il livello del sopracitato album, ma i cinque musicisti della Virginia portano a compimento una mastodontica opera, abbondantemente sopra i sessanta minuti, dove sono fuse ad alta temperatura incandescenti scorie sludge, doom, death e black. L’approccio alla materia è brutale e personale  ed ogni musicista non si risparmia e dà il meglio della sua arte. Da rimarcare, senza indugi, la prova del drummer T.J.Childers, che rende il suono di quest’opera qualcosa di sensazionale per la ferocia, la vitalità e l’intensità che lasciano a bocca aperta, portandoci su un piano emozionale molto alto. L’opera è esplicitamente dedicata a due amici e musicisti importanti della scena sludge, Bill Bumgardner betterista di Indian, Lord Mantis e Alan Guerra, batterista dei Bell Witch, e colpisce per la totale mancanza di punti deboli; ogni brano, nove in tutto, rappresenta un’ esperienza sensoriale magistrale che prosciuga ogni energia presente nel nostro corpo. La band colpisce duro con inventiva e personalità fin dall’inizio e non teme di inerpicarsi anche in strade difficili come il breve strumentale Observances of the path, cosi come le cadenze dark blues di Stillness dove l’interpretazione del singer Mike Paparo ci trascina lentamente in abissi di perdizione e catarsi; stupefacente la sua capacità, durante l’intera opera, di esprimersi in growl, scream e harsh vocals sempre con personalità, ”colorando” il tutto con tinte dark e sinistre. L’opera non è facile, tante sono le suggestioni emanate, ma la band sembra non avere alcun limite creando muri di suono dove non filtra alcuna luce e la densità della materia è soffocante (The Atavist Meridian) e mi ripeto, con un lavoro della batteria che lascia a bocca aperta. Ogni brano offre momenti di esaltazione, sia per potenza, convinzione e ispirazione; la ferocia di Citadel, con le chitarre che ci regalano una parte solistica da pelle d’oca mi ha tramortito, cosi come le atmosfere notturne, atmosferiche di Blood on the lupines, che contorcono il blues con aromi psichedelici portandoli a un punto di fusione lacerante e apocalittico. Questi artisti sono in costante crescita e sale già l’ aspettativa per le prossime opere che non potranno che essere avvincenti. Per me uno dei dischi dell’anno.

Tracklist
1. Bumgardner
2. A Waxen Sea
3. Citadel
4. Howling Lands
5. Stillness
6. Observances of the Path
7. The Atavist’s Meridian
8. Blood on the Lupines
9. Sulphur English

Line-up
T.J. Childers – Drums, guitars, bass, acoustic guitars, lap steel, keyboards, percussion, noise, vocals
Steven Russell – Guitars
Trey Dalton – Guitars, percussion, vocals
Mike Paparo – Vocals, percussion
Joe Kerkes – Bass

INTER ARMA – Facebook

Thamiel – Sator

Sator funzione bene dall’inizio alla fine, ha un bella carica e un bel suono che arrivano molto diretti all’ascoltatore.

Da Brindisi arriva il debutto sulla lunga distanza per i Thamiel, ex Merkavah, fondati dal chitarrista Gianluigi Papadia e dal batterista Antonio Greco.

Totalmente autoprodotto, il loro disco è una proposta sonora incentrata sul black death degli anni novanta, dalla forte connotazione mediterranea. I Thamiel hanno un incedere notevole, il suono è un black death molto peculiare, che si rifà certamente alla tradizione scandinava, ma che guarda molto anche ai paesi bagnati dal mar Mediterraneo, come la stessa Italia e la Grecia. Infatti il loro suono possiede certe caratteristiche altresì irrintracciabili nei gruppi nordici. Il tutto è strutturato molto bene, il disco ha una sua organicità ben precisa, e si sente che questi musicisti hanno sia passione che competenza, cose mai scontate, specialmente nelle epoche attuali. Con una forte componente esoterica, il disco sembra scaturire direttamente da una lettura di opere maledette, con un’atmosfera molto intima e diabolica. Lungo tutto il percorso del lavoro si dipana anche una precisa ricerca musicale, con al centro la produzione di un suono originale, personale ed immediatamente riconoscibile, intendimento che riesce perfettamente. Il debutto dei Thamiel è convincente e molto godibile, un canto di amore verso il black ed il death metal, e quale omaggio migliore se non creare qualcosa di personale e bello in quel campo? Sator funziona bene dall’inizio alla fine, ha un grande carica e un bel suono che arriva molto diretto all’ascoltatore. Il sommerso musicale racchiude gruppi molto validi come i Thamiel, che facendo molti sforzi e sacrifici riescono a produrre cose che altri nomi più blasonati non sono più in grado di fare.

Tracklist
1 Intro
2 Sol Invictus
3 Kathaar
4 Darkened Centuries
5 Sator
6 Bloodshed In The North
7 Desecrate Ritual
8 Ex Comunicatio

Line-up
Mino Mingolla – Vocals
Gianluigi Papadia – Guitar
Andrea Caiulo – Bass
Antonio Cape Greco – Drums

THAMIEL – Facebook

None – Damp Chill of Life

L’opera di None è di assoluto rilievo per l’abilità nell’unire in maniera ottimale le componenti più cupe e al contempo più atmosferiche del black metal, al cui interno la tendenza di matrice depressive viene infatti stemperata da aperture melodiche.

None è il nome di un progetto atmospheric black del quale poco si sa, se non il fatto che la sua provenienza è la sempre fertile per queste sonorità terra statunitense.

Damp Chill of Life è il terzo full length che, come quelli usciti nel 2017 e nel 2018, è stato pubblicato puntualmente l’11 aprile, data che evidentemente riveste un significato preciso per questo musicista (probabile infatti che si tratti di un solo project).
L’opera di None è di assoluto rilievo per l’abilità nell’unire in maniera ottimale le componenti più cupe e al contempo più atmosferiche del black metal, al cui interno la tendenza di matrice depressive viene infatti stemperata da aperture melodiche che rimandano alle band cascadiane, ma il tutto viene poi rafforzato da una scrittura non banale e sempre carica di tensione emotiva.
Damp Chill of Life si snida per circa tre quarti d’ora, tra brani molto lunghi come la title track, dal drammatico incedere punteggiato dal tipico screaming disperato, o Cease, dall’incipit ambient che si apre nella seconda parte in un dolente e cristallino afflato melodico.
La componente ambient è comunque sempre piuttosto presente, così come sprazzi di folk regalati da un notevole lavoro di chitarra acustica: Damp Chill of Life è un album in cui vengono alternati con maestria passaggi dall’enorme impatto emotivo ad altri più rarefatti e riflessivi, senza il tutto appaia mai frammentato e qui risalta la bravura, anche esecutiva, del nostro anonimo quanto ottimo protagonista.
Una produzione al di sopra della media per gli standard del genere chiude alla perfezione un cerchio all’interno del quale è possibile conservare con cura questo album,  chiuso da un altro splendido e sofferto monumento alla disperazione come A Chance I’d Never Have.
Per fortuna, contraddicendo il titolo di quest’ultima traccia, un progetto come None ha avuto invece la possibilità di emergere in tutta la sua bellezza in questi ultimi anni, grazie al supporto di un etichetta come la Hypnotic Dirge, come sempre capace di portare alla luce magnifiche realtà altrimenti destinate a languire nei meandri dell’underground più nascosto e inaccessibile.

Tracklist:
1.Fade
2.The Damp Chill of Life
3.Cease
4.You Did a Good Thing
5.It’s Painless to Let Go
6.I Yearn to Feel
7.A Chance I’d Never Have

Hanormale – Reborn In Butterfly

Hanormale è una concezione superiore e altera del black metal e più in esteso della visione musicale nel suo insieme.

Hanormale è, in breve, una concezione superiore e altera del black metal, e più in esteso della visione musicale nel suo insieme.

Se si cerca un lavoro musicale totale, senza barriere e nemmeno riferimenti conosciuti, l’universo è quello sterminato del black metal, ma il resto è totalmente sconosciuto e molto prezioso. Questa avventura sonora nasce nel 2009 per mano di Arcanus Incubus, e fin da subito la conduce per vie inesplorate, usando il black come se fosse l’Arcadia di Capitan Harlock, e anche noi se vogliamo possiamo far parte dell’equipaggio. Non ci sono limiti o regole, ci si spinge oltre sempre e comunque. Un pezzo comincia in una maniera, poi al terzo minuto siamo già a due o tre stili musicali diversi che vi possiamo trovare dentro. E non è nemmeno tutto, poiché vi sono progressioni musicali totalmente inaspettate e di grande spessore. Descrivere un disco come Reborn In Butterfly è impossibile, ci vorrebbe un libro o una tesi universitaria, sicuramente bisogna sentirlo e risentirlo ancora, affinché la meraviglia che genera arrivi bene dentro di noi. Il titolo dice molto di quello che sarà poi la musica, qui c’è una morte ed una rinascita come farfalla, con tutti gli stadi intermedi. Musica che proviene dal caos, caos che diventa ordine e tutto si concatena perfettamente, perché l’ordine non appartiene né alla vita né alla morte. Dalla prima all’ultima nota, non necessariamente in ordine, tutto è concatenato e i sentimenti sono l’unica guida. Hanormale copre un’estesa porzione dello scibile umano, vengono qui coinvolte tantissime tradizione e molti possibili futuri, e questa grandiosità si traduce in musica. Quello che questo disco vuole comunicarci, anche se ognuno troverà giustamente un messaggio diverso, è che ci sono cose che possiamo compenetrare solo diventando qualcosa di altro e di diverso da noi, ed in questo senso il black metal è il veicolo perfetto. Molti altri stili fanno qui la loro comparsa, e sono tutti al servizio della narrazione che Hanormale concepisce e mette in musica. Un disco di caratura superiore e da ascoltare in ordine naturale o sparso, ma per farlo bisogna diventare noi stessi medium di questa splendida musica.

Tracklist
1.It Is Happening Again
2.Like A Hug, Darkness Embrace Us All
3.Human
4.Satan Is a Status Symbol
5.Ghettoblaster BlackMetal
6.Hakuzosu
7.Candentibus Organis
8.Rare Green Areas
9.Al Tanoura
10.Iperrealismo
11.The Search For The Zone
12.Requiem For Our Dead Brothers

HANORMALE – Facebook

Ultio – Fera Ep

Una tempesta che si abbatte sulle vostre teste, e si sta bene in mezzo ai rovesci, tra quella violenza sonora, quel qualcosa in più che possiedono solo i dischi black metal che sono di un livello superiore.

Black metal classicheggiante, feroce, estremo e bellissimo.

Il debutto della one man band Ultio, per l’etichetta genovese Brucia Records, è un pugno in faccia, uno di quelli che fanno bene ma sono molto pesanti. Questo ep è un atto d’amore incondizionato verso il black metal che genera un magma sonoro dentro al quale l’ascoltatore si vuole annientare, un abbattimento di tutto ciò che lo circonda attraverso questo suono. Fin dalle prime convulse e granitiche note si può sentire che Ultio conosce e controlla molto bene la materia che tratta, le ripartenze sonore sono fulminee, il suono è martellante e non lascia scampo, la batteria trancia tendini ed ossa come su un campo di battaglia, i riff sono molto adeguati e lasciano il segno. Fera è un concentrato di venti minuti di battaglia sonora, nella quale le tenebre vincono nettamente e senza appello, dove la luce non si vede mai se non per negativo, e in cui la forza sonica spazza via tutto. La lunghezza del disco è giusta, riuscendo così a concentrare tante cose in poco spazio, con una tensione musicale fortissima. Fera delizierà gli estimatori della prima e seconda ondata del black metal, ma tutti gli amanti del nero metallo qui troveranno un prodotto selvaggio e senza rimorsi. Inoltre il disco può essere ascoltato come un unicum sonoro, dato che il filo conduttore è sempre lo stesso, e si dipana in vari rivoli che poi confluiscono in un mare nero. Era da tempo che un disco black non obbligava a schiacciare nuovamente il tasto play dopo la fine, per riascoltarlo ancora e Fera spinge a farlo più volte. Una tempesta che si abbatte sulle vostre teste, e si sta bene in mezzo ai rovesci, tra quella violenza sonora, quel qualcosa in più che possiedono solo i dischi black metal che sono di un livello superiore. Registrato in poco tempo, il lavoro possiede anche una certa urgenza tipica degli albori del genere, un no future molto bene marcato e presente.
Un gran bel debutto, e aspettiamo già il prossimo disco di Ultio.

Tracklist
1.Beasts
2.Ablaze
3.Beyond the fog
4.The right weapon

Line-up
Ultio – Everything

Bergraven – Det framlidna minnet

Grande talento compositivo di Par Stille, artista che non ha timore di sporgersi oltre i limiti del black, miscelandolo in un blend multidimensionale e arricchendolo di nuova vita.

Per lunghi dieci anni Par Stille ha tenuto ghiacciata la sua creatura, la “Montagna Nera” (Bergraven) e devo anche dire che, sinceramente, con la grande quantità di materiale uscito nel frattempo, io me ne ero anche dimenticato; aver letto di una nuova uscita ha risvegliato i sensi nel ricordo delle interessanti opere del passato: Fordarv (2004), Dodsvisioner (2007) e Till Makabert Vasen (2009).

Avanguardistico Black che non ha timore di oltrepassare i limiti del genere, di inglobare frammenti multidimensionali a creare brani fluidi, sempre stimolanti e open mind; opere da recuperare per godere del talento multiforme di Par Stille, musicista svedese, che in questi dieci anni ha dedicato il suo talento allo sviluppo del suono di Stilla, quattro dischi dal 2013, orientato su un black più tradizionale a tinte naturalistiche. Il ritorno dei Bergraven è un piacere per il nostro apparato uditivo, la struttura complessa dei brani, otto per quasi cinquantacinque minuti, ci conduce in una sfida dove la fluidità del suono si accompagna a una capacità di integrare strutture jazz/folk senza pari. La band, un trio costituito dagli stessi musicisti di Stilla, offre tante suggestioni nelle sue evoluzioni come gli otto minuti di Der Dodens Stiger, in cui un inizio black atmosferico lentamente si sfilaccia in trame acustiche madrigalesche e medievaleggianti, ricche di pathos e tristezza. I brani variano, non sono ancorati a strutture prefissate, con l’aiuto di strumenti non usuali nel black come sax, trombe, vibrafono e piano, e i risultati conquistano in Leendet av ans verk dove il folk si coniuga con naturalezza al jazz per un risultato dal sapore particolare. L’ingresso della tromba a metà del brano è da pelle d’oca e il tutto viene inglobato in una furia black che conduce al termine. Difficile spiegare il disco e le sue sensazioni scrivendo solo qualche riga, ma invito gli ascoltatori a provarlo, lasciandosi trasportare dal grande talento compositivo di Par Stille, artista che non ha timore di sporgersi oltre i limiti del genere.

Tracklist
1. Minnesgåva
2. Allt
3. Den följsamma plågan
4. Minnets melankoli
5. Leendet av hans verk
6. Den dödes stigar
7. Till priset av vårt liv
8. Eftermäle

Line-up
Pär Stille – Bass Vocals, Guitars
Andreas Johansson – Bass
J. Marklund – Drums

BREGRAVEN – Facebook

Árstíðir Lífsins – Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr

L’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante.

Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr è il quarto full length di una delle creature più pregiate in ambito black metal emerse nell’ultimo decennio.

Nulla di strano, a ben vedere, nel momento in cui si realizza che l’islandese Árni, motore della band, fa parte anche dei formidabili Carpe Noctem, oltre ad aiutare Marcel Dreckmann negli altrettanto grandi Helrunar.
Il musicista tedesco contraccambia prestando la sua profonda voce alla riuscita del progetto a cui partecipa anche l’altro germanico Stefan, coinvolto a sua volta nei notevoli, ma ormai da tempo ai box, Kerbenok. Diciamo subito che, in quest’ultima opera, il black metal così come lo conosciamo viene spesso scalzato da una solenne anima folk che sovrasta per potenziale evocativo l’impatto delle tracce più robuste. Infatti, al termine dell’ascolto di questo splendido lavoro, è difficile rimuovere dalla memoria brani di rara profondità emotiva come Sundvǫrpuðir ok áraþytr, Siðar heilags brá sólar ljósi e Fregit hefk satt, che non spezzano la tensione ma semmai ne aumentano l’impatto allorché la stessa viene scaricata tramite cavalcate perfette per scrittura ed esecuzione come Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum, Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól  o Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi.
Dopo quasi un’ora di splendida musica arriva la lunghissima chiusura di matrice black doom Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir, traccia che racchiude nel suo limpido scorrere tutte le anime che pulsano all’interno degli Árstíðir Lífsins.
Saga á tveim tungum I: Vápn ok viðr si rivela così l’ennesima opera superba offerta da questo gruppo di musicisti unici per la loro capacità di avvolgere il black metal di un’aura solenne ed emozionante che si stacca per approccio sia dalla tradizione scandinava, sia dalle più recenti tendenze cascadiane provenienti da oltreoceano,  offrendo una cifra stilistica difficilmente replicabile per chiuque.

Tracklist:
1.Fornjóts synir ljótir at Haddingja lands lynláðum
2.Sundvǫrpuðir ok áraþytr
3.Morðbál á flugi ok klofin mundriða hjól
4.Líf á milli hveinandi bloðkerta
5.Stǫng óð gylld fyr gǫngum ræfi
6.Siðar heilags brá sólar ljósi
7.Vandar jǫtunn reisti fiska upp af vǫtnum
8.Fregit hefk satt
9.Haldi oss frá eldi, eilífr skapa deilir

Line-up:
Árni – Drums, Percussion, Viola, Cello, Organ, Vocals, Vocals (choirs)
Stefán – Guitars, Bass, Piano, Vibraphone, Vocals, Vocals (choirs)
Marsél – Vocals, Choirs, Narration

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Falaise – A Place I Don’t Belong To

Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico.

Il titolo di questo disco, A Place I Don’t Belong To, è un qualcosa che molti di noi provano sulla propria pelle e dentro la propria pelle.

Quella sensazione di essere in un posto, o meglio, dentro una vita che non gli appartiene e di non trovare mai una casa: tutto ciò è dentro questo disco e si va anche oltre, grazie allo splendido post black metal dei Falaise, un duo proveniente da Todi. Qui tutto è finalizzato ad emozionare e a stupire nel senso che avevano queste parole nel mondo classico, ovvero meravigliare in maniera profonda. Ci sono momenti, come nel pezzo finale della traccia Leaves In The Wind, ma se ne potrebbero citare molto altri, che sono di valore assoluto, nei quali si vorrebbe correre gridando per prati sotto la pioggia, rotolarsi in qualche altra vita, chiudere gli occhi e basta. Disco figlio del dolore di vivere e di avere qualcosa a cui davvero non si appartiene, ma da ciò può scaturire un album come questo, contenitore di un post black metal di assoluto valore e di grande originalità. I Falaise sono attivi dal 2015 e hanno sempre prodotto cose di buona qualità, partendo dal black metal e andando a compiere una sintesi molto originale e bella del post black metal. Questo sottogenere è avanzato molto negli ultimi anni grazie a gruppi molto validi, ma i Falaise sono di un altro livello. Nella loro proposta musicale il black metal è ancora molto presente, i brani sono costruiti con un approccio neo classico, e ci sono anche elementi di molti altri generi, come lo shoegaze, il metal sinfonico ed altro. Tutti questi differenti codici musicali vengono usati, insieme ad una voce in growl, per portare l’ascoltatore in alto, per farlo sognare ad occhi aperti, ma forse è meglio chiuderli per sognare più forte. Non esiste un pezzo migliore come non ci sono riempitivi, qui tutto scorre per rimanere impresso nella memoria: ci sono momenti molto vicini al black più tradizionale, anche perché i Falaise giocano con la chitarra, mentre la batteria è sublime ed è un elemento portante. Furia, stasi, estasi, pianto e meraviglia, per un disco che non si vorrebbe mai smettere di ascoltare, facendosi trascinare in qualcosa di molto intimo, di struggente e di solipsistico. Un disco a cui aprire le braccia e abbandonarsi completamente.

Tracklist
1.Intro
2.Once, My Home
3.When The Sun Was Warming My Heart
4.A Place I Don’t Belong To
5.An Emptiness Full Of You
6.Leaves In The Wind
7.Consumed Soul
8.Holding Nothing

Line-up
Matteo Guarnello – Vocals, Keyboards, Drums –
Lorenzo Pompili – Guitars, Bass –

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Krigere Wolf – Eternal Holocaust

I Krigere Wolf sono un gruppo di amanti del black metal che fa musica per chi apprezza il genere nella sua versione oltranzista, estrema ed ortodossa.

Sesto lavoro per dieci anni di attività per i siciliani Krigere Wolf, alfieri di un ottimo black metal, potente e molto ben suonato, perfettamente aderente al titolo.

I Krigere Wolf sono uno dei migliori gruppi black metal italiani e non solo, hanno un suono maestoso e magniloquente. Cinque pezzi più un tributo ad un gruppo storico per il black metal, i Dissection. I Krigere Wolf sono un gruppo di amanti del black metal che fa musica per chi apprezza il genere nella sua versione oltranzista, estrema ed ortodossa. Non ci sono novità particolari in questo disco, ma ci sono le cose più importanti per un lavoro black metal: compattezza, velocità e cattiveria. Anche la durata sotto la mezz’ora è una scelta azzeccata, non si disperde nulla e tutto è incontrollo. Molto presente nel sound anche la componente più debitrice verso il death metal, soprattutto nelle ritmiche della batteria, suonata dal fondatore e deux ex machina Rick Costantino, che si occupa anche del basso in studio. La formazione a due rende al meglio grazie ad un ottimo affiatamento: nel mare di uscite black metal i Krigere Wolf sono un gruppo che merita di essere ascoltato per la potenza e la cura con cui propone la propria musica. Eternal Holocaust è un massacro dalla prima all’ultima traccia ed evoca atmosfere antiche e molto diverse dalla modernità, dove la pietà è assente, ma questo lo sperimentiamo ogni giorno anche nel nostro tempo. Il black metal che ci propone il duo siciliano pesca tra vari riferimenti, è sempre molto vario e soddisferà in pieno chi ama questa saturazione del proprio spazio sonoro. Il disco verrà pubblicato da un’etichetta polacca, la Lower Silesian Stronghold, fatto che conferma la popolarità e la credibilità che possiedono i Krigere Wolf fuori dai confini nazionali, considerando che sono stati per per anni nel roster della coreana Fallen Angels Productions, arrivando a produrre uno split con i mitici giapponesi Sabbat.

Tracklist
1. Primordial (Intro)
2. Eternal Holocaust
3. Blasphemous Chaos Magnifience
4. Mystic Genocide
5. Vision of Death
6. Night’s Blood (Dissection tribute)

Line-up
Rick Costantino – Drums/Bass/Vocals
Salvo Leonardi – Guitars/Vocals
LIVE SESSION – Salvatore Martino Testa – Drums

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MEPHORASH – SHEM HA MEPHORASH

Quarta chiamata per il gruppo svedese di Uppsala. Un album splendido, complesso ed antico, ordito su trame di profonde e remote atmosferiche note, almeno tanto quanto la Cabala Ebraica, qui tematica prevalente delle loro liriche.

Misteriosamente malvagi, malignamente arcani, anticamente occulti: queste tre definizioni rendono l’idea di quanto siano e di quanto ci propongano gli svedesi Mephorash.

La band di Uppsala non può che rendere felici tutti i fan del Black Metal più tetro ed oscuro. Atmosfere nere come l’antro di Satana e rosse come il fuoco avernale, sublimano i nostri padiglioni auricolari, immergendoci in un mare di cupo ed arcaico misticismo ebraico. Sì, perché le tematiche affrontate dai Nostri, ruotano pressoché tutte attorno agli aspetti più tetri ed antichi della religione ebraica. Shem ha-Mephorash, d’altro canto, non è altro che il Tetragramma (o Tetragrammaton), ossia la sequenza delle quattro lettere che compongono “il nome impronunciabile di Dio” (YHWH, dall’ebraico, lingua che non prevede in scrittura le vocali; ossia : yod, he, waw, he, anche se la vera pronuncia è nota solo ai rabbini iniziati) e presente nella Cabala, propria dell’esoterismo ebraico. Riferimenti alle forze del male, ossia gli aspetti più impuri di tutto il misticismo della religione rabbinica, pregnano i testi di tutta la loro produzione (questo è il loro quarto full-length che, insieme a due ep e ad uno split con gli statunitensi Ashencult, ne rappresentano tutta la carriera dal 2010 sino ad oggi), e ci vengono “raccontati” egregiamente, grazie ad uno stile molto personale di interpretare il Black Metal. Qui ci potremmo sicuramente accostare ai greci Rotting Christ ed Acherontas o ai polacchi Behemoth, almeno per quanto riguarda, sia l’attitudine alla teatralità e alla maestosità degli ingressi di ogni traccia, che alla conduzione dei momenti musicali, sempre imperiosa, maestosa ma anche tragicamente solenne. Forse però, a differenza delle (super) band citate, nei Mephorash si percepisce in ogni singola nota, una misteriosità antica, remota, che rimanda ad ere così lontane nel tempo, che le memorie non riescono a rimembrare, o che forse, non desiderano farlo, tale è la pregnanza di occulti misteri, arcani enigmi e malvagi ed innominabili segreti.
L’utilizzo pressoché perfetto dei synth, accompagnato da stigi arpeggi e, talvolta, da femminili soavi – ma al contempo dolorosi – vocalizzi, creano attorno ad un Black Metal più “mediterraneo” che “scandinavo”, splendide atmosfere che contribuiscono ad affrescare la tavola, ove i colori più vivaci risultano essere il grigio ed il nero. Ascoltare brani come King of Kings, Lord of Lords, Epitome II: The Amrita of Vile Shapes e la stessa title-track (15 minuti di assoluta delizia musicale), possibilmente con testi alla mano, appagano i nostri più reconditi desideri di sapere e di conoscere, quanto di più occulto e misterioso, l’antica religione, ci può raccontare.
Strutturalmente si parla sempre di Black Metal, intendiamoci, ma arricchito qui da favolosi influssi Death che adornano di scale musicali tutta la loro composizione (come per i citati polacchi), e si accompagnano ad un double scream (quello di Mashkelah M’Ralaa e di N. Tengner) che duetta magicamente, senza mai essere troppo legato ad un genere o all’altro; sempre in bilico, come talvolta accade tra Tolis ed Ace (Rotting Christ) o tra Nergal e Orion (Behemoth), ma qui impostato come vero e proprio matrimonio, ove vige parità di diritti, e non come un semplice fidanzamento tra main e backing vocals.
Ascoltare Shem Ha Mephorash infine, significa rimanere racchiusi nei gusci e negli involucri (dall’ebraico Qliphoth, nella tradizione cabalistica, le forze del male, che nel grimorio “Black Magic Evocation of the Shem ha Mephorash” rappresentano i quattro anti-mondi che si contrappongono ai quattro mondi elementari della Cabala Ebraica, ossia : Atziluth, Beri’ah, Yetzirah e Assiah), di sonorità profondamente antiche, che proiettano l’immaginario dell’ascoltatore più attento e più sensibile, in un reame (musicale) quasi metafisico, qui raccontatoci non dallo Sefer Yetzirah, bensì attraverso sublimi note musicali e dall’immensa complessità delle liriche di cinque ragazzi svedesi!

Tracklist
1. King of Kings, Lord of Lords
2. Chant of Golgotha
3. Epitome I: Bottomless Infinite
4. Sanguinem
5. Epitome II: The Amrita of Vile Shapes
6. Relics of Elohim
7. 777: Third Woe
8. Shem Ha Mephorash

Line-up
Mishbar Bovmeph – Guitars (lead), Vocals (backing), Bass
Ayram Etaumiel – Guitars (rhythm), Bass
Mashkelah M’Ralaa – Vocals
Tephra Brabeion -Drums, Percussion
N. Tengner – Vocals

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