Bioscrape – Psychologram

Se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

Un disco che trasuda groove ed una insana carica hardcore, una pesante incudine che ingloba nella propria musica sfumature industriali, metal moderno ed un impatto core oscuro e devastante.

Questo in sintesi è Psychologram, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Bioscrape, band italiana che costruisce un muro sonoro assolutamente indistruttibile.
Il successore di Exp.01, debutto licenziato nel 2012, conferma l’assoluta caparbietà del gruppo nel confezionare un prodotto estremo che si mantiene su coordinate metalcore, ma non risparmia all’ascoltatore bordate metalliche colme di groove, sfuriate al limite del thrash moderno ed una chiara ispirazione hardcore, racchiuso in un concept che richiama un futuro di distruzione in clima sci-fi.
E’ un’aggressione senza soluzione di continuità, con il growl rabbioso che passa da tonalità profonde care al death, ad urla in hardcore style, le ritmiche sanguinano groove, le chitarre taglienti sono cavi elettrici che balzano tra pozzanghere sporche di acqua putrida, mentre il grigio è il colore del mondo in cui si muove Psychologram.
Tecnicamente ineccepibili e con l’aiuto di Wahoomi Corvi che ha prodotto e mixato l’album ai Realsound Studio di Parma, i Bioscrape creano un album maturo e bilanciato tra i vari generi di cui si nutre, i brani che si mantengono monolitici, hanno in loro varie sfumature che li rende unici e che va dal thrash (Primordial Judge), alle variazioni ritmiche di Aliena, al metallo moderno di Cyber Hope, per non mancare di farci ascoltare elementi riconducibili al progressive death con Echo Silent, piccolo gioiello che risulta il miglior brano del lotto.
L’elemento core è chiaramente quello più distinguibile, ma viene manipolato dal gruppo con ottima conoscenza della materia ed un impatto e compattezza che sono i punti forti dei Bioscrape ed in generale di tutte le band alle prese con il genere.
Psychologram non mancherà di soddisfare i fans del gruppo, ma se amate i suoni metallici moderni e le sonorità core non perdetevi questo lavoro, i Bioscrape hanno armi affilate per farvi male.

TRACKLIST
01 – Primordial Judge
02 – Mechanical Providence
03 – Aliena
04 – Bioscrape
05 – Killer Collision
06 – Cyber Hope
07 – Astro Noise
08 – Echo Silent
09 – Vega Cospiration
10 – Psychologram

LINE-UP
V. – drums
J. – vocals
S. – guitar
P. – bass

BIOSCRAPE – Facebook

Element Of Chaos – A New Dawn

Gli Element Of Chaos meritano l’attenzione di chi non ha paura di attraversare i confini tracciati nella vasta cartina del metal moderno

Fortunatamente il mondo del metal è più vario e colmo di sorprese di quello che molti sostengono, gli amanti della musica dura possono contare per i loro ascolti di una moltitudine di generi e sottogeneri, molte volte ben delineati tra loro, ma spesso come in questo caso amalgamati per formare un quadro di musica fresca e sorprendentemente matura.

Ovviamente anche i romani Element Of Chaos non inventano nulla che non sia già stato scritto a suo tempo, semplicemente con sagacia rielaborano in un unico spartito spunti provenienti da mondi diversi di intendere il metal.
Armati di un’ottima tecnica la band romana scarica dodici bordate di moderno metal dagli spunti progressivi, irrobustendolo con ritmiche dal micidiale groove, una forte base elettronica e l’immancabile impronta deathcore, data non solo dalle ritmiche a tratti marziali, ma dall’uso delle due voci, un robusto growl ed ottime cleans.
Nato ormai quasi dieci anni fa, il sestetto laziale esordì con il primo album autoprodotto tre anni fa dal titolo Utopia; la firma per la label Agoge records e l’aiuto del produttore Gianmarco Bellumori, hanno portato la band a questo A New Dawn, un album che al primo passaggio nel vostro lettore vi sembrerà un labirinto di suoni metallici in cui perdersi, ma pian piano la chiave del sound nascosta tra le fughe di synth, i passaggi atmosferici, la furia del deathcore ed il forte mood progressivo, aprirà la porta che vi condurrà nel mondo degli Element Of Chaos.
La melodia si scontra con l’aggressività, in tutti i vari capitoli che compongono il lavoro, la quiete di questa tempesta di suoni viene rivestita di passaggi progressivi che dimostrano la maturità artistica del combo romano, mentre veniamo travolti dal mood apocalittico di songs come l’opener The Second Dawn Of Hiroshima, Nothing But Death, e la splendida conclusione affidata al tragico intimismo di Sons Of The Atom.
Difficile trovare delle similitudini con altre realtà, la spiegazione più logica rimane confinata ai generi più che ad una band in particolare, anche se la genialità di Devin Townsend per esempio fa capolino più concettualmente che musicalmente.
Gli Element Of Chaos meritano l’attenzione di chi non ha paura di attraversare i confini tracciati nella vasta cartina del metal moderno: difficile fare previsione sulla strada che prenderà il sound del gruppo, per accontentiamoci dall’ottimo lavoro svolto su questo A New Dawn.

TRACKLIST
01. The Second Dawn Of Hiroshima
02. Idiots Lose Control
03. Just A Ride
04. Nothing But Death
05. Mutant Circus Manifesto
06. Coming Home
07. The Harmony Concept
08. Epiphany
09. A New Dawn
10. Sons Of The Atom
11. Epiphany (Paternoise Remix)
12. The Butterfly Effect (Remastered

LINE-UP
Andrea Audino (Dandy) – voce
Danele Spigola (Echo) – chitarra
Bruno Colucci (Vice) – chitarra)
Luca Prata (Ulga) – basso
Daniel Mastrovito (Shag) – tastiere
Claudio Finelli (Wonder Boy) – batteria

ELEMENT OF CHAOS – Facebook

Life’s December – Colder

Un album che nel suo enorme mood estremo destabilizza e sorprende, un esempio di metal moderno che travolge tutte le aspiranti fighette col mascara che ci dobbiamo sorbire sui canali satellitari.

I giovanissimi Life’s December da San Gallo debuttano sotto l’ala della Dark Wings con questo impressionante esempio di deathcore malatissimo e distorto, con molte parti al limite del djent, per un esempio di metallo moderno che definire estremo è un eufemismo.

Il gruppo si distingue per un approccio violentissimo, schizoide e saturo di distorsioni, parti elettroniche ed atmosferiche da brividi, facendo di Colder un monolite pesantissimo di musica estrema.
Growl e scream malati, basso che pulsa tanto da spaccare le membrane dei vostri diffusori, in un clima di terrore che ha nell’inizio della terrificante Snow Falls Silently il suo apice.
Poco più di mezzora nel labirinto di terrificante violenza creato dalla band svizzera, bastano ed avanzano, il clima di tensione non cede un attimo e Colder senza alcun dubbio risulta un lavoro per palati forti.
Ritmiche marziali, chitarre che urlano dolore e voci, che sembrano provenire da una casa per malati mentali, il tutto ricamato a dovere per creare incubi, con atmosfere di raggelante elettronica e voci registrate in preda ad un delirio disturbante.
Gli attimi dove un pacato accordo sembra lasciare un po’ di respiro (My Existence) trovano subito sfogo in un’interpretazione drammatica e tragica del singer Rico Bamert, che si porta nella sue corde vocali tutti i mali ed i disagi del mondo.
La title track esplode come un vulcano in eruzione, talmente pesante la parte cadenzata che, quando la band lascia le redini e parte in quarta la violenza sonora stempera il calore della lava distorta.
Un album che nel suo enorme mood estremo destabilizza e sorprende, un esempio di metal moderno che travolge tutte le aspiranti fighette col mascara che ci dobbiamo sorbire sui canali satellitari.
Se avete un lungo pelo sullo stomaco avvicinatevi pure a questo lavoro, altrimenti usate molta cautela nel maneggiare la materia estrema racchiusa in Colder.

TRACKLIST
1. Final Speech
2. Lest I Forget
3. Memories
4. World Of Blame
5. Interludium
6. Snow Falls Silently
7. My Existence
8. Colder
9. Hero Missing

LINE-UP
Rico Bamert- Vocals
David Mühlethaler- Guitars
Valens Wullschleger- Guitars
Jérémie Gonzalez- Drums
Simon Mäder- Bass

LIFE’S DECEMBER – Facebook

Within Destruction – Void

Void non lascia scampo, la sua ferocia è pari ad un incontro tra i Fear Factory del debutto Soul Of A New Machine ed i Lamb Of God, formando un moderno e devastante atto di pura violenza in musica.

Una tranvata di brutal/death core, riff chirurgici, granitici e freddi come una mazza d’acciaio che si infrange sulla schiena nuda, distruzione senza soluzione di continuità, un’atmosfera da pianeta ridotto ad un cumulo di macerie sotto i colpi inferti dalle macchine, che devastano e massacrano senza pietà in un mondo dove l’umana pietà non esiste più, solo la crudele forza dirompente delle macchine assassine: benvenuti in Void, secondo full length degli sloveni Within Destruction, micidiale gruppo nato a Jesenice nel 2010 e con alle spalle il debutto From the Depths, uscito quattro anni fa.

Il quartetto esplora con la propria musica il lato più estremo del metalcore, confezionando un lavoro improntato su di un metal estremo che si aggira nei meandri del brutal, dell’industrial e del death metal dalle ritmiche marziali.
Moderno e devastante, il sound prodotto dalla band è di quanto più violento si possa suonare nel genere, terrificante nelle sue atmosfere, brutale come una guerra nucleare, potente come un fungo atomico.
Poco più di mezzora calati in una dimensione apocalittica, raccontata dal growl disumano di Rok Rupnik, un terminator fuori controllo, che si fa spazio squartando uomini e distruggendo ogni cosa, una colonna sonora formata da mitragliate chitarristiche industrial core ed esplosioni di ritmiche al limite dell’umano, martellanti, disturbanti e nefaste.
Quando poi il gruppo decide di accelerare, la tempesta atomica raggiunge l’apice e al suolo non rimangono che macerie e cadaveri.
Non c’è un attimo di tregua, la distruzione totale è in atto, Void (la song), Desecration of the Elapsed, A Spiral Rift Towards Damnation e Martyrs (of the Wendigo), si susseguono formando con gli altri brani un muro sonoro mastodontico.
Void non lascia scampo, la sua ferocia è pari ad un incontro tra i Fear Factory del debutto Soul Of A New Machine ed i Lamb Of God, formando un moderno e devastante atto di pura violenza in musica.

TRACKLIST
1. Dark Impairment
2. Void
3. Plague of Immortality
4. Desecration of the Elapsed
5. Rebirth of an Inverted World
6. A Spiral Rift Towards Damnation
7. An Unforeseeable Anomaly
8. The Wrath of Kezziah
9. Martyrs (of the Wendigo)

LINE-UP
Rok Rupnik – vocals
Damir Juretic – guitar
Janez Skumavc – bass
Luka Vezzosi – drums

WITHIN DESTRUCTION – Facebook

Volker – Volker

Violenta sferzata quella inferta dai francesi Volker, band che nei pochi minuti a disposizione in questo ep di debutto immette più idee di quanto facciano miriadi di gruppi in un’intera discografia.

Violenta sferzata quella inferta dai francesi Volker, band che nei pochi minuti a disposizione in questo ep di debutto immette più idee (condite da una non comune intensità ) di quanto facciano miriadi di gruppi in un’intera discografia.

Alla riuscita dell’operazione contribuisce in maniera decisiva una vocalist come Jen Nyx (ex-Noein), capace di variare nell’arco dei diversi brani più registri vocali, trasformandosi a seconda delle circostanze in puttana, acerba adolescente, feroce dominatrice o sensuale sirena: in poche parole, una prestazione a dir poco mostruosa all’insegna di una versatilità raramente riscontrabile.
Oltre all’intro 375-405, in questo breve lavoro omonimo dei Volker troviamo il furioso black/death’n’ roll di Bitch, il dark/blues dalle derive doom della stupefacente Pavor Nocturnus e, per finire, il deathcore melodico di Zombie Heart.
Detto che i degni compari della donzella (corrispondenti a ¾ degli ottimi blacksters Otargos) ci danno dentro come se non ci fosse un domani, fondendo mirabilmente tecnica ed energia, va senz’altro tenuta d’occhio questa bomba (anche sexy nella persona di Jen) pronta in futuro ad esplodere, fortunatamente senza fare vittime ma attirando semmai nuovi adepti.

Tracklist:
1. 375-405
2. Bitch
3. Pavor Nocturnus
4. Zombie Heart

Line-up:
Jen Nyx – vocals
Ulrich W – guitars
Manu P. – bass
John A. – drums

VOLKER – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=rrrIbqb6vSM

An Argency – Through Existence

I già ottimi An Argency hanno naturalmente ancora degli enormi margini di miglioramento, specie se dovessero spostare maggiormente gli equilibri a favore della componente sinfonica rispetto a quella djent-core.

Se c’è qualcosa che mi mette di buon umore è la constatazione che, in ogni parte del mondo, ci sono sempre dei ragazzi che hanno voglia di esprimersi attraverso un veicolo meraviglioso come la musica.

Se poi questa racchiude la rabbia, l’urgenza, la freschezza e, perché no, anche l’ingenuità di un gruppo di imberbi giovanotti di Minsk, beh, tanto meglio.
Gli An Argency ti spiazzano fin dalle foto promozionali: se ascolti il loro disco senza conoscerne le sembianze pensi di imbatterti in rudi e cattivissimi esseri barbuti e capelluti, pronti a sfasciare qualsiasi locale in cui abbiano suonato per vendicarsi della scarsa quantità di birre messe a loro disposizione.
Ma, come ben sappiamo, l’abito non fa il monaco, ed il volto pulito dei nostri è ingannevole quanto mai, infatti Through Existence è una mazzata assestata tra capo e collo dalla quale ci si riprende a fatica: collocabile da qualche parte a cavallo tra Fear Factory e Meshuggah, volendo citare i nomi più noti, senza dimenticare il lato più estremo di band geniali quanto misconosciute come Xanthochroid e Mechina, il sound degli An Argency non fa sconti ed in mezz’ora rielabora e scarica tutto ciò che di spiacevole i ragazzi bielorussi hanno evidentemente già fatto tempo ad assimilare nella loro ancor breve esistenza.
Una durata giusta, anche se apparentemente breve, perché le tracce sono tutte intense quanto “piene” e l’ascolto di sicuro non rivela agevole; si diceva delle poche ingenuità, che possiamo individuare in qualche passaggio leggermente manieristico a base di metalcore tout court o qualcun altro in cui una certa anima djent prende il sopravvento, facendo calare un’intensità che, nella stragrande maggioranza della durata del lavoro, si mantiene a livelli spasmodici, con picchi rinvenibili nel singolo An Empty Shell, nella eccellente Condemned e nella conclusiva Torturer.
Sorpresa tra le più belle degli ultimi tempi, gli An Argency hanno naturalmente ancora degli enormi margini di miglioramento, specie se dovessero spostare maggiormente gli equilibri a favore della componente sinfonica rispetto a quella djent-core.
L’album è reperibile per ora sulle più note piattaforme digitali, ma direi che la band bielorussa è già ampiamente pronta per finire sotto l’egida di qualche label che abbia voglia di puntare ad occhi chiusi su gioventù, freschezza e talento da vendere.

Tracklist:
1.Above The Ashes
2.Torturer
3.An Empty Shell
4.False Recognitions
5.Condemned
6.Sheltered
7.A Place To Rest
8.My Solace
9.The Final Conclusion
10.Torturer

Line-up:
Vitaut Kashkurevich – Guitar
Ilya Miroshnichenko – Vocals
Zhenya Buyak – Guitar
Dmitry Romanenko – Drum
Roman Voronkevich – Bass

AN ARGENCY – Facebook

Aterra – All Born In Pain

Se si volge lo sguardo ad est del vecchio continente, seguendo il lungo corso della musica metallica che, come un fiume attraversa l’Europa da ovest, fino al continente asiatico, si scoprono realtà interessanti, alcune notevoli, in tutte le forme del variegato mondo della musica dura.

Nella sua forma più moderna il metal dai suoni estremi regala ottime realtà, andando a giocarsela con i suoni classici, non manipolata dai trend d’oltreoceano e perciò nella sua forma più pura.
Senza spostarci troppo nelle steppe, ci fermiamo in Polonia, precisamente nella capitale Varsavia dove, intorno al 2012 è iniziata l’avventura di questa giovane band che sperimenta con ottimi risultati, amalgamando il deathcore con soluzioni thrash ed elettroniche.
Gli Aterra questo fanno, ed il risultato è All Born In Pain, un susseguirsi di sorprese, un caleidoscopio di suoni moderni, oscuri e drammatici, una rabbia misurata che la band a tratti trasforma in suggestioni apocalittiche e dark.
La band ha nella coppia Caruso (chitarra e voce) e Aero (sampler) i suoi punti di forza, il primo protagonista con la voce, varia e teatrale che passa con disinvoltura dai toni aggressivi cari al deathcore, ad atmosferiche parti dark, mentre il secondo con i suoi sampler sintetici è la base su cui si fonda il songwriting del gruppo.
Intorno Tiger (chitarra), Bereth (basso) e Rajbak alle pelli completano la line up, formando un combo compatto e quadrato, risultando un muro di suoni estremi e finalmente originali.
Proprio l’originalità della musica prodotta è il quid che alza il livello di All Born In Pain, non il classico deathcore made in U.S.A., ma un marziale e violento death/thrash corrosivo, dove la parte sintetica gli dona un’affascinante ed oscuro mood dark oriented.
Low, la nera perla di questo lavoro, in compagnia della title track, della thrash oriented Paper Kings e della monolitica PW, risultano l’ottimo biglietto da visita per il combo polacco, clamoroso quando riesce ad amalgamare tutti i suoni all’unisono nello stesso brano, devastante quando perde le briglie e si lancia all’inseguimento della fiera che anima la propria musica.
Ministry, Lamb Of God, Killing Joke, Pantera e Prong, mischiate il tutto ed avrete un’idea della musica degli Aterra; All Born In Pain è un lavoro maturo e la band in futuro potrebbe regalare ulteriori perle, specialmente se saprà indirizzare la propria proposta verso lidi ancora più moderni e oscuri.

TRACKLIST
01. Keep to Try
02. Awakening
03. Paper Kings
04. Alert
05. PW
06. Mourning
07. Voices
08. Primeval Lust
09. Low
10. Advent
11. All Born in Pain
12. Beginning
13. Empty Rules
14. Saturation
15. Over my Dead Body

LINE-UP
Caruso – Guitar, Vocals
Tiger – Guitar
Bereth – Bass
Rajbak – Drums
Aero – Sampler

ATERRA – Facebook

Evemaster – III

Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.

Per chi segue con attenzione la floridissima scena metal finlandese questo disco è molto importante, e pieno di grandi nomi.

La nuova etichetta italiana Goatmancer ristampa questo gran disco del 2010. Gli Evemaster sono stati fondati nell’autunno del 1996 da Tomi Mykkanen dei Battlelore e da Jarno Taskula, dalle ceneri dei Mortal God. La musica degli Evemaster è un black death composto molto al di sopra della media dei soliti gruppi, con un’orchestrazione generale davvero notevole. Questo disco, come dice il titolo, è la loro terza prova, e ne segna il percorso, poiché il discorso musicale è portato ben la di là dei consueti canoni del black e del death, come i testi che sono di uno spessore superiore, ed hanno un valore letterario. Tanto per dare una caratura dei personaggi coinvolti il missaggio e la masterizzazione sono stati svolti da Dan Swano, un personaggio che ha sempre firmato cose ottime. III è l’opera fin qui più matura del gruppo e oltre che dare piacere agli ascoltatori del black e del death, darà molte gioie anche a chi apprezza cose più gothic. Questa ristampa precederà il nuovo album del gruppo che dovrebbe vedere la luce nel 2016, e mette sulla mappa la nuova etichetta italiana The Goatmancer che inizia con un’opera notevoel e dalle mille sfaccettature, che lascia soddisfatti ad ascolti ripetuti e continuati.

TRACKLIST
1.Enter
2.New Age Dawns
3.Humanimals
4.Losing Ground
5.The Great Unrest
6.The Sweet Poison
7.Harvester of Souls
8.Fevered Dreams
9.Absolution

LINE-UP
Jarno Taskula – vocals
Tomi Mykkänen – music

EVEMASTER – Facebook

DESCRIZIONE SEO / RIASSUNTO

Manipulation – Ecstasy

Ecstasy è un lavoro compatto e debordante che unisce con ottimi risultati tradizione e modernità

Ecco un album che accomuna spirito classico e death moderno in un concentrato di estrema putrescenza sonora.

Ecstasy è il nuovo lavoro dei polacchi Manipulation, band non di primo pelo, essendo attiva dall’ormai lontano 2001 e con i primi due lavori usciti a distanza di cinque anni: The Future of Immortality primo album licenziato nel 2007, ed il secondo, Passion dato alle stampe tre anni fa.
Il nuovo album uscito per Satanath Records risulta un monolito estremo di inumana violenza, ben bilanciata tra sfuriate di detah metal classico e robuste soluzioni deathcore, per un risultato di indubbia devastazione sonora.
Un mood oscuro, permea tutto l’album, sconvolto da soluzioni tecniche sopra la media e da un songwriting che non perde mai il filo conduttore, che porta ed eleva questa raccolta di songs violente e devastanti, convincendo a più riprese.
Brani che spazzano via tra il growl dall’impronta core di Brużyc, la varia e funzionale sezione ritmica, che passa con disinvoltura da blast beat di scuola classica e tremende e cadenzate bordate core(Bysiek al basso e Kriss alle pelli) con le chitarre che, dalla loro, si aggirano tra la struttura delle songs piene di famelico spirito estremo, torturate da Rado.Slav e Vulture .
Registrato in Polonia nei Monroe Sound Studio, Ecstasy esplode come un’atomica e gli echi di queste dieci bombe sonore si dilatano come il fungo atomico, tanta è la potenza che il gruppo emana.
Una macchina distruttrice, che senza fermarsi travolge, massacra e uccide senza pietà con una forza dirompente, tecnica e malata, lasciando indietro molte delle realtà più blasonate del genere, anche d’oltreoceano terra dove la musica del combo trae le sue ispirazioni.
Album da spararsi tutto d’un fiato per godere della sua immane potenza, tra cui si distinguono spettacolari tracce come l’opener Insomnia, The Paradigm of Existence, Temples of Vanity e la title track posta in chiusura.
Ecstasy risulta così un lavoro compatto e debordante, che unisce con ottimi risultati tradizione e modernità, dategli un ascolto.

TRACKLIST
1. Insomnia
2. Sic Itur ad Astra
3. Lifetime
4. Bad Boy
5. The Paradigm of Existence
6. Sunset over Vatican
7. Temples of Vanity
8. Burn Motherfuckers!
9. Dźwięk upadku
10. Ecstasy

LINE-UP
Rado.Slav – Guitars
Bysiek – Bass
Kriss – Drums
Vulture – Guitars
Brużyc – Vocals

http://www.facebook.com/manipulation.net/

Watch Them Burn – Watch Them Burn

Debutto per i valdostani Watch Them Burn con cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Debutto omonimo autoprodotto per i valdostani degli Watch Them Burn, autori di un lavoro composto da cinque brani di metal moderno, tra richiami al death melodico e al metalcore.

Non male questo mini: la band, attiva da quattro anni, sa come muoversi tra i solchi del genere suonato, cercando di variare la propria proposta con ritmiche cangianti, mai troppo core, riuscendo ad amalgamare perfettamente il death melodico scandinavo, con il genere più in voga ultimamente tra quelli estremi.
Ne escono brani potenti e devastanti e dall’ottimo appeal; ottimo il lavoro delle chitarre, a cura di Corruptor e Mithra che, tra l’impatto prodotto dal gruppo, se ne escono con qualche assolo classico di ottima fattura, e sopra le righe la sezione ritmica (Shinigami al basso e Anubi alle pelli) che asseconda la vena cangiante dei brani, tra le ritmiche sostenute delle tracce più death oriented (bellissima l’opener The Day After) ed il groove potente e cadenzato di quelle più core (Dark Side).
Impreziosito dalla prova sontuosa del vocalist Maniac, vario e perfetto nell’adattare il suo scream ad ogni situazione musicale creata (finalmente un gruppo che non usa la voce pulita) mantenendo una tensione che si alza ad ogni brano, Watch Them Burn risulta un’opera prima riuscita ed in più parti avvincente.
Soul-R, la modernissima e marziale My Country e la conclusiva Afterlife, dove il gruppo valdostano torna alle sonorità death dell’opener, completano un album che si rivela, così, un buon ascolto sia per il fans del death metal melodico, sia per quelli più orientati a sonorità in linea con i gusti del momento: la band ha diverse strade da far percorrere alla propria musica, vedremo in futuro quale sarà l’indirizzo preso, magari con un lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist:
1.The Day After
2.Soul R
3.My Country
4.Dark Side
5.Afterlife

Line-up:
Maniac – vocals
Corruptor – Guitar
Mithra – Guitar
Shinigami – Bass
Anubi – Drum

WATCH THEM BURN – Facebook

Bleed Someone Dry – Subjects

Riedizione a cura delle WormHoleDeath di questo buon lavoro dei Bleed Someone Dry.

La WormHoleDeath si assicura le prestazioni di questi cinque musicisti di Pistoia e ristampa il loro secondo full-length dal titolo Subjects uscito nel 2012 per l’etichetta veronese Kreative Klan.

Subjects e’ un lavoro di difficile catalogazione, la band parte da un concept che denuncia la totale assuefazione del genere umano alla schiavitù morale e sociale imposta dalla società odierna, che di fatto va a scapito per una più redditizia globalizzazione di massa. A livello musicale i Bleed Someone Dry usano la materia “core” con qualche riferimento al death, anche se non così pronunciato come in molte realtà di genere, con un uso dell’elettronica che molte volte si alterna ai tipici cambi di tempo ritmici ed il ricorso ad una voce che risulta uno scream sguaiato ma dal buon impatto. Questo album è caratterizzato da un sound pieno, un vero muro sonoro che travolge tra ritmiche potenti, strutture complesse ma che non inficiano la scorrevolezza dei brani, lasciando che la musica avvolga l’ascoltatore senza grossi cali di tensione, tra riffoni ultraheavy, partiture elettroniche ed evoluzioni tecniche mai troppo forzate. La title track, Corrosive Whisperer, The law is not equal for all, sono le canzoni dove a mio parere il sound della band risulta più enfatizzato. Un buon lavoro, dunque, consigliato agli amanti del death più moderno e a coloro che non disdegnano band più note come Meshuggah, Converge e Dillinger Escape Plan.

Tracklist:
1. Bleed
2. As Broken Shards
3. Subjects
4. Corrosive Whisper
5. Wide Open Jaws
6. Jab of Hatred
7. By My Horny Hands
8. The Law Is Not Equal for All
9. ‘Till the End
10. It’s a secret

Line-up: Jonathan Mazzeo – Guitars, Synths
Mattia Baldanzi – Bass
Alfeo Ginetti – Drums
Alessio Bruni – Vocals

Straight On Target – Pharmakos

Deathcore monolitico e privo di compromessi per gli Straight On Target; diritti all’obiettivo, come vuole il monicker prescelto, i nostri abbattono sull’ascoltatore la loro furia iconoclasta, fatta di riff chirurgici, di una base ritmica metronomica e di un growl efficace.

Sporadiche ma appropriate aperture melodiche, poche variazioni sul tema ma un groove complessivo sufficiente per consentire a un disco come questo di risultare abbastanza digeribile nonostante la sua compattezza di fondo.
Nulla che non si sia mai sentito, certo, ma la convinzione e la grinta che traspaiono da ogni nota dei nostri riescono ampiamente a compensare la relativa originalità di Pharmakos; brani killer come Ostrakon e Demonized spiccano sul resto del lotto, ma la tranvata inferta dai cinque piacentini va assorbita in blocco affinchè ottenga effetti ancor più devastanti; solo la traccia di chiusura Palm Leaves Readers, con i suoi rallentamenti e gli effetti piazzati nel finale, si discosta parzialmente dal canovaccio seguito nel resto del disco.
In ogni caso, ascolto vivamente consigliato con volume a 11 nelle giornate no: sapere che in giro ci può essere in quel momento qualcuno molto più incazzato di voi avrà sicuramente un effetto catartico …

Tracklist :
1. Theta
2. Ostrakon
3. Demonized
4. Wake The Apathetic
5. Dreadful Eyes
6. Initiation
7. He Spreads Hypocrisy
8. Synesthesia
9. Palm Leaves Readers

Line-up :
Andrea Scaglia – Voice
Federico Buzzetti – Drums
Giulio Castruccio – Guitar
Daniele Molinari – Guitar
Nicolò Rossi – Bass

STRAIGHT ON TARGET – pagina Facebook

Book Of Job – Hamartia

Un album che brilla per la sua compattezza e che merita l’attenzione anche di chi è meno avvezzo a queste sonorità.

Uno degli errori peggiori da commettere, parlando di questo esordio dei Book Of Job, potrebbe essere quello di accomunarli all’informe e inflazionato carrozzone del metalcore senza arte né parte che ormai da troppo tempo deturpa i nostri poveri padiglioni auricolari.

Nella proposta della band di Leeds c’è molto di più della scontata alternanza tra mielosi momenti melodici e passaggi violenti intrisi di una rabbia autentica come una banconota da 8 euro … : i Book Of Job fin dalla prima nota offrono la sensazione d’essere “veri” e fanno capire chiaramente che la loro urgenza espressiva è realmente frutto dell’ispirazione che li anima piuttosto che figlia di un progetto costruito a tavolino.
Lo screaming a tratti ossessivo di Kaya non smarrisce mai, salvo ben centellinate parentesi “clean”, il proprio rabbioso impeto, mentre i suoi degni compari continuano instancabili nel tessere trame, ora cruente ora più melodiche, sempre accomunate da un tiro pazzesco e da quella spontaneità che in un contesto musicale così diretto fa inevitabilmente la differenza.
3 Hours, Father Cult, Feeding The Universe sono i picchi qualitativi di un album che brilla per la sua compattezza e che merita l’attenzione anche di chi è meno avvezzo a queste sonorità.
Il fatto che anche un magazine autorevole (per quanto sempre da prendere con le pinze quando tratta band inglesi) come Kerrang! abbia dato ampio risalto ai Book Of Job, rende ulteriore merito all’intuizione della Wormholedeath, capace di accaparrarsi i servizi di questa realtà musicale dall’enorme potenziale, probabilmente ancora solo in parte espresso con un album pur ottimo come Hamartia.

Track list :
1. Hamartia
2. 3 Hours
3. Of Libra and Scorpio
4, Pursuing the Cosmos
5, Lost in Utopia
6. Father Cult
7. Madness is Murder
8. Feeding The Universe
9. Anagnorisis

Line-up :
Kaya Tarsus – Vocals
Mike Liburd – Guitar
Luke Nelson – Drums

BOOK OF JOB – Facebook

Vlgw

The Way Of Purity – Equate

Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata.

Come si può facilmente intuire da queste note presenti all’interno del booklet, i The Way Of Purity non fanno nulla per essere ammiccanti o tranquillizzanti:
Sole, Fuoco, Vento, Acqua, Terra, Demoni, Natura, Fasi Lunari, Anime dei Primi Umani e Malattie si uniranno per riequilibrare il mondo con un unico scopo: Animali e Natura governeranno nuovamente il pianeta con la loro integrità, la razza umana sarà brutalmente sterminata, le menzogne antropocentriche avranno fine e gli umani vedranno la terrificante immagine dell’orrore che hanno inflitto agli animali per anni.
L’umanità è malata, contaminata dal peggior morbo chiamato Specismo

Abbigliati come gli attivisti dell’Animal Liberation Front (del quale in pratica sono il braccio musicale) , i componenti della band predicano e auspicano la rivincita degli animali e della natura sugli uomini fino al definitivo annientamento di questi ultimi e neppure l’ingresso in formazione di una splendida ragazza come Tiril Skaardal (unica a volto scoperto) ne migliorerà più di tanto l’appeal sul pubblico, dato che appena l’angelica creatura inizierà a vomitare il suo impressionante growl, ogni possibile intento rassicurante verrà vanificato.
Gli animali quindi sono privi di ragione e di coscienza e non provano dolore; anche quando sembrano manifestare sofferenza, in realtà reagiscono meccanicamente ad una stimolazione materiale come quando toccando una molla dell’orologio le sue lancette si muovono” : questa teoria di Cartesio ha dato il via libera a quattro secoli di sevizie di ogni genere perpetrate a danno degli animali in nome di una pseudo-ricerca scientifica e i nostri gli “dedicano”, non a caso, il brano più violento del disco, recante un titolo eloquente come Eternal Damnation to Renè Descartes.
Chiaramente tutto ciò che sta dietro i The Way Of Purity, l’estremismo ideologico, un ideale religioso che identifica Dio con una natura pronta alla rivalsa sull’umanità che la violenta, la provocazione attraverso immagini crude come quelle che li ha visti protagonisti nel cortometraggio diretto da Susy Medusa Gottardi, non riesce certo a farli passare inosservati suscitando, come sempre avviene in questi casi, sentimenti contrastanti da parte del pubblico e della critica.
Noi non siamo la band che loro vorrebbero che fossimo, non siamo puliti e belli come tutti i musicisti là fuori: lo abbiamo detto sin dall’inizio. Stiamo solo lavorando per distruggere la malattia peggiore dell’umanità, che si chiama specismo, che riteniamo pari al nazismo”.
Ovviamente, chi ama gli animali e la musica metal, non può che schierarsi istintivamente dalla parte della band, sia se si ritiene che lo sterminio indiscriminato di migliaia di esseri viventi sia un crimine a tutti gli effetti perpetrato dalla specie che si è arrogata il diritto di monopolizzare e, probabilmente, di distruggere il pianeta, sia perché l’impatto della proposta musicale non può e non deve essere ignorato.
Qui troviamo un deathcore/black che spesso lascia spazio a interi brani dal sapore gothic, in un’alternanza di stili che, come per il loro modo d’essere, espone i The Way Of Purity, a critiche provenienti da schieramenti opposti tra loro, risultando inevitabilmente troppo violenti per chi si nutre del metalcore più zuccheroso e troppo morbidi per i deathsters/blacksters più intransigenti .
Eppure proprio nell’apparente schizofrenia della loro proposta risiede il vero valore aggiunto, quando per esempio, nell’opener Artwork Of Nature, tra le vocals efferate di Tiril e un blast beat furioso si fa largo una splendida melodia di tastiera, oppure quando nella track-list, tra due autentiche mazzate deathcore come Death Abound Everywhere e la già citata Eternal Damnation to René Descartes viene piazzata Eleven, traccia degna dei migliori Lacuna Coil (grazie anche all’ottima performance vocale di Giulia dei nostri Ravenscry). Il lavoro chitarristico in Keep Dreaming è da urlo e in For All Who Trieved Unheard la singer norvegese mostra prima il suo lato angelico per poi ritornare nelle sue consuete vesti di alter ego di Angela Gossow.
Anche The Last Darkest Night potrebbe apparire un innocuo e orecchiabile brano gothic-pop se non fosse letteralmente brutalizzato nella sua parte centrale, mentre A Time To Be Small, splendida cover del brano degli Interpol, pur mantenendosi abbastanza allineata alla melodia originale, viene ugualmente screziato da parti in growl.
Lijty Cristy chiude in maniera piuttosto cruda, così com’era iniziato, un album dai molti contenuti compressi nei suoi trentasette minuti scarsi.
Lungi dall’essere un semplice fenomeno da baraccone, i The Way Of Purity difficilmente raggiungeranno il grande pubblico a causa di una proposta ideologicamente troppo estrema e tutt’altro che di facciata; questo è un vero peccato perché l’aspetto che come recensori ci deve interessare maggiormente, cioè quello musicale, è di primissimo piano risultando di gran lunga superiore a band molto più reclamizzate ma dall’impatto visivo e ideologico rassicurante.
You wear my skin as a monument of wealth”.

Tracklist :
1. Artwork Of Nature
2. Death Abound Everywhere
3. Eleven
4. Eternal Damnation To René Descartes
5. Keep Dreaming
6. For All Who Thrive Unheard
7. The Mighty Fall
8. The Last Darkest Night
9. A Time To Be So Small
10. Lijti Crjsty

Line-up :
Tiril Skardal – Vocals
Without Name – Bass
Jeffrey – Guitar
Wod – Drums
Deathwish – Guitar, Keyboards

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