Demonical – Chaos Manifesto

Riff inossidabili, ritmiche forsennate, accenni melodici in solos che sono l’abc dello swedish death, colmano un gap temporale di quasi trent’anni, tornando a far risplendere nomi storici del metal estremo mondiale come Dismember, Entombed ed Unleashed.

I Demonical sono tornati con il loro death metal scandinavo che risulta una tempesta old school senza soluzione di continuità.

La band formata da ex Centinex rinnova il suo appuntamento con gli amanti del genere e si ripresenta con questo devastante e cattivo Chaos Manifesto, una furia metallica che non lascia speranze di trovare superstiti dopo il suo passaggio.
L’album è stato registrato, mixato e masterizzato da Karl Daniel Lidén (Terra Tenebrosa, Cult of Luna, Katatonia) e il suono esce potente e cristallino, le veloci cavalcate ritmiche si alternano a granitici mid tempo per quaranta minuti, sconquassate da uno dei migliori esempi di swedish death che si possa ascoltare in giro.
La band è tornata un quintetto, con il vocalist Alexander Högbom che prende il posto dietro al microfono che fu di Sverker “Widda” Widgren, e Chaos Manifesto può così far grondare sangue innocente dal lettore di ogni fan della frangia scandinava del death.
Riff inossidabili, ritmiche forsennate, accenni melodici in solos che sono l’abc dello swedish death, colmano un gap temporale di quasi trent’anni, tornando a far risplendere nomi storici del metal estremo mondiale come Dismember, Entombed ed Unleashed.
Non esiste un minuto di quest’opera che non sia perfettamente ed assolutamente legato alla tradizione, quindi aspettatevi di essere travolti da brani come A Void Most Obscure, trascinandovi negli abissi infernali che si aprono come voragini al passaggio del tellurico sound di cui sono portatrici altre spettacolari tracce come il singolo Towards Greater GodsVälkommen Undergång e From Nothing, altro pezzo da novanta di Chaos Manifesto.
Un album bellissimo, estremo ed oscuro come vuole il genere, con i Demonical a regalare l’opera più riuscita della loro carriera agli amanti di queste storiche sonorità.

Tracklist
1.A Void Most Obscure
2.Towards Greater Gods
3.Sung to Possess
4.Välkommen Undergång
5.Torture Parade
6.From Nothing
7.Unfold Thy Darkness
8.Death Unfaithful
9.Nightbringer

Line-up
Alexander Högbom – Vocals
Martin Schulman – Bass
Johan Haglund – Guitars
Eki Kumpulainen – Guitars
Kennet Englund – Drums

DEMONICAL – Facebook

Bestialord – Law of the BurningBestialord – Law of the Burning

Il problema di un album simile, scritto ed interpretato con buona competenza, è quello di non riuscire a colpire come dovrebbe, tanto che in certi frangenti viene persino il dubbio che il lettore si sia incantato sullo stesso brano.

Bestialord è il nome scelto da questi musicisti del Kansas per dar vita ad una nuova band dedita a sonorità a cavallo tra il death ed il doom.

Law of the Burning è un album che non riserva particolari sorprese, nel senso che la proposta è decisamente lineare per quanto non priva di una sua efficacia, anche se alla lunga lo schema compositivo tende ad essere un po’ ripetitivo.
Più death (e un po’ di thrash) che doom, comunque, è quello che troviamo in Law of the Burning, con i dettami della scuola floridiana che vengono talvolta rallentati, ma sempre in maniera non troppo accentuata; restano quindi apprezzabili i lavori del basso, sempre ben in evidenza, e della chitarra solista, al contrario non convince del tutto il suono troppo secco della batteria, mentre la voce appare adeguata anche se leggermente monocorde.
In fondo il problema di un album simile, scritto ed interpretato con buona competenza, è quello di non riuscire a colpire come dovrebbe, tanto che in certi frangenti viene persino il dubbio che il lettore si sia incantato sullo stesso brano.
Peccato, perché l’opener The Doom That Came è una traccia che fa scapocciare non poco, facendo presupporre uno sviluppo ben più eccitante di quello chi si rivelerà, in seguito, un album piacevole ma sul quale difficilmente ci si soffermerà troppo a lungo, a meno che il tipo di sound descritto non sia il proprio pane quotidiano.

Tracklist:
1. The Doom That Came
2. Vermin
3. All Fall Down
4. Law of the Burning
5. Marduk Kurios
6. I Am Pain
7. Loathed Be Thy Name
8. Above the Vaulted Sky
9. What Is the End

Line-up:
Chris Johnson – Drums
Mark Anderson – Guitars, Vocals
Rob Harris – Bass

BESTIALORD – Facebook

Eye Of The Destroyer – Starved And Hanging

Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

E’ giunto anche per l’ep Starved and Hanging degli americani Eye Of The Destroyer il momento dell’uscita su supporto fisico in queste prime battute del nuovo anno.

Il gruppo proveniente dal New Jersey, nato nel 2013, ha un solo full length all’attivo (Methods Of Murder) ed un buon numero di ep di cui questo è l’ultimo arrivato: la band suona death metal, contaminato da furiose parti hardcore e grind, quindi una proposta musicale assolutamente estrema e senza compromessi.
Il mini cd in questione è composto da quattro tracce per soli dieci minuti di macello sonoro che si rifà alla scena d’oltreoceano, con echi di Dying Fetus e Cannibal Corpse che si ritrovano in un concept che unisce tradizione metal e frustate core per una pesantissima e quanto mai devastante proposta.
La durata del lavoro aiuta non poco l’ascolto, anche se la natura underground e violentissima del prodotto risulta materia solo per chi di questi suoni si nutre abitualmente.
Quattro brani, quattro pallottole death/grind/hardcore sparate ad altezza d’uomo da questa macchina da guerra estrema per la quale la parola d’ordine è fare male, senza pietà.

Tracklist
1.Obsessed with Death
2.Crushed Between Earth and Bone
3.Starved and Hanging
4.Mandatory Bludgeoning

Line-up
Joe Randazza – Drums
Chris Halpin – Guitars
Christopher Vlosky – Vocals
Dan Kaufman – Bass

EYE OF THE DESTROYER – Facebook

Xenosis – Devour and Birth

Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Band dall’alto tasso tecnico, ma che mantiene al suo interno un buon bilanciamento tra l’anima progressiva e quella più tradizionalmente death metal: tornano gli statunitensi Xenosis, gruppo che, in regime di autoproduzione dà vita al terzo lavoro sulla lunga distanza, questo riuscito esempio di technical death metal album dal titolo Devour And Birth.

L’opera si presenta in tutta la sua estrema natura e ricamata da sfumature e digressioni progressive di ottima fattura, mantenendo una buona forma canzone che permette all’ascoltatore di seguire le evoluzioni strumentali senza perdere il filo di un discorso musicale lungi dall’essere noioso o troppo cervellotico.
L’opener Night Hag ci presenta un gruppo perfettamente in grado di viaggiare a ritmi considerevoli nel variegato e pericoloso mondo del death metal ultra tecnico, anche per merito di una sagacia nella scrittura che lascia spazio a parti melodiche o più dirette, mentre le mere sezioni dedicate alla tecnica sono dosate e sistemate al posto giusto nel momento giusto.
Un growl brutale accentua la vena estrema e mette in risalto la parte old school del sound dei nostri che, con audaci e devastanti brani come Concave, Ominous Opus e la title track, convincono anche l’ascoltatore più intransigente ed amante di nomi altisonanti del metal estremo come Death, Atheist e Obituary.
Devour And Birth è un album molto interessante, progressivo e piacevole nell’ascolto anche per chi non stravede per la tecnica fine a se stessa e questo a mio parere è il complimento più bello che si possa fare alla band.

Tracklist
1. Night Hag
2. Army of Darkness
3. Delirium (Death of a God)
4. Concave
5. Oxidation
6. Ominous Opus
7. Devour and Birth
8. The Projector

Line-up
Sal Bova – Vocals
Kenny Bullard – Guitar
Mark Lyon – Guitar
Dave Legenhausen – Bass
Gary Marotta – Drums

XENOSIS – Facebook

Strike Avenue – Human Golgotha

Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Dimenticatevi le solite nenie metalcore in voga negli ultimi anni e concentratevi, invece, sulla forza bruta che il death metal moderno riesce a sprigionare quando è suonato come se non ci fosse un domani.

Oltre che un domani gli Strike Avenue hanno pure un passato, con il 2018 che porta gli anni di attività della band in doppia cifra ed un quarto album che letteralmente deflagra dalle vostre casse in un mastodontico e disumano urlo estremo.
Che il gruppo avesse dalla sua l’esperienza per non fallire era sicuramente dimostrato dalla discografia di cui può vantarsi, con tre album alle spalle e diversi ep e singoli, non poco di questi tempi se non si è assolutamente sul pezzo.
La collina più famosa in ambito religioso è ben in mostra sulla copertina di questo Human Golgotha, album autoprodotto che tratta delle umane sofferenze attraverso un sound oscuro, estremo e pesantissimo.
La band calabrese è una forza della natura, il suo death metal moderno è un mostro che fagocita death metal classico e deathcore e lo espelle trasformato in un devastante ibrido color porpora.
Le ferite del Cristo sanguinano, il mondo intorno si colora di rosso e l’intro In Nomine Patris ha già lasciato posto alla rabbia che si trasforma in scudisciate di metal estremo violentissimo nella title track.
Il growl è un urlo animalesco con cui Phil racconta di un’ umanità in coma irreversibile, disfatta da sofferenze e malvagità, le ritmiche passano con disinvoltura dai classici tempi del core ad accelerazioni improvvise e devastanti (The Despised Lion); le melodie non mancano, e all’ombra di questa catastrofe sonora si fanno spazio, prima timide, poi presenti tra le trame di Dark Genesis e Cranium.
Brani al limite del brutal, feroci e coinvolgenti, lasciano spazio a riff intriganti e melodici aprendo una breccia nei cuori di chi ama il melodic death (Devourer Of Worlds), per poi tornare ad bombardamento senza soluzione di continuità,  punto di forza di un lavoro che rimane assolutamente estremo e brutale per tutta la sua durata.
Human Golgotha torna a far parlare in modo estremamente positivo del death metal moderno, oltretutto per merito di una band italiana.

Tracklist
1. In Nomine Patris
2. Human Golgotha
3. The Despised Lion
4. The Gates Of Hell
5. Dark Genesis
6. Cranium
7. Devourer Of Worlds
8. Sublimating The Black Mountain
9. Adamantius
10. Quietem

Line-up
Phil – Vocals
John Hunter – Guitars
Beengo – Guitars
Grim – Drums

STRIKE AVENUE – Facebook

Shambles – Primitive Death Trance

Primitive Death Trance è un nuovo esempio della proposta malsana e senza compromessi dei thailandesi Shambles.

Nel 2016 ci eravamo uniti al corteo funebre che tra le strade thailandesi lasciava un putrido odore di marcio e di morte.

Il suono, che accompagnava il lento incedere verso l’abisso dominato da oscuri demoni torturatori, proveniva dal primo full length degli Shambles (Realm of Darkness Shrine), storici deathsters attivi addirittura dal 1998, anche se con una pausa temporale di dieci anni tra il 2003 ed il 2014.
Il gruppo torna a distanza di un anno con questo nuovo ep, Primitive Death Trance, venticinque minuti di death/doom/grind che equivale ad una morte lenta e dolorosissima, una decomposizione del corpo che lascia l’anima in balia delle maligne forze del male.
Gli Shambles non spostano di una virgola l’atmosfera creata con l’album precedente e, come se questo Primitive Death Trance fosse una sua appendice, continuano a marciare inesorabili verso la perdizione con quattro marcissimi brani nei quali l’odore acre e putrido cancella ogni velleità di bene, lasciando a poche ma intense accelerazioni dalle sfumature grind/death il compito di lavare con i fluidi corporali l’altare eretto per il maligno.
La lenta cattiveria di Daemon, l’atmosfera oscura che varia ritmo della massiccia Dismal Pantheons, il caos infernale di Illusion Of The Void ed il tragico finale della title track, pregna tra le sue note di spunti psichedelici, fanno di Primitive Death Trance un altro esempio di quanto malsana e senza compromessi risulti la proposta di questi cinque demoni thailandesi.

Tracklist
1.Daemon
2.Dismal Pantheons
3.Illusion of the Void
4.Primitive Death Trance

Line-up
Chainarong Meeprasert – Bass, Vocals
Thinnarat Poungmanee – Drums
Issara Panyang – Guitars
Thotsaphon Ayusuk – Guitars
Kairudin – Bass

SHAMBLES – Facebook

Crescent – The Order Of Amenti

Una continua e crescente tensione viene portata al massimo da brani pieni di malvagità, tutti medio lunghi ed elaborati quel tanto che basta per farne otto dimostrazioni di pura malvagità fatta musica.

Non é sicuramente il primo album estremo che come tematiche si concentra sulle atmosfere misteriose ed oscure dell’antico Egitto, ma dalla sua questo mastodontico e devastante album ha nell’origine dei suoi creatori quel di più che lo rende ancora più affascinante.

Infatti proprio dai vicoli più nascosti del Cairo nascono i Crescent, notevole creatura estrema che picchia forte il pugno sul tavolo della scena underground mondiale con The Order Of Amenti.
Persi così nell’inferno egiziano veniamo travolti dal blackened death metal del quartetto, a tratti supportato da sinfonie oscure che rendono ancora più soffocante il sound che raccoglie in sé una serie di riff che richiamano la tradizione locale, in un turbinio di musica estrema che arriva improvvisa come una tempesta di sabbia nel deserto.
L’album è una discesa terrorizzante nel profondo degli inferi, dove statue di divinità avvolte tra le spire di rettili letali, sono di guardia ai segreti di una civiltà che ancora difende, tra leggende e verità, la sua misteriosa esistenza.
I Crescent ci vanno giù pesante, seguendo la strada già tracciata con il primo album (Pyramid Slaves) e portando male in musica come e meglio di tanti act più famosi.
Una continua e crescente tensione viene portata al massimo da brani pieni di malvagità, tutti medio lunghi ed elaborati quel tanto che basta per farne otto dimostrazioni di pura malvagità fatta musica.
Stupende si rivelano Obscuring The Light, Beyond The Path Of Amenti e la conclusiva In The Name Of Osiris, che vi trascineranno in un clima maligno, valorizzato da un metal estremo che avvicina le proposte di Nile e Behemoth e le ingloba in un sound che tocca vette di rabbrividente atmosfericità: un’opera oscura da far vostra senza riserve.

Tracklist
1.Reciting Spells to Mutilate Apophis
2.Sons of Monthu
3.Obscuring the Light
4.Through the Scars of Horus
5.The Will of Amon-Ra
6.Beyond the Path of Amenti
7.The Twelfth Gate
8.In the Name of Osiris

Line-up
Moanis Salem – Bass
Amr Mokhtar – Drums
Ismaeel Attallah – Guitars, Vocals
Youssef Saleh – Guitars

CRESCENT – Facebook

Nadir – The Sixth Extinction

The Sixth Extinction si rivela opera di una band di sicuro spessore, composta da musicisti che hanno sempre sotto controllo lo sviluppo del sound, spesso sufficientemente accattivante e melodicamente mai scontato.

Nonostante si tratti di una band attiva da oltre un decennio, e addirittura dal secolo scorso se consideriamo la sua precedente incarnazione denominata Dark Souls, gli ungheresi Nadir credo proprio che siano degli emeriti sconosciuti dalle nostre parti.

Forse la loro particolare forma di death doom contaminato da pulsioni sludge e metalcore non rappresenterà qualcosa di epocale, ma non merita certamente d’essere del tutto ignorato.
Infatti, The Sixth Extinction, che è il settimo full length uscito con l’attuale monicker, si rivela fin da subito l’opera di una band di sicuro spessore, composta da musicisti che hanno sempre sotto controllo lo sviluppo del sound, spesso sufficientemente accattivante e melodicamente mai scontato, come dimostra per esempio una traccia magistrale come Fragmented, capace di segnare in maniera importante la prima parte del lavoro.
Dico questo perché, subito dopo la massiccia Mountains Mourn, prende vita la trilogia Ice Age in the Immediate Future (ispirata dal dramma The Tragedy of Man, composto dallo scrittore magiaro Imre Madach a metà dell’800) che sposta le coordinate del sound verso un qualcosa di più elaborato, anche se l’impronta catchy del sound dei Nadir non viene mai meno, con addirittura la terza parte, A Matter of Survival, che assume ritmi decisamente incalzanti prima di piombare poco dopo metà brano in un rallentato e distorto incedere.
Il bellissimo strumentale Les Ruines, infine, esibisce in modo esplicito le qualità compositive di questa ottima band, che mette in scena una traccia conclusiva solenne ed evocativa allo stesso tempo, grazie ad una splendida melodia chitarristica che stempera in più parti il rumorismo sui cui si appoggia un recitato in lingua francese.
Considerando anche che The Sixth Extinction, un lavoro ricco di intuizioni che non risultano troppo diluite all’interno di una durata di poco superiore alla mezz’ora, è collegato concettualmente al suo predecessore Ventum Iam ad Finem Est, potrebbe valere la pena di approfondire la conoscenza con questa band foriera di un’interpretazione del death doom sicuramente non banale.

Tracklist:
1. The Human Predator
2. The Debris Archipelago
3. Fragmented
4. Along Came Disruption
5. Mountains Mourn
6. Ice Age in the Immediate Future: I. Arctic
7. Ice Age in the Immediate Future: II. To Leave It All Behind
8. Ice Age in the Immediate Future: III. A Matter of Survival
9. Les Ruines

Line-up:
Viktor Tauszik – Vocals
Norbert Czetvitz – Guitars
Hugó Köves – Guitars
Ferenc Gál – Bass
Szabolcs Fekete – Drums

NADIR – Facebook

Oracle – Into The Unknown

Secondo album e bersaglio centrato per gli Oracle, anche perché non si accontentano di tributare il death, ma lo valorizzano con ripartenze al limite del black e mid tempo dal piglio moderno e più in linea con la tradizione statunitense.

Iniziamo col dire, a scanso di equivoci, che questo lavoro è un bellissimo esempio di death metal melodico, duro, estremo ed attraversato da una oscura vena melodica che ormai si fatica ad ascoltare di questi tempi.

Ne sono autori gli Oracle, band proveniente dall’Alabama, terra distante dalla patria di queste sonorità, eppure in questo Into The Unknown si respira l’aria intimista dei migliori act scandinavi che del genere sono inventori e maestri.
Secondo album per loro e bersaglio centrato, quindi, anche perché non si accontentano di tributare il death, ma lo valorizzano con ripartenze al limite del black e mid tempo dal piglio moderno e più in linea con la tradizione statunitense.
Ne esce un album interessante e, se non originale in assoluto, almeno personale e nobilitato da splendide melodie oscure e drammatiche: classico lavoro arrivato troppo tardi per finire sulla playlist di fine anno (è uscito infatti nel 2017),  Into The Unknown si compone di dodici brani per un’ora scarsa di metal estremo, potente, melodico e progressivo, suonato e prodotto a meraviglia, anche se in regime di autoproduzione.
Il quartetto non impiega poi molto ad inchiodare l’ascoltatore al muro con una serie di tracce che non scendono sotto la soglia dell’eccellenza, una serie di emozionanti passaggi tra death metal, black e progressive che si passano il testimone lasciando senza fiato per intensità e songwriting.
Livello tecnico sopra le righe al servizio di brani che, fin dall’opener Caressed By The Hands Of Fate è un susseguirsi di saliscendi che ricordano i Dark Tranquillity e gli Opeth, per poi tornare in America ed avvicinarsi ai Lamb Of God.
Drafted, Why e poi tutte le altre perle di questo album vi porteranno nell’universo degli Oracle per poi cancellare la strada del ritorno e lasciarvi a vagare nel buio profondo alla ricerca di una via per poter tornare.

Tracklist
1.Caressed by the Hands of Fate
2.The Liquid Answer
3.Into the Unknown
4.From Blue to Black
5.1012
6.One by One
7.Drafted
8.Behind Closed Eyes
9.Why
10.A Breathless October
11.Becoming Nemesis
12.As the Worm Turns

Line-up
Ray Ozinga – Bass
BG Watson – Drums
Trey Ozinga – Guitars
Jason Long – Vocals

ORACLE – Facebook

Lihhamon – Doctrine

Utile riedizione in vinile dell’esordio su lunga distanza dei tedeschi Lihhamon.

Se a qualcuno non fosse chiaro il concetto di metal estremo direi che questo album d’esordio dei Lihhamon dovrebbe risultare piuttosto esaustivo.

Il trio di Lipsia ha seguito un trafila inversa rispetto al solito, partendo subito con un full length, appunto Doctrine nel 2016) facendolo seguire da un demo e da uno split con i concittadini II; l’album è stato poi riedito in vinile dalla Nuclear War Now!, essendo stato sicuramente rinvenuto dalla label statunitense qualcosa di rispondente alla propria ragione sociale nel sound ivi contenuto.
Quello dei Lihhamon è un brutal death black che non lascia alcuno scampo se non nei quattro frammenti ambient/strumentali che accompagnano la altre sei impietose tracce, per lo più impostate su ritmiche parossistiche ma inframmezzate da rari quanto efficaci rallentamenti: nulla di inedito, questo è evidente, ma la proposta convince abbastanza perché si percepisce un’urgenza espressiva che fa intuire come nell’ex Germania Est post riunificazione ci sia ancora diversa rabbia da smaltire, e la maniera scelta dalla band è senz’altro ideale e soprattutto indolore (salvo che per le orecchie più delicate)
Death Or Torment è l’ultima mitragliata offerta dal disco ed è un dilemma al quale è meglio non trovarsi a dover dare risposta, ma nel dubbio una soluzione ce la forniscono i Lihhamon, radendo tutto al suolo senza troppe remore o scrupoli di sorta.

Tracklist:
Side A
1. Decimation
2. Genocide Crusade
3. Throne of Eradication
4. Splendour
5. Hostes
Side B
6. Ironsides
7. Coronation
8. Cadaver Synod
9. Death or Torment
10. Triumph

Line-up:
A. Drums, Vocals
M. Guitars, Vocals
F. Bass, Vocals

LIHHAMON – Facebook

Throaat – Reflections in Darkness

Reflections in Darkness si rivela una sorta di bignamino del metal estremo, redatto con buona cura e indubbia competenza tanto da lasciare solo impressioni positive, per quanto su tratti di un’opera che ben difficilmente verrà ricordata bei secoli dei secoli .

Reflections in Darkness è l’esordio su lunga distanza dei Throaat, band statunitense attiva da qualche anno e messasi in mostra fino ad oggi tramite una manciata di ep e split album.

I nostri rappresentano alla perfezione ciò che si intende per suonare metal senza fronzoli: partendo da una base black il sound si arricchisce di volta in volta di elementi thrash, sfumature death e rallentamenti di stampo doom
Insomma, Reflections in Darkness si rivela una sorta di bignamino del metal estremo, redatto con buona cura e indubbia competenza tanto da lasciare solo impressioni positive, per quanto su tratti di un’opera che ben difficilmente verrà ricordata bei secoli dei secoli .
Fa sempre piacere comunque trovare band che, senza troppi proclami né pretese, offrono lavori convincenti e comunque non banali o monocordi, visto che i ritmi cambiano sovente anche all’interno dei singoli brani restando sempre ben incatenati alle pulsioni più oscure e corrosive del metal.
Essendo New York la residenza ufficiale del duo, qualche venatura proveniente da Carnivore/ primi Type 0 Negative talvolta affiora ma, effettivamente le band storiche che concorrono a formare lo stile dei Throaat sono tali e tante che, alla fine, è difficile individuarne una prevalente; questo è un bene perché depone a favore della capacità della band di rielaborare la materia con notevole proprietà riuscendo a renderla in più di un passaggio piuttosto accattivante.
Detto ciò, il meglio i Throaat lo offrono quando decidono di viaggiare al massimo della velocità consentita, quindi Burning the Ice, The Light, Tormentia e Impaler’s Night lasciano un discreto segno, scuotendo il giusto anche l’ascoltatore più distratto e lasciando in fin dei conti un’impressione piuttosto positiva.

Tracklist:
1. Burning the Ice
2. The Light
3. The Crypt
4. Radiation
5. Alive Inside of the Pentagram
6. The Bells of Newcastle upon Tyne
7. Tormentia
8. Tormentia II
9. Impaler’s Night

Line-up:
Impurifier Vilethroaat – Drums, Keyboards, Vocals
Revelation of Doom – Guitars

THROAAT – Facebook

Legion Of Wolves – Bringers Of The Dark Sleep

Esordio sulla lunga distanza per i Legions Of Wolves che, con Bringers Of The dark Sleep, confezionano un lavoro rivolto agli amanti del death metal old school di scuola europea.

Nati dalle ceneri degli Abaddon Incarnate nel 2009, arrivano all’esordio sulla lunga distanza i deathsters irlandesi Legion Of Wolves, fino ad ora sul mercato underground con solo due demo.

La Metal Scrap si è presa cura di questo massiccio esempio di death old school dal titolo Bringers of the Dark Sleep, un monolite pesantissimo di metal estremo oscuro e guerresco, in linea con il genere suonato in Europa nella prima metà degli anni novanta.
Pregno di mid tempo dall’incedere epico e distruttivo, l’album ha il pregio di seguire le linee tracciate a suo tempo da Bolt Thrower ed Asphyx, mentre il difetto maggiore è una staticità di fondo che non permette all’opera di decollare come promesso dalle prime battute.
Infatti, dopo le prime tre devastanti tracce (la title track, You Shall Know e Grond), la band non va oltre il compitino, perfetto per rompersi la testa in headbanging dettati dal clima battagliero che avvolge il lavoro ma nulla più.
Buona la produzione, assolutamente sul pezzo per attitudine ed impatto la band, ma ancora da migliorare il songwriting, così che Bringers Of The Dark Sleep risulta un album da consigliare con le dovute precauzioni solo ai fans del death metal old school di scuola europea.

Tracklist
1.Bringers of the Dark Sleep
2.You Shall Know
3.Grond (Hammer of the Underworld)
4.Brothers of Fury and Iron
5.Plague of the Immortal
6.Forged in Fire and Combat
7.Summoning the Elite
8.Sorrow Made Madness
9.Obsidian
10.Heavy Mass of Murder

Line-up
Hans – Bass
Jason Connolly – Drums
Arkadiusz Kupiszowski – Guitars
Annatar – Guitars
Chris – Vocals

LEGION OF WOLVES – Facebook

Sâmbăta Morților – Sâmbăta Morților II

Complessivamente l’opera non è male e mette in mostra una buon dinamismo compositivo volto a ricercare sonorità che coniughino melodie ed asprezze con buona fluidità, ma per ora quello che manca è proprio un indirizzo più preciso.

Sâmbăta Morților è il nome di questa one man band di Ploiesti, città che non è nota per produrre un numero considerevole di band metal, pur essendo la scena rumena piuttosto fiorente in tal senso negli ultimi tempi.

Il monicker prende spunto dall’omonima ricorrenza della religione cristiano ortodossa che, in qualche modo, è l’equivalente del 2 novembre cattolico (Sâmbăta Morților significa infatti “il sabato dei morti”).
Nonostante questa lugubre premessa il sound del progetto creato da Mihai Iorgu non è poi così catacombale, piazzandosi a metà strada tra death e black con pulsioni sinfonico progressive: Sâmbăta Morților II è il secondo ep uscito alla fine dello scorso anno nel quale, per l’occasione, sono stati inseriti come bonus track i tre brani che facevano parte dell’omonimo ep di esordio.
Complessivamente l’opera non è male e mette in mostra una buon dinamismo compositivo volto a ricercare sonorità che coniughino melodie ed asprezze con buona fluidità, ma per ora quello che manca è proprio un indirizzo più preciso, anche se il buon Mihai sembrerebbe essere sulla giusta strada visto che i brani nuovi appaiono leggermente superiori rispetto a quelli più datati, con l’attenzione da puntare sull’ottima Endless Seeking, dai ritmi intensi e coinvolgenti ben condotti da chitarra e tastiere.
Bello anche lo strumentale Mortal Thoughts, che suggerirebbe forse una maggiore propensione in futuro per il lato atmosferico del black death, anche perché, almeno per ora, quella dei Sâmbăta Morților sembra essere un’idea stilistica ancora in divenire e della quale sarà possibile ottenere qualche coordinata più precisa allorché verrà pubblicato il primo full length attualmente in lavorazione.

Tracklist:
1. Pendulum of Madnes
2. Lost” –
3. Endless Seeking
4. Mortal Thoughts
5. Demon of Depression
6. Apocryphal Reality
7. Immortal Thoughts

Line-up:
Mihai Iorgu – composer, lyricist, vocals, bass, guitars, programming
Ionuț Nedelcu – guitars (recording session)
Marcel Coman – guitars (recording session)

Sâmbăta Morților – Facebook

Hautajaisyö – Matkalla kohti hautaa

Con un death/thrash metal oscuro, rigorosamente cantato in lingua madre, pregno di quella misantropica melanconia tipica dei gruppi nordici, la band non manca di deliziare gli ascoltatori con una decina di brani che uniscono pesantezza sonora tipica del death a ripartenze thrash

L’underground estremo proveniente dal nord Europa continua a regalare gioiellini metallici molto interessanti, anche ora che i riflettori si sono spenti sulle scene di Finlandia, Svezia e Norvegia e gli artisti sopravvissuti hanno raggiunto la fama internazionale, lasciando al sottobosco delle varie città il meglio che la musica di quelle parti può offrire.

Scavando in profondità ci troviamo molto spesso innanzi ad ottime band come i finlandesi Hautajaisyö, quintetto attivo da una manciata d’anni e arrivato al secondo full length tramite la Inverse Records.
Con un death/thrash metal oscuro, rigorosamente cantato in lingua madre, pregno di quella misantropica melanconia tipica dei gruppi nordici, la band non manca di deliziare gli ascoltatori con una decina di brani che uniscono pesantezza sonora tipica del death a ripartenze thrash, valorizzate da ritmiche schiacciasassi e assoli melodici che prendono spunto dal metal a tinte dark di band storiche come i Sentenced prima maniera.
Ne esce un album a tratti davvero bello ed intenso: i cinque musicisti finnici prendono per mano la morte (semplice ma bellissima la copertina) e con lei passeggiano al ritmo metallico di perle oscure come Jos voisin silmäni ummistaa o Unohdetut, lasciando al riff heavy della conclusiva Vain tuhkasi sinusta muistuttaa la palma di miglior brano del lotto, estremo, heavy e al tempo stesso pervaso da una melodia oscura, intimista e dark che ne fa un brano molto suggestivo nella sua natura diretta.
Il cantato in growl avvicina maggiormente il sound al death metal, anche se l’anima thrash esce rabbiosa e devastante (Tunteeton), insieme ad un talento per le melodie dark che piacerà non poco anche a chi ama il death metal melodico.
Matkalla kohti hautaa merita senza dubbio l’attenzione di chi non si ferma ai soliti nomi, cercando sempre qualcosa di nuovo in un mondo estremo che ha ancora molto da dare.

Tracklist
1.Intro
2.Tunteeton
3.Väsynyt kuolemaan
4.Matkalla kohti hautaa
5.Jos voisin silmäni ummistaa
6.Minut pelastakaa
7.Lähdön hetki
8.Kuolleena haudattu
9.Unohdetut
10.Vain tuhkasi sinusta muistuttaa

Line-up
J. Partanen – Vocals
S. Lustig – Guitars
V. Moisanen – Guitars
S. Pesonen – Bass
T. Roth – Drums

Hautajaisyö – Facebook

Galvanizer – Sanguine Vigil

Prodotto dalla band che conferisce un’atmosfera old school, oppressiva e soffocante, l’album alterna veri attimi di distruzione sonora a rallentamenti classici del death metal vecchia scuola per poi sorprendere con riff melodici di scuola nord europea.

Non è poi così scontato trovare band provenienti dalla Finlandia che al death metal aggiungono ancor più devastanti iniezioni grindcore.

Il nome della terra dei mille laghi è quasi sempre sinonimo di death metal melanconico, progressivo e old school, ma nell’underground più torbido e marcio vivono realtà spaventosamente estreme come i Galvanizer, trio di abominevoli musicisti dal sound feroce e distruttivo.
Putrido come una cantina dove vengono buttati i resti delle vittime di un serial killer, Sanguine Vigil è il primo full length, successore di due demo ed un ep licenziati in cinque anni di vita artistica, una mezz’ora di oscuro e mostruoso death metal scandinavo e grind che si alleano per arrivare ai padiglioni auricolari degli amanti dell’estremo in tutta la loro mostruosa e devastante natura.
Prodotto dalla band che conferisce un’atmosfera old school, oppressiva e soffocante, l’album alterna veri attimi di distruzione sonora a rallentamenti classici del death metal vecchia scuola per poi sorprendere con riff melodici di scuola nord europea, che sono il jolly giocato dai Galvanizer per rendere la propria proposta interessante.
Growl e scream death/grind accompagnano il passaggio di questo pezzo di granito estremo lasciando senza fiato, specialmente quando la band parte a tutto gas con devastanti cavalcate che del grindcore prendono l’impatto e la voglia di radere al suolo tutto senza pietà.
Si passa dunque dal death metal della title track, esempio perfetto di cosa si suona ancora in Scandinavia quando si parla del genere, e Gorefestation, classico brano grind.
Sanguine Vigil risulta un buon lavoro, ben orchestrato nei suoi cambi repentini di velocità ed attitudine, pur rimanendo soffocato da un’atmosfera oscura e malsana.

Tracklist
1.Mood for the Blade
2.Enjoyment of Annihilation
3.Deathbeat Deity
4.Sanguine Vigil
5.Grind Till… You’re Dead!
6.Domestic Mastication
7.Gorefestation
8.Premature Rot
9.Unfinished Autopsy
10.A Painful End for Curiosity

Line-up
Vili – Bass,Vocals
Aleksi – Guitar,Vocals
Nico – Drums

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Autopsy – Puncturing The Grotesque

Puncturing The Grotesque è il lavoro con cui gli Autopsy, vecchie volpi del metal estremo dalle tinte horror/gore, entrano in questo nuovo anno sempre con quella insana goliardia insita nei testi di putride tracce brutali e dall’atmosfera velenosa.

E’ arrivato anche per gli storici Autopsy il tempo di festeggiare i trent’anni di attività di una carriera lungo la quale il gruppo di Chris Reifert è stato uno dei punti fermi per i fans del death metal più brutale, con la parentesi dello stop di alcuni anni e la reunion del 2009 che ha ridato motivazioni ed un ritrovato entusiasmo al combo californiano.

Una discografia che non ha mai concesso passi falsi ha spinto la band verso quell’aura da cult band che, se non ha reso quanto poteva in termini di popolarità, ha sicuramente costruito intorno agli Autopsy un’intoccabilità che si evince dall’amore dei fans per il gruppo.
Puncturing The Grotesque è il lavoro con cui gli statunitensi, vecchie volpi del metal estremo dalle tinte horror/gore, entrano in questo nuovo anno sempre con quella insana goliardia insita nei testi di putride tracce brutali e dall’atmosfera velenosa.
Ovviamente gli Autopsy targati 2018 esibiscono quello che sanno fare meglio, death metal solcato da rallentamenti doom soffocanti, abissali e marcissimi.
Si passa così in poco tempo, da capolavori death metal old school come The Sick Get Sicker a lente discese negli antri puzzolenti del brutal/doom con Gas Mask Lust e Gorecrow, per poi lasciare al death/thrash & roll di Fuck You!!! il compito di dare il “la” ai festeggiamenti tra fuochi d’artificio estremi.
Una band come gli Autopsy non lascia scampo e non tradisce anche dopo così tanti anni, risultando una sicurezza per i fans del death metal.

Tracklist
1.Depths of Dehumanization
2.Puncturing the Grotesque
3.The Sick Get Sicker
4.Gas Mask Lust
5.Corpses at War
6.Gorecrow
7.Fuck You!!! (Bloodbath cover)

Line-up
Chris Reifert – Vocals, Drums
Eric Cutler – Vocals, Guitars
Danny Coralles – Guitars
Joe Allen – Bass

AUTOPSY – Facebook

Ectoplasma – Cavern Of Foul Unbeings

In Cavern Of Foul Unbeings troverete strumenti che gridano dolore, accelerazioni ed improvvise frenate, un growl in arrivo dal centro dell’inferno per quasi cinquanta minuti di metal estremo tripallico, assolutamente poco originale ma ben fatto, soprattutto per chi ama il genere.

Nuovo lavoro per gli Ectoplasma, realtà estrema proveniente dalla penisola ellenica nata tre anni fa ma già al secondo full length, successore di Spitting Coffins uscito lo scorso anno, accompagnato da due ep ed uno split in compagnia dei colleghi Hatevomit.

La band suona death metal old school, duro e puro, brutale, senza compromessi e come vuole la tradizione appesantito da mastodontici rallentamenti di scuola doom e con attitudine anticristiana, impatto monolitico e ispirazioni che richiamano i nomi storici del death metal: la band greca non si smuove, con tutti gli annessi e connessi dai cliché che animano il genere, quindi l’album risulta la classica opera appannaggio dei fans del genere.
In Cavern Of Foul Unbeings troverete strumenti che gridano dolore, accelerazioni ed improvvise frenate, un growl in arrivo dal centro dell’inferno per quasi cinquanta minuti di metal estremo tripallico, assolutamente poco originale ma ben fatto, soprattutto per chi ama il genere.
L’album è facile da leggere, tutto è dove immaginiamo debba stare, ci si muove bendati in un mondo che conosciamo a menadito, tra blast beat ed atmosfere catacombali e con una track list che dà l’impressione di provenire dal secolo scorso.
Tra le varie Entranced In Blood, Seized In Cimmerian Darkness e quel mostro musicale a titolo Ghoulspawn troverete echi di Bolt Thrower, Morgoth, Asphyx e qualche accenno alla scena scandinava (Unleashed, tributati dal gruppo con la conclusiva cover del brano The Immortals), una  parte del meglio che la vecchia Europa ha partorito nel periodo d’oro del death metal.
Cavern of Foul Unbeings è un lavoro che troverà estimatori negli amanti del death metal classico e old school, forte di una sua precisa appartenenza al filone.

Tracklist
1.Amorphous Atrocity (Intro)
2.Entranced in Blood
3.Mortified and Despised
4.Seized in Cimmerian Darkness
5.Cavern of Foul Unbeings
6.Primeval Haunting
7.Reanimated in Trioxin
8.The Unspeakable One
9.GhoulSpawn
10.Disembodied Voice
11.The Immortals (Unleashed cover)

Line-up
Dion K. Alastor – Guitars (lead)
George Wolf – Guitars (rhythm)
Giannis Grim – Vocals, Bass
Maelstrom – Drums

ECTOPLASMA – Facebook

Torture Squad – Far Beyond Existence

Metal estremo crudele, cattivo e senza compromessi, partendo dall’opener Don’t Cross My path e lasciando che aggressività, ripartenze e rallentamenti si incastrino in un sound che non concede tregua:questo è Far Beyond Existence, ultimo lavoro dei Torture Squad.

Nuovo lavoro per gli storici brasiliani Torture Squad, quartetto di San paolo attivo dalla prima metà degli anni novanta e protagonista di una discografia che raccoglie, oltre ad una manciata di lavori minori, otto full length dei quali l’ultimo è questo Far Beyond Existence.

L’album è composto da dieci massacri sonori a base di death/thrash vecchia scuola, ma valorizzato da una buona produzione, dove la voce di May “Undead” Puertas lascia esterrefatti per impatto e cattiveria, la sezione ritmica è un treno in corsa (Amilcar Christófaro alla batteria e Castor al basso) e le chitarra di Renê Simionato sputa sangue metallico old school.
Va da sé che la cantante sia il fulcro, non solo d’immagine, del gruppo sudamericano: la ragazza di un orco che cerca vendetta con la rabbiosa grinta di un branco di tigri, questa è in pratica la prova della bella vocalist dei Torture Squad, sostenuta dai tre colleghi, mentre in un attimo passa la furiosa tempesta abbattutasi su di noi e portata dai venti maligni delle notevoli No Fate e Blood Sacrifice.
Kreator, Slayer e primi Sepultura si ritrtovano tra le note dell’album, ma parlare di influenze per una band nata ormai quasi venticinque anni fa è oltremodo riduttivo, quindi Far Beyond Existence va fatto proprio senza indugi, perché la squadra di tortura è tornata al lavoro e vi farà soffrire.

Tracklist
1. Don’t Cross My Path
2. No Fate
3. Blood Sacrifice
4. Steady Hands
5. Hate
6. Hero for the Ages
7. Far Beyond Existence
8. Cursed by Disease
9. You Must Proclaim
10. Just Got Paid
11. Torture in Progress
12. Unknown Abyss

Line-up
Castor – Bass, Backing Vocals
Amílcar Christófaro – Drums
Renê Simionato – Guitars
Mayara “Undead” Puertas – Vocals

TORTURE SQUAD – Facebook

Embryo – A Step Beyond Divinity

A Step Beyond Divinity è un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.

Il nuovo lavoro dei deathsters nostrani Embryo è il classico album con il quale supportare la scena metal tricolore (non solo quella estrema, ovviamente) diventa non solo un dovere ma un grande piacere.

Al quarto album la band di Cremona estrae dal cilindro l’opera perfetta, quella che prendendo il meglio dal precedente omonimo lavoro, lo porta ad un livello ancora più alto regalando cinquanta minuti di death metal moderno, in un susseguirsi di emozionanti saliscendi tra tradizione melodica e moderno death metal dal piglio apocalittico.
Le orchestrazioni questa volta raggiungono vette altissime, la parte americana del sound del gruppo è ancora più potente, un macigno estremo che dai Fear Factory prende l’atmosfera epica da fine del mondo, mentre la cascata di solos guardano sempre verso nord e al melodic death metal.
Il concept si ispira alla figura di un genio come Leonardo Da Vinci, quindi anche in questo caso la band cerca una via intellettuale ai testi per valorizzare un songwriting sopra le righe.
Il bellissimo artwork è stato lasciato nelle mani dell’artista e musicista Spiros Antoniou alias Seth Siro Anton (Septic Flesh) mentre masterizzazione, registrazione e mix sono stati eseguiti da Simone Mularoni ai Domination Studio, con la band ad affiancarsi al noto produttore e musicista italiano (DGM) in fase di produzione.
Tutto questo rende A Step Beyond Divinity un’opera dal taglio internazionale che incolla l’ascoltatore alle cuffie, un dirompente fiume metallico che straripa tra debordanti e possenti passaggi estremi, orchestrazioni epiche ed apocalittiche e chitarre che sanguinano melodie.
Vanguard For The Blind, The Greatest Plan e la devastante Leonardo spiccano sulle altre tracce, ma vi consiglio di fermarvi per un’oretta scarsa e lasciare che gli Embryo vi raccontino del Da Vinci a modo loro.

Tracklist
1. The Same Difference
2. Overwhelming your Disgust
3. Vanguard for the Blind
4. Painting Death
5. Looking for the Divine
6. Solitaria 1519
7. Leonardo
8. The Greatest Plan
9. Bastard of the Brood
10. Mouth of Shame
11. Witness of your Life
12. The Horror Carved

Line-up
Roberto Pasolini – Vocals
Eugenio Sambasile – Guitars
Simone Solla – Keyboards
Danilo Arisi – Bass
Enea Passarella – Drums

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Coughdust – Worldwrench

Chi è alla ricerca di musica che sia la più pesante ed oppressiva possibile dovrebbe buttare un orecchio a questo secondo full length dei finnici Coughdust.

Worldwrench offre infatti una quarantina di minuti di sonorità distorte, dal peso specifico insostenibile anche per le strutture di una centrale nucleare, con le corde degli strumenti talmente ribassate da andare creare una sorta di rombo sul quale si stagliano le urla belluine del vocalist Murtonen.
La cosa bizzarra è che, nelle note di accompagnamento, si parla anche di stoner rock ma, francamente, qui siamo di fronte ad un death sludge doom nel quali si annidano comunque decisive particelle di groove, elemento fondamentale per rendere ascoltabile quello che sarebbe altrimenti un’impietosa mannaia calata sulle teste degli ascoltatori.
Prendendo quale termine di paragone una band dall’approccio per certi versi simile come i Primituive Man, infatti, notiamo come i Coughdust riescano a sfuggire alla ferocia monolitica esibita dagli statunitensi proprio grazie ad un idea melodica che resta molto sullo sfondo ma è ugualmente presente, quasi fosse un carattere ereditario recessivo.
Parlare dei singoli brani serve a poco, tanto dall’incipit di Serpents of the Earth fino all’ultima nota di Blind, Worldwrench esibisce l’impatto di un meteorite in grado di spostare di qualche grado l’asse di rotazione del pianeta. Basta e avanza se ci si vuole fare molto male …

Tracklist:
1. Serpents of the Earth
2. The Second Principle
3. Gripless
4. Worldwrench
5. Dead Calm
6. Blind

Line-up:
Peltokangas – Bass
Latva – Drums
Murtonen – Vocals
Hartikainen – Drums

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