Kartikeya – Samudra

Colmo di riferimenti alla cultura Indù ed alla sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, con una band che tecnicamente lascia a bocca aperta riuscendo con grande disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro.

Cercando nel vasto mondo del metal se ne trovano di gioielli musicali, basta avere voglia di non fermarsi in superficie e scavare in un sottosuolo dove si muovono realtà sconosciute ai più ma di altissimo valore.

Senza paraocchi e con una visione della musica a 360° si possono fare piacevolissimi incontri, sotto forma di gruppi autori di lavori sorprendenti come per esempio i russi Kartikeya con questa bellissima opera estrema dal titolo Samudra.
Ispirato concettualmente alla religione indù, l’album è un concept che si sviluppa in settanta minuti di metal estremo progressivo, il Carnatic Metal come lo chiamano loro, una straordinaria alleanza tra blackened death metal, progressive e folk che sfocia in un saliscendi artistico, un’altalena di emozioni tra tempeste estreme, bellissime parti progressive e suggestive atmosfere folk di origine indiane e arabe.
Colmo di riferimenti alla religione della Sacra Trimurti, Samudra è uno scrigno colmo di sorprese, la band che tecnicamente lascia a bocca aperta riesce con clamorosa disinvoltura a far convivere generi apparentemente lontani tra loro in un sound che tiene incollati alle cuffie, bellissimo esempio di come il metal sia tutt’altro che un genere conservatore come vorrebbe qualcuno ma che, anzi, in questi anni si è trasformato, grazie a gruppi come il sestetto moscovita, in musica camaleontica ed estremamente volubile.
In Russia, come in India, i gruppi sono meno legati alle regole di mercato statunitensi ed europee, così che è facile incontrare realtà di levatura superiore ed assolutamente fuori da qualsivoglia ambizione commerciale; qui a parlare è la musica, con brani fuori dagli schemi e di una bellezza disarmante come Tandava, Mask Of The Blind, Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (con l’ospite Karl Sanders, leader dei Nile) e i tredici minuti progressivamente estremi di Dharma, Pt. 2 – Into the Tranquil Skies.
Orphaned Land e Melechesh, ma rimanendo in ambito molto più underground e nel territorio indiano, Demonic Resurrection e Fragarak, sono le band accostabili a questi sei geniali musicisti russi, giusto per fornire qualche coordinata in più a chi si volesse accostare a questo magnifico lavoro.

Tracklist
1. Dharma pt. 1 – Into The Sacred Waves
2. Tandava
3. Durga Puja
4. Pranama
5. The Horrors Of Home (feat. Keith Merrow)
6. Mask Of The Blind
7. Samudra
8. The Golden Blades
9. We Shall Never Die
10. Kannada – Munjaaneddu Kumbaaranna (feat. Sai Shankar & Karl Sanders / Nile)
11. Tunnels Of Naraka (feat. David Maxim Micic)
12. The Crimson Age 13. Kumari Kandam
14. Dharma pt. 2 – Into The Tranquil Skies

Line-up
Anton Mars – Vocals
Roman Arsafes – Guitars, Vocals, Ethnic Instruments
Sasha Miro – Bass
Misha Talanov – Violin
Dmitriy Drevo – Percussion
Alex Smirnov – Drums

KARTIKEYA – Facebook

Corpse Garden – IAO 269

Death metal brutale e progressivo, musica estrema ispirata da un innato talento per soluzioni che vanno sempre un passo fuori dai consueti schemi, con una serie di brani devastanti che uniscono in un unico sound, death metal, doom e musica estrema progressiva.

Death metal brutale e progressivo, musica estrema ispirata da un innato talento per soluzioni che vanno sempre un passo fuori dai consueti schemi con una serie di brani devastanti che uniscono in un unico sound, death metal, doom e musica estrema progressiva.

I Corpse Garden sono un gruppo centroamericano attivo da quasi una decina d’anni, ed arrivano al terzo full length tramite Godz Ov War Productions.
Il loro sound prende ispirazioni dal death oscuro e pesantissimo dei Morbid Angel, dal doom di una cult band come i Confessor e dalle trame dissonanti ed alternative progressive dei tedeschi Incubator, altra realtà di culto uscita dai primi anni novanta.
IAO 269 è un pianeta a sé nell’universo estremo attuale, e la band costaricense gioca con lo spartito per rendere la propria musica il più originale e fuori dagli schemi possibile, riuscendoci per merito di un songwriting variegato e soprattutto una tecnica invidiabile.
Dimenticate però le classiche prog death metal band che tanto fanno parlare gli addetti ai lavori, le note che compongono brani tragicamente ed inesorabilmente estremi come Death Heax, Selenomantic Ecstasies o The Elevenfold Vibration, sono quanto di più dissonanti, disturbanti ed assolutamente pericolose possiate trovare in giro nel il panorama musicale odierno.
Un album che al sottoscritto porta alla mente il McGillroy The Housefly degli ormai scomparsi Incubator, ma mentre la band tedesca usava alternative parti grunge ad imbastardire il sound di chiara ispirazione death, i Corpse Garden lo violentano con esplosioni di dissacrante noise e doom progressivo, imponendosi con una buonissima opera rivolta ad un’audience piuttosto selezionata.

Tracklist
1.Aeon of Horus
2.Death Hex
3.Ain Soph Aur
4.Selenomantic Ecstasies
5.La muerte: Principio y redención
6.IAO 269
7.The Elevenfold Vibration
8.Expanding the Vision Call
9.Loathing

Line-up
Erick Mejia – Drums
Federico Gutierrez – Guitars
Esteban Sancho – Guitars
Carlos Venegas – Bass
Felipe Tencio – Vocals

CORPSE GARDEN – Facebook

Worstenemy – Deception

E’ giunta l’ora in cui la seconda apocalisse targata Worstenemy si abbatta su di voi senza lasciarvi scampo.

E’ giunta l’ora in cui la seconda apocalisse targata Worstenemy si abbatta su di voi senza lasciarvi scampo.

Il gruppo sardo torna con un nuovo lavoro, il devastante parto estremo intitolato Deception, a quattro anni di distanza dal notevole Revelation, album che lo aveva fatto conoscere ad una più ampia fetta di amanti del death metal tramite la Wormholedeath.
I nuovi Worstenemy sono formati dall’ormai storico chitarrista e cantante Mario Pulisci, accompagnato questa volta dall’ex Hour Of Penance Simone “Arconda” Piras alla batteria e Luigi Cara (Deathcrush / Malignant Defecation) alle prese con basso e voce.
Di death metal si tratta, chiamatelo old school o come volete, rimane il fatto che Deception è un martello pneumatico che penetra inesorabile sulla vostra testa, seminando materia cerebrale nella stanza dove senza cautela alcuna avrete schiacciato il tasto play.
Una sezione ritmica devastante, un sound pieno, mastodontico e pesantissimo, una prova notevole a livello tecnico al servizio di un lotto di brani debordanti, fanno di Deception uno degli album più riusciti degli ultimi tempi, ovviamente parlando di death metal.
La title track è un inizio fulminante e i brani da macello metallico alternano a tratti rallentamenti doom/death da copione per poi ripartire più minacciosi e cattivi di prima; le band storiche del panorama estremo statunitense sono ancora ben presenti nel sound degli Worstenemy i quali, dalla loro, possono vantare un songwriting ispirato e tanta personalità.
Conquer The Illusion, Blood And Dust, Seasons Of War, in odore di Bolt Thrower ed unica concessione “europea” al sound di Deception, e la magnifica cover di Grind (brano degli Alice In Chains dall’omonimo terzo lavoro), prendono per mano l’intera tracklist formando un muro sonoro invalicabile; mastodontico e penetrante, l’album non concede tregua, e le macerie su cui passeggiano i tre musicisti nostrani dopo il micidiale passaggio di questi inesorabili undici schiacciasassi estremi confermano il tiro di un’altra categoria del combo sardo.

Tracklist
1.Deception
2.Solis
3.Conquer the Illusions
4.Fog or Shine
5.Blood and Dust
6.A Mortal God
7.5th Level of Suffering
8.Seasons of War
9.New Era of Terror
10.Grind (Alice in Chains cover)
11.I

Line-up
Mario Pulisci – Vocals, Guitars
Luigi Cara – Bass, Vocals
Simone “Arconda” Piras – Drums

WORSTENEMY – Facebook

Deos – In Nomine Romae

In Nomine Romae è consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco.

L’impero romano glorificato a colpi di blackened death metal, orchestrale e melodico, epico e suggestivo, questo è In Nomine Romae secondo album dei francesi Deos.

Attiva da soli tre anni e con il precedente album licenziato due anni fa (Ghosts Of The Empire), la legione romana trapiantata in Francia strappa la firma con Buil2Kill Records e ci scaraventa in pieno impero, alla conquista del mondo all’epoca conosciuto, celebrando la sua grandezza ad ogni nota che compone l’opera divisa in tredici brani più intro.
Ovviamente epico, il sound dei Deos, a tratti davvero suggestivo, prende forza dal black metal, lo potenzia con il death che fa da fedele centurione e lo armonizza con tappeti orchestrali che tanto sanno di Emperor.
Dopo l’intro “italiana” L’armata Dei Coraggiosi, l’opera prende il via tra ritmiche veloci, orchestrazioni oscure ed un scream/growl che riempie di epica e guerresca cattiveria le atmosfere di brani come Caput Mundi, mentre le sfumature si fanno sempre più oscure e l’odore di morte più intenso all’ascolto di Memento Mori e Laudatio Funebris, un mid tempo funereo e molto suggestivo.
L’atmosfera dell’album non accenna a lasciare territori oscuri, mentre le conquiste si moltiplicano e così le lodi all’impero; le trame epiche si avvicinano agli Amon Amarth, ma sono le band fedeli alla storia dell’Urbe che tornano prepotentemente in auge all’ascolto dell’opera (Ex Deo ed i nostrani Ade, coi quali il gruppo partirà per un tour).
Più vicini al black metal, i Deos risultano sicuramente più oscuri e maligni: In Nomine Romae è quindi consigliato sia ai fans del black metal sinfonico che a quelli del death epico e guerresco, che troveranno di che esaltarsi tra le trame delle varie Cunctator e Delenda Carthago.

Tracklist
1.L’armatura dei coraggiosi
2.Pro Iovis Pro Mars
3.Caput Mundi
4.Sapere Aude
5.Oderint Dum Metuant
6.Memento Mori
7.Cincinnatus
8.Laudatio Funebris
9.Mylae
10.Post Tenebras Lux
11.Cunctator
12.Aut Vincere Aut Mori
13.Delenda Carthago

Line-up
Jack Graved – Bass, Vocals
Loïc Depauwe – Drums
François Giraud – Guitars
Fabio Battistella – Guitars
Harsh Wave – Keyboards

DEOS – Facebook

Dauthuz – Destined For Death

Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.

Un granitico e micidiale attacco all’insegna di un death metal vecchia scuola, una serie di pugni in pieno volto portati dai Dauthuz che rifilano, uno dietro l’altro, dieci ganci estremi senza soluzione di continuità, massacrando e sfigurando, senza lasciare scampo.

Il quintetto olandese arriva al primo lavoro sulla lunga distanza firmando un contratto per la distribuzione con la Wormholedeath , dopo due anni dalla nascita, un ep ed un singolo prima che Destined For Death arrivi a confermare il buon fiuto della label e la devozione del gruppo per il death metal old school.
Ovviamente ispirato alla scena del loro paese, storica rappresentante del metal estremo dai primi anni novanta, con accenni alla primissima ondata scandinava (specialmente nel riffing), l’album è una mazzata nei denti ben assestata, con un growl che è un’incessante ed animalesca aggressione proveniente dall’angolo più recondito dell’inferno, una pesantezza fuori dal comune e non ultima una serie di tracce che nella loro assoluta natura estrema si attaccano alle pareti della nostra scatola cranica come perfidi e famelici parassiti.
Dying Breed, cantata dalla singer dei conterranei Izegrim, Marloes Voskuil, e da cui è tratto un video, rimane il brano simbolo di Destined For Death, ma lasciate che l’album arrivi alla conclusione perché gli attimi di devastazione sonora di una certa consistenza non mancano (Honoured To Serve, Tormentor e la conclusiva Warmaster) così da regalare agli amanti del death metal vecchia scuola un’altra band da segnare sulla proprio personale e sanguinante taccuino.

Tracklist
1.Destined for Death
2.The Hunt
3.Dying Breed (feat. Marloes Voskuil)
4.Made in Blood
5.Honoured to Serve
6.Killing in the Woods
7.Killed in the Woods (Reprise)
8.Tormentor
9.Deep Inside Your Soul
10.Warmaster

Line-up
Manoloxx – Vocals
Dennis Jak – Guitar
Hans Bijland – Guitar
Tim Roeper – Bass
Nick de Vet – Drums

DAUTHUZ – Facebook

D With Us – Searching For The Light

Melodic death metal e metalcore si uniscono nel sound dei D With Us dando vita così ad un ottimo lavoro, potente e melodico, scandito da ritmiche moderne, ma valorizzato da solos e soluzioni di stampo death e più orientate alla tradizione estrema di stampo classico.

Arrivano all’esordio tramite l’attivissima label napoletana Volcano Records & Promotion i D With Us, quartetto piemontese protagonista di un ottimo melodic death metal unito alla forza ritmica del metalcore.

La band è attiva dal 2013, voluta da Maurizio Molonato in memoria del figlio Davor, chitarrista e pianista scomparso all’età di quindici anni, ma i non pochi cambi di line up hanno portato il gruppo alla formazione attuale che vede impegnati Daniele Salomone (chitarra e voce), Matteo De Faveri (chitarra), Gioele Sechi (basso), Lorenzo Bonak Bonaccorso (batteria); l ‘ep di debutto si intitola Searching For The Light ed è stato registrato nei DDstudiorecords dallo stesso Maurizio Molonato.
Melodic death metal e metalcore si uniscono nel sound dei D With Us dando vita così ad un ottimo lavoro, potente e melodico, scandito da ritmiche moderne, ma valorizzato da solos e soluzioni di stampo death e più orientate alla tradizione estrema di stampo classico; l’ep possiede un tiro sufficiente per destare l’attenzione degli amanti del genere, dall’opener Warrior’s Heart, preceduta dall’intro, passando per l’ottima struttura della title track, scelta come singolo e brano perfetto tra riff di stampo swedish death, ritmi moderni e refrain melodico quanto basta per non uscire più dalla testa.
I quattro giovani musicisti non si fanno pregare e picchiano quando serve oppure valorizzano l’atmosfera dei brani con accordi melodici ed intimisti (The Passage), prima che la tempesta metallica torni ad abbattersi sull’ascoltatore.
Echi elettronici ed atmosfere industrial fanno da preludio alla conclusiva Threat Presence, mentre precedentemente Never Stop Until The End si era rivelato come il brano più diretto di Searching For The Light un buon inizio per i D With Us che, sommato alle ottime impressioni suscitate nel corso delle esibizioni  dal vivo, ne fanno una realtà da seguire con attenzione.

Tracklist
1. Intro
2. Warrior’s Heart
3. Searching For The Light
4. The Passage
5. Never Stop Until The End
6. Threat Presence

Line-up
Daniele Salomone – Vocals, Guitar
Matteo De Faveri – Guitars
Gioele Sechi – Bass)
Lorenzo Bonak Bonaccorso – Drums

D WITH US – Facebook

Ursinne – Swimming With The Leviathan

Una tempesta di ritmiche e riffing che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death, con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico.

Un super gruppo estremo nuovo di zecca, anzi un super duo diventato trio con l’entrata in formazione della bassista Sonia “Anubis” Nusselder, un’alleanza Olanda/Svezia/Regno Unito che porta alla guerra musicale con i generali in comando Dave Ingram (Down Among the Dead Men, Echelon, Just Before Dawn, ex Bolt Thrower, Hail Of Bullets e Benediction) e Jonny Pettersson (Ashcloud, Gods Forsaken, Henry Kane, Human Harvest, Just Before Dawn, Pale King, ma la lista sarebbe ancora più lunga).

Ingram ovviamente dà la carica dietro al microfono ed il polistrumentista svedese ci fa sanguinare i timpani suonando come il giorno dell’esplosione della Terra, fanno del debutto degli Ursinne un’imperdibile opera old school per i deathsters che hanno ancora nelle orecchie le opere dei Bolt Thrower come quelle dei primi Entombed; infatti questa pericolosissima alleanza porta inevitabilmente il sound verso la coesione tra il death metal belligerante dello storico gruppo britannico e quello tradizionale, suonato nel nord Europa.
Così nasce Swimming With The Leviathan, sviluppandosi su dodici brani, incluse quattro cover pescate in giro per il circuito rock mondiale (The Osmonds, The Vapors, Queen Of The Stone Age, Siouxie And The Banshees): una tempesta di ritmiche e riff che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico, mentre il rifferama di stampo swedish death è comunque presente.
Ne è il più fulgide esempio il potentissimo mid tempo di cui è composta Bullet Bitten, apice compositivo di questo mostruoso lavoro, a cui se si vuole trovare un difetto lo si può riscontrare nel numero di cover, comunque all’altezza della situazione.
Ingram è il solito soldato/orco, temibile mercenario al servizio della guerra, Pettersson sa il fatto suo e la drum-machine fa il suo sporco lavoro anche se un più caldo e umano drumming avrebbe sicuramente giovato all’intera opera.
Niente di più, niente di meno, Swimming With The Leviathan farà la gioia dei deathsters orfani dei Bolt Thrower e vogliosi di ascoltare l’ordine di attaccare potente e belluino del generale Ingram.

Tracklist
01. Devil May Care
02. I, Serpentine
03. Bullet Bitten
04. The Chimes of Midnight
05. Crazy Horses (The Osmonds cover)
06. Talons
07. Underworld
08. Turning Japanese (The Vapors cover)
09. Hollow Hearse
10. Something Wicked This Way Comes
11. Monsters in the Parasol (Queens of the Stone Age cover)
12. Spellbound (Siouxsie and the Banshees cover)

Line-up
Dave Ingram – Vocals
Jonny Pettersson – All instruments
Sonia Nusselder – Bass

URSINNE – Facebook

Gates Of Ishtar – A Bloodred Path

Ottima iniziativa della Century Media che ristampa con un nuovo artwork i tre full length degli svedesi Gates Of Ishtar, tra cui A Bloodred Path, debutto della band licenziato nel 1996.

Era il lontano 1992 quando i Gates Of Ishtar si unirono alle truppe scandinave per conquistare il mondo a colpi di death metal melodico con tre full lenght dal 1996 al 1998 e la popolarità acquisita tra gli amanti del genere, grazie ad un sound che ripercorreva le strade di Dissection e compagnia, quindi la frangia più black del melodic death metal scandinavo.

La band svedese ci riprova oggi, con l’aiuto della Century Media che dà una nuova vita a queste opere estreme di valore assoluto, ad iniziare dal primo bellissimo A Bloodred Path.
Nuovi artwork, una rimasterizzazione che valorizza il lavoro del gruppo e purtroppo una brutta notizia dovuta alla morte del batterista Oskar Karlsson lo scorso anno, sono le novità che porta con sé la band svedese, uno dei più fulgidi esempi di quanta ottima musica metal veniva creata tra le pianure innevate della Scandinavia negli anni novanta.
A Bloodred Path si avvicina senza indugi al sound dei Dissection, senza raggiungere i picchi della band che fu di Jon Nodtveidt, ma lasciando fluire con ottimi risultati tempestose parti black, veloci e furiose come il vento che spazza le bianche distese ghiacciate, assieme a più tecnici momenti death, nei quali la band dimostra un’ottima preparazione e soprattutto un talento naturale per il genere.
Un debutto sorprendente che all’epoca fece felice i più attenti fans del genere, sommersi da decine di uscite che seguivano la strada tracciata dai gruppi più importanti, ora tornato a risplendere sotto una nuova veste consentendo all’ascoltatore di apprezzare ottimi brani come The Silence, Tears e la title track.
La band tornerà ad infuocare i palchi e probabilmente a dare un seguito ai tre passati lavori e, se siete giovani ed avete a cuore la storia del melodic death metal, questa operazione è il modo migliore per fare la conoscenza di un gruppo che non ha niente da invidiare a quelli più famosi.

Tracklist
1.Inanna
2.Where the Winds of Darkness Blow
3.The Silence
4.Tears
5.The Dreaming Glade
6.When Daylight’s Gone
7.Into Seasons of Frost
8.A Bloodred Path
9.I Wanna Be Somebody (W.A.S.P. cover)

Line-up
Mikael Sandorf – Vocals
Andreas Johansson – Guitar
Tomas Jutenfäldt – Guitar
Niclas Svensson – Bass
Oscar Karlsson – Drums

https://www.facebook.com/gatesofishtarofficial

Inverted Serenity – As Spectres Wither

As Spectres Wither è un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico progressive e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, leggermente più brutali ed al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Negli ultimi tempi gli album arrivati in redazione che riguardano la frangia più tecnica del death metal non mi hanno convinto più di tanto: tutti lavori ineccepibili sotto l’aspetto prettamente tecnico, ma che mancano di quel tocco compositivo in grado di passare da un’accozzaglia di funamboliche e cervellotiche articolazioni a musica estrema sostenuta da grande tecnica e contemporaneamente in grado di stringere l’ascoltatore in una morsa emotiva che non lo faccia stancare.

Se poi si parla di death metal, oscuro e brutale, l’anima progressiva deve per forza fare in modo che il songwriting mantenga una sufficiente forma canzone per essere apprezzato, ed è quello che succede con il terzo album dei deathsters canadesi Inverted Serenity.
Il quartetto torna sul mercato con As Spectres Wither, nove brani devastanti di death metal old school ma dall’anima progressiva, tecnicamente suonato al meglio e con un songwriting che mantiene quella forma canzone (come già scritto) non così scontata di questi tempi.
La musica dei nostri non esce troppo dai binari di un death metal furioso e dall’approccio tradizionale, ma si fa bello di un lavoro chitarristico sopra la media senza perdere un grammo in impatto.
Dead Dialectics dà fuoco alle polveri e quando il banco salta sono dolori, con la band che gira a mille, la velocità che incalza, gli stop & go che sono forieri di parti progressive e l’atmosfera da tregenda che viene nobilitata da spartiti ardenti sotto le note di Cornerstones e Grave.
Lunar Cradle conclude un album che riconcilia con il metal estremo dalle ambiziose parti tecnico-progressive, e gli Inverted Serenity escono rinforzati nella loro già buona reputazione che li accomuna agli storici Death, dei quali appaiono leggermente più brutali oltre che al passo con gli anni che scorrono inesorabili, anche per il metal estremo.

Tracklist
1. Dead Dialectics
2. Mitral Genesis
3. We Who Wander
4. Cornerstones
5. Paragon
6. Mechanical Gods
7. Grave
8. Lunar Cradle
9. Mountains of Stoke (Hidden Track)

Line-up
Benjamin Deveau – Drums
Drew Peacock – Guitars, Vocals
Marc-André Simard – Guitars, Vocals
Tomas Ingham – Bass, Vocals

INVERTED SERENITY – Facebook

Damnation Defaced – Invader From Beyond

Sviluppato su una quarantina di minuti, il terzo lavoro dei Damnation Defaced scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici, valorizzati dal lavoro in sala del guru svedese Dan Swanö.

I tedeschi Damnation Defaced pubblicano un album death metal molto ispirato, il terzo sulla lunga distanza  intitolato Invader From Beyond, che alterna e amalgama la tradizione old school con il filone melodico e progressivo.

La presenza in studio di registrazione di uno come Dan Swanö è garanzia di qualità, e grazie alle cure del produttore e musicista svedese anche il nuovo lavoro del gruppo tedesco trova un equilibrio melodico di spessore, incastonato tra death metal brutale e parti progressive, con l’uso di synth e tasti d’avorio, se non in abbondanza, almeno presenti il giusto per donare un tocco di eleganza all’estremo attacco dall’aldilà.
Invader From Beyond gioca le sue carte così, senza mai affondare il colpo né dal lato melodico né da quello estremo, riuscendo a mantenere un continuo bilanciamento tra il death alla Bolt Thrower e quello melodico scandinavo, con un mood epico e prog che. senza andare a parare nelle realtà a firma Swanö, ci regala ottima musica estrema melodica.
Sviluppato su una quarantina di minuti l’album scorre che è un piacere, mai troppo diretto e veloce, ma potente nei suoi tanti mid tempo dal buon groove ritmico e dagli ottimi ricami tastieristici che fanno da tappeto e struttura a bombe come Goddess Of Machines, The Observers, la diretta Back From Apathy e la progressiva Embraced By Infinity.
Invader From Beyond è una buona prova che vive anche del buon impatto di un gruppo al suo terzo lavoro, di solito quello della verità, e i Damnation Defaced le loro carte se le sono giocate al meglio.

Tracklist
01. NIOM: 004D004F0049004E
02. Goddess Of Machines
03. Invader From Beyond
04. Mark Of Cain
05. The Observer
06. The Key To Your Voice
07. Rendezvous With Destiny
08. All Comes To Its End
09. Back From Apathy
10. The Creator’s Fall
11. Embraced By Infinity

Line-up
Philipp Bischoff – Vocals
Lutz Gudehus – Guitar
Lutz Neeman – Guitar
Lucas Katzmann – Drums
Kim-Patrick Friedrichs – Bass

DAMNATION DEFACED – Facebook

Mercyless – Coloured Funeral

L’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.

La debordante death metal band francese chiamata Mercyless è tornata da qualche anno a devastare palchi e padiglioni auricolari, prima con Unholy Black Splendor, uscito nel 2011 dopo tredici anni di silenzio (l’ultimo album di inediti licenziato risaliva infatti al 2000 e si intitolava Sure To Be Pure) e lo scorso anno con l’ottimo Pathetic Divinity.

Il 2017  ha visto la band impegnata in vari progetti minori ed ora arriva questa notevole iniziativa da parte della Xenokorp, ristampa il capolavoro del gruppo, quel Coloured Funeral uscito originariamente nel lontano 1993 e che risulta il cuore compositivo dei Mercyless, all’epoca sul mercato con quattro lavori in otto anni, dal 1992 anno di uscita del primo Abject Offerings, fino al 2000 ed alla pubblicazione Sure To Be Pure.
In mezzo il gruppo transalpino sparò due atomiche di death metal che oggi chiamiamo old school ma a quei tempi era il sound che regnava sul mercato estremo, scalfito dalla furia black metal che dalla Scandinavia scendeva verso l’Europa meridionale a colpi di chiese bruciate, omicidi e suicidi più o meno famosi.
Coloured Funeral e C.O.L.D (1996) sono sicuramente il meglio della produzione del gruppo, qui davvero sopra le righe con un lavoro che nulla aveva da invidiare ai gruppi storici e ai relativi lavori che hanno fatto scuola.
Prodotto da Colin Richardson, all’epoca guru del death metal mondiale, l’album è un fulgido esempio di cosa si suonava in materia estrema nei primi anni novanta, un death metal oscuro, intriso di un’anima doom, vario nel saper alternare mid tempo e ripartenze, profondo come un nero abisso di morte e nobilitato da un tocco progressivo che dimostrava quanto di buono a livello tecnico avessero da offrire band come i Mercyless.
Mirrors Of Melancholy, la tellurica Forgotten Fragments e Serenades (Into Your Limbs) sono brani di una bellezza estrema sconvolgente, con la band che non sfigurava di certo al cospetto di colleghi illustri come Asphyx, Morbid Angel ed Immolation, esibendo una sua precisa identità che lo rende ancor oggi un gruppo di primo piano anche se meno conosciuto rispetto a molti nomi contemporanei.
Se vi siete persi Coloured Funeral ai tempi avete la possibilità di rimediare, mentre se siete giovani e volete conoscere la storia del genere l’album è sicuramente un acquisto consigliato.

Tracklist
1. Spiral of Flowers
2. Mirrors of Melancholy
3. Travel Through a Strange Emotion
4. Forgotten Fragments
5. Contemplations
6. Agrazabeth
7. Serenades… (into Your Limbs)
8. Naked Forms
9. Beyond God

Line-up
Stéphane Viard – Guitars (lead)
Max Otero – Vocals, Guitars
Gerald Guenzi – Drums
Rade Radojcic – Bass

MERCYLESS – Facebook

Incarnal – Mortuary Cult

Un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.

Death metal vecchia scuola, feroce e senza compromessi, per restare una buona mezzora immersi nelle atmosfere putride ed estreme degli Incarnal e del loro nuovo album, Mortuary Cult.

Nata nel 2010, la band polacca debutta due anni dopo con il primo full length, Where Evil Has Its Beginning, seguito da un ep e dal secondo lavoro licenziato nel 2014 ed intitolato Hexenhammer.
Tre anni dopo i cinque deathsters riaffiorano dagli inferi con Mortuary Cult, un concentrato di death metal oscuro ed abissale, epico a tratti e profondo come la gola di un mostro dimenticato nell’abisso più oscuro dove nascono questi otto inni al death metal: un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.
A brani più ordinari ne spiccano altri davvero interessanti, in un vortice di fetida aria putrefatta che sale verso il suolo: il gruppo alterna così tracce violente e devastanti a mid tempo potenti ed evocativi come la bellissima Wolves Of The God, introdotta da canti gregoriani e tenuta a freno da un affascinante giro di tastiere.
Under The Sign Of Fire segue la strada della traccia precedente, aumenta quel tanto che basta la velocità e forma il cuore nero di questo lavoro, che fa degli Incarnal un gruppo da seguire nel folto panorama estremo.
Ovviamente non mancano i momenti in cui il blackened death metal di tradizione del loro paese compare come un demone in uno specchio, ma il sound di Mortuary Cult rimane legato al death metal old school.

Tracklist
1.Behold the King of Mortuary Cult
2.Night on Bald Mountain
3.In Blood I Bathe
4.Wolves of the God
5.Under the Sign of Fire
6.Cold as the Dead Man’s Skin
7.In Death We Trust
8.Bestial Rising Tide

Line-up
Karol “North” Łapczyński – vocals
Krzysztof Kiecana – guitars
Alek Szymański – guitars
Mikołaj “Total” Kujda – drums
Mateusz “Raven” Szymanek – bassR

INCARNAL – Facebook

Genus Ordinis Dei – Great Olden Dynasty

Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.

La premessa doverosa sulla qualità altissima dei prodotti che escono dal nostro paese è diventata una prassi da ormai qualche anno, rischiando persino che le lodi alla scena rock/metal italiana diventino un qualcosa di scritto e ripetuto all’infinito.

D’altronde davanti a opere come Great Olden Dynasty, secondo lavoro dei Genus Ordinis Dei, non si può che supportare con ancora più convinzione le band di casa nostra, ormai perfettamente in grado di tenere botta ai colleghi stranieri.
La band di Crema, fondata nel 2009 e con un bellissimo esordio alle spalle datato 2013 (The Middle), torna dopo tre anni dall’ep omonimo con questo bellissimo esempio di death metal feroce, epico e maestoso.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil presente come ospite sulla conclusiva Salem, il nuovo lavoro dei Genus Ordinis Dei è un bellissimo esempio di metal estremo che, accompagnato dalle orchestrazioni sempre presenti e non solo usate come intro o outro ai brani, travolge l’ascoltatore con un suono violento e pomposo, vario e dal taglio progressivo nelle ritmiche, diretto e dall’impatto di un carro armato sinfonico.
Nick K, singer dotato di un growl da brividi, prende per mano il sound, valorizzato dalle splendide orchestrazioni create da Tommy Mastermind e dal lavoro ritmico di Steven F.Olda (basso) e Richard Meiz (batteria) e l’album deflagra fin dall’opener The Unleashed per non scendere più sotto il livello d’eccellenza.
Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.
Dall’ascolto escono prepotentemente la straordinaria bellezza di Morten, brano in crescendo che, da una partenza atmosferica da ballata metal, si trasforma in una portentosa traccia progressiva, e le mille varianti ritmiche ed atmosferiche della conclusiva Greyhouse, traccia che torna al sound caratterizzante l’album dopo la parentesi Salem, canzone più in linea con il death metal dal piglio melodico valorizzato dalla voce di Cristina e da un ottimo chorus.
Great Olden Dynasty è un album intenso ed estremo, che arriva come un fulmine a ciel sereno in questo ultimo scorcio dell’anno, ennesimo colpo di coda di una scena metal nazionale di altissimo livello.

Tracklist
1. The Unleashed
2. You Die In Roma
3. Cold Water
4. The Flemish Obituary
5. Sanctuary Burns
6. Morten
7. ID 13401
8. Halls of Human Delights
9. Salem (featuring Cristina Scabbia)
10.Greyhouse

Line-up
Nick K – vocals & guitars
Tommy Mastermind – guitars & orchestra
Steven F. Olda – bass
Richard Meiz – drums

GENUS ORDINIS DEI – Facebook

Arkhon Infaustus – Passing The Nekromanteion

Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.

Tornano dopo dieci anni esatti dall’ultimo full length gli Arkhon Infaustus, band storica della scena estrema transalpina, con questo ep di quattro tracce dal titolo Passing The Nekromanteion.

Si ripresentano oggi come duo, composto da Deviant (voci, basso e chitarra) e Skvm (batteria), schiacciando gli ascoltatori con  la mole di questa cattedrale estrema ottimamente raffigurata in copertina, un’arma apocalittica che prende forza direttamente dall’inferno e distrugge senza pietà.
Death metal e black si uniscono per portare morte e distruzione, con un sound assolutamente estremo e senza compromessi: d’altronde le ispirazioni degli Arkhon Infaustus sono satanismo, perversione, oscenità e droghe, mentre il monumento al male che costruiscono avanza tra le macerie create da questi quattro terribili brani.
Il sound non è mai velocissimo e a tratti si fa marziale, ma in queste lunghe tracce è il caos a regnare, portato dalla terribile e drastica missione di morte ordita dalle truppe demoniache comandate dagli Arkhon Infaustus, in una guerra totale che Amphessatamine Nexion e, soprattutto, la conclusiva e malata Corruped Epignosis raccontano al meglio.
Un buon ritorno questo ep, che al giorno d’oggi si può certamente considerare come un full length, e che segna il ritorno di una band scomoda, consigliata con cautela agli amanti delle dissonanze black death.

Tracklist
1.Amphessatamine Nexion
2.The Precipice Where Souls Slither
3.Yesh Le-El Yadi
4.Corrupted Épignosis

Line-up
Deviant – All vocals, guitars and bass
Skvm – Drums

ARKHON INFAUSTUS – Facebook

Savage Annihilation – Quand s’abaisse la croix du blasphème

Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.

Progetto death metal molto vicino al brutal ed assolutamente old school quello del trio transalpino dei Savage Annihilation, gruppo con quindici anni di primavere sulle spalle ed una discografia che, fino ad oggi, era ferma al primo lavoro sulla lunga distanza licenziato cinque anni fa (Cannibalisme, hérésie et autres sauvageries) ed altre tre uscite tra demo, split ed ep.

Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta quindi il secondo full length a partire dal lontano 2002, anno di nascita di questo mostro estremo, oscuro e profondamente legato alla scena statunitense.
Influenze ben in evidenza (Morbid Angel, Immolation) e tanta violenza in musica fanno di questo nuovo album dai testi in lingua madre un buon lavoro, specialmente per chi ama profondamente il death metal old school.
Maligno come non mai, l’album si sviluppa in una mezzora abbondante tra torture ritmiche, chitarre profonde e growl abissale: nessuna sorpresa, tutto perfettamente ordinario, ma anche assolutamente senza compromessi.
Dopo tanti ascolti di opere con un sound impegnato a dimostrare solo la bravura dei musicisti a livello tecnico, finalmente una sana bordata death metal che non lascia assolutamente la tecnica in secondo piano, ma la mette al servizio di un songwriting che punta sull’impatto e le atmosfere catacombali tanto care al vecchio death metal.
Quand s’abaisse la croix du blasphème risulta così una tranvata niente male, pesante e malata il giusto per non deludere i fans del genere, imprigionati nei più profondi abissi infernali, con le devastanti note di Par-delà les dunes de cadavres e la title track a fungere da mortali catene.

Tracklist
1. Dévorante dégénérescence anthropophage
2. Par-delà les dunes de cadavres
3. Quand s’abaisse la croix du blasphème
4. Organe après organe
5. Hyrreit
6. Le tombeau de l’atrocité

Line-up
Dave – Guitar & Vocals
Benoît – Bass
Mike – Drums

SAVAGE ANNIHILATION – Facebook

Voltumna – Dodecapoli

Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica, che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia.

Nuovo e sempre più estremo assalto sonoro dei Voltumna, una delle band di punta del panorama black metal italiano.

Il gruppo viterbese usa il black death metal come linguaggio per raccontarci la storia di un popolo misterioso ai nostri occhi moderni ma molto più dentro di noi ai misteri che ci circondano. I Voltumna con Dodecapoli toccano, come dicono loro stessi, il punto più estremo della loro discografia, ma ne è sicuramente anche  la vetta più alta. Il disco possiede una bellissima furia black/death metal, spazza via tutto e accentra su di sé l’attenzione. Il percorso di questo gruppo non è mai stato comune o normale, con la musica e i testi ha sempre suscitato qualcosa di diverso: questa volta ci fa avventurare nella storia della federazione sacra delle dodici città etrusche, narrandoci avvenimenti ormai dimenticati di un’epoca che meriterebbe ben altra considerazione, perché gli Etruschi possedevano una sapienza che abbiamo perso, e questo è tra le cose all’origine della frattura fra noi e la nostra anima. La Dodecapoli etrusca è una storia davvero interessante e, narrata con la passione e la musica dei Voltumna, assume un significato ancora maggiore. Il disco è incredibile per intensità e forza di un black che si congiunge perfettamente con il death, e viceversa. Ci sono momenti di epicità notevoli, specialmente quando entrano in campo musiche tipiche del popolo etrusco, e il vortice dei Voltumna diventa un groviglio di magia antica. Per tutto Dodecapoli aleggia uno spirito antico che ha trovato il modo di esprimersi con una musica violenta e catartica che ci mostra la magia e la forza di un popolo unico nella storia. Semplicemente uno dei nostri migliori gruppi metal.

Tracklist
1.The Lion, The Goat, The Serpent
2.Itinere Inferi
3.Reading The Flames
4.In Principium Tarquinii
5.Criterion Of The Groma
6.Fanum Voltumnae
7.Lars Porsenna
8.Perdidit Veii
9.Cyclopean Walls
10.War Of Supremacy
11.Vessels Of Rasna
12.The Path To Our Twilight

Line-up
Zilath Meklhum – Vocal
Haruspex – Guitar
Augur Veii – Drums
Fulgurator – Bass

VOLTUMNA Facebook

Harmdaud – Blinda Dödens Barn

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.

Blinda Dödens Barn è la prima testimonianza discografica di questo progetto solista del musicista svedese Andreas Stenlund.

Con il monicker Harmdaud, Stenlund offre una buona prova all’insegna di un black death atmosferico che riporta senz’altro dalle parti degli Amon Amarth, ma se l’originalità non è la caratteristica principale di questo esordio, è innegabile che il suo ascolto si riveli alquanto gradevole e a tratti molto coinvolgente.
Del resto, benché non ne risulti una particolare attività negli ultimi anni, il nostro è personaggio abbastanza conosciuto nell’ambiente estremo svedese, essendo membro di diverse band ed avendo ricoperto per un certo periodo il ruolo di chitarrista dal vivo per Vintersorg, e proprio il magnifico vocalist, famoso anche per la sua militanza nei Borknagar, si è occupato della produzione di Blinda Dödens Barn.
E’ un sentore epico, quindi, quello che aleggia all’interno di questi otto brani tra i quali spiccano i primi due, Vägens Slut e Själens Vanmakt e, soprattutto, il più evocativo Andetag, ma nel complesso l’album si rivela piuttosto uniforme per valore e, pur non toccando vette epocali, si rivela senza dubbio un ascolto ideale per chi ama questo tipo di sonorità.

Tracklist:
1. Vägens slut
2. Själens Vanmakt
3. Blinda Dödens Barn
4. Slagregn
5. Andetag
6. Till Glömskan
7. Vemodet
8. Memento Mori

Line-up:
Andreas Stenlund – Guitars, vocals, bass, programming, synthesizers

HARMDAUD – Facebook

Coraxo – Sol

I Coraxo licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra generi sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.

Il metal e le decine di modi in cui si può esprimere si avvia verso il 2018 lasciando in eredità grandi album come questo spettacolare Sol, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Coraxo, duo finlandese attivo da qualche anno e con due ep ed il full length Neptune a completare la discografia.

Un sound molto particolare, che unisce svariati generi, in un clima estremo e progressivo, è quello che sentirete dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, entrando in un mondo in cui melodic death metal, progressive ed elettronica vivono in perfetta simbiosi.
Sol è composto da undici tracce che variano per umori ed atmosfere, estremo nel suo mantenere un impatto metallico potente, progressivo nei suoni tastieristici che ricordano il new prog britannico (quindi per rimanere nella penisola scandinava gli immensi Nightingale) e pregno di atmosfere elettroniche che rendono la musica del duo moderna e catchy.
Tomi Toivonen e Ville Vistbacka da Tampere licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra i generi descritti, sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.
I tasti d’avorio sono assolutamente protagonisti, le ritmiche si fanno estreme come il growl che accompagna la voce pulita e a tratti teatrale e declamatoria (Arcturus), mentre tra le note delle splendide Satellite, Retrograde, Revenants, tanto per nominarvene alcune, riecheggiano trent’anni di musica nata e sviluppata soprattutto nelle fredde terre del nord.
Il progressive incontra il death metal melodico e la new wave, e tra i solchi di Sol avrete il piacere di incontrare vecchi amici come Hypocrisy, Arcturus, Edge Of Sanity e Nightingale, con l’elettronica ed un pizzico di sci-fi a trasformare il tutto in un turbinio di spettacolare musica senza confini né tempo.

Tracklist
1.Your Life. Our Future
2.Of Stars Reborn
3.Satellite
4.Helios
5.Retrograde
6.Revenants
7.Ascension
8.Sunlight
9.Sacrifices Made
10.The Chase – In Hiding pt. 1
11.Spearhead

Line-up
Tomi Toivonen – Vocals, Guitars, Keyboards
Ville Vistbacka – Drums

CORAXO – Facebook

Fecalizer – Back From The Dead: The Wonder (S)hits

Un gruppo di culto, impegnato in un massacro senza soluzione di continuità, con le influenze che appaiono talmente ovvie da rendere superfluo menzionarle ed un approccio al genere davvero bestiale e selvaggio.

Amanti del metal estremo e del grind/brutal in particolare sedetevi comodi, e fatevi travolgere da questo album che racconta i primi quattordici anni di danni ai padiglioni auricolari che il trio messicano dei Fecalizer ha provocato nei fans di tutto il mondo.

I Fecalizer sono una realtà ormai consolidata di una scena estrema messicana che tramuta in musica l’ambiente selvaggio e violento delle metropoli del Centro America continuando la tradizione nel genere iniziata con gli storici Brujeria e Disgorge.
Magari meno conosciutoi ai fans più distratti, il trio di estremisti metallici ha una già lunga discografia composta da ep e split (come in uso nel genere) e soli due full length, Zombie Mankind Extermination, licenziato nel 2014, e l’ultimo Gore Galore dello scorso anno.
Back From The Dead: The Wonder (S)hits, raccoglie il meglio della discografia del gruppo, ventitré brani di brutal death metal unito da una sottile cordicella con il grind, che formano un’ora in compagnia di zombie famelici, atmosfere gore e tanto sano cannibalismo in un delirio da film splatter di serie z, assolutamente imperdibile per gli amanti del genere.
Ariel Blaster (batteria), Mr. Bogdan Nowak (chitarra) e Necro Cannibal (basso, voce) ci invitano al banchetto, un gustoso pasto composto da carne umana, mentre loro picchiano sugli strumenti come forsennati contribuendo non poco a questa orgia cannibale chiamata Fecalizer.
Un gruppo di culto, impegnato in un massacro senza soluzione di continuità, con le influenze che appaiono talmente ovvie da rendere superfluo menzionarle ed un approccio al genere davvero bestiale e selvaggio; una raccolta che diventa irrinunciabile per chi non conosce ancora il gruppo messicano, aspettando che il nuovo album di inediti prosegua nella carneficina che i Fecalizer hanno attuato in questi anni nella scena brutal death metal.

Tracklist
1. The Night He Came Home (Intro)
2. Anal Massacre
3. Fecalizer
4. Empire State Of Grind
5. Mortal Cumbath
6. Eat My Shit Mother Fucker
7. We Are Going To Eat You
8. Gore Galore
9. Let The Zombies Rule The World
10. Walking Cadavers Catastrophy
11. The Walking Dead Invasion
12. Living Dead Domination
13. Gangbang In Fecal City
14. Fuck Humanity
15. Morturom Demonto
16. Brutal Revenge
17. Dr. Cannibal
18. The House Of The Dead
19. BxRxAxIxNxSx
20. Born In Shit
21. Stench Coprophagy
22. When The Zombies Takes The Earth
23. Apocalyptic Friday

Line-up
Ariel Blaster – Drums
Mr. Bogdan Nowak – Guitars
Necro Cannibal – Vocals & Bass

FECALIZER – Facebook

Helslave – Divination

Aspettando il nuovo album, godetevi questi quattro brani che confermano la band romana come una delle più convincenti realtà nel suonare il death metal come lo hanno inventato in Scandinavia.

Tornano gli Helslave con un nuovo ep di quattro brani per ribadire che, se si parla di death metal come lo si suonava in Scandinavia nella prima metà degli anni novanta, il gruppo romano non è secondo a nessuno.

Ovviamente la proposta del quintetto si ispira in toto al sound estremo nord europeo, quindi lasciate perdere inutili disquisizioni sull’originalità del sound e fatevi del male al ritmo assolutamente travolgente di Summoning the Eternal Eclipse , primo delle quattro mazzate che compongono Divination.
Gli Helslave giungono al secondo ep, preceduto dall’uscita del full length An Endless Path, e continuano il loro personale massacro a base di death metal a nomi quali Entombed e Dimember, ma anche Eucharist e primi Edge Of Sanity, specialmente per il growl del nuovo arrivato Diego Laino, che mi ha ricordato il Dan Swanö più feroce ed estremo dei bellissimi Unorthodox e The Spectral Sorrow.
Lord Of Lies, The Spawn Of Astaroth e Desecration continuano il bombardamento sonoro con una ferocia esecutiva che ha del clamoroso: riff chirurgici, sezione ritmica da inferno nordico e tanto impatto vecchia scuola fanno di questo nuovo ep un piccolo gioiello estremo da non perdere assolutamente, almeno se il sangue che sgorga ogni giorno dalle vostre orecchie è dovuto all’ascolto del genere.
Aspettando il nuovo album, godetevi questi quattro brani che confermano gli Helslave come una delle più convincenti realtà nel suonare il death metal come lo hanno inventato nel Nord Europa e il voto non è più alto solo per la breve durata del lavoro, risultato delle doti di una band da sostenere e conservare con estrema cura.

Tracklist
1. Summoning the Eternal Eclipse
2. Lord of Lies
3. The Spawn of Astaroth
4. Desecration

Line-up
Jari – Guitars (lead)
Francesco Comerci – Drums
Lorenzo Fabiani – Guitars
See also: ex-Fallen to Extinction, ex-Liar Angels
Luca Riccardelli – Bass
Diego Laino – Vocals

HELSLAVE – Facebook