Funeris – Nocturnes for Grim Orchestra

Funeris è un nome che, pur senza raggiungere i livelli delle band di punta del settore, si propone come approdo sicuro per chi voglia ascoltare queste luttuose sonorità.

Non sono passati neppure due anni dalla recensione di Waning Light ed eccoci nuovamente alle prese con un nuovo full length dei Funeris, progetto solita del musicista argentino Alejandro Nawel Sabransky che, dimostrando una certa prolificità, ha nel frattempo dato alle stampe altri due lavori su lunga distanza, Funereal Symphonies e Act III: Bitterness.

Questo più recente Nocturnes for Grim Orchestra è uscito lo scorso gennaio e mostra il nostro alla prese con un funeral doom dai tratti sempre atmosferici, ma ammantati di una ritualità che, in qualche modo, viene già evocata dalla copertina.
Rispetto ai dischi precedenti cambia anche la formula, con tre brani della durata superiore ai venti minuti che si rivelano altrettante litanie funebri guidate per lo più da un lavoro tastieristico, all’interno del quale trovano spazio rari quanto graditi inserti chitarristici di matrice solista.
E’ inutile ribadire che bisogna prendersi tutto il tempo necessario, ma Nocturnes for Grim Orchestra è un disco che, con la dovuta lentezza, si sviluppa in crescendo, dopo la partenza buona ma non sensazionale di Sempiterna Oscuridad e l’annichilente procedere dell’ottima Tempus Edax Rerum.
Il sound diviene inesorabilmente meno liturgico e più atmosferico, rallentato ai limiti dell’asfissia specialmente nella conclusiva Mouldy Gravestones, consolidando l’interessante livello esibito da Sabransky negli ultimi due anni.
Funeris è un nome che, pur senza raggiungere i livelli delle band di punta del settore, si propone come approdo sicuro per chi voglia ascoltare queste luttuose sonorità.

Tracklist:
1. Sempiterna Oscuridad
2. Tempus Edax Rerum
3. Mouldy Gravestones

Line-up:
Alejandro Nawel Sabransky: All Instruments, Vocals

FUNERIS – Facebook

Abyssic – A Winter’s Tale

Questo disco è la perfetta marcia funebre per la nostra società e per il nostro mondo, sarebbe un gran modo per uscire di scena e lasciarsi dietro qualcosa di valoroso e poetico.

Supergruppo norvegese che fa un super disco di doom sinfonico e funeral.

Incedere maestoso e lento per questo gruppo che è nato nel 1997 con il nome Abyssic Dreams, poi lasciato dormiente per gli impegni del fondatore Memnock con i Susperia, gruppo da lui fondato con Tjodalv dei Dimmu Borgir ed il chitarrista Elvorn. Nel 2012 Memnock decide di scongelare il progetto in seguito all’incontro con il chitarrista Andre Aaslie, che aveva appena finito di incidere un disco con i Gromth. Alla batteria viene ingaggiato Asgeir Mickelson già con Borkanagar ed Ihsahn. Da qui la decisione di fare un gruppo doom, e che doom. In A Winter’s Tale gli Abyssic interpretano il genere in maniera eccellente, molto orchestrato e con un forte timbro funeral, le canzoni sono lunghissime e fantastiche, la voce in growl si lega benissimo anche con effetti più elettronici e psych. Questo disco è la perfetta marcia funebre per la nostra società e per il nostro mondo, sarebbe un gran modo per uscire di scena e lasciarsi dietro qualcosa di valoroso e poetico.
Ci sono anche impetuose accelerazioni e il tutto appare perfettamente bilanciato. Registrato al Toproom Studio ha una produzione pressoché perfetta che rende molto bene la maestosità del suono. Splendido monolite nero.

TRACKLIST
1. Funeral Elegy
2. A Winter’s Tale
3. Sombre Dreams
4. The Silent Shrine

LINE-UP
Memnock – Vocals, Guitar, Bass, Contrabass
André Aaslie – Keys & Orchestration, Bass, Vocals
Asgeir Mickelson – Drums, Guitar
Elvorn – Guitar

ABYSSIC – facebook

Grimirg – MMXV-I

Ben eseguito e rivestito di un notevole gusto melodico, il lavoro va a lambire talvolta territori ambient ma mantenendo, sempre e comunque, una fisionomia volta a creare una malinconia soffusa

Grimirg è il progetto solista del quasi omonimo musicista finlandese Grim666, personaggio molto attivo nel’ambito della scena estrema del suo paese, e MMXV-I è l’esordio su lunga distanza con il quale veniamo invitati a percorrere la strada tormentata del funeral doom .

La sfumatura del genere prescelta è quella più atmosferica, predominata da tastiere avvolgenti sulle quali si abbattono con lenta cadenza i riff ed i colpi della batteria.
Ben eseguito e rivestito di un notevole gusto melodico, il lavoro va a lambire talvolta territori ambient ma mantenendo, sempre e comunque, una fisionomia volta a creare una malinconia soffusa, che le eleganti clean vocals femminili dell’ospite M.Karvinen contribuiscono ad esaltare.
Possiamo dire che i quattro lunghi brani si alternano nel loro incedere, per stile ed umore: se in Solitude e Into My Light si punta di più sul lato atmosferico, affidando soprattutto alle tastiere il compito di condurre le danze, in Infinity Revealed e Cold Abyss viene esibito un lato leggermente più drammatico, grazie ad un sobrio lavoro chitarristico che riporta il tutto su un piano vicino al funeral melodico in stile Ea.
MMXV-I è, quindi, un primo passo più che positivo, con i suoi oltre quaranta minuti all’insegna del funeral più consolatorio e meno ostico; peraltro, Grim666 dimostra anche una certa prolificità, visto che sei mesi dopo ha visto la luce il secondo full length, Pioneer Anomaly, del quale vi daremo conto non appena ne avremo la possibilità, allo scopo di verificare la tenuta su livelli medio-alti ed eventuali sviluppi dal punto di vista compositivo da parte del bravo musicista finnico.

Tracklist:
1. Solitvde
2. Infinity Revealed
3. Into My Light
4. Cold Abyss

Line-up:
Grim666 – All instruments, Vocals

GRIMIRG – Facebook

Funeral Moth – Transience

Transience è un disco di buona fattura. al quale manca solo la capacità di evocare quelle vibrazioni emotive che, in lavori di band più note vengono esibite con maggior continuità.

Mi capita di rado, specialmente per i generi che tratto normalmente, di parlare di musica proveniente dal Giappone.

In effetti, quelle poche band dedite a generi estremi che ho avuto occasione di ascoltare non è che mi abbiamo mai impressionato più di tanto, così non è che mi sia avvicinato con grande convinzione a questo lavoro dei Funeral Moth.
Come spesso (e fortunatamente) accade, mi sono dovuto ricredere visto che l’interpretazione del funeral doom fornita dalla band nipponica è piuttosto convincente e competente.
Il quartetto è attivo da circa un decennio, ma il primo passo su lunga distanza risale a due anni fa (Dense Fog): Transience è la prima uscita senza uno dei due membri fondatori, il bassista Nobuyuki Sentou, il che lascia le redini nelle mani del solo Makoto Fujishima, chitarrista, vocalist e, cosa non da poco, titolare della Weird Truth, label specializzata in doom che vede nel proprio roster nomi del calibro di Ataraxie, Mournful Congregation, Profetus e Worship, tra gli altri.
Lo stile attuale dei Funeral Moth è prossimo proprio a quello dei tedeschi Worship, quindi si parla di una forma di funeral molto asciutta ed essenziale e dall’incedere per lo più bradicardico, ma in questo caso il suono si rivela ancor più rarefatto, lasciando che spesso siano minimali contributi dei singoli strumenti a guidare lo sviluppo dei due lunghi brani che vanno a comporre Transience.
La band di Tokyo forse indulge troppo su questo aspetto della propria proposta, visto che il contributo vocale di Fujishima, dotato di un buonissimo e intelligibile growl, è però piuttosto parco e ciò rende il tutto ancor più statico di quanto normalmente ci si possa aspettare da un disco di funeral doom ma, nel contempo, non viene mai meno quel senso di ineluttabile tragedia che comunemente si cela dietro ogni singola nota di un album catalogabile all’interno del genere.
Detto ciò, Transience è comunque un disco di buona fattura al quale manca solo la capacità di evocare quelle vibrazioni emotive che, in lavori di band come i già citati Worship o gli stessi Mournful Congregation, vengono esibite con maggior continuità; due brani come la title track e Lost, alla fine, risultano un ascolto apprezzabile per chi ha una certa familiarità con questi suoni, meno per chi predilige il versante più melodico e atmosferico del funeral.

Tracklist:
1.Transience
2.Lost

Line-up:
Makoto Fujishima – Guitars, Vocals
Youichirou Azegami – Drums
Tomohiro Kanjya – Guitars
Ryo Amamiya – Bass

FUNERAL MOTH – Facebook

Lumen Oceani – Errabundus Eram Regno Tenebrarum

Errabundus Eram Regno Tenebrarum è un ottimo disco che, come detto, spinge all’estremo la componente liturgica del funeral senza apparire mai stucchevole, andando a toccare i tasti giusti dell’emotività con un sound più consolatorio che minaccioso

La costante ricerca di novità in campo funeral doom oggi ci porta a conoscere i Lumen Oceani.

Abbiamo già visto quanto un sottogenere, che già di per sé è assolutamente peculiare, possa mostrare a sua volta tante sfaccettature. Così, pure nella sua frangia più melodica, il sound può essere condotto da linee chitarristiche strappalacrime oppure da tastiere solenni e dai toni liturgici.
Proprio in quest’ultima sfumatura stilistica sono collocabili gli svedesi Lumen Oceani, band che come da copione non offre altri appigli descrittivi se non la propria musica, non essendo reperibile alcun accenno biografico sia su Facebook sia sul Bandcamp.
Poco male, come sempre, quando sono appunto le note ad occupare tutti gli spazi, riempiendo gli spazi di suoni lugubri e solenni e trasportando l’ascoltatore al’interno di un virtuale luogo sacro dove l’organo, parti corali e tutto ciò che è strettamente connesso alla ritualità ecclesiastica, ammantano l’aere con linee melodiche ineluttabilmente oscure.
Dei tre lunghi brani sono soprattutto il primo e l’ultimo a spiccare per qualità ed intensità: Die clamavi et nocte coram te prende avvio mostrando le profonde stimmate dei maestri Skepticism, e non può che esser un bell’incedere quello proposto dai Lumen Oceani, visto che l’altro influsso stilistico evidente sono gli Ea, specie quando nelle composizioni scema la solennità a favore della melodia.
Caratteristica, questa, che è appunto più evidente nella conclusiva Panis Vitae, altra traccia notevole a suggello della bellezza di un lavoro che nei suoi cinquanta minuti brilla un po’ meno solo in occasione del brano centrale Caverna, più cupo ma meno evocativo rispetto al resto.
Errabundus Eram Regno Tenebrarum è un ottimo disco che, come detto, spinge all’estremo la componente liturgica del funeral senza apparire mai stucchevole, andando a toccare i tasti giusti dell’emotività con un sound più consolatorio che minaccioso.

Tracklist
I. Die clamavi et nocte coram te
II. Caverna
III. Panis vitae

LUMEN OCEANI – Facebook

Ego Depths – Dyrtangle

Il funeral targato Ego Depths non possiede pulsioni melodiche ma è un corpo estraneo conficcato in qualche parte del corpo, volto a provocare un dolore diffuso, non lancinante ma costante.

Con cadenza ormai annuale arriva il nuovo lavoro degli Ego Depths, progetto solista di Stigmatheist, musicista ucraino che da diversi anni ormai si è stabilito vive a Montreal.

Negli anni scorsi abbiamo trattati i due precedenti album e, parlando di Dyrtangle, resta poco da aggiungere rispetto a quanto detto in quei frangenti.
Il funeral targato Ego Depths non possiede pulsioni melodiche ma è un corpo estraneo conficcato in qualche parte del corpo, volto a provocare un dolore diffuso, non lancinante ma costante.
Ovviamente ciò è sintomo di una fruibilità minima e questi, se vogliamo, è il solo difetto di un opera condivisibile nel suo porsi coerentemente su un piano non accessibile a chiunque, ma che in virtù di una durata ai limiti della capienza di un cd si rivela di digestione laboriosa anche per i più avvezzi al genere.
È’ chiaro che tutto ciò deriva da una scelta ben precisa di Stigmatheist: l’album è espressione di un musicista ben conscio di ciò che sta facendo e, più di una volta, quando ci si attende l’apertura derivante da una logica progressione questa viene negata, quasi a rimarcare l’intento di non fornire alcun appiglio empatico all’ascoltatore.
Dyrtangle però è un lavoro molto curato, anche a livello di scelte strumentali, spesso non convenzionali e talvolta ammantate da un’aura mistica e, peraltro, l’ultima traccia Vitrification, Ineludible Meditation è davvero notevole, in virtù di un incedere più intenso e relativamente meno ostico.
Anche grazie a questo il quarto full length degli Ego Depths possiede un suo indubbio fascino, ma non è certo l’album che estrai dal mazzo con decisione se vuoi ascoltare del funeral in grado di offrire emozioni a profusione.

Tracklist
1. The Angleshifter
2. Wheel of Transmigration
3. The Onward Tide
4. Awakening of Gshin-Rje, the Lord of Death
5. Vitrification, Ineludible Meditation

Line-up:
Stigmatheist – Everything

EGO DEPTHS – Facebook

Heimskringla – Vikingløypa

Vikingløypa è un buon disco, in grado di fornire nutrimento a sufficienza per chi anela a sonorità melanconiche e dal mood meno catacombale.

Il versante più melodico del funeral, la cui espressione più alta è attribuibile agli imprescindibili Shape Of Despair, seguiti a ruota dai meno elaborati ma ugualmente grandiosi Ea, sta prendendo piede, almeno alla luce delle sempre più frequenti uscite che traggono spunto proprio da quest’ultima band.

Tocca oggi al solo project Heimskringla (proveniente dagli Stases nonostante tutto, dal monicker ai titoli dei brani, faccia riferimento alla Scandinavia) offrire quasi ottanta minuti di buona musica che, se non fa molto per distinguersi da album come Ea Taesse o Au Ellai, resta comunque oltremodo gradevole grazie al buon gusto melodico che Niðagrisur immette a profusione nel proprio sound.
Il disco ci mette un po’ a decollare, perché Skandinavia I, almeno per un quarto d’ora mostra coordinate più ambient finché finalmente anche la chitarra entra a delineare le proprie efficaci linee armoniche.
Da li in poi Vikingløypa mostra le sonorità che gli amanti del genere ben conoscono e che vengono proposte con perizia e competenza, per un risultato finale che soddisfa e che, come livello, non si va a collocare neppure troppo lontano dall’ultimo parto degli Ea, A Etilla.
Per restare in questa sfera d’influenza, se gli Heimskringla sono un gradino sotto gli Abysskvlt, perché non raggiungono con la stessa continuità i loro picchi emozionali, si dimostrano di gran lunga più efficaci di certe proposte eccessivamente devote ai propri modelli come, per esempio, quella dei Luna.
Vikingløypa è comunque un bel disco, in grado di fornire nutrimento a sufficienza per chi anela a sonorità melanconiche e dal mood meno catacombale.

Tracklist:
1.Skandinavia I
2.Skandinavia II
3.Vikingløypa
4.Íslenska Vatnið

Line-up:
Niðagrisur Guitars, Bass, Drums, Synths, Vocals

HEIMSKRINGLA – Facebook

Flegethon – Cry of the Ice Wolves III

Chi predilige l’ambient nelle sue sembianze più oscure potrebbe gradire non poco.

Flegethon è un nome che agita la scena russe del doom più estremo fin dall’inizio del secolo e Cry of the Ice Wolves III è addirittura il nono full length uscito sotto questo marchio.

Nata come duo, dopo l’uscita di De’Meon dal 2003 la band è di fatto un progetto solista guidato da Oden. L’album preso in esame costituisce la terza ed ultima parte del concept formato dal brano omonimo presente nell’album d’esordio The Last Stage of Depression e dall’altro lavoro su lunga distanza, Cry of the Ice Wolves II del 2007.
Rispetto all’ambient drone piuttosto tetragono di quell’opera passato, Oden in quest’occasione lascia spazio a spiragli di melodia che accompagnano piacevolmente la monotraccia fino al suo epilogo: i suoni appaiono molto più curati ed il soffocante senso di minaccia dell’episodio II viene rimpiazzato da un’irrequietezza che monta lentamente ed inesorabile come una marea.
Grazie a ciò questa mezz’ora di musica mostra più i pregi che non i difetti dello specifico sottogenere, riuscendo nell’impresa di non annoiare, avvolgendo invece l’ascoltatore con un flusso sonoro continuo ma dai tratti lineari e riconoscibili.
Se viene parzialmente meno la vis sperimentale che animava i passati lavori, Cry of the Ice Wolves III si rivela comunque un’opera matura e competitiva, sia pure nel suo ristretto ambito stilistico; in particolare, chi predilige l’ambient nelle sue sembianze più oscure potrebbe gradire non poco.

Tracklist:
1. Cry of the Ice Wolves III

Line-up:
Oden

Raven Mocker – Livid Flame

I Raven Mocker offrono un’interpretazione del genere ortodossa quanto coinvolgente, con un buon lavoro di tastiera ad arricchire di pathos suoni prodotti ed eseguiti in maniera soddisfacente.

Altra band proveniente dagli USA dedita al funeral doom e della quale non si possiedono altre notizie se non quelle correlate a monicker e titoli dei brani, i Raven Mocker esordiscono con questo EP intitolato Livid Flame.

Le due tracce, denominate in maniera piuttosto essenziale e II, si snodano per una decina di minuti ciascuna offendo un’interpretazione del genere ortodossa quanto coinvolgente, ovvero con un buon lavoro di tastiera ad arricchire di pathos suoni prodotti ed eseguiti in maniera soddisfacente.
Tra i due brani, il primo vive di una solennità quasi liturgica conferita dall’eccellente operato dei nostri (o nostro ? ) ai tasti d’avorio, mentre il secondo lascia che sia prevalentemente la chitarra a disegnare le dolenti e struggenti melodie che, comunque, vengono riversate con buona continuità all’interno di questi venti minuti di funeral intenso ed emozionante.
Un lavoro davvero convincente, e consigliato senza remore a chi ama collezionare musica poco convenzionale proposta tramite supporti altrettanto particolari, visto che Livid Flame è stato pubblicato dalla Atrum Cultus nel formato della musicassetta in tiratura limitata a 100 copie; il tutto costa 5 dollari e, alla luce dell’ottima musica regalata dai Raven Mocker, per un amante del funeral il rapporto qualità/prezzo è senz’altro conveniente.

Tracklist
1. Livid Flame I
2. Livid Flame II

 

Sepultus Est – En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos

Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd

Un disco di funeral doom proveniente dal Perù è per certi versi un’anomalia, ancor più se pensiamo che sovente, quando questo genere viene proposto da musicisti residenti in nazioni senza una tradizione consolidata nel settore, i risultati sono spesso infarciti di ingenuità e di imperfezioni in fase di esecuzione e produzione.

Non è certo questo il caso dei Sepultus Est, band di Lima guidata da Lord Sepultus, il quale, pur costituendone il fulcro artistico e compositivo, non si adagia alla condizione striminzita di one man band ma si fa aiutare nella stesura della propria opera da un manipolo di musicisti: proprio una certa cura dei particolari e una scrittura ottimale lanciano questo En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos tra le potenziali soprese dell’anno appena iniziato, in ambito funeral (il disco, infatti, è stato da poco pubblicato dalla label russa GS Productions).
Lord Sepultus non si è certo risparmiato nel suo intento di scaraventarci nei baratri più profondi con la propria funerea ispirazione, così l’album sfiora il massimo consentito dalla lunghezza di un cd (78 minuti) con l’iniziale title track che, a sua volta supera i 40 minuti di durata: già da questi freddi numeri si può intuire quanto il lavoro sia estremo, non tanto dal punto di vista delle sonorità quanto per l’impegno che viene richiesto all’ascoltatore per coglierne al meglio ogni sfumatura.
Musicalmente siamo nell’alveo del funeral più melodico, con la tastiera del mastermind a guidare le trame di ogni brano, ora con dolenti aperture melodiche, ora con passaggi pianistici che, tutto sommato, rappresentano un elemento piuttosto peculiare.
Si diceva della traccia iniziale, che mette a dura prova la resistenza degli appassionati, a causa di una parte centrale che ferisce con la propria deriva depressive, compresi vocalizzi estremi che vanno rimpiazzare il growl dominante invece nel resto del lavoro: il giusto premio giunge negli ultimi dieci minuti, a dir poco meravigliosi nella loro reiterata ed evocativa melodiosità.
Nella più breve (20 minuti … ) Funebres estatuas en el jardin de la muerte spicca un bellissimo lavoro pianistico che è fondamentalmente ciò che lo distingue dal brano precedente, mentre Paisajes depresivos, bonus track tratta da un demo uscito nel 2013, differisce per un suo incedere a tratti romantico, per quanto sempre pervaso da quella vena di tristezza che si spegne solo con l’ultima nota di questo lunghissimo lavoro.
Un altro nome da appuntarsi per chi ama queste sonorità.

Tracklist
1. En el marmoreo laberinto donde sueñan los muertos
2. Funebres estatuas en el jardin de la muerte
3. Paisajes depresivos

SEPULTUS EST – Facebook

Monolithe – Epsilon Aurigae

Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Il quinto album dei francesi Monolithe  mostra il suo elemento di novità  già dal titolo, che va ad interrompere la sequenza numerica che si protraeva fin dall’esordio risalente al 2003.

Inoltre,  anche in questo caso per la prima volta, abbiamo tre brani  di un quarto d’ora ciascuno al posto della canonica ed interminabile traccia unica, ma anche dal punto di vista prettamente musicale le novità sono significative, per quanto meno evidenti.
L’evoluzione iniziata con Monolithe III ha progressivamente allontanato la band parigina dal funeral più ortodosso, rendendo il sound man mano più peculiare ed aumentando in maniera esponenziale quella componente cosmica che, in precedenza, era rinvenibile più a livello concettuale che non nella sostanza.
La musica dei Monolithe possiede oggi un incedere solenne, che istintivamente riconduce all’immensità dell’universo piuttosto che al male di vivere, come le coordinate del genere vorrebbero, ma certo non viene meno il senso di caducità dell’esistenza, rappresentato dallo sgomento  dell’uomo di fronte a dimensioni spazio temporali che all’intelletto di un insignificante essere mortale è impedito immaginare.
Come sempre, la voce di Richard Loudin interviene  in maniera efficace  senza mai debordare, lasciando che sia soprattutto la musica ad avere il sopravvento sulle parole.
Epsilon Aurigae  è ricco di momenti dall’elevato tasso emozionale, racchiusi in un contesto sonoro maturo e nel contempo peculiare e, in definitiva,  è l’ennesimo grande album di una band che, assieme  a poche altro in ambito doom, è capace di esibire una cifra stilistica pressoché unica.

Tracklist
1.Synoecist
2.TMA-0
3.Everlasting Sentry

Line-up:
Benoît Blin – Guitars
Richard Loudin – Vocals
Sylvain Bégot – Guitars
Olivier Defives – Bass
Thibault Faucher – Drums

MONOLITHE – Facebook

Arche – Undercurrents

Splendide progressioni ammantate di pathos si alternano a passaggi più rarefatti o a repentine aperture melodiche, poste quasi a simboleggiare un’effimera quanto illusoria attenuazione del dolore che pervade l’intero lavoro.

Che la Finlandia sia la patria del funeral non ci sono dubbi, visto che i Thergothon prima e gli Skepticism poi hanno di fatto inventato e codificato questo meraviglioso sotto genere del doom metal.

Nel corso degli anni altre band provenienti dalla terra dei mille laghi hanno fornito prove indimenticabili, citiamo solo Shape of Despair, Colosseum e Profetus tra le più note; proprio da questi ultimi proviene Eppu Kuismin, che ha formato da poco questa nuova band denominata Arche e il cui esordio si rivela una nuova dolorosa perla.
Il musicista finnico di fatto si mette in proprio, componendo, suonando la chitarra ed occupandosi anche delle parti vocali, coadiuvato da Panu Raatikainen a basso e chitarra e Ville Raittila alla batteria: il sound proposto dagli Arche non ricalca però più di tanto quello della band madre ma, semmai, si avvicina maggiormente a quanto fatto dai Colosseum.
In qualche modo questa nuova creatura, infatti, va a comare il vuoto creato dall’inevitabile split dovuto alla prematura dipartita di Juhani Palomäki, ripercorrendone le orme con una scrittura contraddistinta da una costante tensione emotiva, optando per un gravoso incedere guidato da riff diluiti e distorti sui quali si vanno ad appoggiare arpeggi che disegnano melodie struggenti, come accade in particolare nel finale della magnifica Plains Of Lethe.
Ma nel sound del trio di Tampere confluiscono, alla fine, anche influenze provenienti sia dal centro Eyropa (Worship, per certi passaggi dalla lentezza soffocante), sia dall’emisfero australe (Mournful Congregation, per un certo gusto nell’utilizzo delle soluzioni acustiche), a denotare una conoscenza della materia da primo della classe da parte di Kuismin.
Funereal Folds è la seconda delle due lunghe tracce che vanno a comporre questa mezz’ora di funeral doom ai suoi massimi livelli: anche qui le splendide progressioni ammantate di pathos si alternano a passaggi più rarefatti o a repentine aperture melodiche, poste quasi a simboleggiare un’effimera quanto illusoria attenuazione del dolore che pervade l’intero lavoro.
Undercurrents è nutrimento fondamentale per chi nella musica cerca emozioni durature e non canzoncine da fischiettare sotto la doccia …

Tracklist
1. Plains of Lethe
2. Funereal Folds

Line-up:
Eppu Kuismin – Guitars, Vocals
Panu Raatikainen – Guitars, Bass
Ville Raittila – Drums

ARCHE – Facebook

https://vimeo.com/131759482

Abysskvlt – Thanatochromia

Un solo album non consente ancora di poterlo dire con certezza, ma Thanatochromia introduce una band che appare ampiamente in grado di ripercorrere le orme degli Ea.

Magnifico esordio per i misteriosi russi Abysskvlt, con un funeral doom melodico degno dei migliori Ea.

E sono proprio questi ultimi a fungere come punto di riferimento per i nostri, sia per l’approccio mediatico che lascia ben poco spazio agli ego dei musicisti, mettendo in luce esclusivamente il prodotto musicale, sia soprattutto per uno stile analogamente evovativo, basato su un incedere lento ma sempre focalizzato su un impatto emotivo creato dal muro di chitarre e tastiere.
Quattro brani per un totale che sfora i settanta minuti, sono l’eloquente biglietto da visita di una band che darà soddisfazione a chi ama questo particolare segmento stilistico del funeral, che ovviamente annovera tra i propri esempi più fulgidi i seminali Shape Of Despair.
Immagino e spero che la citazione di questi punti di riferimento sia sufficiente per capire di quale spessore sia Thanatochromia: gli Abysskvlt non vogliono riscrivere la storia del genere ma, essenzialmente, fanno nel migliore dei modi ciò che si aspetta di ascoltare chi ama le band menzionate; forse, a voler cercare il pelo nell’uovo, mancano quei picchi emotivi che altrove vengono regalati a profusione, ma per converso l’album non presenta mai cali di tensione o momenti interlocutori.
Un dolore soffuso ma ininterrotto sovrasta i brani nella loro interezza, anche se House Of Woe, rispetto alle altre tracce, grazie ad una scrittura ancor più volta ad accentuarne la drammaticità con il corollario di voci singhiozzanti in sottofondo, regala una ventina di minuti di livello del tutto all’altezza delle migliori espressioni del genere.
Abysskvlt come nuovi Ea, quindi ? Un solo album non consente ancora di poterlo dire con certezza, ma Thanatochromia introduce una band che appare ampiamente in grado di ripercorrere le orme degli altrettanto misteriosi campioni del funeral doom.

Tracklist
1. Over Cold Tombs
2. Between Two Mirrors
3. House of Woe
4. The Dawn My Unawakening

Without Dreams – Rejected by Angel, Betrayed by Demon

L’ascolto di Rejected by Angel, Betrayed by Demon regala diversi attimi di funeral doom magari un po’ ruspante nella forma, ma sicuramente genuino negli intenti e capace di toccare, sia pure a intermittenza, le giuste corde.

Ancora una one man band russa si presenta sulla ormai piuttosto affollata scena funeral death doom.

Il nostro Thanataur, da quanto ci è dato sapere, dovrebbe essere al suo passo d’esordio ufficiale con il monicker Without Dreams, e di certo non si è fatto intimorire dalla cosa, visto che Rejected by Angel, Betrayed by Demon consta di soli due brani ma della durata complessiva ben superiore all’ora.
Questo lavoro può essere preso ad emblema di come, non sempre, far tutto da soli si riveli un vantaggio: l’album dal punto di vista prettamente compositivo è decisamente valido, alla luce delle atmosfere plumbee ma sempre intrise di melodia che il musicista di Ekaterinburg mette sul piatto; purtroppo, tutto ciò non viene sorretto costantemente da una tecnica strumentale all’altezza, specie nei passaggi di chitarra solista che, se affidati a mani più sapienti, avrebbero potuto fare davvero la differenza. Così il disco offre il meglio nei momenti più ruvidi, quando un buon growl sovrasta riff pesanti adeguatamente supportati dalle tastiere, mentre negli altri frangenti, inclusi quelli pianistici, l’esecuzione appare cosi scolastica da rendere il tutto alla stregua di un buon demo e nulla più.
Di positivo c’è sicuramente da rimarcare che, quando il sound si muove su territori affini a Comatose Vigil ed Ea, Thanataur è in grado di produrre con disinvoltura momenti senz’altro evocativi, il che fa rimpiangere davvero altri strutturati in maniera troppo minimale o approssimativa.
Per un appassionato del genere, più propenso per sua natura a passare sopra certe imperfezioni, Rejected by Angel, Betrayed by Demon risulterà comunque un lavoro gradevole, ma lo stesso non potrà verificarsi per chi approda in questi lidi ricercando aspetti più formali che non prettamente emotivi,
In sintesi, se Thanataur riuscisse a reperire un chitarrista capace di riprodurre al meglio le sue buone intuizioni melodiche, oppure se egli stesso facesse un passo avanti in tal senso sfruttando anche in maniera più adeguata il lavoro di produzione, il prossimo album dei Without Dreams potrebbe rivelarsi ben più convincente, anche se alla fin fine l’ascolto di Rejected by Angel, Betrayed by Demon regala diversi attimi di funeral doom magari un po’ ruspante nella forma, ma sicuramente genuino negli intenti e capace di toccare, sia pure a intermittenza, le giuste corde.

Tracklist
1.Demon of Suicide
2.Fallen Angel

Line-up:
Thanataur – Everything

Deos – … To Depart

Anche se non si tratta del capolavoro che mi sarei aspettato, il voto comunque elevato corrisponde in toto al valore oggettivo di … To Depart.

Scommetto che, se foste dei tifosi del Barcellona, quando Leo Messi segna in una partita meno di due goal o, comunque, non si esibisce in una di quelle azioni in cui dribbla tutti gli avversari (e già che c’è anche qualche omino delle bibite), uscireste dallo stadio velatamente delusi.

Quando mi trovo a che fare con Déhà e Daniel Neagoe mi sento più o meno come i sostenitori blaugrana nei confronti della “Pulga” argentina, e così la pubblicazione di un nuovo album che li vede entrambi protagonisti rischia di scontentarmi relativamente pur risultando vincente.
Il secondo disco a nome Deos, il progetto funeral che vede i due corresponsabili ciascuno al 50% dello sforzo compositivo, è appunto una dimostrazione ineccepibile di come si debba interpretare il genere, ma non è il capolavoro che mi sarei atteso.
Questo perché, dei quattro brani che vanno a formare la tracklist di … To Depart, solo due sono le perle che possono scaturire da poche altre menti oltre a quelle del geniale duo, mentre sia la traccia di apertura (The Vigil), sia quella di chiusura (The Emptiness) non si rivelano all’altezza di cotanto splendore.
Ovviamente questi due brani farebbero la fortuna di molte band, che li utilizzerebbero ben volentieri per edificarvi attorno un intero album, ma rispetto al precedente disco sia il ricorso molto più frequente delle clean vocals, sia una rarefazione che rende più interlocutorio il sound, indeboliscono parzialmente l’impatto emotivo del lavoro.
In fondo le caratteristiche citate sono presenti anche in The Last Journey e The Silence, ma ciò avviene in maniera più organica in alternanza ai momenti ricchi di pathos provocati dall’irrobustimento del sound, associato al mortifero growl di Daniel: il titolo della prima delle due tracce calza davvero ad un andamento capace di evocare sensazioni dolorose difficili da descrivere a parole (per aiutarvi provate a pensare ai migliori Ea, ma molto più bravi tecnicamente ed ulteriormente rallentati), mentre la seconda è, se possibile, ancor più drammatica nel suo incedere ma viene stemperata da aperture melodiche con clean vocals che, qui, sono molto più funzionali alla causa rispetto ad altri frangenti.
Se vogliamo, si può trovare un certo parallelismo tra le accoppiate Fortitude, Pain, Suffering –  … To Depart e Gaia – IV Mythologiae degli Slow, progetto solista di Déhà, nel senso che in entrambi i casi l’album più recente vede una parziale attenuazione delle ruvidezze ed un incremento contestuale delle parti ambient e di quelle cantate con voce pulita. In tutto ciò, poi, finiscono inevitabilmente e giustamente per confluire anche le altre esperienze musicali dei due, a partire dai Clouds, dai quali vengono attinti certi passaggi pianistici di stampo intimista, che del resto ritroviamo anche negli stessi Eye Of Solitude.
In buona sostanza … To Depart è, come detto in fase introduttiva, un bellissimo lavoro, anche se il suo predecessore mi aveva offerto sensazioni ancor più dolorosamente lancinanti; non posso escludere a priori che dietro a tutto ciò possa esserci una sorta di pregiudizio affettivo, visto che fu proprio grazie a Fortitude, Pain, Suffering che scoprii l’esistenza di Déhà e Daniel, due tra i musicisti che più stimo al giorno d’oggi, e forse “accontentarsi” di un album come … To Depart è la cosa migliore da fare: non stupisca, quindi, un voto piuttosto elevato, visto che corrisponde in toto al valore oggettivo di quanto ascoltato.
Da citare, infine, e non solo per dovere di cronaca, il prezioso contributo alla resa finale del disco del chitarrista rumeno Alex Cozaciuc dei Descend Into Despair.

Tracklist:
1.I The Vigil
2.II The Last Journey
3.III The Silence
4.IV The Emptiness

Line-up:
Daniel N. – All instruments, Vocals
Déhà – All instruments, Vocals
Alex Cozaciuc – Guitars

DEOS – Facebook

Ēōs – Ēōs

Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.

Seconda prova per gli statunitensi Ēōs, dopo un demo di assaggio uscito l’anno scorso.

La band di Olympia propone un funeral doom piuttosto ortodosso e privo di particolari orpelli ma, rispetto ad uscite trattate di recente l’esito appare più organico e meno minimale, anche perché, per una volta, l’esecuzione non è appannaggio di un solo elemento ma avviene per mano di un gruppo vero e proprio.
Il sound deglj Ēōs prende spunto dalle radici del genere, partendo dai Thergothon e passando per gli act più estremi, nel senso del rallentamento dei ritmi, sulla scia degli Worship; il tutto viene eseguito senza esaltare ma facendo intravedere una buona padronanza della materia ed offrendo due brani ampiamente nella media per la loro capacita di evocare sofferenze assortite.
Per i neofiti questo lavoro degli Ēōs potrebbe risultare decisamente indigesto, mentre chi conosce in maniera più approfondita il genere trattato troverà probabilmente più di un motivo di interesse.
Chiaramente, poco più di venti minuti non possono essere esaustivi riguardo alle alle caratteristiche di una band, ma sono sicuramente indicativi di potenzialità non trascurabili.
Gli Ēōs sono quindi da attendere alla riprova su più lunga distanza.

Tracklist:
1. Umwelt
2. Pain Came Before and Will Never End

Line-up:
S. Laughton – Bass
Alex Mody – Drums, Vocals
A. Doherty – Guitars
E. Camp – Guitars
S. Radovsky – Keyboards

Plagueprayer – Forgotten Witchery

Un ascolto interessante, che va a costituire un buon corollario a quello che per il musicista transalpino resta comunque il progetto principale per qualità e peculiarità, ovvero Abysmal Growls Of Despair.

Dopo aver parlato dell’ultimo album targato Abysmal Growls Of Despair, facciamo un passo indietro andando ad esaminare un lavoro uscito nella scorsa primavera con il monicker Plagueprayer, altro progetto solista dell’iperattivo Hangsvart.

Rispetto a quella che, personalmente, ritengo essere l’incarnazione migliore del musicista francese, questo Forgotten Witchery mostra tratti più sperimentali, pur conservando quelli catacombali strettamente connessi al genere funeral.
La componente ambient è infatti piuttosto corposa e si manifesta un po’ in tutti i brani, occupando per intero l’intro autointitolata e la ben più lunga Dead Town posta in chiusura del lavoro; nelle altre tracce vengono fatte convivere le due anime, che finiscono per integrarsi piuttosto bene evidenziando nel complesso un sound riconducibile a tratti ai seminali Worship, specie nei due episodi migliori, quali Dark Arcane e Germ Deliverance, dove una tremebonda vena melodica umanizza un sound la cui registrazione lo fi è sintomatica di una vis compositiva claustrofobica e ripiegata su sé stessa.
La scelta di ricorrere allo screaming rispetto al più consueto growl (che Hangsvart presta anche agli ottimi Arrant Saudade) aumenta il senso di straniamento provocato da questa prima uscita a nome Plagueprayer.
Un ascolto interessante, che va a costituire un buon corollario a quello che per il musicista transalpino resta comunque il progetto principale per qualità e peculiarità, ovvero Abysmal Growls Of Despair.

Tracklist:
1.Plagueprayer
2.Dark Arcane
3.Villagers’ Fear
4.Purification
5.Germ Deliverance
6.Contamination
7.Dead Town

Line-up:
Hangsvart – all lyrics, music, voices, concept

PLAGUEPRAYER

Carma – Carma

Album d’esordio per i portoghesi Carma all’insegna di un funeral doom sui generis ma ricco di sfumature interessanti.

Album d’esordio per i portoghesi Carma all’insegna di un funeral doom sui generis ma ricco di sfumature interessanti.

Il gruppo di Coimbra arriva a questo suo primo passo dopo qualche anno di attività e, in effetti, il lavoro non risente dei difetti e delle ingenuità che talvolta affliggono le prime uscite discografiche.
Su uno sviluppo relativamente breve, Carma si estrinseca in sei brani validi e soprattutto vari, che passano da aperture di ambient atmosferica ad accelerazioni che si spingono fino a ritmiche black; detto di una scelta stilistica certo non monocorde, per contro ai lusitani manca il colpo del campione, nella fattispecie il brano capace di inchiodare alla sedia l’ascoltatore schiacciandolo sotto un peso emotivo insostenibile.
In effetti ci andrebbe piuttosto vicino una traccia come Reflexo, i cui spunti, se ben sviluppati, potrebbero consentire in futuro un importante salto di qualità, ma alla fin fine le note dell’album che si imprimono maggiormente nella mente sono quelle della conclusiva Adeus, strumentale semplice nella sua struttura ma indubbiamente dotato di una certa carica evocativa, nel suo andare anche ad attingere dalla pregevole tradizione folk della nazione iberica.
Pur se non indimenticabile l’album rappresenta una prima prova di indubbio interesse e, quindi, foriera di buoni sviluppi futuri.

Tracklist:
1. Sonhos
2. Procissão
3. Feto
4. Reflexo
5. Lamento
6. Adeus

Line-up:
Æminus – Bass, Guitars
Nekruss – Bass, Vocals
Igniferum – Drums

CARMA – Facebook

Поезд Родина / Funeral Tears – Frozen Tranquility

Buon split album proveniente dalla sempre attiva scena dell’est europeo, con protagoniste due realtà del funeral doom minori, ma non per questo trascurabili come Поезд Родина e Funeral Tears.

Buon split album proveniente dalla sempre attiva scena dell’est europeo, con protagoniste due realtà del funeral doom minori, ma non per questo trascurabili come Поезд Родина e Funeral Tears.

La prima band (la cui traslitterazione nel nostro alfabeto diventa Poezd Rodina) è un duo formato dal russo Andrey T., che si occupa di tutti gli strumenti, e dall’ucraino Eugene, che presta il proprio aspro screaming; nel caso dei Поезд Родина parlare di funeral doom è forse un po’ forzato, visto che nel loro sound affiorano non pochi elementi che riportano direttamente al depressive più malato e melanconico.
Un discorso che tutto sommato si può fare in parte anche per la one man band Funeral Tears del russo Nikolay Seredov che, sebbene si muova su territori più propriamente doom, mantiene comunque quei tratti disperati tipici del DSBM
Detto questo, per amor di precisione e per non ingenerare equivoci di sorta in chi si apprestasse all’ascolto, Frozen Tranquillity si rivela un lavoro ispirato, capace di esibire un mood doloroso, spesso in maniera lancinante e sempre con una certa continuità; mediamente più lunghi, i brani dei Поезд Родина sono più atmosferici e dall’impatto maggiormente drammatico, mentre quelli dei Funeral Tears sfruttano frequentemente il contributo della chitarra solista per spingere sul lato malinconico del genere proposto, con una prestazione vocale da parte di Seredov che si fa preferire rispetto a quella del suo dirimpettaio.
Nel complesso, i brani migliori di ciascuna band sono forse i primi in scaletta, Ледяная Голгофа e Разливая по венам усталость, ma se non vengono raggiunti picchi memorabili va detto che il livello medio si mantiene sempre su standard piuttosto buoni, facendo sì che entrambi i nomi entrino di diritto tra quelli da tenere sotto stretta osservazione in occasione di un prossimo full length.

Tracklist:
1.Поезд Родина – Ледяная Голгофа
2.Funeral Tears – Разливая по венам усталость
3.Поезд Родина – Всего лишь смерть
4.Funeral Tears – Eternal Tranquility
5.Поезд Родина – Мертві квіти
6.Funeral Tears – Hope

Line-up:
Поезд Родина
Andrey T. – All instruments, Lyrics
Eugene – Vocals

Funeral Tears
Nikolay Seredov – Everything

FUNERAL TEARS – Facebook