Backyard Babies – Sliver & Gold

Buon ritorno per il gruppo svedese, Silver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock ‘n’ roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Come sempre, quando un genere musicale raggiunge il successo, le luci che si spengono dopo i titoloni sulle riviste di settore ed i concerti sold out lasciano solo i migliori a raccogliere i cocci della lunga festa nella quale molti si sono imbucati, ripartendo con ancora la voglia di portare la propria musica in giro per il mondo.

Questo accade sistematicamente da ormai settant’anni, da quando è nato il rock ed il suo meraviglioso e controverso mondo, con generi e band esplose a livello commerciale con la stessa velocità con cui sono tornate nell’underground o addirittura sparite per poi magari tornare in reunion più o meno riuscite.
La scena scandinava che trovò gloria e clamore a cavallo dei due secoli, ha lasciato ormai da anni cicche di sigarette, alcool e vomito sul pavimento dei locali dove The Hellacopters, Gluecifer, Turbonegro, Hardcore Superstar e i Backyard Babies di Nicke Borg e Dregen facevano impazzire i fans europei a suon di rock ‘n’ roll adrenalinico e, come sempre quando si parla delle terre del nord, di altissima qualità.
Tocca a Sliver & Gold, ultimo lavoro dei Backyard Babies, il compito di regalare mezz’ora abbondante di quella musica che non smetteremo mai di amare, anche se nel corso degli anni la nostra attenzione è stata attratta da una vastità impressionante di generi lontanissimi tra loro.
Dregen e i Backyard Babies sono tornati, dando un successore a Four By Four, precedente lavoro uscito nel 2015, con l’ottavo full length di una discografia avara di album inediti, visto che il debutto Diesel And Power è targato 1994.
Sliver And Gold è il classico lavoro che ci si sarebbe attesi con ingredienti ben noti: una serie di tracce che scaricano adrenalina rock ‘n’ roll, un talento per le melodie straordinario, il familiare cantato di un Borg a tratti tornato ad esaltare come su Making Enemies Is Good e Stockholm Syndrome (Total 13 lasciamolo dove merita, nell’olimpo del genere), e la sei corde di uno dei chitarristi e personaggi più carismatici della scena.
La sezione ritmica, sempre al suo posto con i veterani Johan Blomqvist e Peder Carlsson, non manca certo di fare il suo sporco lavoro e già dal buongiorno dato da Good Morning Midnight si capisce che ci sarà da divertirsi.
Il singolo Shovin’ Rocks è da infarto, pura adrenalina rock ‘n’roll che la band non smette di cantare in tre minuti abbondanti di party song irresistibile, Yes To All No placa il graffiante inizio e l’album si assesta su una serie di brani che vedono rock da battaglia (Bad Seeds, 44 Undead) e una ballad leggermente prolissa ma nostalgicamente perfetta per chiudere l’album (Laugh Now Cry later).
Buon ritorno per il gruppo svedese, Sliver & Gold non deluderà di certo i fans: gli anni d’oro del genere sono tramontati da tempo ma del rock’n’roll suonato alla Backyard Babies non ci si stanca mai.

Tracklist
1.Good Morning Midnight
2.Simple Being Sold
3.Shovin‘ Rocks
4.Ragged Flag
5.Yes To All No
6.Bad Seeds
7.44 Undead
8.Sliver And Gold
9.A Day Late In My Dollar Shorts
10.Laugh Now Cry Later

Line-up
Nicke Borg – Vocals, Guita
Andreas “Dregen” – Guitar
Johan Blomquist – Bass
Peder Carlsson – Drums

BACKYARD BABIES – Facebook

Ex – I nostri fantasmi

Hard rock. Quello classico, duro e puro, provocatorio e senza tempo, privo di fronzoli.

Da Verona, con oltre vent’anni di attività sulle spalle. Gli Ex furono formati da musicisti dalla lunga e provata esperienza, attivi sul territorio nazionale sin dal lontano 1981 (anche nei prime movers del metal tricolore Spitfire).

La musica della band è oggi la naturale somma delle singole esperienze dei suoi componenti: un hard rock, cantato in italiano, con forti influenze Seventies. Essenziali e liberi dai modelli: questi sono gli Ex. Come il grande e compianto Sergio Leone nel cinema, gli Ex altro non fanno che ‘demitizzare’ il loro stesso genere musicale, con testi di contestazione sociale verso i luoghi comuni della realtà urbana odierna. Una band indipendente, priva di compromessi, nemica di ogni troppo facile etichetta. Già il loro disco precedente, Cemento armato (2016) – promosso live in Svizzera, Francia, Scozia – era un validissimo esempio di combat rock (per citare qui il classico dei Clash, targato 1982). Del resto, se non il genere suonato, l’attitudine è molto punk. I pezzi sono tutti scarni ed immediati, energici e di forte impatto. Raccontano le periferie, la passione per la musica, la vita di strada (un po’ alla Rolling Stones) e il desiderio insopprimibile di libertà, l’insofferenza per ipocrisia e perbenismo, nonché la difficoltà di essere visibili all’interno di un sistema che appiattisce e livella, oggi, tutto e tutti. Le undici canzoni de I nostri fantasmi, sesto capitolo nella carriera degli Ex, sono tutto questo. Con la giusta dose di orgoglio e tanto, tantissimo cuore.

Tracklist
1- Vieni a vedere
2- La mia donna odia il rocchenroll
3- No Panic
4- L’ambiguità
5- Ora
6- La sconfitta del 2000
7- (Ogni giorno è) un nuovo giorno
8- Idee uniche
9- California
10- Santi e delinquenti
11- Cicatrice

Line up
Roberto Mancini – Vocals
Gabriele Agostinelli – Bass
Yari Borin – Drums
Stefano Pisani – Guitars

EX – Facebook

https://www.youtube.com/expastarock

Kings Destroy – Fantasma Nera

La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima.

Dal 2010 i Kings Destroy fanno musica pesante di gran classe, coniugando sonorità vicino allo stoner, all’hard rock e al noise con melodia e grande tecnica.

Fantasma Nera è un disco pieno di canzoni entusiasmanti, che cominciano con un motivo per poi andare davvero lontano, portando l’ascoltatore a spasso per mondi fatti di melodia e grazia musicale. Questi nativi di Brooklyn sono andati a Toronto per collaborare con David Bottrill, già al lavoro con Tool, King Crimson, Stone Sour, ed infatti qui troviamo molto del suono progressivo delle prime due band di cui sopra. Rispetto a Maynard e soci e alla creatura di Fripp, i Kings Destroy hanno una grande facilità nel rendere maggiormente immediata la loro musica, con passaggi molto melodici e fantastici ritornelli. Questo loro quarto album differisce dagli altri, come ogni altro album che hanno fatto gli americani, sempre differente da quello precedente, in una continua ricerca sonora. La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima. Dentro alle loro canzoni c’è qualcosa che riesce a dare una notevole pace, come se ci si ricongiungesse con un’altra parte di noi stessi che avevamo perduto. Ogni canzone è una nuova scoperta, si viene avvolti da una grande quantità di luce, anche se la tenebra non è sconosciuta. Nella bella ed esoterica copertina c’è quello che potrebbe sembrare un lago od un mare, comunque tanta acqua, e proprio la sensazione di stare nell’elemento acqueo è una della grandi emozioni che ci regala questo gruppo. Possiamo anche trovare un po’ di grunge in chiave hard rock, ma i Kings Destroy non appartengono ad un genere ben preciso. Ci sono moltissime cose qui dentro e sono tutte da scoprire in un lavoro che è molto superiore e non lo nasconde.

Tracklist
1.The Nightbird
2.Fantasma Nera
3.Barbarossa
4.Unmake It
5.Dead Before
6.Yonkers Ceiling Collapse
7.Seven Billion Drones
8.You’re The Puppet
9.Bleed Down The Sun
10.Stormy Times

KINGS DESTROY – Facebook

Green River – Rehab Doll

I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente.

Ristampa di lusso per l’unico disco su lunga distanza dei Green River.

Uscito originariamente nel 1988, Rehab Doll può essere considerato la summa e contemporaneamente il punto più alto della loro carriera: sintomo di un’epoca che stava cambiando musicalmente, a parte le note vicende future dei suoi membri, l’album è un piccolo capolavoro per quanto riguarda la musica e la sintesi fra post punk ed un hardcore altro. Registrato da Jack Endino, vero e proprio fautore di un certo suono, Rehab Doll è un compendio di un certo alternativo americano che in quegli anni da un lato annoverava gruppi come i Black Flag e dall’altro lato i Green River, che stavano facendo qualcosa di veramente differente. Rispetto a Dry As A Bone qui la musica è maggiormente strutturata, le canzoni mutano molto nel loro divenire, e la carica distorsiva è preponderante. Rehab Doll è un disco irripetibile di un gruppo che, oltre che anticipare alcune istanze musicali come il grunge, ha saputo proporre una sintesi molto riuscita fra post punk e il rock. La musica dei Green River non nasce con loro ma è originale la proposta musicale che fanno, di grande importanza ancora adesso. Ascoltando Rehab Doll si può facilmente comprendere come questo disco sia ancora avanti di anni ai giorni nostri e, cosa più importante, sia bellissimo dalla prima all’ultima canzone. Questa ristampa di lusso della Sub Pop comprende gli otto brani originali, più alcune versioni dei brani presi dalle cassette di prova di Jack Endino, e due inediti, un documento prezioso e occasione per poter riascoltare un capolavoro quanto mai attuale. I Green River non erano solo dei precursori ma furono un gruppo che fece qualcosa di nuovo partendo da elementi già presenti nella scena musicale del tempo e di quella precedente. Qualcosa a Seattle si stava muovendo e non sarebbe finito tanto presto.

Tracklist
01. Forever Means
02. Rehab Doll
03. Swallow My Pride
04. Together We’ll Never
05. Smilin’ and Dyin’
06. Porkfist
07. Take a Dive
08. One More Stitch
09. 10000 Things
10. Hangin’ Tree
11. Rehab Doll
12. Swallow My Pride
13. Together We’ll Never
14. Smilin’ and Dyin’
15. Porkfist
16. Take a Dive
17. Somebody
18. Queen Bitch

SUB POP – Facebook

Electric Mary – Mother

Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente.

In Australia hanno un tocco particolare per il rock in tutte le sue forme, ma in particolare per quelle più ruvide e vicine allo spirito del blues.

Gli Electric Mary sono appunto australiani e fanno un ottimo hard rock, molto bene suonato e dominato dalla bellissima voce di Rusty, fondatore del gruppo nel 2003. Da una sua particolare visione musicale nasce questa band che con Mother arriva al quarto album, con un seguito sempre maggiore in tutto il mondo. La gente che ama il gruppo oceaniano troverà in Mother un approdo sicuro, un hard rock di alta qualità che vive di momenti diversi, alcuni quasi stoner, altri molto blues, che è poi un po’ la cifra stilistica che lega il tutto. Il suono è ciò che fa smuovere i cuori di molti amanti dell’accezione più ruvida del rock, dove la strada diventa bollente e ci fa muovere gli stivali. Rusty è un cantante eccezionale e trascina tutto il gruppo, musicisti rock di livello superiore che fanno storia a sé, ed infatti il disco bissa e supera la già alta qualità di III, il disco precedente. C’è un qualcosa di sensuale e di fisico nelle note di Mother, un richiamo alla nostra vera natura, un riportarci là dove ci sono polvere e sudore. Il gruppo ruota benissimo dietro alla voce blues e maledetta del cantante, e si arriva ad un livello alto; infatti la band ha suonato in giro per il mondo con nomi molto importanti e nella loro Australia sono molto famosi, anche quella nazione ha una grande attenzione per gruppi come gli Electric Mary, dalla formula musicale in apparenza semplice ed in realtà di grande effetto. Non si trova nulla fuori posto in questo disco, tutto scorre bene, ma per ottenere un tale effetto il lavoro è grandissimo e deve essere strutturato molto bene. Venticinque anni fa questo disco avrebbe venduto moltissimo e gli Electric Mary sarebbero stati fissi in America; i tempi sono cambiati, ma un album così apre ancora i cuori di chi ama questi suoni stradaioli e da bar fumosi. L’hard rock continua a produrre buone cose grazie a realtà come queste, figlie della passione e della preparazione tecnica.

Tracklist
1 Gimme Love
2 Hold Onto What You Got
3 How Do You Do It
4 Sorry Baby
5 The Way You Make Me Feel
6 It’s Alright
7 Long Long Day
8 Woman

Line-up
Rusty – vocals
Pete Robinson – guitar and vocals
Alex Raunjak – bass guitar
Brett Wood – guitar and vocals
Paul “Spyder” Marrett – drums

ELECTRIC MARY – Facebook

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals

Kamion – Gain

I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Una folle corsa senza freni con un mastodontico mostro a sei ruote, un muro d’acciaio e sangue che spazza via ogni ostacolo.

Gain è il debutto dei Kamion, uscito autoprodotto lo scorso anno e ora promosso dall’Atomic Stuff, label nostrana con cui il quintetto veneto ha iniziato a collaborare.
Mezzora di pesantissimo heavy/thrash rock è quello che ci propone il gruppo con Gain, lavoro composto otto brani pregni di groove, ripartenze veloci e mid tempo pesantissimi.
L’opener The Reaper apre le ostilità, come un micidiale predatore aspetta il momento giusto per colpire, tra bordate metalliche, sferzate thrash metal ed attitudine heavy rock.
Bruciante e diretta, Another God va a formare un’accoppiata vincente con l’opener, ma è tutta la tracklist di Gain che non perde un colpo, tra esplosioni di nitroglicerina metallica.
I Kamion vedono al microfono una vera tigre come Dodo, singer molto conosciuto nella scena veneta, i due chitarristi e fondatori Paul e Patch e la sezione ritmica composta dal bassista Lux e dal batterista Dan a formare un combo massiccio, ispirato dalla scena metal statunitense e da band come Black Label Society, Pantera ed Alice In Chains, influenze primarie del quintetto che marchiano brani granitici come Mr.Sucker e Going Wrong.
Un grande brano è anche la conclusiva Jungle, mix perfettamente bilanciato tra le band dell’orso Zakk Wilde e di Jerry Cantrell due dei musicisti più influenti della scena metal/rock a stelle e strisce degli ultimi trent’anni.
I Kamion si presentano in modo assolutamente convincente sulla scena underground con un lavoro robusto e tellurico come Gain, consigliato agli amanti dei gruppi citati quale riferimento.

Tracklist
01. The Reaper
02. Another God
03. Queen Of Hate
04. Home
05. Mr. Sucker
06. Going Wrong
07. Escape
08. Jungle

Line-up
Dodo – Vocals
Paul – Lead Guitar
Patch – Rhythm Guitar
Lux – Bass
Dan – Drums

KAMION – Facebook

Ruxt – Back To The Origins

La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Era il 2016 quando sulle pagine di MetalEyes si parlava per la prima volta dei Ruxt, hard rockers genovesi che debuttavano con il notevole Behind The Masquerade, album che proponeva un sound ispirato da Dio e Whitesnake, ma riletto in chiave moderna e groovy.

Il secondo, bellissimo Running Out of Time vedeva un gruppo in continua crescita con il proprio sound che, ben radicato nella scuola britannica, espandeva i suoi orizzonti tra Rainbow e Deep Purple con l’asso nella manica rappresentato dal singer Matt Bernardi, straordinario interprete a metà strada tra Coverdale e Dio o, più semplicemente emulo del grande Jorn Lande.
Il gruppo si presenta con un nuovo album ed una line up che vede l’avvicendamento alla batteria tra Alessio Spallarossa (Sadist) e Alessandro Fanelli (Ashen Fields , ex Path Of Sorrow), mentre le vecchie volpi del rock genovese sono tutte ancora al loro posto (il bassista Steve Vawamass, Stefano Galleano e Andrea Raffaele alle chitarre, ed ovviamente Matt Bernardi al microfono).
Back To The Origins conferma dunque il valore assoluto di questa band nel genere, andando forse oltre alle più rosee aspettative grazie ad una alchimia consolidata tra i musicisti, un tocco di sana gioventù portata dal nuovo drummer, ed una consapevolezza ancora più accentuata dell’essere una delle realtà più convincenti nel portare avanti la tradizione britannica sulla scena hard rock del nuovo millennio.
Già dal titolo si intuisce che i Ruxt questa volta hanno dato ampio spazio alle produzioni a cavallo tra gli anni settanta e ottanta con l’accoppiata d’apertura Here And Now/I Will Find Away che fanno vibrare la lingua del serpente bianco tatuato sulla mia spalla (dalla copertina di Trouble).
E’ un sussulto continuo l’ascolto del nuovo lavoro targato Ruxt: la scaletta alterna tracce dall’appeal più moderno ed in linea con quanto fatto dal Lande solista a quelle di ispirazione tradizionale che gli esperti del genere avranno già potuto ascoltare non solo sui monumentali lavori delle band storiche ma anche in quel Once Bitten… che Lande registrò con la storica coppia Moody/Marsden sotto il monicker The Snakes.
La voce che fa vibrare corde ormai sopite, le chitarre foriere di riff spettacolari e la sezione ritmica rocciosa e sempre sul pezzo danno lustro ad una raccolta di brani a tratti esaltanti, heavy rock alla massima potenza sporcato da quel tocco di blues che fece la fortuna del rettile più famoso della storia del rock: questo è Back To The Origins e questi sono i Ruxt, che con una punta d’orgoglio campanilistico possiamo senz’altro definire una delle massime espressioni del genere in assoluto.

Tracklist
1. Here And Now
2. I Will Find The Way
3. All You Got
4. River Of Love
5. Be What You Are
6. Train Of Life
7. Another Day Without Your Soul
8. Come Back To Life
9. Remember The Promise You Made
10. Tonight We Dine In Hell
11. Back To The Origins

Line-up
Matt Bernardi – Vocals
Stefano Galleano – Guitars
Andrea “Raffo” Raffaele – Guitars
Steve Vawamas – Bass
Alessandro “Attila” Fanelli – Drums

RUXT – Facebook

Frank Caruso Feat. Mark Boals – It’s My Life

Quattro brani che nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista nostrano e che risultano un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone Statunitense.

Frank Caruso è uno dei chitarristi più quotati della scena hard & heavy tricolore, protagonista con la sua sei corde nei seminali Arachnes, nei Thunder Rising ed ultimamente contattato dal compositore Mistheria per collaborare in qualità di arrangiatore all’imponente progetto Vivaldi Metal Project.

Il suo vagare in compagnia della sua chitarra e del suo talento lo ha portato ad interagire con alcuni mostri sacri del’hard rock internazionale tra cui il singer Mark Boals (Malmsteen, Dokken e Ted Nugent), con il quale ha scritto i brani racchiusi in It’s My Life, ep prodotto dalla RTI.
La title track è un brano roccioso con un chorus che mette subito in evidenza la buona forma di Boals, un hard & heavy d’ordinanza che Caruso valorizza con un solo graffiante, mentre armonie acustiche riempiono la stanza con I Don’t Want To Come Back.
Born To New Life è una power ballad melodica, intimista e molto anni ottanta, mentre Summer Road lascia il palcoscenico al chitarrista nostrano, impegnato in uno strumentale diviso tra splendide melodie ed una robusta chitarra hard rock.
I quattro brani nulla aggiungono e nulla tolgono al talento del chitarrista milanese, rivelandosi un buon ascolto per gli amanti dell’hard rock melodico, valorizzati dalla sempre coinvolgente voce del leone statunitense.

Tracklist
1.It’s My Life
2.I Don’t Want To Come Back
3.Born To New Life
4.Summer Road

Line-up
Frank Caruso – Guitars
Mark Boals – Vocals

FRANK CARUSO – Facebook

The Heard – The Islands

Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.

E’ indubbio il fatto che, di questi tempi, suonare hard rock vintage dai rimandi occulti e pregni di atmosfere dark sia diventato un trend, ma non c’è niente di male anche perché per il momento quanto viene proposto è di qualità mediamente alta.

La nuova super band in arrivo dalla Svezia, terra che ultimamente sforna realtà del genere a palate, si chiama The Heard ed è composta da tre quinti delle ormai scioltesi Crucified Barbara (la chitarrista Klara Force, la bassista Ida Evileye e la batterista Nikki Wicked), Jonas “Skinny Disco” Kangur dei Deathstars (chitarra) e Pepper Potemkin alla voce (modella e burlesque performer).
Bravura e bellezza al servizio di un hard rock settantiano, che richiama il sound proposto dai Lucifer della sacerdotessa Johanna Sadonis, con in primo piano i riff potenti e sabbathiani accompagnati da una performance vocale di tutto rispetto.
I dieci brani creano un’atmosfera di magico rituale, un occult rock piacevole all’ascolto, con il gruppo molto attento alle melodie di facile presa senza spingersi troppo nella psichedelia e con un approccio che tradisce il passato rock ‘n’ roll di tre delle sue componenti.
The Islands ha dalla sua l’esperienza dei musicisti in questione, che conoscono la materia e sanno dove colpire con il giusto riff e la melodia vincente, alternando mid tempo, che si crogiolano in armonie semiacustiche dal buon appeal, ad altri più graffianti e dinamici, con in primo piano la voce della bellissima cantante che ammalia, rivelandosi perfetta interprete di brani affascinanti come A Death Supreme, Tower Of Silence, It e l’accoppiata Queen Scarlet / Crystal Lake.
Altro ottimo lavoro di genere, The Islands presenta una band di talento in grado di posizionarsi ai piani alti della scena hard rock vintage.

Tracklist
01. The Island
06. Caller Of The Storms
02. A Death Supreme
07. Revenge Song
03. Tower Of Silence
08. Queen Scarlet
04. Sirens
09. Crystal lake
05. It
10. Leaving The Island

Line-up
Klara Force – Guitar
Ida Evileye – Bass
Nikki Wicked – Drums
Jonas “Skinny Disco” Kangur – Lead Guitar
Pepper Potemkin – Vocals

THE HEARD – Facebook

Angeles – Time of Truth

We’re No Angels cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto, tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.

Tornano gli Angeles, veterani della scena hair/street metal degli anni ottanta, che di Los Angels sono originari e che bazzicavano sul Sunset Boulevard in compagnia di Quiet Riot, Motley Crue, Ratt, Guns’n’Roses ma non solo: all’epoca furono visti sul palco insieme a Metallica e Ronnie James Dio, Jefferson Starship, Robbie Krieger dei Doors, Jack Russell “Great White”, The Tubes, Foghat, Y & T, Michael Schenker e Dokken, solo per citare alcune delle leggende del con le quali il quartetto andava a spasso per gli States.

Gli Angeles non fecero mai il botto commerciale, ma i loro album (una decina in totale) sono un vero spasso per chi ama queste sonorità: street metal, blues, rock’n’roll, glam, nel sound del gruppo ci si ritrovano tutte le varie anime che compongono il genere più irriverente della storia, tornato a risplendere in questo nuovo album intitolato Time of Truth.
1977/2018: più di quarant’anni vengono riassunti in questi undici brani dove troverete tutto, ma proprio tutto quello che negli anni ottanta fece innamorare molti della scena losangelina, un’attitudine che si riassume in un impatto ancora esplosivo come ai vecchi tempi e tanto rock’n’roll.
We’re No Angels, cantano i rockers americani, ragazzi cattivi sopravvissuti alla storia di una generazione di musicisti diventata leggenda e che si respira in ogni passaggio di questo ottimo lavoro, in cui non si sente per nulla il tanto tempo passato ma che sa invece regalare grande musica hard & heavy.
Pain, Hollywood, Trouble e tutte le altre sorelline in calze a rete e mascara sono pronte a donarsi in cambio di un prezioso pass per entrare nel mondo sporco, perverso e cattivo del rock’n’roll, ancora una volta, anche se quando si accenderanno le luci tutto svanirà e a noi non resterà che premere di nuovo il tasto play.

Tracklist
1. Pain
2. Not Here to Play
3. Hollywood
4. Trouble
5. Goodbye
6. We’re No Angels
7. Are You Ready For Your Sins
8. Lonely Road
9. Band Plays On
10. Shiver Me Timbers
11. God, Country and King

Line-up
Demon Dale aka Dale Lytle – Guitar
Daniel Ferreira -Vocals
Cal Shelton – Bass Guitar
Danny Basulto – Drums

ANGELES – Facebook

The Night Flight Orchestra – Internal Affairs/Skyline Whispers

Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.

La Nuclear Blast saggiamente, dopo il successo degli ultimi due bellissimi lavori (Amber Galactic e Sometimes the World Ain’t Enough), ristampa il debutto Internal Affairs e il successivo Skyline Whispers, i primi due album dei rockers The Night Flight Orchestra originariamente usciti per Coroner Records rispettivamente nel 2012 e nel 2015.

Look rinnovato e l’aggiunta di una bonus track sono le novità di queste due nuove versioni per il super gruppo che vede cimentarsi con il pop/rock anni ottanta una manciata di pilastri del metal estremo capitanati da Björn “Speed” Strid dei Soilwork.
Internal Affairs e Skyline Whispers non hanno nulla da invidiare ai loro successori, dando il via alla saga di questo geniale progetto che raccoglie in sé lo spirito della musica pop rock tra anni settanta e ottanta tra pop, dance e hard rock da arena.
Qualcuno ancora oggi storcerà il naso di fronte a questo gruppo di musicisti che, mettendo da parte l’anima estrema che li contraddistingue, si sono messi in gioco con talento e passione, creando musica che definire senza tempo è un eufemismo, piacevolmente vintage ma dall’appeal stratosferico già dalle prime note del debutto, una raccolta di brani splendidi che hanno nell’eclettismo e la loro arma migliore.
Sul primo album quindi si passa dall’hard rock americano di California Morning, al rock sporcato di blues che ricorda gli Whitesnake di Transatlantic Blues, al funky nero della title track in un turbinio di luci colorate da balere raccontate da Thank God It’s Friday o Saturday Night Fever.
Qualità altissima ed acquisto obbligato anche per il secondo album, Skyline Whispers, uscito tre anni dopo il debutto e che consolidava una proposta fino ad allora vista come un piacevole diversivo dei suoi protagonisti.
Anche qui si viaggia spediti sulle ali dell’assoluta libertà artistica con brani che a turno fotografano le imprese di Van Halen, Electric Light Orchestra, Kiss o Spandau Ballet in brani che chiamare trascinanti è un eufemismo come Stiletto, Lady Jane o Roads Less Travelled.
Licenziati anche in vinile, questi due lavori risultano imperdibili per chi ha amato i successivi, confermando i The Night Flight Orchestra come una delle proposte più geniali degli ultimi anni.

Tracklist
Internal Affairs:
1. Siberian Queen
2. California Morning
3. Glowing City Madness
4. West Ruth Ave
5. Transatlantic Blues
6. Miami 502
7. Internal Affairs
8. 1998
9. Stella Ain’t No Dove
10. Montreal Midnight Supply
11. Green Hills Of Glumslöv
12. Song For Ingebörg

Skyline Whispers:
1. Sail On
2. Living For The Nighttime
3. Stilletto
4. Owaranai Palisades
5. Lady Jade
6. I Ain’t Old I Ain’t Young
7. All The Ladies
8. Spanish Ghosts
9. Demon Princess
10. Skyline Whispers
11. Roads Less Travelled
12. The Heather Reports
13. September You’re A Woman

Line-up
Björn Strid -Vocals
Sharlee D’ Angelo – Bass
David Andersson – Guitar
Richard Larsson – Keyboards
Jonas Källsbäck – Drums
Sebastian Forslund – Guitar
Backing Vocals by the Airline Annas – Anna Brygård and Anna-Mia Bonde

THE NIGHT FLIGHT ORCHESTRA – Facebook

Def Leppard – The Story So Far-The Best Of

The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.

I Def Leppard sono un’istituzione per gli amanti dell’hard & heavy, perché anche se inserita con non poca fatica nel carrozzone della new wave of british heavy metal, la band di Joe Elliot si è sempre espressa su coordinate melodiche dall’appeal irresistibile, trovando il successo anche tra chi non ascolta metal abitualmente.

Rock, pop, hard rock da arena, super ballad che hanno conquistato migliaia di fans in giro per il mondo, lungo una carriera arrivata oltre i quarant’anni costellata da successi planetari e tragedie umane che hanno segnato in modo indelebile la storia del gruppo britannico.
The Story So Far- The Best Of è la classica raccolta che ripercorre gli anni di una band che ha fatto la storia del genere, per cui è ovvio che qui si trovino i maggiori successi, così come qualche brano degli ultimi lavori, magari sfuggito ai fans della prima ora.
I Def Leppard arriveranno nel nostro paese all’inizio dell’estate insieme agli Whitesnake, formando una coppia d’assi imperdibile per i rockers con qualche capello bianco sulla chioma ormai rada, e The Story So Far è l’occasione per una retrospettiva sul meglio che il gruppo ha offerto nella sua lunga carriera.
La raccolta esce in vari e formati e per tutti i gusti: 2 CD /1 CD/ 2 LP + bonus 7” con appunto una raccolta di singoli, “The Hysteria Singles”, box in edizione limitata con 10 singoli 7” in vinile, ma ci sono anche note dolenti: a parte il singolo natalizio We All Need Christmas e la cover di Personal Jesus dei Depeche Mode, non ci sono tracce inedite e vengono completamente ignorati i brani dai primi due lavori (On Through the Night e High ‘n’ Dry), scelta che lascia con l’amaro in bocca per l’importanza storica dei due lavori in questione.
Per il resto The Story So Far è un tuffo nella musica dei Def Leppard tra classici immortali e brani splendidi ma meno conosciuti, in un lungo abbraccio con questi signori dell’hard & heavy, con cui più o meno tutti siamo cresciuti e che hanno segnato qualche stagione della nostra vita con le loro hit.
Non siamo molto in sintonia con questo tipo di operazioni, ma per i Def Leppard facciamo volentieri un’eccezione, anche per l’immensa discografia dei nostri e l’importanza che hanno avuto nel portare al successo la nostra musica preferita.

Tracklist
Disc 1
01. Animal
02. Photograp
03. Pour Some Sugar On Me
04. Love Bites
05. Let’s Get Rocked
06. Armaggedon It
07. Foolin’
08. Two Steps Behind
09. Heaven Is
10. Rocket
11. Hysteria
12. Have You Ever Needed Someone So Bad
13. Make Love Like A Man
14. Action
15. When Love & Hate Collide
16. Rock of Ages
17. Personal Jesus

Disc 2
01. Let’s Go
02. Promises
03. Slang
04. Bringin’ On The Heartbreak
05. Rock On (Radio Remix)
06. Nine Lives” (feat. Tim McGraw)
07. Work It Out
08. Stand Up
09. Dangerous
10. Now
11. Undefeated
12. Tonight
13. C’Mon C’Mon
14. Man Enough
15. No Matter What
16. All I Want Is Everything
17. It’s All About Believing
18. Kings Of The World

Line-up
Joe Elliott – Vocals
Phil Collen – Guitar & Vocals
Vivian Campbell – Guitars & Vocals
Rick “Sav” Savage – Bass & Vocals
Rick Allen – Drums & Vocals

DEF LEPPARD – Facebook

Piledriver – Rockwall

Chitarre graffianti, l’hammond che ispira atmosfere settantiane, ritmi e refrain che ricordano le una manciata di band che hanno fatto la storia dell’hard rock classico ed il gioco è fatto, niente di clamoroso invero ma assolutamente perfetto da portare in auto ed affrontare le luminose strade del sabato sera.

Quarto album e buon ritorno sul mercato per i tedeschi Piledriver, band nata come cover band degli storici Status Quo e da un po’ di anni in viaggio su strade più personali.

Ovviamente il sound dei cinque non può che essere un hard rock classico che amalgama influenze di matrice centro europea a quelle più tradizionali provenienti dal Regno Unito: un muro di rock (come suggerisce il titolo) per infiammare concerti davanti ad un buon numero di fans del genere, molto seguito in Germania.
Chitarre graffianti, l’hammond che ispira atmosfere settantiane, ritmi e refrain che ricordano le una manciata di band che hanno fatto la storia dell’hard rock classico ed il gioco è fatto, niente di clamoroso, invero, ma assolutamente perfetto da portare in auto per affrontare le luminose strade del sabato sera.
Ac/Dc, Status Quo, Bonfire, UFO e in parte Scorpions: questa è la ricetta di Rockwall ed il piatto risulta piccante il giusto per risvegliare istinti selvaggi, alimentati da questa raccolta di brani che mantiene una buona qualità per tutta la sua (lunga) durata.
L’opener Stomp, l’inno One For The Rock, la title track Rockers Rollin’ sono gli episodi migliori di questi tredici di brani che celebrano a modo loro l’hard rock classico, andando a comporre un’opera consigliata ai rockers di origine controllata.

Tracklist
1. Stomp
2. Agitators
3. One For The Rock
4. Rockwall
5. Waiting
6. Farewell
7. For Freedom And Friends
8. Julia
9. Draw The Line
10. Nazareth
11. Sparks
12. Rockers Rollin’
13. Little Latin Lover

Line-up
Michael Sommerhoff – lead and harmony vocals, guitars
Peter Wagner – guitars, lead and harmony vocals
Rudi Peeters – keyboards, harmony vocals
Marc Herrmann – bass
Hans In‘t Zandt – drums, harmony vocals

PILEDRIVER – Facebook

The Price – A Second Chance To Rise

Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità, ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie.

Marco Barusso da Calice Ligure, è una personalità musicale dalle molte sfaccettature: produttore, arrangiatore, chitarrista e ingegnere del suono, ha collaborato con nomi quali 883, HIM, Coldplay, Gli Atroci, Heavy Metal Kids e Cayne, solo per fare qualche nome.

The Price è il nome del suo nuovo progetto solista, all’esordio con A Second Chance To Rise. La copertina promette già bene, testimonianza di un contratto con qualcuno che puzza di zolfo e che ha pure lui collaborato con diversi musicisti e gruppi. Uno dei messaggi che vuole trasmettere Barusso è che non bisognerebbe prendere scorciatoie, ma essere sempre fedeli a se stessi, lavorando duro. E il duro lavoro, la grande passione e un talento tecnico fuori dal comune sono alcune fra le doti di Marco Barusso che confeziona un gran bel disco, con tante cose dentro, tanti ospiti di spicco ed un tiro micidiale. Come coordinate musicali si potrebbe dire che siamo dalle parti dell’hard rock proposto con estrema eleganza ma c’è molto di più. Punto di partenza è una produzione davvero puntuale e precisa, poi Barusso ci mette dentro tantissimo del suo: i riff della sua chitarra sono sempre caldi e scorrevoli, non eccede mai in inutili virtuosismi, ma si mette al servizio del contesto musicale. Troviamo anche tanto metal qui dentro, soprattutto nel senso di un epic heavy che si fonde molto bene con l’hard rock suonato in maniera eccellente. Un capitolo a parte lo meritano gli ospiti, la crema della scena rock e non solo italiana degli ultimi trent’anni: qui c’è un Enrico Ruggeri in gran forma che canta in inglese, e poi ci sono anche Luca Solbiati (Zeropositivo), Roberto Tiranti (Labyrinth, Wonderworld), Max Zanotti (Casablanca), Alessandro Ranzani (Movida), Axel Capurro (Anewrage), Alessio Corrado (Jellygoat), Enrico “Erk” Scutti (Figure of Six), Alessandro Del Vecchio (Hardline), Marco Sivo (Instant Karma), Fabio “Phobos Storm” Ficarella (The Strigas) e Tiziano Spigno (Extrema). Ospiti importanti, ma soprattutto musicisti che come Barusso preferiscono l’olio di gomito e la sala prove ai social o alle esternazioni ad minchiam. Il disco contiene ottima musica, il suo ascolto rasserena e carica, c’è maturità ed una certa consapevolezza che nasce dalla sicurezza nei propri mezzi, e da un’immensa passione che sfocia nella voglia di fare qualcosa che alberghi bene nelle nostre orecchie. Tutti dovrebbero avere una seconda possibilità, ma a Barusso ne basterà una sola per conquistarvi.

Tracklist
1 Tears Roll Down (Feat. Luca Solbiati)
2 A mg of Stone (Feat. Alessandro Ranzani)
3 My Escape (Feat. Axel Capurro)
4 Enemy (Feat. Alessio Corrado)
5 Take Back our Life (Feat. Enrico “Erk” Scutti)
6 Free from Yesterday (Feat. Roberto Tiranti)
7 Lilith (Feat. Tiziano Spigno)
8 Stormy Weather (Feat. Max Zanotti)
9 On the Edge of Madness (Feat. Enrico Ruggeri)
10 E.C.P. (Electric Compulsive Possession)
11 Under My Skin (Feat. Alessandro Del Vecchio & Marco Sivo)
12 Strange World (Feat. Fabio “Phobos Storm” Ficarella)

Line-up
Marco Barusso – Lead Guitar and Voice

THE PRICE – Facebook

Heart – Live In Atlantic City

L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Nell’universo del rock a stelle e strisce un posto tra i grandi è riservato agli Heart, il gruppo capitanato da Ann e Nancy Wilson, per anni le sorelle più famose del rock’n’roll.

Una storia lunga più di quarant’anni, con alti e bassi fisiologici in una carriera che vede la band ancora in sella nel nuovo millennio, portando in dote una discografia che vede il suo picco nei tre album usciti sul finire degli anni settanta (Little Queen, Dog & Butterfly e Bébé le Strange) e nella coppia Heart e Bad Animals, risalenti al decennio successivo.
Tra hard rock, blues, folk e patinate sonorità da arena rock, gli Heart hanno scritto pagine importanti nella storia del rock americano: nel 2006 ebbero l’occasione di registrare un live per il programma di VH1 Decades Rock Live, nel corso del quale la band diede spettacolo in compagnia di altre stelle del firmamento musicale statunitense.
Gli artisti che presenziarono a questo tributo al rock delle sorelle Wilson furono tanti e di spessore: dagli Alice In Chains a Dave Navarro, dalla star del country Carrie Underwood a Duff McKagan, dalla la cantante country Gretchen Wilson per finire con il compositore Rufus Wainwright.
Live In Atlantic City vede la band alle prese con i brani che hanno segnato la sua storia, come Bebè La Strange, Barracuda e Lost Angel e con cover dei Led Zeppelin come Rock ‘n’ Roll e Misty Mountain Hop, quest’ultima con Navarro a fare il Jimmy Page sullo storico brano tratto dal quarto album degli Zep.
Ma il culmine della performance arriva quando salgono sul palco gli Alice In Chains (con Duff Mckagan) e prima una graffiante Would? e poi le note della sentita Rooster alzano il clima emozionale del concerto.
L’ottima forma del gruppo, sommata ad una scaletta straordinaria, rendono questo live un evento imperdibile per tutti gli amanti del hard rock, tributato con il giusto talento dalle sorelle Wilson e dai loro ospiti.

Tracklist
1. Bébé Le Strange (with Dave Navarro)
2. Straight On (with Dave Navarro)
3. Crazy On You (with Dave Navarro)
4. Lost Angel
5. Even It Up (with Gretchen Wilson)
6. Rock’n Roll (with Gretchen Wilson)
7. Dog & Butterfly (with Rufus Wainwright)
8. Would? (with Alice In Chains & Duff McKagan) *
9. Rooster (with Alice In Chains & Duff McKagan)
10. Alone (with Carrie Underwood)
11. Magic Man
12. Misty Mountain Hop (with Dave Navarro)
13. Dreamboat Annie
14. Barracuda

Line-up
Ann Wilson – Vocals
Nancy Wilson – Guitars
Ben Smith – Drums
Craig Bartock – Guitars
Dan Rothchild – Bass
Chris Joyner – Drums

HEART – Facebook

Rinunci A Satana? – Blerum Blerum

I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo.

Seconda prova per il miglior power duo italiano di sempre, e dire che ve ne sono in giro di coppie musicali, ma nessuna come questi due.

Dopo il primo omonimo disco del 2016 eccoli tornare sul luogo del delitto con una seconda prova ancora migliore. Il genere non è bene definito, poiché i Rinunci a Satana? sono una lunghissima jam che parte dai loro cervelli per arrivare ai nostri, e in questo viaggio si toccano diversi lidi come lo stoner, il prog, lo sludge e il rock and punk alla maniera degli Mc5 e della feccia bianca anni sessanta e settanta. Dimenticatevi le coppie chitarra e batteria un po’ azzimate ed indie che si sono affermate in questi anni, perché qui troverete solo furia e fantasia musicale nelle loro forme più pure e sporche al contempo, un ribollire di note e di creatività che vi colpiranno al cuore. I numi tutelari sono certamente Led Zeppelin e quei disgraziati di Birmingham che riuscirono miracolosamente a scampare ad una vita in fabbrica, e questo materiale in mano a Marco Mazzoldi e e Damiano Casanova diventa un bellissimo reinventare l’occasione per esplorare nuovi lidi, il tutto con visionarietà psichedelica e tanta ironia che li rende un gruppo unico nel panorama italiano e non solo. Ad esempio la settima traccia, La Serata del Gourmet, è un pezzo molto prog anni settanta suonato senza chitarra ma con un synth comandato da una scheda Arduino, ed è un qualcosa di clamoroso. Gli anni settanta ed il loro immaginario sono molto presenti nel disco, dato che è da lì che parte tutto. Quell’epoca fu una fucina immensa di nuovi suoni e di ricerca musicale, l’esatto opposto del pantano mentale e creativo nel quale siamo oggi; allora la direzione era settata unicamente verso l’avanti, oggi su pausa. Non c’è una canzone che annoi, un riempitivo o un calo di divertimento e di soddisfazione. Il lavoro della chitarra è incessante e la batteria è essa stessa una chitarra che pulsa insieme alla titolare. Fughe in avanti senza ritorno, musica senza rimorso in nessun caso, ottime idee e un suono originale ed unico. Non si può rinunciare ai Rinunci a Satana?. Uno dei migliori gruppi italiani underground, e cotanta bellezza è in download libero.

Tracklist
01 Valhalla Rising
02 La Veneranda Fabbrica del Doomm
03 Blerum
04 Blerum
05 Salice Mago
06 Niente di nuovo sul fronte occidentale
07 La serata del Gourmet
08 Chi sta scavando?
09 Dr. Tomas ragtime blues

Line-up
Damiano Casanova – Chitarra
Marco Mazzoldi – Batteria

RINUNCI A SATANA? – Facebook

Anno Mundi – Rock In A Danger Zone

Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Gli Anno Mundi sono un gruppo di rockers capitolini fondato dal chitarrista Alessio Secondini Morelli, del quale abbiamo parlato non tropo tempo fa in occasione dell’uscita di Hyper-Urania, il suo lavoro solista licenziato nel 2017.

Ad accompagnare il chitarrista troviamo l’altro fondatore del gruppo, il batterista Gianluca Livi, il tastierista Mattia Liberati e il bassista Flavio Gonnellini (anche dei progsters Ingranaggi Della Valle) e il cantante Federico “Freddy Rising” Giuntoli, con un passato nei Martiria.
Rock In A Danger Zone, licenziato solo in vinile, risulta una raccolta di brani dal sound vario, nel corso della quale la band passa dall’hard rock classico a sfumature southern, da ispirazioni progressive al metal di stampo epico in un susseguirsi di sorprese e tributi all’hard & heavy del ventennio settanta/ottanta.
La perizia dei musicisti coinvolti fa sì che Rock In A Danger Zone non abbia una sola nota che non faccia sobbalzare sulla sedia gli amanti del classic rock e del metal, a partire già dalla prima bellissima traccia Blackfoot, tributo alla storica band americana che gli Anno Mundi ricamano di sfumature purpleiane.
Si cambia registro e la cavalcata in epico crescendo di Megas Alexandros farà la gioia di molti, con una prestazione di notevole impatto lirico di Giuntoli e ispirazioni che oscillano tra Rainbow e Manowar, passando per i Virgin Steele.
Chiude il primo lato la possente Searching The Faith, hard doom di notevole impatto, mentre un tributo al racconto lovecraftiano The Music of Erich Zann apre la seconda parte dell’album, che vede a seguire l’hard rock progressivo della magnifica Pending Trial, la cover di Fanfare, brano dei Kiss tratto dal controverso e poco compreso Music From The Elder, ed un medley di brani registrati dal vivo dagli Anno Mundi al RoMetal nel 2014.
Rock In A Danger Zone è un’opera davvero interessante, consigliata agli amanti dei suoni classici che qui troveranno un tributo ai di generi che hanno fatto la storia dell’hard & heavy, sapientemente lavorati da ottimi artisti delle sette note.

Tracklist
Side A
1.In the saloon
2.Blackfoot
3.Megas Alexandros
4.Dark Matter (Nibiru’s Orbit)
5.Searching The Faith

Side B
1.Tribute To Erich Zann
2.Pending Trial
3 – Fanfare
4.Live Medley
a) – Shining Darkness
b) – Dwarf Planet
c) – Timelord
d) – God Of The Sun

Line-up
Federico Giuntoli – vocals
Alessio Secondini Morelli – electric guitars, effects, bk vocals
Flavio Gonnellini – bass
Mattia Liberati – keyboards
Gianluca Livi – drums, percussions

Special guests:
Emiliano Laglia – bass (“Fanfare” and “Live Medley”)
Massimiliano Fabrizi – mandola (“In the Saloon”)

ANNO MUNDI – Facebook

Imperial Jade – On The Rise

Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Siamo entrati nel 2019 e l’ondata rock vintage che si infrange sulle scogliere del mercato odierno continua a regalare perle di indubbio spessore come questo bellissimo lavoro degli spagnoli Imperial Jade, rock band in arrivo dalla provincia di Barcellona.

On The Rise è il titolo di questo ottimo album, un tributo al rock degli anni settanta, decennio dominato dal dirigibile più famoso della storia del rock.
Profuma di Bron Y Aur, questo lavoro, luogo magico per Plant e soci e dove sembra che gli Imperial Jade siano stati ispirati per la scrittura di questa raccolta di brani che affondano le loro radici nei primi quattro lavori dei Led Zeppelin.
Ovviamente è passato quasi mezzo secolo ed il sound degli Imperial Jade vive pure di altre icone del rock (Cream, Bad Company) o più giovani colleghi (Rival Sons), ma è indubbio che chiudendo gli occhi la chioma di un giovane Plant e la chitarra di Page siano le prime e più chiare immagini che si formano nella nostra mente all’ascolto del riff di Dance, che sa tanto di Custard Pie, Sad For No Reason che sembra uscita dalle sessions di Led Zeppelin III, mentre nel bel mezzo di The Call vive Whole Lotta Love e la Since I’ve Been Love In You degli Imperial Jade si intitola Lullaby In Blue.
Il quintetto di Maresme ha il pregio di far rivivere le emozionanti partiture create dal martello degli dei con la convinzione di chi conosce la materia a menadito, scendendo dal dirigibile per un paio di brani (Keep Me Singing e Heat Wave) ma risalendovi in tempo nella conclusiva Struck By Lightning, brano in cui confluiscono sentori di Deep Purple anche per la presenza dell’hammond.
Album bello e piacevole, On The Rise non brilla certo per originalità, ma vive di emozioni vintage che sono la forza dei brani presenti, risultando un acquisto obbligato per gli amanti del rock suonato negli anni settanta.

Tracklist
1.You Ain’t Seen Nothing Yet
2.Dance
3.Sad For No Reason
4.The Call
5.Glory Train
6.Lullaby In Blue
7.Keep Me Singing
8.Heat Wave
9.Rough Seas
10.Struck By Lightning

Line-up
Arnau Ventura – Vocals
Alex Pañero – Guitar
Francesc López Lorente – Drums
Hugo Nubiola – Guitar
Ricard Turró – Bass

IMPERIAL JADE – Facebook

Original Sin – Space Cowboy

Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta.

Vi avevamo parlato dei ravennati Original Sin diversi mesi fa, in occasione del loro debutto, il buon Story Of A Broken Heart che metteva in evidenza l’attitudine hard & heavy del quartetto con nove brani diretti dalle radici ben salde negli anni ottanta, ma con impatto e prepotenza da guerrieri del nuovo millennio.

Space Cowboy è il secondo lavoro del gruppo la cui formazione vede sempre all’opera il cantante e chitarrista Matteo Berti, il chitarrista Federico Maioli, il batterista Luca Canella ed il bassista Manuel Montanari.
L’album parte con la title track, un mid tempo che fatica a decollare, ma già dalla seconda traccia Save What Is Yours la band torna a fare metal diretto e graffiante, con Back To The Past che poi ci investe con il suo hard & heavy risultando il brano più riuscito dell’opera, mentre Into The World è una cavalcata in crescendo e The Long Travel si rivela l’altro pezzo da novanta di Space Cowboy.
Gli Original Sin non si discostano molto da quanto fatto nel recente passato, con un sound ispirato all’hard & heavy tradizionale e influenzato dalla scena britannica degli anni ottanta; come nel precedente album i pregi superano di gran lunga i difetti, rendendo questi ultimi dei dettagli che non inficiano quanto di buono offerto in questo nuovo lavoro.
Se siete amanti dell’hard & heavy old school targato Regno Unito, Space Cowboy merita la vostra attenzione.

Tracklist
1.Space Cowboy
2.Save What Is Yours
3.Back To The Past
4.Into The World
5.Streets Of Terror
6.The Long Travel
7.The Music
8.I Can’t Live

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook