False Witness – False Witness

Un ottimo gruppo canadese, ignoto ai più, rimasto sempre ingiustamente ai margini e precocemente scioltosi nell’indifferenza generale, responsabile di un heavy-speed metal per veri defenders, sulla scia dei connazionali Exciter ed Anvil.

Originari di North Delta, nella Columbia britannica, i False Witness si formarono nel 1989 e, dopo sette anni di inutili tentativi, gettarono la spugna.

Il gruppo canadese ebbe infatti la grande sfortuna di costituirsi solo alla fine di quello che è stato il decennio aureo del metal mondiale, per vivere la sua difficile esistenza negli anni infelici segnati dalle mode alternative. Il primo ed unico demo tape del quartetto nordamericano apparve, omonimo, nel 1990: un favoloso concentrato di speed metal e di heavy classico, assolutamente figlio degli anni Ottanta in termini di composizioni e di suono, non senza reminiscenze prog (di marca inglese) e, soprattutto, US power (in particolare i grandi e storici Exxplorer). La cassetta del 1990, registrata sul finire dell’anno prima, comprendeva soltanto quattro pezzi (Laughing to the Skies, Confessions, Wall of Shame e la stupenda ed epica Crestfallen King); nel 2008 la piccola ma volitiva Arkeyn Steel Records ha ristampato il nastro, su CD, in mille copie, aggiungendo anche tre brani, incisi a Vancouver nel novembre 1989, ed altrettante tracce da provini risalenti al periodo compreso tra il 1993 e il 1995, rendendo quindi ancora più succulento il piatto e intitolando la compilation Crestfallen King. E’ l’occasione per rifarsi, sia pure a distanza di tempo, per rendere il giusto onore ai False Witness. Magnifica, dark e suggestiva, tra l’altro la grafica del cd.

Track list
1.Laughing to the Skies
2.Confessions
3.Wall of Shame
4.Crestfallen King

Line up
Michael Rieger – Vocals
George Mahee – Guitars
Scott Aquino – Drums
Rob Bretty – Bass

1990 – Autoproduzione

Troll – Troll

Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti.

Incredibile debutto per questo gruppo di Portland, Oregon, capace di coniugare in maniera meravigliosa il prog con un rock metal molto anni settanta, riuscendo a riportare l’ascoltatore ai fasti del genere.

Tutto questo disco è magia, dalla prima all’ultima nota, sembra un viaggio in compagnia di Gandalf, senza le asprezze che dovettero subire i suoi amici, ma solo la dolcezza di vedere altri mondi. Il giovane gruppo americano ha pubblicato un demo nel 2015, per poi pubblicare poco dopo questo album omonimo, e le vendite andarono molto bene tanto da catturare l’attenzione della Shadow Kingdom Records che ha redatto questa ristampa in cassetta e cd e che, poi, pubblicherà il loro disco nuovo nel corso del 2018. Troll è un debutto di assoluta bellezza, che unisce il miglior prog degli anni settanta con la magia del rock e con un pizzico di metal, vivendo di soluzioni sonore molto belle e durature, le cui trame si espandono nelle nostre menti. Questo disco è uno di quei poco frequenti episodi che fanno ancora credere alla magia assoluta della musica, alla sua capacità catartica e taumaturgica. Ci si immerge in un suono caldo ed analogico che avvolge e fa stare bene, portando in luoghi lontani, in mondi che non possiamo vedere, vinti dal nostro materialismo sia spirituale che musicale. Da tempo non capitava di sentire un disco che colpisse così in profondità e con precisione sia cuore che cervello, trascinando tutto su un altro piano. Come esordio è incredibile e fa anche venire l’acquolina in bocca per il prossimo disco. Troll è un disco fantastico, un’epifania che arriva quando meno te l’aspetti, che fa star bene e che conduce in luoghi remoti dove tutto è possibile.

Tracklist
1.The Summoning / Troll
2.The Witch
3.An Eternal Haunting
4.Infinite Death
5.Savage Thunder

SHADOW KINGDOM – Facebook

Rec/All – Rec/All

L’heavy metal in Sudamerica parla brasiliano e la conferma viene non solo dalle band storiche che, negli anni, hanno fatto innamorare orde di defenders in cerca di sonorità heavy dalle forti radici latine, o dalle molte realtà estreme che hanno seguito la scia dei fratelli Cavalera, ma da una scena underground attivissima e lungi da qualsiasi forma di crisi qualitativa.

I Rec/All sono un progetto nato solo un anno fa e che ha tutti i crismi del super gruppo, grazie ai suoi protagonisti, musicisti storici della scena metallica e alcuni con presenze importanti nelle migliori band uscite dal grande paese sudamericano-
Angra, Di’Anno, Karma, Almah, Dark Avenger, Nordheim, Kiko Loureiro, Tony Martin, Snakeyes, sono solo i nomi più conosciuti con cui hanno collaborato i cinque musicisti che compongono una line up assolutamente di prim’ordine, dal vocalist Rod Rossi, allo storico bassista Felipe Andreoli, dalle due chitarre in mano a Davis Ramay e Marcelo Barbosa, alle pelli malmenate da Robson Pontes.
E allora sappiate che questo album omonimo, licenziato in regime di autoproduzione, è un ottimo esempio di heavy/power metal, ovviamente suonato a meraviglia, composto da ritmiche power da infarto, digressioni musicali fuori da contesti metallici e viranti verso la tradizione popolare locale e vergate heavy che mettono in luce le due chitarre, protagoniste di riff e solos scolpiti nel cielo oscurato dall’arrivo della tempesta Rec/All.
Diretto come un treno in corsa, Rio Riots apre le danze , che con il samba hanno poco a che fare, ed arriviamo veloci al terzo brano, Blind, una dei picchi di Rec/All, e Indestructible, brano power metal alla maniera brasiliana.
Rod Rossi si dimostra singer bravissimo, specialmente nel variare toni alla sua performance, grintosa e tagliente oppure melodica e dalle reminiscenze melodic hard rock.
Si torna a sbattere la testa con la power metal Running In Her Veins e a crogiolarsi nelle melodie AOR di Oh,Angel, mentre la parola fine è lasciata al crescendo power/hard rock di Set The Night On Fire.
Le ispirazioni sono ovviamente tutte da riscontrare nella scena metal brasiliana, ma i musicisti coinvolti garantiscono personalità e talento in abbondanza.

Tracklist
1.Rio Riots
2.I Hate
3.Blind
4.Broken Wings
5.5 A.M.
6.We Own the Night
7.Walk with You
8.Running in Her Veins
9.Set the Night on Fire
10.Oh, Angel
11.Set The Night On Fire

Line-up
Felipe Andreoli – Bass
Robson Pontes – Drums
Davis Ramay – Guitars
Marcelo Barbosa – Guitars
Rod Rossi – Vocals

REC/ALL – Facebook

https://youtu.be/oxf7bc1EQVE

Love Machine – Universe Of Minds

Universe Of Minds non tradisce le attese e si presenta ricco di tutte le virtù che un album del genere si porta dietro, gratificando gli amanti dell’hard’n’heavy di stampo ottantiano, ma senza rinunciare alla potenza ed alle sollecitazioni che il genere ha assimilato negli ultimi anni.

Sicuramente il ritorno sul mercato dei Love Machine è uno degli eventi più importanti in abito underground che il metal classico può vantare in questo inizio d’anno.

Una storia trentennale iniziata sul tramonto degli anni ottanta ha dato al gruppo milanese il meritato status di cult band, nell’ambito di una carriera contrassegnata da non pochi cambi di line up, tre album in studio, un live e presenze in importanti tour di supporto a Saxon, Wasp e Gotthard.
I Love Machine tornano in pista con un nuovo lavoro intitolato Universe Of Minds ed una formazione che vede, oltre al cantante Rob Della Frera (Raising Fear) ed il bassista Yako Martini, l’entrata in pianta stabile nella line up del tastierista Lele Triton, ad accompagnare Frank e Max alle sei corde e Andrew alle pelli.
Universe Of Minds non tradisce le attese e si presenta ricco di tutte le virtù che un album del genere si porta dietro, gratificando gli amanti dell’hard’n’heavy di stampo ottantiano, ma senza rinunciare alla potenza ed alle sollecitazioni che il genere ha assimilato negli ultimi anni.
Ovviamente la tradizione è doverosamente rispettata, quindi Universe Of Minds è un lavoro che di rock duro e metallo fiammeggiante vive, lontano anni luce da qualsiasi contaminazione moderna, valorizzato da un buon songwriting e da un gran lavoro in fase di arrangiamento e produzione.
Anyway ci da il benvenuto sulla navicella Love Machine, pronta a viaggiare nell’universo musicale, tra cavalcate metalliche, ritmiche potentissime e melodie irresistibili, con Let’s Get It Rock che ci trascina sotto il palco e Star Rider che riprende il rumore dei dischi volanti della famosa serie U.F.O. di tanti anni fa.
Il comandante Striker è avvertito e il contrattacco è portato da Point Of No Return e dal mid tempo di Scared For This Time, con in mezzo la splendida heavy ballad The Scorn.
Maybe risulta un brano hard rock melodico quanto basta per finire su un’ipotetica classifica radiofonica di fine anni ottanta, mentre Journey e Now Or Never chiudono l’album, ottimamente bilanciate tra grinta heavy e melodie hard rock.
In Universe Of Minds troverete ad aspettarvi trent’anni di hard’n’heavy, non solo Maiden e Saxon, quindi, ma anche Sinner e Primal Fear, inglobati in un sound personale e 100% Love Machine.

Tracklist
01.Anyway
02.Let’s get it rock
03.Compromises
04.Star rider
05.Point of no return
06.The scorn
07.Scared for these times
08.Maybe (A second life reality)
09.Mama’s call
10.Journey
11.Now or never

Line-up
Rob – Voice
Frank – Guitar
Max – Guitar
Yako – Bass Guitar
Andrew – Drums
Lele – Keyboards

LOVE MACHINE – Facebook

Trigger – Cryogenesis

Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Gruppo australiano nato a Melbourne nel 2011 e con ep alle spalle intitolato Machina e licenziato tre anni fa, i Trigger debuttano sulla lunga distanza con Cryogenesis, album che accomuna in un unico sound soluzioni tradizionali ed imput moderni in un’alternanza di atmosfere estreme, moderne, melodiche e cool.

Siamo in territori esplorati da gruppi come In Flames e Soilwork da una parte e Trivium dall’altra, con un comune denominatore chiamato Iron Maiden e la formula funziona abbastanza bene, anche se i Trigger li preferiamo quando la loro anima estrema prende il sopravvento sulla parte melodica che, come in molti act statunitensi, risulta un pò troppo leggera.
Per il resto Tim Leopold e compagni sanno come intrattenere l’ascoltatore, passando dunque con disinvoltura da ritmiche veloci e tritaossa ad assoli melodici e dal taglio heavy e refrain fatti oer scalare classifiche rock metal nelle radio della costa australiana.
Tutto questo porta ad una varietà che, brano per brano, trova la sua massima ispirazione nel duello tra la tradizione europea e quella statunitense, un bene per la fruibilità di Cryogenesis che sicuramente non annoia nei suoi cinquanta minuti di durata.
L’album in questione è il classico esempio di lavoro che, se ben supportato, dovrebbe fare sfracelli nei giovinastri con un occhio alla storia ed uno alle sonorità più attuali, per mezzo di piccole bombe come l’opener The Forge Of Hepaestus, il power/thrash melodico di Dead Sun, l’ottima Crowned, valorizzata da suoni tastieristici ed un refrain che si piazza al centro del cervello, e Dysphoria, con il suo alternare appeal e ferocia estrema così da risultare il brano più riuscito dell’intero lavoro.
Un buon esordio per il gruppo australiano che si fa preferire nei momenti in cui la furia metallica strappa le redini dalle mani del gruppo ed è cosi libera di sfogarsi, ma che non mancherà di trovare estimatori anche per le sue parti melodiche.

Tracklist
1.The Forge Of Hepaestus.
2.Dead Sun
3.Echoes Of The Silenced
4.Crowned
5.Tethered To The Tide
6.Devide
7.Alexandria
8.Deluzion
9.Dysphoria
10.Veins Of Ambrosia

Line-up
Tim Leopold- Lead Vocals
Luke Ashley – Guitar
Sean Solley – Guitar
Matt Ambrose – Bass
Darcy Mulchay – Drums

TRIGGER – Facebook

Black Wizard – Livin’ Oblivion

Per gli amanti dei suoni old school i Black Wizard, con il loro heavy rock d’alta scuola vario e potente, sono una band da annotare sul biglietto della spesa in questo inizio di 2018.

Una band che non faticherà a trovare nuovi estimatori con il suo nuovo lavoro è quella dei canadesi Black Wizard, il cui sound infatti pesca a piene mani dalla tradizione heavy metal e hard rock a cavallo tra gli anni settanta ed il decennio successivo, alla quale saggiamente i musicisti nord americani aggiungono dosi letali di stoner rock così da renderne l’approccio squisitamente retrò ma molto cool.

Siamo arrivati al quarto album di una carriera iniziata sui banchi di scuola e che ha portato i quattro amici ad unirsi in una band nel 2008, per poi esordire due anni dopo con l’album omonimo; Young Wisdom è il secondo lavoro uscito nel 2013 ,  seguito da un live e dal precedente New Waste licenziato due anni fa.
Livin’ Oblivion non porta con sé grossi cambiamenti, ma non è quello che si cerca da un gruppo come i Black Wizard, quindi chi ama l’heavy rock pregno di umori vintage e potenziato da dosi massicce di doom e stoner non avrà di che lamentarsi all’ascolto di questa apoteosi di riffoni ultra heavy.
Come sul precedente album il sound varia mantenendo una buona alternanza tra brani più orientati verso l’heavy metal, altri splendidamente doom (bellissima James Wolfe) e, come la title track, avventurosi tuffi nello stoner di fine millennio.
L’album non fa prigionieri, anche quando la furia metallica si placa e il gruppo ci regala una perla sabbathiana come Cascadia, brano semi acustico che prelude alla veloce Portraits.
Continua fino alla fine questa altalena tra atmosfere doom e heavy/stoner metal, con la conclusiva Eternal Illusion a donare gli ultimi botti di questo gran bel lavoro.
Per gli amanti dei suoni old school i Black Wizard, con il loro heavy rock d’alta scuola vario e potente, sono una band da annotare sul biglietto della spesa in questo inizio di 2018.

Tracklist
1. Two Of These Nights
2. Feast Or Famine
3. James Wolfe
4. Livin Oblivion
5. Cascadia
6. Portraits
7. Poisoned Again
8. Heavy Love
9. Eternal Illusion

Line-up
Eugene Parkomenko – Drums
Adam Grant – Vocals, Guitars
Evan Joel – Bass
Danny Stokes – Guitars

BLACK WIZARD – Facebook

Riffocity – Under A Mourning Sky

Under A Mourning Sky non può certo distinguersi per l’originalità, ma è un album suonato e prodotto molto bene, e se siete fans degli Iced Earth il consiglio è di cercarlo e farlo vostro, non ve ne pentirete.

Ecco un caso nel quale il monicker del gruppo (Riffocity, sinceramente bruttino) potrebbe frenare gli appassionati di thrash metal al momento di un primo ascolto, per poi farli stropicciare gli occhi davanti all’ottimo album di debutto sulla lunga distanza, dal titolo Under A Mourning Sky.

Prodotto dal gruppo con l’aiuto di Bob Katsionis (Firewind), il lavoro vede i Riffocity impegnati in un heavy/thrash statunitense dall’atmosfera drammatica ed oscura, dura come l’acciaio e melanconica come i più suggestivi momenti di un capolavoro come Something Wicked This Way Comes degli ormai storici Iced Earth.
E alla band di Jon Schaffer i Riffocity si ispirano maggiormente per questo album che a tratti entusiasma per la sagacia con cui la band passa da sfuriate metalliche pesantissime, ricamate da solos granitici ma oltremodo melodici, e da ritmiche mozzafiato a emozionanti brani nei quali il cantante Thomas Trampoyras può dare sfoggio della sua naturale somiglianza vocale con il Barlow di Melancholy (Holy Martyr) o Watching Over Me.
Da qui la band greca parte per la sua (poco) personale rivisitazione del thrash metal d’oltreoceano, e oltre agli Iced Earth tra le trame del disco escono in maniera marcata i soliti Metallica ed una vena progressiva che porta i Riffocity a costruire tracce lunghe ed assortite di cambi di tempo e ottime parti strumentali che vedono salire in cattedra i due chitarristi (Dimitris Kalaitzidis e George Lezkidis).
L’album sfiora l’ora di durata ma consiglio di non scoraggiarsi perché merita comunque di essere ascoltato per intero, dedicando particolare attenzione a Fortunes Of Death, alla devastante From Inside the Arrows Come, a Perish Unloved e alla conclusiva Above The End.
Under A Mourning Sky non può certo distinguersi per l’originalità, ma è un album suonato e prodotto molto bene, e se siete fans degli Iced Earth il consiglio è di cercarlo e farlo vostro, non ve ne pentirete.

Tracklist
1. Hail Thy Father
2. Arnis Oblivion
3. Bitter Sunday
4. Fortunes of Death
5. This Eternal Secret Lies Above
6. From Inside the Arrows Come
7. Isolation
8. Perished Unloved
9. Under a Mourning Sky
10. Above The End

Line-up
Thomas Trampoyras – Vocals
Dimitris Kalaitzidis – Guitars, Backing Vocals
Giorgos Lezkidis – Guitars
Panos Sawas – Bass

Current Line-up
Thomas Trabouras-Vocals
Dimitris Kalaitzidis-Guitars and Backing Vocals
George Lezkidis-Guitars
Panos Savvas-Bass Guitar
Tasos Daimantidis -Drums

RIFFOCITY – Facebook

Machine Gun Kelly – No Easy Way Out

Con The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica.

I rockers savonesi Machine Gun Kelly firmano per Sliptrick Records e licenziano dopo tre anni dall’ultimo lavoro (Lady Prowler) il loro terzo lavoro sulla lunga distanza, intitolato No Easy Way Out, accompagnato da un artwork dalle fattezze di una cartolina con i saluti dalla prigione di Alcatraz.

Non è facile uscire da uno dei penitenziari più famosi del mondo, a ameno che non si facciano saltare sbarre e catene a colpi di hard rock/metal, coinvolgente e ricco di refrain che entrano in testa per folgorarci come scosse provenienti da una sedia elettrica.
I primi cinque brani risultano uno più bello dell’altro, i Machine Gun Kelly sanno come muoversi nel genere e ogni brano ha una sua ispirazione che va dai sempre presenti Motorhead ad Alice Cooper, dall’heavy rock ottantiano al rock ‘n’ roll più moderno e dai natali nord europei.
Fino alla ballad Hard Times, MG Miche e compagni galeotti accendono fuochi d’artificio sulla baia di San Francisco, prima con l’hard & heavy della travolgente Broadcast King, con il basso che pulsa prima di lasciare spazio alla chitarra nel classico metallo anni ottanta che compone Aileen.
No Easy Way Out riprende la sua corsa con Stand Or Fall, mentre è già tempo del riff della itle track, un mid tempo sanguigno che cede poi il passo all’ esplosiva Take What You Need, rock’n’roll dinamitardo che apre una breccia nell’altissimo muro di cinta che divide i nostri dalla libertà.
Con l’heavy metal di The Boogey Man scorrono i titoli di coda su questo fiammeggiante ritorno del gruppo ligure, che consolida la sua reputazione con l’album più riuscito della sua discografia, consigliato senza indugi agli amanti dell’hard & heavy di scuola classica che danno anche la giusta importanza a quello che è successo nel rock dalla fine degli anni ottanta in poi.

Tracklist
01. Broadcasted Humanity
02. Broadcast King
03. Aileen
04. Eye Of The Storm
05. Nothing Ever Changes
06. Hard Times
07. Stand Or Fall
08. No Easy Way Out
09. Take What You Need
10. The Boogeyman

Line-up
MG Miche – Vocals
Jan – Guitar
Alabarda – Drums
Umberto – Bass/Guitar

MACHINE GUN KELLY – Facebook

Trevor And The Wolves – Road To Nowhere

Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere.

Album solista per Trevor, il cantante dei Sadist. Trevor And The Wolves è un progetto musicale nato fra le montagne dell’appennino ligure, luoghi al quale Trevor è molto legato.

Lo stile musicale è quello dell’hard rock classico, con incursioni nel blues e qualche intarsio folk. Ascoltandolo si potrebbe dire che assomigli molto alle prime cose degli Ac/Dc, gruppo molto amato dal frontman dei Sadist, ma qui c’è molto di più. Come uno spirito che non veda l’ora di farsi conoscere e di interagire con il mondo, questo Road To Nowhere esplode con forza sotto il nostro sederino, sa di neve, terra fresca e cieli lividi, il tutto condito dalla classe di Trevor e dei musicisti che ha scelto, come si può vedere nel magnifico video diretto da Matteo Siri. Il disco è molto aderente all’ultimo periodo di vita di Trevor, che passa più tempo nei boschi che nelle città, ma questo non è un chiudersi, anzi è un aprirsi alla propria natura. Lungo tutto l’album si percepisce una forza molto possente ma totalmente calma, ed il motivo potrebbe essere la totale sincerità di un lavoro che mostra Trevor per quello che è, senza molte pose o necessità di apparire diverso. Si assapora un gusto di musica vera e sentita, un divertimento nell’essere sé stessi, anche omaggiando un paese lontano ma vicino come la Scozia. La voce di Trevor è in gran forma e fa vedere di cosa sia capace, complice la grande esperienza e la grande forza che ha. La produzione è del sempre magistrale Tommy Talamanca, quindi semplicemente perfetta, facendo risaltare tutto il bouquet del disco. Sentimenti, durezza, amicizia e voglia di prendere la vita dal verso giusto, anche se ciò non è mai semplice. Un album che non ha cadute di intensità, da gustare come una corposa birra rossa, o da sentire mentre si cammina soli nei boschi, esperienza da fare perché la natura ha tanto da dirci, così come Road To Nowhere. Alcuni ritornelli sono clamorosi, ma tutto l’album regge davvero molto bene.

Tracklist
1. FROM HELL TO HEAVEN ICE
2. BURN AT SUNRISE
3. RED BEER
4. BLACK FOREST
5. BATH NUMBER 666
6. SPIRITUAL LEADER
7. ROADSIDE MOTEL
8. WINGS OF FIRE
9. LAKE SLEEPING DRAGON
10.UNFORGIVABLE MISTAKE

Line-up
Trevor Sadist – Voice
Francesco Martini – Lead Guitars
Alberto Laiolo – Rhythm Guitars
Aluigi Antonio – Bass
Emanuele Peccorini – Drums

TREVOR – Facebook

Mind Enemies – Revenge

Revenge è un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

I Mind Enemies sono la creatura del polistrumentista pugliese Giuseppe Caruso, nata nel 2011 e con una storia fatta di cambi di line up, viaggi verso Genova e gli studi della Nadir (dove è stato inciso l’ep Darkest Way nel 2013) ed un album di cover intitolato Hard Rock Tribute, licenziato pochi mesi prima l’uscita di Revenge, primo full length nel quale Caruso ha fatto tutto da solo.

Revenge parla la lingua del metal classico, anche se intricate parti progressive ed atmosfere più legate all’hard rock fanno capolino in alcuni brani; Caruso varia molto l’atmosfera di ogni brano e questo è forse il maggior pregio dell’album che ha nella varietà della proposta il suo punto di forza, con momenti ora più diretti, ora più vicino al prog metal, ora potenziati da un groove di ispirazione statunitense che avvicina il sound all’alternative metal.
Purtroppo l’impatto dei brani perde leggermente la sua forza per una produzione molto underground, il che fa suonare Revenge come se fosse stato inciso vent’anni fa, e per un uso della voce non sempre all’altezza della situazione, specialmente sui toni alti.
Diciamo che il buon Caruso risulta bravissimo con gli strumenti (anche se qualche assolo dalle reminiscenze shred stona nell’economia di qualche brano), ma lascia a desiderare come cantante, facendo sì che canzoni dal buon tiro come Goya, My World, la sabbathiana The Dark Life, o la conclusiva title track fatichino a decollare.
Revenge risulta così un album che, con una produzione più cristallina ed un cantante adatto a valorizzarne le trame, avrebbe avuto sicuramente più chance di far breccia nei cuori degli appassionati sparsi per lo stivale.

Tracklist
1.The Black Warrior
2.Goya
3.Wild Existence
4.My World
5.Dream Time
6.The Dark Life
7.Angel Of Consciousness
8.The (Rock) Rite
9.Revenge

Line-up
Giuseppe Caruso – All instruments, Vocals

MIND ENEMIES – Facebook

Death Keepers – Rock This World

L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.

Rock This World è il classico album del quale forse non avevamo bisogno, colmo fino all’orlo di cliché già sentiti migliaia di volte, eppure mentre ci si mostra perplessi di fronte all’ennesimo coro pacchiano, il piede va per proprio conto e comincia a battere il tempo, la testa si muove in sincronia con i mid tempo che si passano il testimone e al secondo giro i ritornelli sono cantati all’unisono dalla band e da chi ascolta.

I Death Keepers non fanno sicuramente mistero della loro devozione per l’heavy metal classico vecchia scuola e ci sbattono in faccia undici brani che ripercorrono in lungo ed in largo il decennio ottantiano, tra molteplici tributi alle leggende del metal che troverete sparsi in ogni angolo musicale di questo lavoro; eccoci quindi al cospetto di una sorta di Helloween prima maniera (il loro monicker parla chiaro), meno power e più orientati verso la NWOBHM, melodici e dai refrain che vi entrano in testa come parassiti in un film di fantascienza per trasformarvi nel più ignorante e scatenato fans del metallo pesante.
La band, nata a Barcellona ormai sette anni fa, arriva dunque al primo album dopo un ep uscito ormai quattro anni fa, firma per Fighter records e piazza un bel calcio nel fondoschiena con Rock This World, un manifesto all’heavy metal fin dal titolo, supportato da una copertina che raffigura la massima espressione del genere, il concerto, con i suoi sacri riti, mentre il sound passa da canzoni che ricordano, come detto, le zucche di Amburgo era Kiske, spogliate dalla potenza del power e con invece più di un accenno al rock stradaiolo suonato aldilà dell’oceano (la title track in questo senso sembra uscita da una jam in qualche locale del Sunset Boulevard).
L’album non ha grossi picchi ma si ascolta con quel piacere riservato ai ricordi più belli e a quella musica che ha fatto da colonna sonora a molti di noi, specialmente se il conteggio degli finisce per anta.
Tra le note di Rock This World non cercate nulla che sia diverso da un’ ora scarsa di hard & heavy o heavy metal (come preferite) senza troppe pretese ma assolutamente piacevole.

Tracklist
1.Rock & Roll City
2.Fire Angel
3.Death Keepers
4.Haven’s Heaven
5.Rock This World
6.Thriving Forcast
7.Love’s Within (Yourself)
8.Wildfire
9.Invention IV
10.Metallia
11.Smooth Hit Love

Line-up
Dey Rus – Lead vocals.
Eddy Gary – Lead & rhythm guitar.
Antonio Maties – Lead & rhythm guitar.
Gorka Alegre – Bassist
Miki Hunter – Drums

DEATH KEEPERS – Facebook

Damnation Gallery – Black Stains

Ottimo esordio su lunga distanza per questa eccellente band italiana di metal occulto. Un vero must per chi ama Death SS e Mercyful Fate ed in generale i suoni anni Ottanta.

Nuovo gruppo italiano, di Genova per la precisione, alla ribalta. E nuovo, validissimo debutto su lunga distanza.

Abbiamo potuto apprezzare i Damnation Gallery già al Teatro Carignano del capoluogo ligure, a inizio maggio 2017, occasione nella quale la band presentò di fatto il proprio mini cd d’esordio. Ora quei brani, risuonati e remixati, figurano accanto a nuove tracce su questo ottimo Black Stains, all’insegna di un solido e tradizionale dark metal, che sa rileggere la grande eredità (musicale ed iconografica) dei Death SS e dei Mercyful Fate – tematiche horror incluse, pertanto – sposandola ad elementi black, thrash e HM classico anni Ottanta. Il disco è quindi vario, la scrittura musicale già matura, le qualità tecniche di sicuro pregio, la voce della bravissima Scarlet tanto inquietante quanto splendida. Oscuri e melodici, cadenzati e potenti, oppure veloci ed aggressivi a seconda delle situazioni, i Damnation Gallery ci regalano un tributo in musica al fascino delle tenebre che, sin dal primo impatto, colpisce nel segno e promette ulteriori e interessanti sviluppi sonori. Pezzi come l’iniziale Equilibrium et Chaos, Transcendence Hymn, la title-track, Dark Soul e la kantiana Noumeno illuminano un percorso – sia artistico, sia lirico – davvero notevole e da seguire con la dovuta attenzione. Un gran bel disco e non solo per gli appassionati di doom e dintorni.

Tracklist
1. Equilibrium et Chaos
2. Damnation Gallery
3. Black Stains
4. Evil Supreme
5. Transcendence Hymn
6. Rest in Pestilence
7. Dark Soul
8. Noumenon
9. Addiction
10. Psychosis

Line-up
Scarlet – Vocals
Lord Edgard – Guitars
Low – Bass
Lord of Plague – Guitars
Coroner – Drums

DAMNATION GALLERY – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=VdV6DVUvwhc

Steve Remnant “Metal Remnants” – Night Of The Wolves

Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Ricoperto da un velo di oscuro mistero, esce per l’attivissima label campana Volcano Records il progetto del mastermind Steve Remnant, Metal Remnants, dal titolo Night Of The Wolves, ep composto da quattro brani di heavy metal melodico dalle reminiscenze old school e dagli ottimi inserti power/prog, che formano un sound classico ma allo stesso tempo al passo coi tempi.

Il progetto viene presentato come il tentativo da parte del misterioso musicista di riassumere l’essenza di un genere musicale controcorrente e profondamente antimassificato nel “suburbano”, nel “dimesso”, nel cacofonico “non farsi notare”, rispetto alla moda dell’esser sempre presenti e partecipi, protagonisti della cosiddetta civiltà moderna.
Fates Warning e primi Queensryche le band che più si sono fatte spazio nella mente del sottoscritto all’ascolto dei due singoli, (la splendida Night Of The Wolves e la graffiante The Abandon), con l’uso nel refrain del cantato in falsetto nella seconda traccia, mentre l’opener risulta un crescendo epico melodico, dalle tinte oscure e dalla raffinata eleganza progressiva.
I due brani restanti (Randome e Lydia), spostano il tiro verso un heavy/power più diretto e d’impatto aggiungendo quali fonti di ispirazione ai due già importanti nomi fatti in precedenza Iron Maiden e Judas Priest.
Veloci cavalcate, solos graffianti ed heavy, ritmiche telluriche e sfumature progressive sono le parti più importanti di questo nuovo progetto presentato dalla Volcano Records, non ci resta quindi che aspettare di sapere qualcosa di più, magari con l’arrivo di un primo lavoro sulla lunga distanza.

Tracklist
1. Night of the wolves
2. The Abandon
3. Randome
4. Lydia

Line-up
Steve Remnant

VOLCANO PRMOTION – Facebook

Kantica – Reborn In Aesthetics

Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.

Questa volta a regalarci cinquanta minuti di metal sinfonico, tra power e gothic in un deliro orchestrale e maestoso, sono i savonesi Kantica, band ligure al debutto su Revalve con Reborn In Aeshtetics.

Mettetevi il cuore in pace cari cacciatori dell’arca dell’originalità, perché qui si cavalca il genere giocando con tutti i suoi cliché, ma il bello è che i Kantica il gioco lo conducono con maestria lasciando l’impressione di essere al cospetto di un gruppo con molta più esperienza di quella che suggerisce l’anagrafe.
Sonorità piene e cinematografiche si specchiano sul golfo ligure prima che lo scirocco si alzi e la mareggiata porti con sé cavalcate power metal dalle ritmiche potentissime, alternandosi con pacate atmosfere gothic ed impreziosite da orchestrazioni dal piglio moderno, come negli ultimi lavori di quella che il sottoscritto considera la band regina del genere, gli Epica.
Una produzione da top band, una cantante che incanta ed ammalia e cinque musicisti che formano una squadra compatta ed assolutamente vincente, sono le prime avvisaglie di un’opera ottima in ogni dettaglio, creata per far innamorare gli (ancora tanti) estimatori del power metal sinfonico.
Dopo l’intro i primi botti portano il titolo di Fascination Of The Elements, un brano in crescendo che prepara l’ascoltatore alla maestosa atmosfera che regna nel resto dell’album con brani carichi di nobile e sinfonico metallo come And There Then Was Pain, che tanto sa di primi Temperance.
Tutto gira a meraviglia in Reborn In Aeshtetics, decine di cambi di tempo spezzano il respiro, come affrontare un mare in tempesta sulla prua di un vascello, mentre Hellborn Lust, Lovecide e Psychological Vampire confermano il mood epico sinfonico dell’album.
Un debutto per certi versi sorprendente, che conferma la sempre crescente qualità della scena tricolore in un genere dove si è ormai detto tutto e nel quale la differenza la si può fare solo in termini di songwriting e di un talento che iKantica hanno da vendere.

Tracklist
01.(Re)Born Unto Aestheticism
02.Fascination of the Elements
03.And Then There Was Pain
04.Hellborn Lust
05.Albatross
06.R.E.M. State
07.From Decay to Ascension
08.Illegitimate Son
09.Psychological Vampire

Line-up
Chiara Manese – Vocals
Matteo ‘Vevo’ Venzano – Rythm guitar
Andy ‘K’ Cappellari – Lead guitar
Fulvio DeCastelli – Bass guitar
Enrico Borro – Keyboards
Tiziana ‘Titti’ Cotella – Drums

KANTICA – Facebook

Souldrinker – War Is Coming

War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza.

Se per voi il metal è grinta, energia, chitarre sature ed un buon mix tra tradizione e modernità, allora War is Coming, debutto dei tedeschi Souldrinker, è l’album che vi è mancato per arrivare in fondo al 2017 più cattivi che mai.

Il gruppo, che vede tra le sue fila due musicisti dal lungo passato nella scena metal tedesca come Markus Pohl  e Steffen Theurer, hanno trovato nella leonessa Iris Boanta la singer perfetta per ruggire a suo modo su questa decina di brani dal tiro micidiale.
Ne escono dieci esplosioni metalliche tutta grinta e appeal, con chorus che entrano in testa aprendola come un cocomero, ritmiche grasse e solos graffianti in un delirio metallico davvero niente male.
Immaginate un mix letale tra Pantera e Black Label Society che, con in corpo una bottiglia di scotch di troppo, cominciano a suonare power metal, ed avrete un’idea di quello che vi aspetta nei quaranta minuti abbondanti di War Is Coming.
Album che esprime tutta l’energia del metal, War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza, facensoci per di più conoscere un’altra eroina (Iris Boanta) dalla grande voce.

Tracklist
1.Let the King Bleed
2.Souldrinker
3.Promised Land
4.To the Tick
5.Take my Pain
6.Like Rain…
7.Raise the Flag
8.Fire Raiser
9.Voices
10.Final Stand

Line-up
Iris Boanta – Vocals
Markus Pohl – Guitar
Chris Rodens – Bass
Steffen Theurer – Drums

SOULDRINKER – Facebook

Loudness – Rise To Glory

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

I Loudness sono senza ombra di dubbio la più grande e longeva heavy metal band del sol levante, ed il nuovo lavoro conferma l’ancora ottima forma del chitarrista Akira Takasaki e compagni.

E’ dal 1981 che i Loudness dispensano lezioni di metallo pesante, eppure anche questo Rise To Glory risulta un ottimo lavoro, nel quale l’anagrafe dei componenti del gruppo è un dettaglio grazie ad un songwriting perfetto e alla voglia di far male che è ancora quella dei tempi migliori.
Di questi tempi la musica dello storico gruppo nipponico la chiamano old school, per una volta invece il termine giusto è heavy metal classico, pregno di ritmiche hard, solos che sono katane implacabili in mano a questi samurai del metal e refrain di livello superiore.
L’opener Soul On Fire scatena l’inferno, Takasaki armeggia con la sei corde come ai bei tempi, Niihara tiene il passo al microfono con una prova gagliarda e la sezione ritmica (Yamashita/Suzuki ) picchia come un martello metallico sulle nostre povere teste.
Le prime tre tracce sono un vulcano in eruzione, mentre il pesantissimo mid tempo di Until The Light non fa prigionieri prima che i toni si smorzino con la semi ballad in crescendo The Voice.
Rise To Glory non delude i fans del gruppo, fuoco e fiamme si sprigionano all’arrivo di Massive Tornado, mentre la title track mostra di che talento si parla quando si nomina lo storico axeman giapponese.
Per chi si è perso quarant’anni di Loudness, la band ci regala anche Samsara Flight, raccolta di classici ri-registrati uscita originariamente in Giappone nel 2016, quindi non avete scuse, prenotate la vostra copia di Rise To Glory e fate vivere ancora una volta il mito Loudness.

Tracklist
Disc One – Rise To Glory
01. Soul On Fire
02. I’m Still Alive
03. Go For Broke
04. Until I See The Light
05. The Voice
06. Massive Tornado
07. Kama Sutra (instrumental)
08. No Limits
09. Bad Loser
10. Rise To Glory
11. Rain
12. Who And For Whom

Disc Two – Samsara Flight
1. Street Woman
2. The Law of Devil’s Land
3. Loudness
4. In The Mirror
5. Black Wall
6. Rock Shock (More and More)
7. Lonely Player
8. Devil Soldier
9. Burning Love
10. Angel Dust
11. Rock The Nation
12. To Be Demon

Line-up
Minoru Niihara – Vocals
Akira Takasaki – Guitars
Masayoshi Yamashita – Bass
Masayuki Suzuki – Drums

LOUDNESS – Facebook

Land Of Damnation – Demon

Primo ep per i campani Land Of Damnation, band dal sound ispirato sia dal death metal melodico che dal più tradizionale heavy metal.

Metal classico e melodic death metal, due generi uniti dal lavoro e dal talento delle storiche band scandinave che, nei primi anni novanta diedero vita alla scena death metal melodica.

Con gli anni il sound ha preso altre direzioni, amalgamandosi con i suoni moderni nati negli States grazie alle svolte stilistiche di Soilwork e, principalmente, In Flames, ma gruppi che continuano ad ispirarsi ai primi esempi di questo storico sodalizio non ne mancano certo, specialmente nell’underground.
I Land Of Damnation, per esempio, debuttano con Demon, ep di quattro brani più intro che esprime tutto l’amore dei musicisti campani per il genere: un buon inizio per il gruppo, visto il tiro dei brani che compongono l’opera.
Nata per volere dei due chitarristi che rispondono ai nomi di Adrian Beppe e Dark Tranquillo nel 2014, la band arriva solo ora al debutto con questo ep che non fa nulla per nascondere la sua natura classica, abbinata al death metal melodico dei primi In Flames e Dark Tranquillity e ad un tocco di oscurità power/thrash alla Iced Earth.
Demon, nella sua attitudine classicheggiante, riesce a toccare le corde giuste specialmente se ad avvicinarsi alla musica di cui è composto sono i fans dei gruppi citati, più ovviamente gli Iron Maiden, padrini del lato più classicamente heavy della title track e della splendida Tearing The Veil, brano top dell’album, perfetto nell’alternare atmosfere maideniane a più oscure e pressanti parti melodic death (grazie anche al growl dell’ospite Gioele Di Giacomo).
E’ più diretta la cavalcata Die, mentre il finale è lasciato alla lunga Harmonia, traccia che tanto sa di Iced Earth periodo Something Wicked This Way Comes.
In conclusione, questo si può definire un inizio promettente: Demon sa come accontentare gli amanti del genere e riesce a rappresentare al meglio un abbondante antipasto al più ricco piatto sulla lunga distanza

Tracklist
1. [Infernal] Intro
2. Land of Damnation
3. Tearing the veil
4. Die
5. Harmònia

Line-up
Adrian Peppe “Smith” – Guitar and Voice
DarkTranquillo J. “Murray” – Guitar
Michele “Svalfio” Alfano – Drums
Luigi “Towt” Smilzo – Bass

Gioele di Giacomo – Growl Vocals in “Tearing the veil”

LAND OF DAMNATION – Facebook

Steelpreacher – Drinking With The Devil

Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata.

Dopo lo split con i Dragonsfire e l’uscita del full length Devilution, gli Steelpreacher ritornano sul mercato con il loro lavoro migliore, Drinking With The Devil, licenziato originariamente nel 2008.

Il trio di sfrontati rockers tedeschi è attivo dai primi anni del nuovo millennio, nella loro discografia si contano cinque lavori sulla lunga distanza di cui Drinking With The Devil è il terzo della lista.
La band suona una divertente rivisitazione dell’hard & heavy tradizionale, tra citazioni famose e tanto rock’n’roll, quindi se siete amanti del genere, motociclisti in febbre da raduno o avventori di locali in strade deserte, con tanto di palco dove i gruppi intrattengono gli ospiti dietro a grate che le proteggono dalla pioggia di bottiglie di birra svuotate, gli Steelpreacher sono sicuramente la band che fa per voi.
Riff di potentissimo hard rock, solos heavy, note di blues marcito in fumose cantine ed atmosfere inorgoglite da un approccio old school, sono virtù che ogni rocker dal capello grigio non può non annoverare tra quelle principali di un buon album e Drinking With The Devil da questo lato non sbaglia un colpo.
Ac/Dc (all’irresistibile D.O.A. manca solo la voce del compianto Bon Scott), Motorhead, Saxon, Wasp ed ovviamente gli Accept sono le band da cui gli Steelpreacher hanno pescato per formare il loro sound, che risulta un tributo ai gruppi citati, ma che funziona e come detto diverte non poco.
Quasi quaranta minuti di suoni che odorano di old school e rock’n’roll ipervitaminizzato come si usava un tempo, mentre i brani scivolano via tra chorus da cantare a squarciagola prima di far volare la propria bottiglia sulla grata: gli Steelpreacher ringraziano.

Tracklist
1.Slave to the Cross
2.Hammered and Down
3.Blame It on Booze
4….of War and Vengeance
5.D.O.A.
6.Strung Out
7.Hooked on Metal
8.No One Knows…
9.Hell Bent for Beer
10.Drinking with the Devil

Line-up
Jens “Preacher” Hübinger – lead vocals, guitars
Andy “Mu” Hübinger – bass, lead and backing vocals
Hendrik “Beerkiller” Weber – drums, backing vocals

STEEPREACHER – Facebook

Manach Seherath – Timeless Tales

Esordio sulla lunga distanza per i napoletani Manach Seherath: Timeless Tales risulta un ottimo esempio di metallo epico e tastieristico, ispirato dalle opere dei Virgin Steele.

Dei Manach Seherath vi avevamo parlato tra le pagine metal di In Your Eyes ben tre anni fa, in occasione dell’uscita del primo demo omonimo composto da tre brani, tutti riproposti in questo esordio sulla lunga distanza.

Il gruppo attivo dal 2012 per volere del cantante Mich Crown, arriva finalmente alla pubblicazione di questo intenso lavoro, un notevole esempio di heavy metal melodico ed epicheggiante, strutturato sul gran lavoro delle tastiere e dall’impatto che trova la sua natura nella scuola ottantiana, anche se i suoni e gli arrangiamenti sono assolutamente al passo coi tempi.
La maggiore fonte di ispirazione per la band partenopea sono a mio parere i Virgin Steele: la band di David DeFeis aleggia sulla composizione dei nuovi brani, che si allontanano dalle atmosfere dark che erano rinvenibile nel vecchio demo, per abbracciare il sound dello storico gruppo epic metal statunitense.
Le tracce che compongono la parte inedita dell’album includono una vena epico declamatoria stimolante, con melodie che valorizzano il mood metallico dall’anima epica, mentre i duelli tra tastiere e chitarre sono supportati da una sezione ritmica presente e rocciosa.
The Waters Of Acheron ha un compito introduttivo, mentre si entra nel vivo con The Cursed Collector e la splendida Sword In The Mist, che accelera i ritmi e ci consegna il primo chorus epico.
Chasing The Beast ha nei refrain melodici il suo punto di forza, mentre Asleep: the Legend of a Heart pt.1 è sinfonica quel tanto che basta per farne un brano perfettamente bilanciato tra suoni tradizionali e moderno metal sinfonico.
I tre brani già editi sul primo demo portano alla conclusione questo ottimo lavoro, grazie al quale i Manach Seherath si confermano gruppo da seguire con attenzione e consigliato agli amanti del metal melodico ed epico.

Tracklist
1 – The Waters of Acheron
2 – The Cursed Collector
3 – Swords in the Mist
4 – Chasing the Beast
5 – Asleep: the Legend of a Heart pt.1
6 – Restless: the Legend of a Heart pt.2
7 – Arti Manthano: a Timeless Trilogy pt.1
8 – Timeless: a Timeless Trilogy pt.2
9 – All in All: a Timeless Trilogy pt.3

Line-up
Mich Crown – Vocals
Cyrion Faith – Keyboards
Gianluca Gagliardi – Guitars
Lukas Blacksmith – Bass
Carlo Chiappella – Drums

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Lady Beast – Vicious Breed

L’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Heavy metal is the law … da Pittsburgh, Pennsylvania, alla conquista dei cuori metallici di tutto il mondo i Lady Beast con Vicious Breed ci regalano mezzora di metallo classico duro come la roccia che si trova sul monte dove i fabbri forgiano le spade per gli dei del metallo pesante.

Capitanati dalla vocalist Deborah Levine, classica singer d’acciaio come le eroine degli anni ottanta e lontana dagli stereotipi delle vocalist odierne, più modelle che vere streghe metalliche, i Lady Beast arrivano con Vicious Breed al terzo lavoro sulla lunga distanza dopo aver dato alle stampe due album omonimi ed un ep.
Heavy metal che più classico non si può, tra crescendo maideniani, riff taglienti alla Judas Priest e mid tempo pesanti come gli spadoni tenuti dalle braccia di muscolosi semidei, guerrieri dell’eterna lotta tra il bene e il male, combattuta in un mondo parallelo dove l’unica colonna sonora possibile alle vicende narrate sono i Saxon di Strong Arm Of The Law, gli Iron Maiden di Killer ed i Judas Priest di British Steel.
Ho detto tutto, il sound di Vicious Breed è quanto di più scontato troverete in giro per l’underground metallico, il problema che di questa musica non ci si stanca mai, la band tiene il passo con una raccolta di buoni brani e la voglia di rispolverare il giubbotto di pelle con le toppe d’ordinanza è forte, dopo appena due o tre brani.
D’altronde lo scopo dei Lady Beast è quello di suonare heavy metal nel modo più puro possibile e ci riesce bene grazie ad un’ottimo rifferama che fa di alcuni brani delle piccole gemme di musica dura come The Way, Get Out e la potentissima title track.
Un album che diverte ed incatena allo stereo dall’inizio alla fine: l’impatto e l’attitudine non mancano, le canzoni ci sono e, pur con le influenze ben in mostra, Vicious Breed funziona rivelandosi un buon ascolto per i fans vecchi e nuovi dell’heavy metal più classico.

Tracklist
1. Seal The Hex
2. The Way
3. Lone Hunter
4. Always With Me
5. Get Out
6. Every Giant Shall Fall
7. Sky Graves
8. Vicious Breed

Line-up
Deborah Levine – Vocals
Andy Ramage – Guitars
Chris Tritschler – Guitars
Greg Colaizzi – Bass
Adam Ramage – Drums

LADY BEAST – Facebook