Norse – Norse

Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo.

Debutto per i Norse, giovane gruppo italiano formatosi da poco.

I Norse fondamentalmente fanno noise con forti influenze post metal e tanti altri post, hanno delle linee melodiche da paura e il loro suono è qualcosa che mancava alle nostre latitudini. Tante realtà alternative poi si rivelano solo un insieme di pose, preoccupate più della loro immagine che delle note, mentre qui al centro di tutto c’è la musica. L’aria è bassa e umida, e i Norse ci portano in giro attraverso una decostruzione costante e potente della realtà: la musica diventa un cuneo nel quale insinuarsi e andare a scoprire cose nuove, esplorando paesaggi disidratati e ancora più aderenti alla loro natura. Calma, distorsioni e melodie molto ben delineate, nella decadenza e nel destino immanente che ci aspetta i Norse sono la perfetta banda della nave che nemmeno affonda, ma vive perennemente sotto la minaccia di farlo. Tutto il disco è costruito molto bene, ci sono tracce con improvvise sfuriate che vengono da lontano, da quella tradizione hardcore italiana che ha saputo cambiare e diventare un seme che feconda molte cose diverse fra loro. La traccia finale Manca è un qualcosa che ti scava dentro, un Don Caballero molto più variopinto ed urgente. Nel disco omonimo del gruppo si può trovare anche molto emo declinato nella maniera giusta, perché l’emo in Italia è stato spesso sublimato, e anche qui ce n’è un esempio. Un disco moderno, intelligente e musicalmente molto emozionante, senza difetti e che vi regalerà molti ascolti. Se volete un clic ed un ascolto veloce questo disco non fa per voi, ma se invece avete voglia di un’immersione in qualcosa di ben fatto e di corrosivo, questo è il posto giusto (l’album è in download libero dal bandcamp dei Norse).

Tracklist
1.collezione
2.aral
3.baratto
4.debacle
5.manca

NORSE – Facebook

The Gotobeds – Debt Begins At 30

Una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Nervoso ed affascinante rock che sfocia nel noise e nel grunge, il tutto di alta qualità e con ottimi ospiti.

Si potrebbe descrivere come sopra in maniera assai riduttiva il nuovo disco dei The Gotobeds da Pittsburgh, città che non capita spesso di associare ad un gruppo musicale, patria però dei Pittsburgh Steelers, e non è poco. Il loro nuovo lavoro è un piccolo manuale del migliore noise rock che si può trovare in giro, partendo dalla tradizione americana per arrivare a nuovi standard. Debt Begins At 30 è un lavoro assai notevole, dove ogni canzone è un flusso di energia molto forte e che investe l’ascoltatore. In mezzo a tutta questa energia la melodia non manca, ed è il vero asse portante della loro costruzione sonora. Per darvi una vaga idea di cosa siano i The Gotobeds prendete i Pavement, metteteci un po’ di Sonic Youth e poi mescolate con il meglio grunge di Seattle e avrete un qualcosa che si avvicinerà. Come al solito la migliore rappresentazione possibile è ascoltare il disco, immergendosi in questo suono minimalista eppure molto ricco e potente. Ci sono tracce urgenti con un’attitudine punk hardcore, altre con una tendenza maggiore al noise, ma è tutto bilanciato molto bene e, soprattutto, il quartetto funziona alla perfezione. Notevoli gli ospiti, c’è la voce di Tracy Wilson dei Positive NO! mentre Mike Seamans e la leggenda Bob Weston suonano su Debt Begins at 30. Visto la relazione strettissima tra le due band, no sorprende che i Protomartyr appaiano su un paio di brani, con Joe Casey su Slang Words e Greg Ahee su On Loan. Il chitarrsta dei Silkworm, Tim Midyett, suona su Parallel e sulle altre tracce compaiono Gerard Cosloy, Matt Barnhart dei Tre Orsi, la bellissima Victoria Ruiz dei Downtown Boys, per finire coi poeti di Pittsburgh Jason Baldinger e Scott MacIntyre. Un parterre ricchissimo, che porta un contributo notevole ad un disco già molto interessante, una delle migliori uscite noise rock dell’anno che piacerà moltissimo a chi ha amato questo genere negli anni novanta.

Tracklist
1. Calquer The Hound
2. Twin Cities
3. Slang Words
4. 2:15
5. Poor People Are
6. Revolting
7. Debt Begins At 30
8. On Loan
9. Dross
10. Parallel
11. Bleached Midnight
12. Debt Begins At 30 (Alt)

Line-up
COOL-U
Depressed Adult Male
OPEN CARY
HAZY LAZER

THE GOTOBEDS – Facebook

Brutofuzz – Every Drop

A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare.

Un trio di ragazzi come noi non più giovanissimi, che fanno un ottimo noise rock distorto e dalla notevole creatività, con ogni canzone che racchiude elementi notevoli.

Questo ep porta con sé una storia particolare, dato che originariamente era nato come lavoro strumentale a nome Sun@9 e intitolato Italian Breakfast, e che un’etichetta americana di nome M.W.A.I.A. voleva pubblicare a nome Brutofuzz. Ciò diede l’occasione al gruppo di riarrangiare i pezzi per metterci la voce, e bisogna dire che il risultato è molto buono, e pure che gli americani ci avevano visto lungo. Il gruppo era rimasto inattivo dal 2014 al 2017 per gravi problemi di salute di uno dei ragazzi, problema fortunatamente risolto, e torna con questo ep che gli garantisce un bel posto al sole. Ci sono tante cose qui dentro, dal noise allo stoner, a partenze alla Rage Against The Machine quando meno te lo aspetti e tanto altro, ma soprattutto una maniera di fare musica mai ovvia e scontata. Si sente molto chiaro lo spirito di Les Claypool, ovvero tecnica musicale, lavoro in saletta e suonare senza escludere un labor limae successivo. Every Drop è un flusso di coscienza musicale, un correre e saltare senza mai fermarsi, rinnovando una tradizione italiana del tutto particolare, che si potrebbe riassumere con free rock molto rumoroso. A parte le definizioni che lasciano sempre davvero il tempo che trovano, e forse anche meno, i Brutofuzz sono un gruppo come pochi, diretto, potente e molto particolare. Purtroppo sono stati tre anni fuori dai giochi, ma questo ep servirà a riportarli nella mischia perché tirano colpi non da poco. Prima della loro pausa forzata (che denota anche dei valori perché piuttosto si ferma tutto se un membro della famiglia ha dei problemi) si stavano creando il loro meritato e giusto spazio sia su disco che dal vivo, ma ora sono tornati meglio di prima.

Tracklist
1. Toy Man
2. Celebrate
3. Orgasmic Cosmo
4. Mask Of Hate
5. Burning On My Skin

Line-up
Luca “barbadrum” Stocco – batteria
Federico “brutobass” Leo – basso
Federico “fuzzfaith” Lorigiola – chitarra

BRUTOFUZZ – Facebook

Distorsonic – Twisted Playgrounds

Non è un disco fruibile in maniera tradizionale, né lo vuole essere, è un deciso andare avanti, nove jam, di cui una con parti cantate, con mille ritmi e percorsi diversi, in un’oscillazione perpetua e ricercata compiuta da due musicisti che sono di un altro livello, soprattutto in quanto a sensibilità.

Musica spaziale che genera nuovi suoni e generi attraverso le allucinazioni di un basso che fa orchestra a sé ed una batteria.

Il basso è quello di Maurizio Iorio, già con Molteni, ha ha cominciato il progetto Distorsonic già negli anni novanta e questo è il terzo episodio discografico. Il disco è una vera e propria esperienza sciamanica e psichedelica, non c’è un genere bene preciso, ma una continua generazione e rigenerazione di suoni vivi, suoni morti o ancora non nati. La direzione è quella di una jam, di un andare in qualsiasi caso senza mai fermarsi, ci sono così tante linee di basso da scrivere e da distorcere, e la batteria è un cuore malato collegato ad un cervello fuso, medium per vedere oltre. Oltre ad una totale mancanza di etichette, cosa già di per sé assai notevole, ci sono molte cose nuove ed un modo totalmente differente di approcciarsi alla materia musicale. Il basso di Maurizio Iorio è un elemento che fa storia a sé, dato che vive di vita propria, non fa accompagnamento o tiene il ritmo, bensì indica la via verso una nuova linea melodica. Lo strumento di Maurizio compie la funzione vera e propria di un oggetto che serve per esprimere qualcosa che altrimenti non verrebbe espresso. Inoltre la batteria di Stefano Balcone è un altro strumento perfetto per questo viaggio, anch’essa fa gruppo a sé stante e si compenetra perfettamente con il basso di Maurizio. Twisted Playgrounds illustra storie molto antiche ma anche moderne, suona di sangue e vite sull’asfalto, di sofferenza e di gioia, morte e vita, in un continuo rigenerarsi come se fosse un lungo giro di basso. Non è un disco fruibile in maniera tradizionale, né lo vuole essere, è un deciso andare avanti, nove jam, di cui una con parti cantate, con mille ritmi e percorsi diversi, in un’oscillazione perpetua e ricercata compiuta da due musicisti che sono di un altro livello, soprattutto in quanto a sensibilità. Non è sperimentazione, bensì un’altra dimensione musicale.

Tracklist
1. Space Underdogs From Hell
2. Subterranea
3. Messing Around With a Baritone
4. Headhunting the Headhunters
5. Secchezza delle fauci
6. Heavy Satori
7. Fisheye Speedfreak
8. Caronte
9. Tofranihl

Line-up
Maurizio Iorio – Basso
Stefano Falcone – Batteria

DISTORSONIC – Facebook

Tacobellas – Total 90

La musica delle Tacobellas è veloce e distorta, ma oltre alla velocità ed incisività riesce anche a creare situazioni surreali e psichedeliche che arricchiscono il tutto.

Le Tacobellas sono un power duo femminile dalla provincia di Modena che vi prenderà felicemente a calci nel sedere.

Le coordinate sono quelle del punk rock e dell’indie più corrosivo e bastardo, con molte influenze e soprattutto tante cose da dire. La loro musica è veloce e distorta, ma oltre alla velocità ed incisività riesce anche a creare situazioni surreali e psichedeliche che arricchiscono il tutto. Chitarra, batteria e voce per un attacco sonoro che in certi momenti lascia senza fiato, e non si può far riferimento all’insulsa storia delle rrriot girls. Il femmineo è uno degli elementi principali, e forse il più bello e perfettamente incompleto dell’universo, la sua rabbia è sacra e la sua furia si abbatte su di noi in maniera giusta ed equa, senza tirare fuori stupide parole in inglese. Questo femmineo e questa rabbia è ben rappresentata da Total 90, un disco che mancava alle nostre latitudini e che abbraccia molte situazioni notevoli e piacevoli. Le Tacobellas ripercorrono molto della storia dell’indie, ma lo fanno per ampliare il proprio bagaglio narrativo, e proprio quest’ultimo possiede un’ampiezza ed una profondità notevole. Otto tracce che vanno ben oltre le classificazioni per un debutto che riesce a meravigliare, cosa non facile di questi tempi. La struttura è minimale, eppure dentro ad essa ci sono moltissime cose. Alcune tracce sono concepite come furiose jam, ma non c’è solo la rabbia, perché il duo modenese riesce anche a lasciarci un po’ di speranza. Total 90 è anche un grande omaggio alla scena indie americana degli anni novanta, dove gruppi come i The Pavement o gli Sonic Youth, ma più per esteso ad una certa maniera di fare indie, con un piglio più abrasivo e moderno rispetto ad oggi. Insomma è un gran bel debutto, ascoltatelo perché sta nascendo qualcosa di molto bello.

Tracklist
1. Cut
02. Elephanttt
03. Hangover
04. Rays Gig
05. Honey
06. Spin
07. Total 90
08. TTF&F

Line-up
Valentina Gallini – Guitar and Voice
Greta Lodi – Drums

TACOBELLAS – Facebook

Vessel of Iniquity – Void of Infinite Horror

Un’opera notevole, alla quale però è necessario approcciarsi con la consapevolezza che questo viaggio “nell’orrore infoinito” non sarà affatto una passeggiata.

Ci sono diverse maniere per esprimere il disagio ed il malessere interiore che in misura diversa attanaglia ciascuno di noi.

A livello musicale quelli più espliciti e conosciuti sicuramente sono il funeral death doom ed il depressive black, l’uno volto ad esibire il lato poi luttuoso e dolente dell’umano sentire e l’altro invece quello intriso della più esplicita disperazione.
Questo progetto solista dell’inglese S.P. White si spinge ad esplorare altri mezzi espressivi, andando idealmente ad estremizzare quanto sopra per approdare ad un rumorismo che a primo acchito respinge, per poi fagocitare in maniera irrimediabile i coraggiosi che accetteranno di farsi prostrare da un dolore definibile più contundente che non ottundente.
Il musicista britannico è attivo anche negli altrettanto insidiosi The NULLL Collective, per cui non è certo un neofita rispetto a tali sonorità che infatti vengono rese con la giusta perizia ed il necessario grado di convinzione per trasformare in un’opera di un certo peso quello che per molti può sembrare solo un’accozzaglia sonora senza arte né parte.
L’accostamento ad un terrorista sonoro come Maurice De Jong (Gnaw Their Tongues) può sorgere spontaneo alla luce di quanto sopra, ma l’operato di White è in qualche modo più organico, mostrando in diversi passaggi barlumi di ascoltabilità che rendono ancor più efficace la proposta, al cui buon esito contribuisce anche una durata ragionevole (poco meno di venticinque minuti).
Chi è abituato a forme di funeral più estreme, una traccia come Void of Infinite Sorrow fornirà un’idea eloquente del modus operandi di White, con l’avvertenza che si tratta comunque dell’episodio maggiormente “accessibile” dell’intero pacchetto assieme alla conclusiva Once More into the Abyss, in cui una prima metà di matrice ambient viene letteralmente spazzata via da un vento atomico capace di ricondurre il tutto allo stato di caos primordiale.
Un’opera notevole, alla quale però è necessario approcciarsi con la consapevolezza che questo viaggio “nell’orrore infoinito” non sarà affatto una passeggiata.

Tracklist:
Side A
1. Invocation of the Heart Girt with a Serpent
2. Babalon
3. Void of Infinite Sorrow
Side B
4. Mother of Abomination
5. Once More into the Abyss

Line-up:
S.P. White – Everything

Subtrees – Polluted Roots

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Partendo dall’assennato assunto di Italo Svevo che la vita attuale è inquinata alla radice, i bolognesi Subtrees debuttano con un disco meraviglioso e pieno di tossici gioielli.

Tutti portiamo un certo grado di tossicità dentro di noi, abbiamo un lato che come un click difettoso non funziona molto bene, o funziona molto meglio della parte che crediamo sana, comunque c’è e vive assieme a noi come un simbionte. La sensazione più importante fra le tante che regala questo disco è il tremendismo, un senso di catastrofe imminente che fortunatamente non si riesce a cogliere nella sua pienezza perché siamo intossicati, e i nostri pensieri viaggiano molto lentamente. Musicalmente il disco esplora diversi lidi e tocca molte istanze musicali, a partire da un forte retrogusto grunge che permea tutta l’opera, ma si va anche verso il noise anni novanta, tenendo sempre ben presente la propria impronta originale. Procedendo nell’ascolto si trova anche un incedere tipico degli Isis, ovvero un passo musicale davvero ampio e che abbraccia l’ascoltatore mentre lo porta lontano. La musica dei Subtrees è qualcosa che riscalda e che scorre direttamente nelle vene, come un droga salvifica, rinnovando la nostra tossicità, rendendola inevitabile e immanente. La completezza del disco è difficile da descrivere a chi non lo ascolterà, perché è sempre la musica che deve spiegare, qui possiamo solo dare indicazioni di ascolto, e questo è un ascolto da fare assolutamente. Le atmosfere create dal gruppo sono bolle temporali nei quali ci si sente confortevoli e al contempo viene esposto il nostro disagio. Non ci sono momenti particolarmente veloci, è tutto molto incisivo e ben composto, con trame che non si sentivano da tempo per un gruppo davvero notevole.

Tracklist
1.Syngamy
2.Everything’s Beautiful, Nothing Hurt
3.Conversation #1 (Hero’s Death)
4.Conversation #2 (Adam’s Resurrection)
5.Reflections
6.Motorbike
7.Jungle/Overexposure

Line-up
Roberto Andrés Lantadilla – voce, chitarra e testi
Nicola Venturo – basso e sintetizzatori
Riccardo Pantalone – chitarra e ostrich guitar
Alberto Lazzaroni – batteria

SUBTREES – Facebook

Morso – Lo Zen e L’Arte del Rigetto

In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano.

Incisivo noise math con fortissime influenze hardcore punk in italiano per il debutto dei Morso.

Il gruppo nasce fra Milano e Varese nella Lombardia che scalcia, dal desiderio del chitarrista Davide e del cantante Guido di fare musica senza canovacci prestabiliti, riportandola alla sua origine di mezzo espressivo libero. Raggiungono pienamente il loro scopo e vanno anche oltre, dato che gettano un ponte fra un qualcosa di moderno e una particolare declinazione dell’hardcore che era in voga nei primi duemila, sulla scia dei La Crisi tanto per capirci. Come radici abbiamo la furia e l’urgenza dell’hardcore punk, unito ad un noise che aumenta la carica distruttiva. I Morso sono un gruppo che picchia pesante e viaggia veloce, ma la musica è sempre ben suonata e prodotta con attenzione, i testi sono particolari e si capiscono molto bene, anzi sono al centro della scena. Si parla di questa realtà dopata, della scomparsa della stessa, di questa gran confusione che ci picchia in testa e fa male, maledettamente male. Ciò che stava su ora è giù, e ciò che stava giù e salito e tutto ci appare normale. I Morso sono come la pillola rossa di Matrix, sarai catapultato più vicino alla verità a tuo rischio e pericolo, il tutto attraverso una musica incessante ed incalzante, assolutamente originale. In Italia ci sono già stati gruppi di questo tipo, ma l’agilità e l’incisività dei Morso è cosa rara, quasi come se fossero un distillato delle migliori esperienze nel genere, una mutazione genetica che parla del nostro quotidiano. I Morso non ti lasciano quiete, non c’è più aria e bisogna andare veloci. Un disco veloce ma che si insinuerà in profondità dentro di voi.

Tracklist
1 . Liberaci Dal Male
2. Nessuno e Centomila
3. Pieno di Istanti
4.Non Si Muore Ogni Dicembre
5. Sempre meglio di niente
6. Incline
7. Glamour Suicide
8. Il Fine Giustifica i Mezzi
9. Cmc
10. Ex
11. Sognavo Di Essere Bukowski

MORSO – Facebook

The Turin Horse – The Turin Horse

I The Turin Horse sono un gruppo che francamente mancava nel panorama del noise nostrano, che come quello mondiale vive di flash e questa è una gran bella esplosione.

Quando si uniscono due musicisti che sanno come fare rumore e scrivere distorsioni il risultato fortunatamente non è quello che ti aspetti, perché il rumore spiazza sempre.

Il duo The Turin Horse racchiude al suo interno Enrico Tauraso, già nei mitici Dead Elephant che hanno scritto grandi pagine dell’underground italico, e Alan Lapaglia che militava nei MoRkObOt, vera e propria fucina di rumore. Unendo le visioni musicali hanno dato vita a questo power duo che pubblica questo debutto di tre pezzi che brucia tutto ciò che incontra. Prendete del noise e velocizzatelo, dello stoner e rendetelo più corrosivo, un po’ di sludge e sarete in quei dintorni, ma come al solito soltanto l’ascolto può rendere giustizia al grande suono del duo. Qui dentro troviamo certe malate ripetitività del miglior noise, come quello degli Unsane dei quali infatti viene riproposta Blame Me da Scattered, Smothered & Covered del 1996. Infatti qui troviamo tonnellate di quel piacere perverso che dà certo noise, ovvero quel ripetersi in maniera sempre diversa, e giro dopo giro di chitarra alzare la posta fino a fotterti il cervello: è quello che vogliamo ed i The Turin Horse lo fanno come nessun altro. Come si diceva all’inizio, non sai cosa aspettarti e ne vieni spiazzato, e qui effettivamente si va ben oltre le già alte aspettative, perché comunque Enrico e Alan sono di un altro livello, ma i The Turin Horse sono un gruppo che francamente mancava nel panorama del noise nostrano, che come quello mondiale vive di flash e questa è una gran bella esplosione. Unico difetto, bisogna accontentarsi ma solo per ora, è la lunghezza dell’ep, che è di tre pezzi che sono altrettante mazzate, ma se ne vorrebbe ancora. Il duo è anche sperimentatore, dato che alcuni strumenti sono costruiti da Enrico, e la mancanza del basso ha introdotto a scelte diverse e molto interessanti. Non è un caso che la città culla di questo grande inizio sia Torino, che è molto noise già di per sé e che è decisamente la migliore città musicale d’Italia. Un debutto devastante, maturo e bellissimo.

Tracklist
1. The Regret Song
2. Blame Me
3. The Light That Failed

Line-up
ALAIN LAPAGLIA – Drums & Power Electronics –
ENRICO TAURASO – Guitar & Voice & Power Electronics –

THE TURIN HORSE – Facebook

Flying Disk – Urgency

Ascoltare Urgency dà l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose, con un pezzo come Hammer che è nei dintorni dei migliori Unsane.

I Flying Disk sono giovani, vengo da Fossano provincia di Cuneo e suonano divinamente.

Con questo secondo lavoro i ragazzi superano il già buon esordio del 2014 Circling Further Down, che li ha portati all’attenzione di chi ama le sonorità pesanti ben strutturate e con una melodia solida e che si snoda per tutta la canzone. Il gruppo fossanese ha un tiro micidiale, una naturalezza nel muoversi che rende piacevole e solido tutto ciò che fa. Urgency è il disco perfetto fatto da chi sta in provincia, ma possiede una grande apertura mentale, per quanto riguarda la musica, di chi ha talento e vuole suonare. Ci sono momenti di estrema goduria nell’ascoltare questo disco, e alcuni pezzi hanno un deciso retrogusto grunge, nel senso che si ha quello stato di grazia fra melodia e pesantezza che solo i grandi gruppi possiedono. Sulla risposta alla domanda se i Flying Disk siano appunto un grande gruppo, la risposta è un sì molto deciso. Ascoltare il loro nuovo disco ti da l’idea che il noise e il grunge si possano ancora incontrare per fare ottime cose: un pezzo come Hammer è nei dintorni dei migliori Unsane, creando quella bella tensione musicale che solo il noise sa fare, con mille rivoli che vanno a formare un unico fiume lavico. Inoltre ci sono dei momenti di grazia vera e propria dove sembra di trovarsi con loro in saletta a suonare come se fuori ci fosse l’apocalisse. La chitarra sale e scende, il basso pulsa e la batteria è bella pulita con una voce che è pressoché perfetta per questo tipo di musica. Chi vedrà dal vivo questa band capirà quanta passione e dedizione abbia: i Flying Disk fanno fluire la musica in una provincia che non ti dà molto ma ti dà la spinta e il giusto inquadramento, nel senso che sai che probabilmente non farai mai i soldi, ma resterai sempre te stesso e potrai fare dischi bellissimi come questo Urgency, album che non conosce data di scadenza, e che a ogni nuovo ascolto regala sempre qualche sorpresa.

Tracklist
1. One Way to Forget
2. On the Run
3. Straight
4. Dirty Sky
5. Night Creatures
6. Hammer
7. Young Lizard
8. 100 Days

Line-up
Simone Calvo – Guitars, Vocals
Enrico Reineri – Drums
Luca Mauro – Bass

FLYING DISK – Facebook

DEGREDO – A NOITE DOS TEMPOS

Ancestrali arcaici infernali suoni e rumori, per un esordio che, se musicalmente poco Black Metal, rimane comunque profondamente nero nell’anima, nel corpo e nell’infernale alone Dark Ambient che circonderà qualsiasi ascoltatore che ne tenterà il coraggioso approccio.

Sono sempre stato affascinato dall’alone di mistero di cui certe band (soprattutto Black) amano circondarsi.

I Degredo, nello specifico, appaiono e scompaiono come un poltergeist, come una qualche entità (maligna) che pare appena uscita da Paranormal Activity.
Appena abbozzi una ricerca sul Web, e pensi di esser riuscito a carpire qualche informazione, ti rendi quasi immediatamente conto, che stai guardando una qualsiasi pagina su internet che nulla ha a che fare con la band in questione.
D’altronde Velha e Lagrisome (i monickers del duo portoghese di non si sa quale dimenticata città lusitana…) non ci informano nemmeno sul loro ruolo nella band, su quale strumento suonano, su chi sia il songwriter, e non lasciano alcuna traccia delle loro liriche.
Appare pertanto difficoltoso (sebbene affascinante) recensire un album (il loro debutto) e citare qualche informazione di una band di cui conosciamo poco, anzi pochissimo, se non solo che appartengono all’Inner Circle Portoghese (il cosiddetto “Aldebaran Circle” che conta tra gli adepti anche Voemmr, Ordem Satanica, Trono Alem Morte e Occelenbriig).
Sicuramente l’appartenenza ad un Circle, oltre a rendere ancor più misteriosa l’origine di una band, (pensiamo agli adepti delle Legions Noires francesi, o dell’Austrian Black Metal Syndicate, e ancora del Temple of Fullmoon polacco, per non dimenticare il primo – ed originale – Norvegian Black Inner Circle) ci pone di fronte ad orde di misantropi, misogini e misandrici esseri (forse) viventi, il cui Verbo racchiude il più impenetrabile, imperscrutabile ed ermetico atteggiamento anti-umanità che la storia possa ricordare.
A fronte di queste considerazioni, pare ovvio che meno informazioni personali vengono divulgate sulla rete, meno notizie su se stessi vengono rese accessibili, al resto dell’umanità, meglio è. Chiaro che spesso, questo poco intelligibile atteggiamento, racchiude una sottile e velata attenzione ad azioni di vero marketing; il mistero affascina tutti, della serie: “meno faccio sapere di me stesso, più la gente vuole sapere…”.
Musicalmente i Degredo appaiono fin da principio in linea con quanto appena detto.
Un album della durata di circa un’ora e un quarto, suddivisa in quattro parti (letteralmente, non esistono veri e proprio titoli di canzoni), di un Dark Ambient Noise Black impregnato fortemente di infernali rumorismi dark, grigio industrial, ma soprattutto tanta Drone Music.
Un album assolutamente minimalista, nero come un’eterna notte antartica; un’iperbole di cupo odio, che sprigiona malignità da ogni sua pseudo-nota musicale. Un terrificante affronto alla vita, a tutto ciò che possa oggi rappresentare calore e luce. Chi si appropinqua a questo album, percorrerà un viaggio a ritroso nel tempo, proiettato in un antichissimo mondo dimenticato, ove luce e chiarore non faranno mai capolino, immersi in eterne tenebre, accompagnati da quattro “momenti musicali” che paiono far parte dell’uno (in realtà è un’unica canzone suddivisa in quattro parti); un viaggio Dantesco, verso i più oscuri antri infernali. Un album che è un archetipo della malvagità più arcana ed ancestrale, non adatto a persone impressionabili, consigliatissimo per scatenati fan di Abruptum e Mortiis.
Dopo quattro demo (il primo datato 2012, quindi una band decisamente giovane) ecco pertanto lo stravagante esordio su Harvest Of Death, label accostabile sicuramente al Circle portoghese, in quanto autrice di quasi tutte le produzioni delle band sopra citate.
Un ultima nota: se si ha un poco di tempo, può essere divertente dare un’occhiata alle informazioni sulle band dell’etichetta in questione… col risultato di trovare poco o niente. Mistero su mistero, in pieno stile Inner Circle!

Tracklist
1. Parte Um
2.Parte Dois
3.Parte Três
4.Parte Quatro

Line-up
Velha
Lagrisome

Gerda – Black Queer

Black Queer è una descrizione che proviene dall’interno di noi stessi, del cuore che spacca lo stomaco e pompa bile.

I Gerda sono un gruppo italiano fra i più originali e dirompenti degli ultimi tempi.

Detta così potrebbe sembrare la solita frase ad effetto, ma se cercate un effetto vero lo troverete nella loro musica, e soprattutto in questo ultimo disco, Black Queer.
Il gruppo di Jesi arriva al quinto album in un momento creativo eccezionale: questo lavoro è figlio del dolore e della dissonanza, la stessa che ci vibra in petto ogni giorno vissuto in questa società. I Gerda sono un gruppo che non offre dolcezza od un rifugio, ma ti sputa in faccia il disagio, e lo fa in maniera sublime. Tutto ciò nasce da esperienze quotidiane, e anche dalla scelta di Francesco Villotta, il fratello di Roberto chitarrista dei Gerda, e compagno di avventura nei magnifici Vel del bassista Alessio Compagnucci, e non ci sono illusioni ma tanto rumore che viene dalla rabbia e ne genera. La scena marchigiana negli anni ha partorito molte cose notevoli, tutte molto crude e oltre l’hardcore, e questo Black Queer è destinato a diventare una pietra miliare di questo cammino che non porta in nessuna direzione ma è qualcosa in questo preciso momento. Il presente lavoro vuole certamente essere facile ma è, come sempre nei Gerda, estremamente sincero e tremendamente bello. Dentro il disco ci sono tantissime cose, innanzitutto l’urgenza hardcore declinata in tante maniere diverse, e la loro peculiarità più grande, che è quell’impressione di jam continua e pesante. I ragazzi di Jesi hanno un tiro micidiale, riuniscono molte delle migliori cose dell’hc nostrano e le buttano fuori stravolte e bellissime. I due minuti e undici secondi di Figlia sono una delle espressioni più devastanti ed equilibrate che si possano sentire in Italia. Tutto Black Queer è una descrizione che proviene dall’interno di noi stessi, del cuore che spacca lo stomaco e pompa bile. La produzione è molto buona e fa rendere al meglio un gruppo che usa con disinvoltura molti registri diversi e rappresenta un unicum per traiettoria musicale.

Tracklist
1.Jeg kjorer inn i tunellen
2.Lulea, TX
3.Mare
4.Terzo regno
5.Notte
6.Hafenklang
7.Figlia
8.Theme

GERDA – Facebook

The Rambo – The Past Devours Everything

The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotar senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale.

Nouvelle vague noise blues totalmente libera ed in pieno spirito Frank Zappa.

Situazionismo musicale fatto in maniera molto intelligente ed interessante e soprattutto spiazzante. La voce è quella di uno sbronzo che gira per gli incroci cercando di stipulare un patto con Baron Samedi, mentre il resto sono giri di chitarra, basso e batteria che vanno nella direzione che vogliono. La cosa bella è che tutto ciò produce un risultato che è una boccata di aria fresca. Si prova gioia a sentire una tastiera che entra senza alcun senso, o forse perfettamente in linea, dipende se considerate il senso un vizio o una virtù, e va a fare la sua cosa. Il fine qui è molto più importante dei perché o del come, infatti il gruppo che nasce come duo diventa spesso un trio o poi torna a duo ma che importa ? La cosa importante è che continuino a fare dischi come questo, che ti incalza e ti viene sotto, per mostrarti un lato diverso del blues rock, o forse è un altro genere, ma soprattutto di qualcosa che non sia già comprensibile dalla copertina, cosa che succede per molti lavori. Certamente il blues qui è una grande fonte di ispirazione, ma non quello canonico, ma un blues totalmente bastardo, che è poi la vera missione del genere. The Past Devours Everything è un lavoro che non da appigli, ma obbliga a nuotare senza salvagente in un caldo mare fatto di lava, e anche arrivati a riva ci si scotta uguale. Ogni angolo delle canzoni è una sorpresa, dalla furia si passa all’estasi e da questa ad un’ansia imperdonabile, per poi bearsi di un godimento quasi oppiaceo. Il disco si inserisce nel Bervismo, il bellissimo movimento musicale che sta tirando su Dischi Bervisti, un’etichetta italiana che non fa solo musica, ma propaganda una visione diversa ed in costante evoluzione della musica alternativa in Italia e non solo, e ci regala dischi come questo che sorprendono come non accadeva da tempo.

Tracklist
1 Anger son
2 Child-conflict
3 Deadline show
4 Napalm
5 Primitive aggression
6 Purification song
7 Rope of sorrow
8 Shining light
9 The devil lurk in the holy house
10 The past returns
11 Wh_t’s th_s s_ckn_ss
12 Wrath lord

Line-up
J. Marsala – chitarra, voce, sampler
Bang L.A. Desh – batteria
Capa de Sangre – chitarra

THE RAMBO – Facebook

Tritonica – Disforia

Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso.

I Tritonica sono un gruppo romano fondato nel 2016 e fautore di un noise post sludge math che è davvero una delizia ed una preghiera al dio dei tritoni, la più empia e blasfema figura musicale della storia.

Il gruppo è composto da tre studenti universitari, o da tre laureati, tre disoccupati, tre precari, la ripetizione del numero magico, accomunati dall’amore per la musica prog nel senso più esteso del termine, ovvero un qualcosa che vada oltre e non si fermi alle apparenze. La loro musica è felicemente inclassificabile e non per tutti anzi, chi si vuole avvicinare lo fa a suo rischio e pericolo. Disforia è un disco che esprime molto meglio il disagio e le fratture che viviamo. Un disco di musica totale che si dimena di fronte a noi, senza avere alcuna voglia di piacere, anzi si accetta meglio il dispiacere che il suo contrario. L’atmosfera qui perde le coordinate spazio temporali, e ci si immerge in un turbolento mare oppiaceo, con la tragedia che incombe ma che è al contempo una liberazione, il tutto con i modi di un Les Claypool più vario e meno cervellotico. I registri musicali del lavoro sono molteplici e non si viaggia in un’unica direzione, se non quella di essere distorti, e si canta o si suona e basta, ma sempre con un’identità ben precisa e soprattutto ben strutturata, che fa di Disforia un continuum con un senso solo se ascoltato tutto assieme o lasciandosi portare da lui. Sì, siamo costantemente sull’orlo del precipizio, e solo una certa maniera di intendere la musica come hanno questi tre ragazzi può ancora liberare animo ed energia per portare avanti un discorso musicale fruttuoso. I continui campi di tempo e di registro rendono questo disco un’esperienza che rientra in quella bellissima nouvelle vague noise ed altro che in Italia abbiamo sempre avuto e che offre tanti e succosi frutti underground. Disforia è corposo, vero e contundente là dove si vorrebbe che tutto andasse bene: ascoltatelo mentre vi cola l’ansia dentro il corpo.

Tracklist
1 al-Ghazali
2 Manjala
3 Zags in Bb
4 Alchimia del fato
5 Cronotopica
6 Coagula
7 Jimi
8 Semiramis
9Semiramide
10 Solve
11 Mimonesis

Line-up
Andrea El Khaloufi – Chitarra e Voce
Alfredo Rossi – Basso e Voce
Nicola Di Lisa – Batteria e Voce

TRITONICA – Facebook

Gnaw Their Tongues & Crowhurst – Burning Ad Infinitum: A Collaboration

Molto raramente una collaborazione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore.

Quando due estremismi musicali e due produttori di rumore si incontrano non può che venirne fuori una piccola apocalisse, e questo è proprio il caso della collaborazione fra l’olandese Gnaw Their Tongues e Jay Gambit aka Crowhurst.

Gnaw Their Tongues è la creatura di noise tribale estremo di Maurice De Jong, che si è creato con le su opere uno zoccolo duro di amanti dei suoi suoni alieni, mentre Jay Gambit è un altro esploratore sonico in solitaria, ma ha anche collaborato proficuamente con Caïna ed Ævangelist
Il risultato è un ep devastante e bellissimo, una fotografia insanguinata ed in movimento di ciò che può essere un uso del metal e dl rumore fatto da due produttori molto talentuosi. I quattro pezzi dell’ep sono tutti diversi e portano avanti un discorso separato, quasi come se fossero opere a sé stanti ed autosufficienti, con il titolo che rende benissimo la struttura portante del lavoro. Burning Ad Infinitum, bruciare all’infinito, è un qualcosa che è molto ben rappresentato da questa musica, un continuo rovesciamento, un incrociare droni con un black death che vive di grind, un sottofondo violento che poi esplode in passaggi vicini all’hardcore e ai Sepultura più tribali. Un misto di estremismo e di grandi scelti musicali non convenzionali, qui come in ognuno di noi non vi è nulla di normale, come tastiere angeliche che fanno da accompagnamento ad un pezzo grind noise. Ascoltando questa collaborazione (che non è uno split, attenzione) si viene completamente immersi in una forma musicale che è una deprivazione sensoriale, poiché qui il vero protagonista è il rumore che distorce la realtà e ce la fa vedere per quello che è: il nulla. Molto raramente l’unione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore. A differenza di tante avanguardie che sono inascoltabili od illeggibili, a volte per scelta volontaria, qui tutto è perfettamente leggibile ed ascoltabile, e ciò spaventa ancora di più perché questo è rumore vero. Il dodici pollici è pubblicato dalla Crown And Thorne Ltd, che è una delle etichette più libere e creative in circolazione, nonché la casa più adatta per questi suoni.

Tracklist
1.Nothing’s Sacred
2.Speared Martyrs
3.The Blinding Fury of Suffering
4.The Divinity Of Our Great Perversions

Barren Womb – Old Money / New Lows

I Barren Womb ci sanno decisamente fare, con una musica corrosiva, altamente fantasiosa e con un’urgenza hardcore, come un’onda che ti travolge e che ti lascia diverso.

Coppie musicali, specialmente nel panorama alternativo se ne sono viste molte, arrivando ad essere quasi una moda, con esiti a volte buoni a volte meno.

Il duo in questione si chiama Barren Womb, è per metà finlandese e per metà norvegese e fa un tipo di musica che mescola noise, folk americano, blues distorto ed acido e tante altre cose. L’immaginario è fortemente americano, nel senso che si parte dalla lezione dei The White Stripes e simili per quanto riguarda la musica, mentre per quanto riguarda il visivo il tutto è davvero made in USA, anche se fra una certa Scandinavia e l’ovest a stelle e strisce non c’è molta differenza. Dentro al loro suono si può trovare anche la lezione rimasticata e sputata fuori di alcuni hardcore di un po’ di anni fa, soprattutto per l’andamento delle canzoni mai lineare, con tanti bellissimi spigoli che ti esplodono in faccia. I Barren Womb ci sanno decisamente fare, con una musica corrosiva, altamente fantasiosa e con un’urgenza hardcore, come un’onda che ti travolge e che ti lascia diverso. La ricerca musicale del duo è molto accurata, facendo compiere un viaggio fatto da musica mai ovvia con un suono sempre in movimento, come un magma ribollente ed interessante, in cui non si può fare a meno di guardare dentro. Come detto sopra molti sono i gruppi simili ai Barren Womb, ma la varietà del duo finnico/norvegese è peculiare. Chitarre distorte, canto fatto con le budella, quelle vere, e tanta abrasività per andare avanti in un Far West quotidiano che ormai ha superato la distopia.

Tracklist
1.Crook Look
2.Mystery Meat
3.Theory of Anything
4.Slumlord Millionaire
5.Cave Dweller
6.Drive-Thru Liquor Store
7.Mad 187 Skills
8.Russian Handkerchie

Line-up
Timo Silvola – Vocals, Drums
Tony Gonzalez – Vocals, Guitars

BARREN WOMB – Facebook

Soul Attrition – Vashon Rain

L’impianto è minimale ma potentissimo, il cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo.

Epifanie, satori, chiamatele un po’ come volete, ma l’ascolto di Soul Attrition può risvegliare in molti di noi antichi ricordi, vecchi sapori legati allo slowcore e in generale a quella magnifica stagione indie che ti faceva stupire ad ogni disco.

Soul Attrition è il progetto solista di Josh Palette, bassista della band sludge di Chicago Escape Is Not Freedom. Josh ha passato l’inverno fra il 2017 ed il 2018 a dipingere la sua tela sonora, che stiamo ascoltando, ed è una tela notevolissima. L’impianto è minimale ma potentissimo, il suo cantato si avvicina a quello cantilenante del vecchio indie, la musica è assai curata ed è un concentrato di grunge, slowcore, esplosioni noise e tantissima melodia che scorre benissimo. Il risultato è un disco che vorrebbe sussurrare, ma che per la validità di mezzi ed argomenti ti grida nelle orecchie ed arriva a grondarti dentro. Vashon Rain si inserisce perfettamente in quella tradizione americana che mischia rumore e melodia, fatta in una maniera che solo oltreoceano fanno alla perfezione. L’ovvietà e mestiere qui non stanno di casa, la meraviglia riempie i solchi del disco e porta l’ascoltatore nella personale visione di Josh, che è comune a molti di noi. Il passo di Palette è quello di chi sa cosa vuole dire e lo vuole fare con urgenza, producendo un disco davvero notevole e dalla forte capacità di attrazione. I sette pezzi che compongono Vashon Rain sono canzoni che richiedono e che meritano un ascolto approfondito che vi darà delle grandi gioie, e sinceramente si era persa la speranza di ascoltare dischi così. Un debutto di lacrime, sudore e sangue dal sapore buonissimo.

Tracklist
1.Sinking
2.Thirteen
3.Remission
4.Fatal Flaw
5.Vashon Rain
6.Unexpected Affront
7.Euclid

Line-up
Josh Parlette – Guitars, Bass, Percussion Programming, and Vocals

SOUL ATTRITION – Facebook

The Body – I Have Fought Against It, But I Can’t Any Longer

Lasciatevi intrigare dalla persuasiva copertina e immergetevi in un calderone ribollente di industrial,noise,doom da parte di una band che non ha eguali.

Il potere persuasivo di una semplice, ma particolare copertina, può incidere molto spesso nella scelta e nell’acquisto di un’opera; è bastato uno sguardo alla cover del sesto full length degli statunitensi The Body per convincermi che si nascondeva qualcosa di intrigante e di inafferrabile nella loro musica.

Attivo dal 2004 il duo, formato da Lee Buford e Chip King, ha sempre definito la propria musica noise e ha intrecciato il proprio percorso artistico con diversi act mutanti del panorama weird e heavy statunitense, con i powernoise grinder Full of Hell o con i blackster Krieg, senza dimenticare quella con i mostruosi Thou; tutto nella costante ricerca di musica stimolante, senza schemi e libera da vincoli commerciali. Anche questa opera, sulla scia del precedente No One Deserves Happiness del 2016 , dove il duo aveva tentato un riuscito approccio più meditato alla materia investendola di una personalissima forma pop, necessita di pazienza per essere ben assimilata, trattandosi di suoni sfuggenti dove momenti di grazia sono disintegrati da muri di noise, vocals dolcissime e suggestive sono inseguite da scream e urla sinistre e agghiaccianti. L’opener The Last Form of Loving presenta misteriose note di violino su uno sfondo noise sfumato che, lentamente, si trasforma in un cuore pulsante, mentre una delicata voce femminile declama intrecciandosi direttamente con il secondo brano, dove il ritmo lentamente cresce creando un atmosfera dal forte sapore cinematografico. I brani sono vari, intrecciando al loro interno sonorità doom, industrial, dub e trip hop e fornendo molteplici chiavi di lettura: il drum beat incessante e marziale di Partly Alive, le mutazioni noise su abissali ritmiche dub e le urla terrorrizzate in The West Has Failed dipingono, ricordando i Dalek, quadri di desolante oscurità. La band non ha assolutamente paura di osare, del resto è stato sempre il suo trademark e raggiunge vertici assoluti in Nothing Stirs, dove l’atmosfera si incupisce ulteriormente creando paesaggi fortemente disperati e claustrofobici. E’ un modo diverso di creare musica estrema ma fortemente appagante, perché sviluppata da menti creative; la mancanza di schemi e la capacità di miscelare ingredienti molto diversi è la chiave vincente ed è necessario realmente un approccio “open minded”per apprezzare queste sonorità.

Tracklist
1. The Last Form of Loving
2. Can Carry No Weight
3. Partly Alive
4. The West Has Failed
5. Nothing Stirs
6. Off Script
7. An Urn
8. Blessed, Alone
9. Sickly Heart of Sand
10. Ten Times a Day, Every Day, a Stranger

Line-up
Lee Buford – Drums
Chip King – Guitars, Vocals

THE BODY – Facebook

Demetra Sine Die – Past Glacial Rebound

Una vera lezione di stupendo post-black sperimentale, con intrusioni dark, noise, drone e doom. Un nuovo ed ulteriore volto dei Demetra Sine Die, fedeli a sé stessi eppure sempre capaci di rinnovarsi.

E’ a dir poco strepitoso il nuovo capitolo dei Demetra Sine Die, eccellente gruppo italiano, giunto al terzo full-length, pubblicato dalla inglese Third I Rex.

Il lavoro si dipana attraverso sette tracce, tutte all’insegna di una grande varietà sonora. Post Glacial Rebound è – come anticipa il titolo – freddo e cerebrale, ma anche emozionale ed evocativo, intenso ed attento alle suggestioni che la musica – un grandioso mix di post-black, drone doom, noise e dark prog sperimentale – sa evocare ad ogni solco in maniera sublime. Quasi alla stregua di un film, le composizioni di questo nuovo CD dei Demetra Sine Die – nei suoi quarantasette minuti di durata complessiva – si presentano come una sorta di viaggio nello spazio, un’esplorazione cinematica che può ricordare, con il suo post-metal mutante, Tool, Virus e in particolare Oranssi Pazuzu. Si ascoltino al riguardo, tra loro collegate, l’opener Stanislaw Lem – il suo Solaris è stata una fonte d’ispirazione letteraria fondamentale – e la quarta traccia, Gravity: nelle due composizioni i sintetizzatori (tutti analogici, a cominciare dal Korg MS20) rendono atmosferico e fantascientifico il sound. Un taglio futuristico che non è tuttavia privo di calore, come sottolinea la sezione ritmica (il batterista Marcello Fattore, abilissimo nelle sue tessiture percussive, e il bassista Adriano Magliocco, dal tocco, a tratti, quasi grunge). I riverberi e gli squarci materici della chitarra di Marco Paddeu fanno il resto, compattando e variegando il magma sonoro esplorato dai Demetra Sine Die, declinandolo in termini ora tesi e drammatici (Lament), ora più melodici (Liars). Anche le linee vocali sono assai varie: abbiamo parti recitate (quelle iniziali di Eternal Transmigration hanno un che di pinkfloydiano), clean vocals ed uno screaming di stampo più classicamente black (in veste di ospite partecipa Luca Gregori dei torinesi Darkend), il che dona un tocco weird al tutto. La title-track conclusiva riassume tutte le caratteristiche della band ligure e di questo suo nuovo magistrale lavoro, densa e concettuale, spirituale e cangiante, pulitissima nelle soluzioni timbriche adottate di volta in volta e potente nell’impatto. La grafica di Anna Levytska, che ha collaborato tra gli altri con i Blut Aus Nord, incornicia il tutto. Capolavoro, tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1 Stanislaw Lem
2 Birds Are Falling
3 Lament
4 Gravity
5 Eternal Transmigration
6 Liars
7 Post Glacial Rebound

Line up
Adriano Magliocco – Bass, Synthesizers
Marco Paddeu – Vocals, Guitar, Korg MS20
Marcello Fattore – Drums

DEMETRA SINE DIE – Facebook