Witherfall – Vintage ep

Tornano a distanza di pochi mesi dal mai troppo lodato A Prelude To Sorrow, quella che in soli due album è diventata la band cardine di un cero modo di fare progressive metal, erede di Nevermore e Symphony X, ma dal talento talmente enorme da diventare un punto di riferimento nello spazio di un paio d’anni, gli Witherfall.

Tornano a distanza di pochi mesi dal mai troppo lodato A Prelude To Sorrow gli Witherfall, quella che in soli due album è diventata la band cardine di un certo modo di fare progressive metal, erede di Nevermore e Symphony X, ma dal talento talmente grande da diventare un punto di riferimento nello spazio di un paio d’anni.

La tragica storia del gruppo ormai è conosciuta ed abbiamo avuto modo di scriverne sui precedenti articoli che riguardavano Nocturnes And Requiems, debutto licenziato nel 2017, ed appunto il masterpiece A Prelude To Sorrow; nel frattempo il singer Joseph Michael è entrato a far parte della line up dei Sanctuary, chiudendo il cerchio che lo vedeva come unico erede del grande Warrel Dane.
Accompagnato dallo splendido artwork, sulla scia di quelli precedenti ma di diverso colore (questa volta il tono dominate è il verde), Vintage è un ep di otto brani per quaranta minuti di grande musica acustica, dove a farla da padrini sono le prestazioni dei due leader, Michael al microfono e Jake Dreyer alla chitarra, lasciando alla versione originale della title track il compito di ricordarci lo spettacolare, drammatico e tragico crescendo emozionale che la band ha saputo creare sul precedente capolavoro.
Il nuovo tastierista Alex Nasla è l’unica novità che Vintage si porta dietro, il resto è l’ennesima prova della grandezza di questa band, spettacolare nelle parti metal progressive, da brividi nell’atmosfera acustica ed ancora più intimista di Vintage Medley e di Ode To Despair diventata ormai un classico.
Le cover presenti più il singolo The Long Walk Home (December), fanno di questo lavoro l’ennesima prova del valore assoluto di una straordinaria band, fabbrica di emozioni che travolgono, turbano e ci avvolgono nelle loro spire per non lasciarci più.

Tracklist
Vintage Medley (Tracks 1-3)
1. Vintage I
2. Nobody Sleeps Here…
3. Vintage II
4. A Tale That Wasn’t Right (Helloween cover)
5. Ode To Despair (Acoustic)
6. The Long Walk Home (December)
7. I Won’t Back Down (Tom Petty cover)
8. Vintage (album version)

Line-up
Joseph Michael – Vocals/Guitar/Keyboards
Jake Dreyer – Guitars
Anthony Crawford – Bass
Alex Nasla – Keyboards
Steve Bolognese- Drums

WITHERFALL – Facebook

S91 – Along The Sacred Path

Along The Sacred Path è un lavoro di grande spessore musicale, un esempio di musica metallica progressiva che, alla tecnica dei musicisti ed alla splendida voce della protagonista femminile, aggiunge un songwriting sopra la media ed una facilità d’ascolto sorprendente per un contesto così maturo e complesso, sia musicalmente che concettualmente.

Non solo demoni, diavoli ed entità oscure, ma anche le epiche vicende della storia cristiana possono diventare ispirazione per creare musica rock/metal di altissima qualità.

Gli S91 sono un gruppo toscano arrivato, con questo bellissimo lavoro dal titolo Along The Sacred Path, al terzo full lenght di una carriera iniziata dieci anni fa e che l’ha visto esordire con l’album Volontà Legata nel 2011, seguito da Behold The Mankind, licenziato tre anni fa.
Il concept è incentrato su diversi personaggi che hanno contribuito alla storia del cristianesimo e alla diffusione del messaggio evangelico, diventato il tessuto della moderna società occidentale.
Accompagnato da una splendida ed oscura copertina, Along The Sacred Path è un lavoro di grande spessore musicale, un esempio di musica metallica progressiva che, alla tecnica dei musicisti ed alla splendida voce della protagonista femminile, aggiunge un songwriting sopra la media ed una facilità d’ascolto sorprendente per un contesto così maturo e complesso, sia musicalmente che concettualmente.
L’album attira l’attenzione dalle prime note dell’opener Constantine The Great, mettendo subito in risalto la componente metallica, a tratti supportata da atmosfere moderne, altre volte più in linea con il prog metal di Shadow Gallery, Dream Theater e Vanden Plas e facendo da contraltare alla voce della cantante in un saliscendi di sfumature evocative ed epiche esaltate una eleganza compositiva ed interpretativa notevole.
Non esistono passaggi a vuoto, i brani si susseguono uno più intenso dell’altro, parlando di grandi personaggi della storia in un clima di grande musica progressiva, dura come l’acciaio, spiazzante per tecnica esecutiva, perfetta nel saper alternare la durezza del metal (Olaf II Haraldsson) ad atmosfere più pacate ma ugualmente epiche drammatiche (Joan Of Arc, Martin Luther).
Along The Sacred Path si rivela così un lavoro da non perdere per gli amanti del metal progressivo: le band di riferimento sono quelle citate, ma si tratta di esili paragoni che nulla tolgono in fatto di personalità e sagacia compositiva al lavoro degli S91.

Tracklist
1.Constantine the Great
2.Saint Patrick
3.Pope Gregory I
4.Olaf II Haraldsson
5.Godfrey of Bouillon
6.Joan of Arc
7.Martin Luther
8.John Williams
9.Dietrich Bonhoeffer

Line-up
Maria “Marì” Londino – Lead vocals
Francesco “Frank” Londino – Keyboards
Francesco “Franz” Romeggini – Guitars, lead and backing vocals
Giacomo “Jack” Manfredi – Bass
Giacomo “Giachi” Mezzetti – Drums and percussions

S91 – Facebook

Alexandra Zerner – Opus 1880

Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Alexandra Zerner è una chitarrista e polistrumentista di origine bulgara, e questo mastodontica opera progressiva dal titolo Opus 1880 è il suo terzo album di una carriera solista iniziata nel quattro anni fa con il debutto 9 Stories e proseguita con il successivo Aspects.

Conosciuta e rispettata nell’ambiente shred, la Zerner ha collaborato ad una miriade di progetti prima di dedicarsi alla sua musica che arriva con questo lavoro alla consacrazione.
Due ore di musica divisa in due cd seguendo la storia di una donna in cerca dell’amore, un lungo viaggio in una linea temporale parallela iniziato appunto nel 1880.
Sci-Fi e prog metal non sono una novità essendo un connubio già sviluppato ampiamente da Arjen Anthony Lucassen con il suo progetto Ayreon, al quale la musicista di Sofia si ispira non poco, anche se le tante sinfonie orchestrali negli album del folletto olandese sono sostituite dai momenti in cui la chitarra prende il sopravvento e ci investe con parti strumentali dalla tecnica sopraffina.
Considerare Opus 1880 il classico album del talentuoso musicista di turno risulta però una colossale cantonata: i brani, nelle due lunghe ore di musica, si fregiano di splendide aperture progressive, atmosfere pregne di melodie e di raffinato metallo, per cui l’ascolto è consigliato soprattutto agli amanti dei suoni progressivi.
L’enorme mole di musica prodotta dalla Zerner merita sicuramente di non passare inosservata, essendo per di più valorizzata da una manciata di ospiti che aiutano la chitarrista in questa nuova e splendida avventura.
Sul primo cd una menzione particolare la meritano le bellissime Quest Of Light e Pinch Of Time, mentre passando al secondo supporto è The Other Side Of The Sky Part 2 a deliziarci con melodie progressive di stampo settantiano.
Opus 1880 si rivela un lavoro monumentale, consigliato agli amanti delle opere di Lucassen e agli ascoltatori del metal/rock progressivo.

Tracklist
Disc 1
1.Overture
2.Chaos of Cards
3.The Oracle
4.Mirrors
5.Quest of Light
6.The Sound of Dreaming
7.Questions
8.Letter to Nowhere
9.Diamind
10.Pinch of Time
11.The Missed Dance

Disc 2
1.Desaturation Point
2.Master of Lightning
3.The Other Side of the Sky, Pt. 1
4.Unfairlytale
5.Cumulonimbi
6.Dolphins
7.Electric Kisses
8.Sensosphere
9.Five Gardens
10.The Other Side of the Sky, Pt. 2
11.Youtopia

Line-up
Alexandra Zerner – Guitars, Bass, Keyboards, Mandolin, Drum programming

ALEXANDRA ZERNER – Facebook

Kings Destroy – Fantasma Nera

La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima.

Dal 2010 i Kings Destroy fanno musica pesante di gran classe, coniugando sonorità vicino allo stoner, all’hard rock e al noise con melodia e grande tecnica.

Fantasma Nera è un disco pieno di canzoni entusiasmanti, che cominciano con un motivo per poi andare davvero lontano, portando l’ascoltatore a spasso per mondi fatti di melodia e grazia musicale. Questi nativi di Brooklyn sono andati a Toronto per collaborare con David Bottrill, già al lavoro con Tool, King Crimson, Stone Sour, ed infatti qui troviamo molto del suono progressivo delle prime due band di cui sopra. Rispetto a Maynard e soci e alla creatura di Fripp, i Kings Destroy hanno una grande facilità nel rendere maggiormente immediata la loro musica, con passaggi molto melodici e fantastici ritornelli. Questo loro quarto album differisce dagli altri, come ogni altro album che hanno fatto gli americani, sempre differente da quello precedente, in una continua ricerca sonora. La musica dei Kings Destroy è fatta per durare, si può ascoltare molte volte, ed ogni volta è come fosse la prima. Dentro alle loro canzoni c’è qualcosa che riesce a dare una notevole pace, come se ci si ricongiungesse con un’altra parte di noi stessi che avevamo perduto. Ogni canzone è una nuova scoperta, si viene avvolti da una grande quantità di luce, anche se la tenebra non è sconosciuta. Nella bella ed esoterica copertina c’è quello che potrebbe sembrare un lago od un mare, comunque tanta acqua, e proprio la sensazione di stare nell’elemento acqueo è una della grandi emozioni che ci regala questo gruppo. Possiamo anche trovare un po’ di grunge in chiave hard rock, ma i Kings Destroy non appartengono ad un genere ben preciso. Ci sono moltissime cose qui dentro e sono tutte da scoprire in un lavoro che è molto superiore e non lo nasconde.

Tracklist
1.The Nightbird
2.Fantasma Nera
3.Barbarossa
4.Unmake It
5.Dead Before
6.Yonkers Ceiling Collapse
7.Seven Billion Drones
8.You’re The Puppet
9.Bleed Down The Sun
10.Stormy Times

KINGS DESTROY – Facebook

Onydia – Reflections

Reflections offre fughe strumentali, atmosfere eleganti, una forma canzone ben presente ed in generale una forte personalità, pur rimanendo all’interno del progressive metal tradizionale.

Il metallo progressivo ha avuto in questi ultimi anni non pochi scossoni portati da gruppi che lo hanno elaborato e fuso con musica sempre più estrema, sia a livello tecnico che compositivo, molte volte riuscendo a sorprendere, altre perdendo non poco a livello emozionale per mettere in evidenza qualità tecniche elevatissime ma fini a se stesse, se non supportate dalla forma canzone e da un buon talento per le melodie.

Queste ultime caratteristiche le troviamo in Reflections, album di debutto degli Onydia, band proveniente dalla capitale formata dalla cantante Eleonora Buono, dal chitarrista Daniele Amador e dal batterista Luca Zamberti.
Attenzione, però, perché il trio romano di tecnica ne ha da vendere supportando il songwriting con passaggi strumentali che richiamano i maestri Dream Theater, con la voce della singer a donare raffinata eleganza a otto tracce tra metal, progressive e sfumature melodiche straordinarie.
E’ un album imperdibile e un’autentica sorpresa questo Reflections, registrato, mixato e masterizzato ai Kick Recording Studio da Marco Mastrobuono e licenziato dalla sempre ottima Revalve Records, label che si muove con molta professionalità nell’underground rock/metal tricolore, non sbagliando un colpo.
Reflections fin dall’opener The Unknown offre fughe strumentali, atmosfere eleganti, una forma canzone ben presente ed in generale una forte personalità, pur rimanendo all’interno del progressive metal tradizionale, passando per la spettacolare Breath, la raffinata My Paradise e le conclusive A New Safe Path e Dyaphany; un debutto ottimo per gli amanti del metallo progressivo grazie ad una band da tenere d’occhio in un genere in cui probabilmente si è detto tutto e la differenza la fa il talento.

Tracklist
1.The Unknown
2. Breath
3. Silence
4. The Memory of My Time
5. My Paradise
6. The Colour of Nothingness
7. A New Safe Path
8. Dyaphany

Line-up
Luca Zamberti- Drums
Daniele Amador – Guitar
Eleonora Buono – Vocals

ONYDIA – Facebook

Dream Theater – Distance Over Time

Probabilmente ci si dovrebbe avvicinare a Distance Over Time senza farsi condizionare dal nome della band, lasciando che sia la musica a parlare per i protagonisti: in tal caso le soprese non mancheranno di certo svelando finalmente un nuovo grande album marchiato Dream Theater.

Il quattordicesimo album in studio dei Dream Theater, primo per InsideOut, segna un ritorno al passato e a quelle sonorità metalliche che segnarono le opere del gruppo di John Petrucci almeno fino al bellissimo e sottovalutato Train Of Thoughts.

Questa è la considerazione più logica per valutare un lavoro bello, intenso e finalmente “metal” come Distance Over Time, lontano anni luce dagli ultimi lavori e soprattutto dal prolisso e scialbo The Astonishing.
I cinque sovrani del metal progressivo, che oggi oltre a LaBrie, Petrucci e Myung, vedono ben saldi al loro posto l’ormai veterano Jordan Rudess e Mike Mangini (che a discapito dei suoi detrattori in questo lavoro si dimostra batterista all’altezza della situazione), si sono rinchiusi negli studi Yonderbarn di Monticello per creare questa monumentale opera che, appunto, torna a quel genere che se proprio non hanno inventato (i Rush sono i veri padri del prog metal) hanno portato al successo con i capolavori licenziati nei primi anni novanta.
La verità inconfutabile è che i Dream Theater si sono scrollati di dosso molte scorie progressive superflue, hanno imbracciato gli strumenti decisi a suonare ancora heavy metal inarrivabile sotto l’aspetto tecnico e questa volta supportato da una manciata di belle e robuste tracce.
Petrucci, che appare in stato di grazia come ai bei tempi, Rudess, a tratti ispirato dallo spirito di Jon Lord, e una sezione ritmica garanzia di evoluzioni mai fine a se stesse, accompagnano un LaBrie che non sarà al massimo delle sue prestazioni risultando però convincente dal punto vista emozionale (magari aiutato da qualche filtro di troppo, ma siamo davvero ai dettagli).
Distance Over Time è un album heavy metal, elegante come solo le band con uno spirito progressivo sanno creare e, soprattutto, godibile anche per chi non è un fan accanito del gruppo.
A tratti diretto e potente, l’album regala spettacolari brani come l’opener Untethered Angel, il capolavoro Fall Into The Light, il crescendo melodico di S2N e la progressione metallica del secondo passaggio chiave del lavoro intitolato Pale Blue Dot.
Probabilmente ci si dovrebbe avvicinare a Distance Over Time senza farsi condizionare dal nome della band, lasciando che sia la musica a parlare per i protagonisti: in tal caso le sorprese non mancheranno di certo svelando finalmente un nuovo grande album marchiato Dream Theater.

Tracklist
01. Untethered Angel
02. Paralyzed
03. Fall into the Light
04. Barstool Warrior
05. Room 137
06. S2N
07. At Wit’s End
08. Out of Reach
09. Pale Blue Dot
10. Viper King

Line-up
John Petrucci – Guitars
John Myung – Bass
James LaBrie – Vocals
Jordan Rudess – Keyboards
Mike Mangini – Drums

DREAM THEATER – Facebook

Aenimus – Dreamcatcher

Il lavoro denota fin da subito il defilarsi da parte del gruppo dai soliti cliché del genere, in favore di un approccio estremamente violento, progressivo e solo in parte mitigato da splendide aperture melodiche.

Il progressive metal moderno dai rimandi core e djent è un genere davvero difficile, sia da suonare che da valutare.

Un tipo di musica che porta l’ascoltatore a dividersi tra grandi delusioni, spesso derivanti dal troppo tecnicismo fine a sé stesso, a lavori di spessore in cui la tecnica abbinata ad un songwriting elevato trasforma il tutto in ottimi e trascinanti prodotti metallici.
Gli Aenimus, in uscita con questo lavoro licenziato non a caso dalla Nuclear Blast, raggiungono il traguardo del secondo full length, a distanza di sei anni dal debutto Transcend Reality, album che denotava ancora una poco delineata personalità esplosa del tutto in questo Dreamcatcher, opera composta da undici tracce ispirate ai classici dell’horror e dal sound sorprendente per chi segue le vicende artistiche del metal moderno e progressivo.
Il lavoro denota fin da subito il defilarsi da parte del gruppo dai soliti cliché del genere, in favore di un approccio estremamente violento, progressivo e solo in parte mitigato da splendide aperture melodiche.
Il resto è un susseguirsi di rincorse su e giù per lo spartito, favorite da una tecnica di livello altisonante al servizio di un sound che non lascia spazio a facili e noiose considerazioni sulla mera abilità dei protagonisti, ma che sa come arrivare al cuore ed alla testa dell’ascoltatore con brani entusiasmanti come Eternal, The Ritual, la spettacolare dimostrazione di progressive death/djent Between Iron And Silver e alla devastante The Overloock.
Da menzionare, oltre alla tecnica assolutamente sopra la media dei musicisti, la prova del vocalist Alex Green, un terribile e temibile animale al microfono ed uno dei punti di forza di questo combo che, con i Thy Art Is Murder, sono senza ombra di dubbio tra i massimi esponenti del genere.

Tracklist
1. Before the Eons
2. Eternal
3. The Ritual
4. My Becoming
5. The Dark Triad
6. Between Iron and Silver
7. The Overlook
8. Caretaker
9. Second Sight
10. Day Zero
11. Dreamcatcher

Line-up
Alex Green – Vocals
Sean Swafford – Guitar, backing vocals
Seth Stone – Bass, backing vocals
Cody Pulliam – Drums
Jordan Rush – Guitar

AENIMUS – Facebook

Manente / Alonzo / Du Bose – M.A.D.

Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Matheus Manente è un compositore, musicista e produttore brasiliano che, insieme a Jon Du Bose (Fervent Send, Domestic Violence) e Jesus Alonzo (Salem Rust, Espejismo), ha dato vita a questo power trio al debutto con M.A.D., licenziato in regime di autoproduzione.

L’album è composto da nove brani scritti da Du Bose, di matrice statunitense e ispirate tanto dall’U.S. metal, quanto dal metal progressivo.
La sua durata che non supera i quaranta minuti è perfetta, i brani risultano così diretti e prepotenti, classicamente oscuri come da tradizione americana ed ispirati da tematiche horror, anche se non mancano critiche verso la società odierna.
Diviso tra Brasile e States, M.A.D. evidenzia un buon songwriting così come una vena progressiva che si potenzia di sonorità power e progressive: suonato e prodotto professionalmente, l’album vive di picchi atmosferici e strumentali che lo rendono un ascolto consigliato ai fans dei primi Queensryche, Fates Warning e Metal Church.
Evocativo, metallico, oscuro e a tratti raffinato, l’album non ha cali di tensione e regala almeno un trio di tracce davvero ispirate come Shades Of I, To Travel Beyond e Surveillance State.
Un buon debutto, che troverà estimatori negli amanti degli storici gruppi citati ed ovviamente nei sostenitori del metal classico a stelle e strisce.

Tracklist
1.Twelve Gates
2.Reinventing Life
3.Shades Of I
4.Portals
5.Thief Profane
6.To Travel Beyond
7.Yemanja
8.Surveillance State
9.Die As You Will

Line-up
Matheus Manente – Drums, lead guitars, percussion, sound effects, keyboards, Portuguese vocals on “Thief Profane”
Jesus Alonzo – Lead vocals, lyrics, acoustic guitars, lead guitars, rhythm guitar on “Portals” and “Yemanja”
Jon Du Bose – Rhythm guitar, bass guitar and first lead guitar on “Die As You Will”

Mortanius – Till Death Do Us Part

I Mortanius danno vita ad un buon esempio di power/progressive metal.

Accompagnato da una copertina che ricorda più un vecchio album heavy/thrash trovato in qualche baule chiuso dagli anni ottanta piuttosto che il genere che si andrà effettivamente ad ascoltare, arriva il primo full length del duo statunitense Mortanius, composto dal chitarrista e cantante Lucas Fiocco (ex-Outlander) e dal bassista Jesse Shaw (ex-Beyond Black Skies).

I due musicisti della Pennsylvania, aiutati dai sessions Ollie Bernstein e AJ Larsen, danno vita ad un buon esempio di power/progressive metal che si sviluppa in appena quattro lunghi brani, più la cover di Last Christmas degli Wham.
Dream Theater, Rush, qualche accenno ai Symphony X e via verso un paradiso di scale neoclassiche, lunghe cavalcate dalle ritmiche power, ed atmosfere metalliche raffinate, con in primo piano un gran lavoro strumentale e la voce di Fiocco che si fa preferire nei toni leggermente più maschi.
Diciamo che avrei preferito un singer alla Russell Allen, ma sono dettagli, perché Till Death Do Us Part non mancherà di sorprendere gli amanti dei gruppi citati e del genere suonato, grazie ad una buona padronanza strumentale ed un songwriting che non stanca, anche nei diciassette minuti della title track, cuore pulsante di sangue progressivo dell’intero lavoro, un gioiellino che vale da solo l’acquisto di quest’opera.
Avvicinatevi a Till Death Do Us Part ma solo se siete fans del metal neoclassico e progressivo, un genere non facile da proporre in modo convincente come fanno i Mortanius.

Tracklist
1.Facing the Truth
2.Disengage
3.Jaded
4.Till Death Do Us Part
5.Last Christmas (Wham! cover)

Line-up
Lucas Flocco – Vocals
Jesse Shaw – Bass

Ollie Bernstein – Lead Guitars
AJ Larsen – Rhythm Guitars

MORTANIUS – Facebook

Kadinja – Super 90′

Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

La musica progressiva negli ultimi anni si è evoluta ed ha scovato altri sbocchi per emozionare l’ascoltatore come nel passato, trovando terreno fertile nel metal, soprattutto in quello estremo.

La scena nordica in primis sta andando oltre le più rosee aspettative, con una fucina di artisti sopra la media sia a livello strumentale che nella creazione di musica coinvolgente.
Il discorso è opposto per la scena djent core, colma di gruppi tecnicamente ineccepibili ma purtroppo poveri di contenuti e dalle emozioni difficilmente reperibili in opere ad uso e consumo di addetti ai lavori o di chi si bea della tecnica fine a sé stessa.
Album come Super 90′, dei francesi Kadinja, ne abbiamo sentito tanti, tutti prodotti in maniera impeccabile e impreziositi da una tecnica strumentale superiore, tutti che come rettili si avvolgono su sé stessi fino a mordersi la coda con intricate e pesantissime parti ritmiche solo in parte addolcite da momenti post rock con tanto di clean vocals.
Tra technical core, modern metal, djent e post rock, di progressivo su questo lavoro c’è davvero poco, travolto da una tempesta di note e di ritmiche sincopate in una matassa difficile da sbrogliare.
Chi predilige il genere troverà Super 90′ un album irrinunciabile, ma chi vuole ancora emozionarsi con la musica estrema rivolga il suo sguardo ed il suo udito altrove.

Tracklist
1. Empire
2. From The Inside
3. The Modern Rage
4. Icon
5. The Right Escape
6. Véronique
7. Episteme
8. Strive
9. Muted Rain
10. House Of Cards
11. Avec tout mon Amour

Line-up
Philippe Charny – Vocals
Pierre Danel – Guitars
Quentin Godet – Guitars
Steve Treguier – Bass
Morgan Berthet – Drums

KADINJA – Facebook

Asymmetry of Ego – Forsake Beyond the Dusk

Una giovane band nostrana, la dimostrazione che la modernità può guardare (e con frutto) alla tradizione. Senza essere eccessivamente post, per chi ama ad esempio i Coheed and Cambria.

Negli anni Novanta l’alternative rock fu – o comunque divenne presto – una moda, dichiaratamente nemica della tradizione rappresentata dal progressive e dal metal.

Oggi che molta acqua è passata sotto i ponti, tante cose – giudizi, limitazioni, pregiudizi – sono cambiate e per fortuna in meglio, al punto che si possono esprimere diverse e più serene valutazioni. Gli Asymmetry of Ego – bel nome, complimenti! – provengono dal giro del rock alternativo, anzi di fatto lo suonano. Eppure, il gruppo genovese sa altresì incorporare, all’interno della propria gamma sonora, anche elementi progressivi, che rendono più obliqua la scrittura musicale (fra l’altro, amano molto i Genesis), nonché di matrice metal (apprezzano i Circle ed adorano i Pain of Salvation). Tutto ciò concorre a rendere assai varia e diversificata la proposta complessiva di queste dieci interessantissime tracce. Ovviamente, la band può e deve ulteriormente progredire, tuttavia questo Forsake Beyond the Dusk già si segnala per una bella serie di idee ben tradotte in pratica. Avanti così, dunque.

Tracklist
1 Intro
2 Erase Myself
3 The Sound of Brightness
4 The Monster
5 Deep From the Underground
6 I Don’t Know
7 One Word
8 Fake Lies
9 The Antheap Awakers
10 Outro

ASYMMETRY OF EGO – Facebook

Tetractys – A Mysterious Place On Sight

La cosa notevole del trio sudamericano è l’aver dimostrato che si può tranquillamente suonare musica dall’alto tasso tecnico senza necessariamente sacrificare la forma canzone.

I Tetractys sono un band cilena autrice di un interessante prog metal al cui interno troviamo, peraltro, nelle vesti di cantante e bassista un nome di culto della scena doom e metal di quel paese come Juan Escobar.

Questa formazione a tre vede appunto il bravo Juan disimpegnarsi al meglio a livello vocale dimostrando una versatilità non comune al servizio di un talento chitarristico come quello di Hector Bravo: a chiudere il quadro troviamo la base ritmica completata dal batterista Danilo Estrella.
A Mysterious Place On Sight è il secondo full length per questa band che interpreta il genere in maniera ottimale, dando cioè tutto lo spazio necessario alla tecnica strumentale, con più di uno sconfinamento in territori djent, ma senza mai dimenticare di conferire ad ogni brano una sua precisa fisionomia melodica, e in questo caso il sound si sposta sovente verso pulsioni derivanti dal grunge. Bravo (di nome e di fatto) non si fa pregare nell’esibire la propria notevole tecnica ma lo fa quasi sempre tessendo passaggi di grande impatto melodico per cui, alla fine, l’operato dei Tetractys si rivela fresco ed avvincente anche per chi non ha necessariamente queste sonorità nelle proprie corde e, forse, l’unico difetto riscontrabile è la tendenza a ricorrere a dei bizzarri effetti nella chiusura dei vari brani; la scaletta oscilla tra canzoni più ariose e melodiche come Gravity ed altre più nervose come Iapetus mantenendo sempre il livello sempre piuttosto alto.
La cosa notevole del trio sudamericano è l’aver dimostrato che si può tranquillamente suonare musica dall’alto tasso tecnico senza necessariamente sacrificare la forma canzone, cosa che manca del tutto o quasi a diverse band europee e nordamericane portate in palmo di mano da appassionati e critica, per lo più protagoniste di performance eccezionali a livello strumentali ma del tutto prive di anima. Ecco perché quanto offerto dai cileni è rivolto ad un pubblico più ampio rispetto a quello di chi antepone il tecnicismo a tutto il resto.

Tracklist:
1. Orion Anomaly
2. Gravity
3. Bootes Void
4. Kic
5. Iapetus
6. Life and Consciousness
7. Underlying Geometry

Line-up:
Juan Escobar – Bass, Vocals
Danilo Estrella – Drums
Héctor Bravo – Guitars

TETRACTY – Facebook

Mind’s Doors – The Edge Of The World

The Edge Of The World risulta un lavoro molto ispirato, il quintetto mostra le varie anime e personalità che compongono la propria visione di musica progressiva, in un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture di quel progressive che nel nuovo millennio sta trovando una buona fetta di ammiratori.

Le nuove leve del progressive rock stanno regalando grosse soddisfazioni agli amanti del genere, specialmente a chi ha tagliato il cordone ombelicale che lo teneva legato alla mentalità conservatrice che attanaglia molti fans del genere e ha liberato la voglia di nuova musica, senza dimenticare ovviamente chi di queste sonorità ha fatto la storia.

Dalla Scandinavia, passando per l’Europa ed attraversando oceani e catene montuose per arrivare in tutto il mondo, la musica progressiva ha trovato nuova linfa in quelle band che stanno contribuendo con la loro freschezza e talento a riportare all’attenzione degli ascoltatori il genere, amalgamando con sagacia il progressive tradizionale con la sua anima metallica e quella più moderna.
Esempio di questa riuscita commistione di atmosfere è il bellissimo lavoro intitolato The Edge Of The World, il secondo per i Mind’s Doors, band spagnola proveniente da Alicante e fresca di firma con la Wormholedeath.
L’album é stato registrato e mixato da Wahoomi Corvi and Cristian Coruzzi al Realsound Studios di Parma, mentre il master é stato completato da Mika Jussila agli storici Finnvox di Helsinki, tanto per chiarire che siamo al cospetto di un’opera con tutte le carte in regola per far innamorare i progsters di tutto il mondo.
The Edge Of The World risulta infatti un lavoro molto ispirato: il quintetto mostra le varie anime e personalità che ne compongono la visione di musica progressiva, con un caleidoscopio di note che portano l’ascoltatore in un affascinante viaggio musicale di oltre un’ora tra splendide parti rock, superbe porzioni di metal strumentale e moderne partiture progressive.
Tra gli otto brani medio-lunghi le due suite che aprono e chiudono l’album (A Warm Nest e la title track) rappresentano i momenti più intensi di una tracklist di altissima qualità, fatta di piccoli gioielli compositivi in cui la parte strumentale la fa da padrone e che hanno nei Dream Theater, così come negli Haken, nei Rush e nei Leprous, una parte delle tante anime musicali che compongono questo bellissimo ed imperdibile The Edge Of The World.

Tracklist
1. A Warm Nest
2. Hollow Days
3. Koma
4. Sweet Dreams
5. The Light
6. Endless Nights
7. Victoria
8. The Edge of the World

Line-up
César Alcaraz Argüeso
Eloy Romero Esteve
Alberto Abeledo Sánchez
Marcos Beviá Cantó
Jose Francisco Bernabeu Briones

MIND’S DOORS – Facebook

Riccardo Tonoli – City Of Emeralds

La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.

City Of Emeralds è il primo lavoro strumentale del chitarrista Riccardo Tonoli, da più di dieci anni in forza ai Tragodia, ex di Bladhe, D-Vines ed Hand of Glory e in veste di collaboratore con i norvegesi To Cast a Shadow e Gravøl e i nostrani Take Me Out e Dark Horizon.

Prodotto da Daniele Mandelli e dallo stesso Tonoli, l’album parla di Dorothy, che dopo essere stata travolta da un tornado si ritrova in un mondo fatato, nel quale incontrerà personaggi di ogni tipo, raccontato dalla chitarra del musicista lombardo, aiutato da Luca Paderno al basso ed Arin Albiero alla batteria.
Il lavoro, strumentale, mette in evidenza la tecnica sopraffina di questo chitarrista: City Of Emeralds è forse l’album più shred oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, anche se Tonoli mantiene un approccio al songwriting lineare quanto basta per permettere anche a chi non è avvezzo alle opere del genere di carpire le atmosfere regnanti sui tredici brani che compongono l’opera.
Metal progressivo di alta scuola, ricamato da evoluzioni strumentali e raffinate sfumature shred sono comunque le qualità principali dell’album che attrae e rapisce grazie alle atmosfere fantasy che disegnano luoghi meravigliosi nell’immaginario di chi ascolta.
La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.
Tra i bani segnalo Through The Looking Glass, Mad Hatter, The Garden Of Light Flowers, The Rabbit Hole, anche se City Of Emeralds è opera da ascoltare nella sua interezza, quindi prendetevi un’oretta, mettetevi comodi ed esplorate questo mondo fiabesco in compagnia di Dorothy, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Meeting The Kalidahs
2.Live Together, Die Alone
3.Through The Looking Glass
4.City Of Emeralds
5.Mad Hatter
6.There’s No Place Like Home
7.Walkabout
8. The Garden Of Light Flowers
9.The Pattern
10 A Road With Yellow Bricks
11.The Rabbit Hole
12.The Myth Of The Cave
13.There’s More Than One Of Everything

Line-up
Riccardo Tonoli – chitarre, basso, programming e arrangiamenti
Luca Paderno – basso
Arin Albiero – batteria

RICCARDO TONOLI – Facebook

Zayn – Evolution Made Us

Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare, con la musica che scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo.

Zayn in arabo significa bellezza interiore ed è il monicker di questo interessante progetto nato nel 2011 in Croazia, già protagonista di tre album tra il 2014 e l’anno successivo.

Dopo tre anni il quartetto si ripresenta nell’underground metal/rock con questo lavoro composto da cinque brani strumentali, dal sound alternativo e progressivo, fortemente compresso, dai molti cambi di tempo e a suo modo originale.
Intimista, ma nello stesso tempo pervaso da un’urgenza di comunicare, Evolution Made Us lascia pochi riferimenti ai quali ci si possa aggrappare: la musica scorre tra atmosfere che passano dal metal progressivo moderno ad una sorta di rock alternativo che rende brani quali l’opener Tall As Mountain o Metamorphos un incrocio di generi racchiusi nelle più generali etichette descritte.
Evolution Made Us è un lavoro di corta durata e quindi più facilmente assimilabile anche se il sound è tutto fuorché facilmente catalogabile: a tratti gli Zayn possono ricordare i Tool, ma il consiglio è di ascoltare questa raccolta di brani con la massima attenzione perché la band croata potrebbero rivelarsi per molti un gradita sorpresa.

Tracklist
1.Tall as Mountain
2.Barbarogenius
3.Homoerectus
4.Metamorphos
5.Old as Earth

Line-up
Marko Dragičević – guitar
Bojan Gatalica – guitar, synth
Miran Kapelac – bass, synth

ZAYN – Facebook

Zenit – Black Paper

Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Time To Kill Records pubblica il nuovo album degli Zenit, band nostrana attiva dal 2013 che propone un buon metal estremo di matrice djent e progressive.

Black Paper è composto da otto brani registrati nella capitale ai Kick Recording Studio dal noto produttore Marco Mastrobuono, già al lavoro con Coffin Birth, Hour Of Penance e Fleshgod Apocalypse, per una mezz’ora circa di metal moderno e tecnicamente inattaccabile, dalle trame progressive che non risultano troppo intricate lasciando che ogni brano scorra fluido e potente.
L’uso della doppia voce non sempre convince nella parte pulita, e conseguentemente gli Zenit si fanno preferire nei tanti momenti più estremi delle varie tracce, dall’opener che prende il titolo dal nome del gruppo, passando per la successiva Wraith, la notevole Crow’s Perch e la title track.
Prodotto egregiamente, l’album vive sull’altalena tra le parti estreme ed atmosferiche e liquide sfumature in cui il rock e l’elettronica creano bolle di ossigeno musicale all’interno delle quali ripararsi dalle imminenti esplosioni estreme.
Senza mai portare la mera tecnica a soffocare il songwriting, gli Zenit danno prova di una già buona maturità artistica in un genere troppe volte afflitto da un abuso della tecnica strumentale fine a sé stessa.

Tracklist
01. Zenit
02. Wraith
03. Above and Below
04. Crow’s Perch
05. King Of Lies
06. The Prophecy
07. Black Paper
08. Nadir

Line-up
Federico Fracassi – Vocals
Andrea Pedruzzi – Bass & Growls
Simone Prudenzi – Guitars
Daniele Carlo – Drums

ZENIT – Facebook

Tourniquet – Gazing At Medusa

Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.

Quando si parla di metal cristiano non ci si può certo dimenticare dei Tourniquet, il gruppo che vede i due capitani Ted Kirkpatrick e Aaron Guerra. oggi affiancati da Chris Poland (Megadeth) e Tip “Ripper” Owens alle prese con un metal progressivo e vario, ma tipicamente statunitense.

Progetto iniziato nel lontano 1990, i Tourniquet vanno in doppia cifra riguardo ai full length con Gazing At Medusa, album composto da nove brani molto vari, una raccolta di molte delle sfumature che riguardano il metal classico, dal thrash, al doom (bellissima Memento Mori), passando per l’hard & heavy, il tutto condito da una vena progressiva che nobilita il sound.
Ospite importante di questo lavoro è Deen Castronovo (Steve Vai, Journey), voce sulla conclusiva title track di un lavoro imperdibile per gli amanti del metal statunitense.
Un suono drammatico ed ispirato, dalle trame progressive ma dall’impatto estremamente potente, rende questo ultimo lavoro dei Tourniquet un enorme pezzo di granitico metallo, supportato dal potenziale dei musicisti coinvolti.
All Good Things Died Here, il crescendo progressivo di The Peaceful Beauty of Brutal Justice e la title track non deluderanno gli amanti dell’U.S. metal, qui portato alla massima potenza tra bordate di metallo classico e scudisciate thrash.
I Tourniquet, fino ad oggi band di culto del panorama metallico, potrebbero trovare una grossa spinta da questo nuovo album, imperdibile per gli amanti del metal classico a stelle e strisce grazie soprattutto alla vena dei musicisti coinvolti.

Tracklist
1. Sinister Scherzo
2. Longing for Gondwanaland
3. Memento Mori
4. All Good Things Died Here
5. The Crushing Weight of Eternity
6. The Peaceful Beauty of Brutal Justice
7. Can’t Make Me Hate You
8. One Foot in Forever
9. Gazing at Medusa

Line-up
Ted Kirkpatrick – Drums, Bass
Aaron Guerra – Guitars, Vocals
Tim “Ripper” Owens – Vocals (guest musician)
Chris Poland – Guitars (guest musician)
Deen Castronovo – Vocals on “Gazing at Medusa” (guest musician)

TOURNIQUET – Facebook

Sarah Longfield – Disparity

Sarah dimostra di non essere solo una virtuosa dello strumento, ma anche una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile.

Debutto solista per Sarah Longfield, una delle migliori virtuose mondiali della chitarra a sette corde.

Sarah ha formato nel 2012 il gruppo The Fine Constant che, con due dischi come Myriad e Woven In Light, si è fatto una certa reputazione fra chi ama il prog, per poi arrivare a pubblicare molti video in rete che dimostrano la sua straordinaria bravura chitarristica. In questo disco Sarah ci dimostra che le sue capacità sono molteplici e che possiede anche un grande talento compositivo. Disparity è un album che vive su diversi livelli, che fa viaggiare su molti mondi rivelandosi un incontro tra generi. Sicuramente di fondo c’è un grande amore per il prog metal e per il djent, ed è anche molto forte l’importanza dell’elettronica, che costituisce una parte importante della struttura. Inoltre la Longfield propone una rilettura personale dei lavori della tradizione chitarristica, rielaborando a modo proprio cose che Steve Vai e Joe Satriani hanno proposto per la prima volta anni fa. Di suo Sarah ci mette molto mostrando che non c’è solo una virtuosa dello strumento, ma che è una musicista, una cantante e una compositrice molto completa e versatile. L’obiettivo di Disparity è di creare una certa imago mentis nell’ascoltatore, come uno spazio che vive di leggi molto diverse da quelle del mondo reale, perché è composto dal sogno. In alcuni passaggi del disco c’è una struttura quasi free jazz, un rompere tutti gli schemi, concatenando diversi passaggi sonori per poi ottenere quasi uno straniamento sonoro uscendo in forma completamente diversa da quella precedente. Le canzoni sono della giusta durata e sono tutte concatenate fra loro. Come si vede in copertina, anche nel disco Sarah indossa molti colori e riesce a padroneggiarli tutti molto bene, creando un lavoro che fa vedere molto di un talento talmente grande che ci riserverà ancora qualche sorpresa.

Tracklist
1. Intro
2. Embracing Solace
3. Departure
4. Cataclysm
5. Sun
6. Citrine
7. Miro
8. Stay Here
9. The Fall

SARAH LONGFIELD – Facebook

Heir Apparent – The View from Below

Uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni, regala un album magnifico.

Diciamolo francamente: le tante reunion, o ritorni più o meno importanti delle vecchie glorie del metal classico, molte volte lasciano l’amaro in bocca, essendo frutto di poca convinzione o di un’esaurita vena creativa che attanaglia i protagonisti, da anni fuori dalla scena e tornati nel posto sbagliato al momento sbagliato.

I rockers d’annata aspettano così queste operazioni con la speranza di un ritorno ai vecchi fasti che puntualmente delude, a meno che non si abbia a che fare con gli Heir Apparent ed il loro nuovo lavoro, The View from Below.
La band di Seattle si ripresenta con un nuovo album dopo ventinove anni, essendo nata nella prima metà degli anni ottanta e resasi protagonista della scena metal progressiva con due capolavori come Graceful Inheritance, debutto sulla lunga distanza uscito nel 1986, e One Small Voice, licenziato dal gruppo nel 1989 un attimo prima che Seattle diventasse famosa per la scena grunge.
Quasi trent’anni quindi, prima di tornare a parlare del gruppo di Terry Gorle e di una sua nuova opera, licenziata dalla No Remorse Records, che risulta la classica eccezione che conferma la regola vista l’altissima qualità di queste otto nuove composizioni di alta classe.
Partendo da due dei gruppi protagonisti per decenni della scena heavy metal progressiva statunitense, come i Queensryche ed i Fates Warning, ci si inoltra verso un viaggio nel metal progressivo di alta scuola, prodotto benissimo, zeppo di raffinate melodie e composto appunto da otto perle che offrono il meglio del metal classico e melodico d’oltreoceano.
Con The View from Below vi scorderete di essere al cospetto di una band datata, lasciandovi trasportare dalle sinuose note progressive che fin dall’opener man In The Sky vi rapiranno, presi per mano dal nuovo cantante Will Shaw, protagonista assoluto di questo lavoro al pari con un songwriting che ha nelle trame epico/progressive di The Road To Palestine il suo punto più alto.
Non sono da meno gli altri brani, tra i quali ricordo la splendida Synthetic Lies, la potente Savior e il mid tempo progressivo dal titolo Insomnia, che conclude uno dei ritorni più riusciti degli ultimi anni con una band che, dopo tre decenni regala un album magnifico, e chiedere di più è impossibile.

Tracklist
1. Man in the Sky
2. The Door
3. Here We Aren’t
4. Synthetic Lies
5. Savior
6. Further and Farther
7. The Road to Palestine
8. Insomnia

Line-up
Will Shaw – Vocals
Terry Gorle – Guitar
Derek Peace – Bass
Ray Schwartz – Drums
Op Sakiya – Keyboards

HEIR APPARENT – Facebook

Hollow – Between Eternities of Darkness

Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.

Sono passati vent’anni da quando gli Hollow del polistrumentista Andreas Stoltz licenziarono Architect Of The Mind, bellissimo lavoro che vedeva la band svedese alle prese con un power progressive metal potente e melodico, sulla scia di Nevermore e Morgana Lefay.

La Rockshots Records non si è fatta scappare l’opportunità di mettere il suo marchio su questo inaspettato ritorno intitolato Between Eternities of Darkness, scritto, cantato e suonato da Stoltz con l’aiuto del batterista Stalder Zantos.
Mixato e masterizzato da Ronnie Björnström ai Enhanced Audio Productions in Svezia, l’album racconta il periodo difficile e drammatico di una famiglia normale, un periodo oscuro che non cancella il ricordo di tempi migliori, raccontato per mezzo di un emozionante viaggio nel metal progressivo che, come da tradizione del combo, si divide tra il concetto melodico ricco di tensione, oscuro e drammatico del metal statunitense e quello potente, roccioso e power suonato in Scandinavia a cavallo dei due secoli.
Echi di Nevermore, Queensryche, Morgana Lefay e Tad Morose sono presenti in questo splendido ritorno firmato Hollow, un lavoro che mette in primo piano sentimenti, emozioni, dubbi e paure e le trasforma in musica, tragicamente metallica, potente ma dall’impatto melodico straordinario.
La bravura tecnica del mastermind svedese non si discute, ma è la parte compositiva che lascia senza fiato, trasformando Between Eternities of Darkness, in una raccolta di brani drammatici, spettacolari nelle parti progressivamente ritmiche e da brividi nelle parti cantate.
Fate Of The Jester, Pull Of The Undertow, le splendide Hidden e Calling regalano insieme a tutta la tracklist grande musica metal, di livello superiore alla media per maturità artistica e songwriting: il ritorno degli Hollow è qualcosa più di una gradita sorpresa.

Tracklist
1.Travel Far
2.Fate of the Jester
3.Down
4.Pull of the Undertow
5.Shadow World
6.Hidden
7.Calling
8.The Road I’m on
9.Death of Her Dream
10.Say Farewell

Line-up
Andreas Stoltz – Vocals and Guitar
Stalder Zantos – Drums

HOLLOW – Facebook