Aldi Dallo Spazio – Quasar

Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Dopo tanto progressive moderno e metallico, arriva un ottimo lavoro che guarda sfacciatamente alla tradizione senza timori reverenziali, ispirandosi quindi alle grandi band del passato ed a quel rock progressivo degli anni settanta diventato ormai storia.

Gli Aldi (Awesome Lysergic Dream Innovation) Dallo Spazio il loro bellissimo esordio Quasar lo avevano licenziato due anni fa in regime di autoproduzione, e ora viene ristampato, remixato e rimasterizzato in vinile, cd e digitale da parte della Jolly Roger.
Il quintetto ravennate dà vita ad un’opera affascinante di rock progressivo che si confronta con i grandi lavori del passato ed i suoi creatori, cinque lunghe jam che spaziano tra il progressive, il rock psichedelico e sfumature space, per un viaggio nel mondo del rock classico rivisitato da un giovane quintetto dotato di una buona personalità.
I brani sono cinque capitoli di un viaggio nel mondo di quel rock che non smette neanche nel nuovo millennio di influenzare generazioni di musicisti, confondendosi e amalgamandosi con svariati generi in barba ai suoi detrattori.
Tuffatevi dunque senza timore nelle trame dell’opener Long Time Lover o nei lunghi fluidi musicali di The Distance o Epiphany: vi troverete al cospetto di cinque progsters che, senza alcun tentennamento, percorrono le strade colorate di grande musica tracciate da capisaldi del progressive nazionale ed internazionale come PFM, Pink Floyd, Tangerine Dream, Yes con in più una componente melodica e psichedelica che a tratti avvicina la band ai The Beatles (era Sgt Pepper’s) e T.Rex.
Quasar è un ottimo lavoro, opportunamente riproposto, che non mancherà di soddisfare la fame di progressive rock degli amanti del genere classico, magari in attesa di una nuova opera targata Aldi Dallo Spazio.

Tracklist
01. Long Time Lover
02. THe Distance
03. Little Piggy Will
04. Santana (A Freedom Song)
05. Ephipany

Line-up
Dario Federici – Vocals, Keyboards
Simone Sgarzi – Guitars
Davide Mosca – Guitars
Marco Braschi – Bass
Lorenzo Guardigli – Drums

ALDI DALLO SPAZIO – Facebook

Nautha – Tutti I Colori del Buio

I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso.

Il suono degli italiani Nautha è qualcosa di fresco ed innovativo che però nasce dalla tradizione musicale del rock anni settanta e dall’immortale lezione del progressive italiano.

Il trio romano macina un suono assolutamente non convenzionale, a partire dal fatto che è stato registrato in presa diretta senza mediazioni tra amplificatori e mixer, uscito così come esce il suono dal vivo. La visione musicale è assai complessa e stratificata, per un risultato convincente ed originale. Brevemente lo si potrebbe definire un approccio moderno ad una materia antica e bellissima come il prog italiano. Infatti le radici dei Nautha risiedono in quel periodo dorato di incontro sonoro fra il progressive e la psichedelia, in più di loro aggiungono una grande dose di suoni alternativi moderni, con un cantato in italiano che funziona benissimo, così come la scelta di lavorare il meno possibile il loro suono. Le nostre orecchie sono abituate a produzioni super elaborate, come uno zucchero dalla lavorazione complessa, che si rivela dolcissimo ma lasciando scorie nel nostro organismo. Invece Tutti I Colori Del Buio è scarno e minimalista quanto basta, e grazie a questa forma risulta addirittura più diretto e potente. Certamente all’inizio sembra manchi qualcosa, mentre quando si entra in sintonia con il sound si capisce l’assoluta bontà della scena di produzione. L’impasto sonoro è convincente e sono semi sparsi in molti territori musicali, a partire dal prog, passando per la psichedelia per andare verso uno stoner disidratato. I Nautha producono un debutto che è molto maturo e che, cosa ancora più importante, traccia una rotta totalmente personale ed indipendente, senza seguire nessuno, aprendo un sentiero che è insieme di valore e coraggioso. Un’altra peculiarità importante sono i testi, qualcosa che merita attenzione e che anche dal punto di vista della metrica sono molto particolari, quasi surrealisti. Il gruppo romano firma un disco che è peculiare e speciale, da ascoltare molte volte perché muta moltissimo, e siamo sicuri che in questo momento i Nautha siano già oltre questo disco, spostati sempre in avanti.

Tracklist
1.Serpentine
2.Libra
3.La danza immobile
4.Un modo di essere esseri umani
5.Ragazzi perduti
6.La Rivoluzione
7.Millenovecentottanta
8.Storia del cabalista
9.Nos da
10.Akhenaton

Line-up
Antonio Montellanico – Voice, Bass and Guitar
Pierpaolo Cianca – Guitar
Giorgio Pinnen – Drums

NAUTHA – Facebook

Alberto Rigoni – Prog Injection

Un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riesce ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.

Ennesima opera strumentale per il talentuoso bassista e compositore nostrano Alberto Rigoni (BAD As, Vivaldi Metal Project, The Italians, ex Twinspirits), questa volta accompagnato alla batteria da Thomas Lang (Glenn Hughes, Paul Gilbert e Peter Gabriel) e da Alessandro Bertoni, tastierista residente a Los Angeles dove lavora come insegnante di musica e session in studio e dal vivo.

Prog Injection è composto da otto brani di rock strumentale progressivo, con il basso di Rigoni che detta ritmiche su cui la batteria di Thomas Lang ha il suo ruolo importantissimo e le tastiere ricamano melodie di diverso approccio e sfumature; un album alquanto sperimentale, ma comunque orecchiabile anche per chi non è abituale frequentatore di questo tipo di lavori, grazie a brani fluidi e facilmente leggibili, che riescono ad unire la grande tecnica esecutiva dei protagonisti ad un buon talento compositivo.
Bellissima Omega, la traccia più “leggera” dell’album, dove gli strumenti scorrono liberi sullo spartito progressivo scritto da Rigoni, ed altrettanto notevole la successiva Liquid, dalle tastiere che in alcuni momenti ricordano i Goblin più psichedelici.
Il resto di Prog Injection veleggia leggero su acque di rock progressivo di alto livello, assolutamente consigliato agli amanti del rock strumentale, conferma il talento del bassista e dei suoi bravissimi ospiti.

Tracklist
1. XYX
2. Metal Injection
3. Blood Shuga
4. Death Stick
5. Omega
6. Liquid
7. Low and Disorder
8. Iron Moon

Line-up
Alberto Rigoni – Bass and Chapman stick
Thomas Lang- Drums
Alessandro Bertoni – Keyboards
Jeff Hughell – Bass on track 4.

ALBERTO RIGONI – Facebook

Luciano Onetti – Abrakadabra

Nuova colonna sonora del giovane regista e compositore argentino, e nuovo centro grazie a notevoli e inquietanti atmosfere da giallo italiano anni Settanta opportunamente rivisitato.

La sera di giovedì 21 febbraio 2019, presso il Cinema Cappuccini di Genova, è stato proiettato il nuovo film dei fratelli Luciano e Nicolas Onetti, dal titolo Abrakadabra: un thriller, che guarda alla tradizione italiana degli anni ’70, tanto dal punto di vista della regia, quanto da quello della colonna sonora, composta e suonata da Luciano Onetti e pubblicata in edizione speciale per l’occasione dalla Black Widow.

Il disco porta avanti quanto iniziato da Onetti con le sue due colonne sonore stampate in precedenza (sempre dall’etichetta ligure). Se però in Francesca e Sonno profondo l’ambientazione sonora era più ‘tedesca’ e gobliniana, elettronica e oscura, con un impatto comunque molto rock, che andava a colorare con tinte sature e cangianti il dark prog del regista e autore di Buenos Aires, con i brani di questo nuovo Abrakadabra – pur restando ferme molte caratteristiche stilistiche e timbriche (tutto resta splendidamente analogico e vintage, volutamente retrò) – il discorso va a spostarsi, assai marcatamente, sulla sapiente costruzione d’atmosfere elaborate e complesse, cupe e tenebrose. Tutto è molto più onirico ed astratto, destrutturato e sperimentale, pur non mancando certi piacevolissimi frangenti melodici. E’ come se, questa volta, Onetti avesse guardato maggiormente al Morricone più avanguardista, a certe cose di Bruno Nicolai, nonché a mai sopiti fantasmi di marca kraut, mettendo (ovviamente!) tanto di suo. Il disco è pertanto molto più cerebrale e concettuale, rispetto alla coppia rappresentata da Francesca e Sonno profondo, ma sempre di grande fascino, capace a più riprese di far correre autentici brividi lungo la schiena di chi ascolta. Ancora una volta promosso a pieni voti e da ascoltare con la dovuta attenzione. Perché la bellezza non è mai cosa facile.

Tracklist
– Prologo
– Abrakadabra
– Antonella / Danza araba / Magic Show
– Partita a poker
– La seduzione del male
– Fuga dal cimitero
– Gioco di prestigio
– Rituale
– Guanto bianco
– Ossessione omicida
– Sesso in motel
– L’illusionista
– La stanza vuota
– La clinica

Line up
Luciano Onetti – All Instruments

LUCIANO ONETTI – Facebook

Cats In Space – Day Trip To Narnia

Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Il rock è morto: questo affermano da anni i suoi detrattori e non pochi addetti ai lavori presenziano alle varie cerimonie funebri ogni qualvolta ne hanno la possibilità, tappandosi le orecchie per ignorare la quantità di musica di altissimo livello che ancora oggi (dal più melodico al più estremo) il genere in ogni sua sfaccettatura sa ancora regalare.

La possibilità di scrivere per una webzine offre infatti, a chi con passione cerca nel suo piccolo di supportare la musica più importante ed influente degli ultimi settant’anni, la possibilità di ascoltare opere straordinarie, dalle atmosfere e sfumature distanti tra loro ma che hanno nel saper emozionare il loro comune denominatore.
Anche quest’anno (e siamo solo a metà) gli album che hanno regalato qualcosa di “speciale” non sono mancati e tra questi annoveriamo Day Trip To Narnia, nuovo lavoro dei Cats In Space che è sicuramente tra i più accreditati ad una posizione di prestigio nella classifica di fine anno.
Un vero capolavoro per una band dal nome buffo ma dalle qualità enormi, che vede tra i suoi protagonisti il cantante Paul Manzi (Arena), il chitarrista Greg Hart (Mike Olfield, Asia) ed il batterista Steevi Bacon (Robin Trower), accompagnati in questa avventura nello spazio da Den Howard (chitarra), Jeff Brown (basso), Andy Stewart (piano, synth) e con la collaborazione di Mike Wilson degli storici 10cc.
I sei gatti si aggirano così nello spazio, su una navicella che li porta in giro per gli ultimi cinquant’anni di musica, partendo dal rock di fine anni settanta, nutrendosi degli impulsi ottantiani e portandoli a noi, nel nuovo millennio.
Una musica piena, una cascata di hard rock progressivo e melodico, ricco di cori, atmosfere pompose sfumature da musical in un contesto di note apparentemente derivative ma a loro modo geniali, difficili da paragonare a qualsiasi realtà odierna.
La forza di Day Trip To Narnia sta nel suo rendere gli arrangiamenti pomposi e barocchi ma perfettamente fluidi, laddove cori e controcanti elargiscono una lezione di rock d’alta scuola.
Per chi non conoscesse la band britannica va detto che, l’avventura dei nostri inizia con To Many Gods, debutto del 2015, seguito dal bellissimo Scarecrow, licenziato due anni dopo, con entrambi i lavori poi immortalati in Cats Alive!, disco dal vivo uscito lo scorso anno.
Ma la band, in stato di grazia compositivo, non si è fermata e oggi esce con Day Trip To Narnia, album diviso in due parti: la prima composta da sette splendidi brani, la seconda invece proponendo un vero e proprio concept di altre sette tracce intitolato The Story Of Johnny Rocket, la storia di un bambino dagli spessi occhiali e dai grandi sogni.
Senza scendere nei dettagli dei brani, l’album risulta una spettacolare opera rock nella quale, se nella prima parte le varie Narnia, Hologram Man e Chasing Diamonds viaggiano splendidamente autonome, nella seconda è il concept che provoca il susseguirsi di emozioni straordinarie, già vissute nelle grandi opere rock della storia.
Immaginate tutto il meglio di Queen, Electric Light Orchestra, Supertramp, Yes, Kiss ed Elton John, aggiungetevi l’enorme talento del gruppo britannico ed avrete uno dei dischi di rock classico più belli usciti da quando siamo entrati nel nuovo millennio.

Tracklist
1. Narnia
2. She talks too much
3. Hologram man
4. Tragic alter ego
5. Silver and gold
6. Chasing diamonds
7. Unicorn
8. The story of Johnny Rocket I: Space overture
9. The story of Johnny Rocket II: Johnny Rocket
10. The story of Johnny Rocket III: Thunder in the night
11. The story of Johnny Rocket IV: One small step
12. The story of Johnny Rocket V: Twilight
13. The story of Johnny Rocket VI: Yesterday’s news
14. The story of Johnny Rocket VII: Destination unknown

Line-up
Paul Manzi – Lead Vocals
Greg Hart – Guitars, Vocals
Steevi Bacon – Drums, Percussion, Vocals
Den Howard – Guitars, Vocals
Jeff brown – Bass, Vocals
Andy Stewart – Piano’s, Synthesizers

CATS IN SPACE – Facebook

Banco del Mutuo Soccorso – Transiberiana

Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.

Premetto che, per commentare in maniera più equilibrata e meno condizionata questo ritorno del Banco del Mutuo Soccorso a 25 anni dall’ultimo full length, forse il compito dovrebbe essere idealmente affidato ad un soggetto più giovane, per il quale l’opera della band capitolina rivesta un significato meno intimo, non avendone potuto vivere l’epopea in tempo reale come è accaduto invece al sottoscritto.

Transiberiana è anche il primo lavoro, ovviamente, nel quale la voce che ascoltiamo non appartiene all’immenso Francesco di Giacomo; del resto l’ultimo decennio è stato quanto mai difficile per una delle band più iconiche del prog italiano, prima con la morte del vocalist, poi la malattia dello stesso Nocenzi, per finire con la scomparsa dell’altro membro storico Rodolfo Maltese.
Sarebbe bastato molto meno per chiudere definitivamente la storia di un gruppo che la “Storia”, peraltro, l’aveva già ampiamente scritta, ma Nocenzi, come in qualche modo ci fa capire con il brano L’imprevisto, proprio dalle avversità ha tratto la forza per ripartire con una band che oggi è un perfetto mix tra musicisti di grande esperienza ed altri relativamente più giovani, senza che in alcun modo ne vengano intaccati i tratti peculiari.
E chiaro che, fatto salvo l’intatto talento strumentale e compositivo del leader (coadiuvato in quest’ultimo aspetto dal figlio Michelangelo), lo snodo era proprio quello di capire come se la sarebbe cavata il buon Tony D’Alessio alle prese con il pesante confronto rappresentato dall’eredità di Di Giacomo.
Detto subito che il nuovo cantante si tiene alla larga da qualsiasi tentativo di imitazione esibendo un timbro proprio e ben definito, non si può fare a meno di notare come talvolta abbia dovuto fare i salti mortali per adattare i bellissimi testi all’interno della struttura musicale; questo perché Transiberiana è un album complesso, nervoso, dai misurati benché fulgidi slanci melodici (esibiti per lo più nella magistrale Eterna Transiberiana e soprattutto nella commovente Campi di Fragole) e dominato ovviamente dal sempre magistrale tocco tastieristico di un Nocenzi coadiuvato da un supporting cast di primissimo ordine.
Il ricorso a brani di lunghezza non eccessiva (mai oltre i sette minuti) al contrario di quanto accadeva in passato, favorisce solo in parte un’assimilazione che, come è giusto e normale che sia in questo ambito, si concretizza solo dopo diversi attenti ascolti.
Questa allegoria esistenziale che è il viaggio lungo la Transiberiana è ricco di sorprese, di passaggi trascinanti e di intuizioni folgoranti sia a livello musicale che lirico, aspetto questo che riveste un ruolo di grande importanza tra struggenti slanci poetici e passaggi che, per chi vuole ricercarne il vero significato, celano una critica feroce a quelli che sono i tempi in cui viviamo (anche e soprattutto nel nostro “bel paese”, con L’Assalto dei Lupi e I Ruderi del Gulag che sembrano più delle sentenze che non semplici presagi).
Ecco perché Transiberiana ci riporta virtualmente indietro di mezzo secolo ai capolavori dei primi anni settanta non tanto per le sonorità, il cui legame è comunque evidente pur se inserito in un contesto del tutto moderno, ma soprattutto perché proprio come in quei tempi aurei il disco, per arrivare alla sua naturale destinazione che sono le corde più intime dell’animo, non può essere trattato come un qualsiasi prodotto di veloce ed effimero consumo.
La descrizione musicale nei dettagli la lascio volentieri a chi ne possiede in tutto e per tutto le competenze (al riguardo consiglio di reperire l’esauriente e del tutto condivisibile articolo scritto da Fabio Zuffanti per La Stampa}, mentre per quanto mi concerne posso soltanto affermare senza alcun pudore che un musicista come Vittorio Nocenzi, in un paese normale, troverebbe posto nei libri di storia, perché tra un “salvadanaio” e l’altro in copertina sono trascorsi quasi cinquant’anni e, probabilmente, solo chi questa cifra l’ha superata anche anagraficamente riesce effettivamente a comprendere la portata di un simile dato.
L’album viene chiuso da due bonus track (Metamorfosi e Il Ragno) registrate dal vivo al Festival di Veruno nel 2018: nulla più di un gradito cadeau che ha però la duplice funzione di farci capire sia quanto Tony D’Alessio possieda la necessaria caratura anche per reintepretare le immortali tracce della band, sia quanto del Banco del Mutuo Soccorso ce ne sia sempre bisogno, dal vivo o su disco, anche nell’anno domini 2019.

Tracklist:
1. Stelle sulla terra
2. L’imprevisto
3. La discesa dal treno
4. L’assalto dei lupi
5. Campi di Fragole
6. Lo sciamano
7. Eterna Transiberiana
8. I ruderi del gulag
9. Lasciando alle spalle
10. Il grande bianco
11. Oceano: Strade di sale
12. Metamorfosi (Live at Festival Prog di Veruno 2018)
13. Il ragno (Live at Festival Prog di Veruno 2018)

Line-up:
Vittorio Nocenzi – piano, keyboards and voice
Filippo Marcheggiani – guitar
Nicola Di Già – rhythm guitar
Marco Capozi – bass
Fabio Moresco – drums
Tony D’Alessio – lead vocal

BANCO DEL MUTUO SOCCORSO – Facebook

Lonely Robot – Under Stars

Under Stars è il perfetto epilogo del lungo viaggio intrapreso dall’astronauta John Mitchell, un album piacevole per chi dai suoni progressivi pretende eleganza e songwriting raffinato.

Ed eccoci arrivati al capitolo finale della trilogia dei Lonely Robot, creatura del polistrumentista John Mitchell (Kino, Frost*, Arena, It Bites), che racconta il viaggio fantastico e surreale di un’astronauta nel tempo e nello spazio.

Si tratta di tre album di progressive rock che viaggiano, come il personaggio della saga, nella storia del genere, dal primo capitolo licenziato nel 2015 (Please Come Home), passando per il precedente album uscito un paio di anni fa (The Big Dream), ed arrivando a questa nuova fatica intitolata Under Stars che vede, oltre al musicista e songwriter inglese (voce, chitarra, tastiere e basso), i fidi Craig Blundell (batteria) e Steve Vantsis (basso).
Under Stars, anche a livello musicale, non si discosta molto dai suoi predecessori, i Lonely Robot suonano progressive rock ispirato al passato ma con molta attenzione per i suoni odierni, passando ovviamente per il new prog inglese.
Terminal Earth introduce l’ascoltatore nel mondo esplorato dal protagonista, mentre Ancient Ascendant entra nel vivo dell’opera che, se non registra novità nel sound, riesce a convincere per la buona qualità dei brani proposti.
La voce di Mitchell è sempre elegante e la musica l’accompagna in brani in cui gli spunti d’interesse non mancano, tra richiami atmosferici ed elettronici, progressioni mai intricate e moderne sfumature post rock.
La title track, Icarus, la spaziale The Signal, When Gravity Falls si specchiano nel variegato mondo progressivo che ha ispirato Mitchell, tra Pink Floyd, Tangerine Dream, Arena, Genesis e i nuovi eroi che percorrono le strade del genere nel nuovo millennio.
Under Stars è il perfetto epilogo del lungo viaggio intrapreso dall’astronauta John Mitchell, un album piacevole per chi dai suoni progressivi pretende eleganza e songwriting raffinato.

Tracklist
1. Terminal Earth
2. Ancient Ascendant
3. Icarus
4. Under Stars
5. Authorship Of Our Lives
6. The Signal
7. The Only Time I Don’t Belong Is Now
8. When Gravity Fails
9. How Bright Is The Sun?
10. Inside This Machine
11. An Ending

Line-up
John Mitchell – vocals, guitar, keyboards, bass
Craig Blundell – drums
Steve Vantsis – bass

LONELY ROBOT – Facebook

Fungus Family – The Key Of The Garden

The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

La storia dei Fungus Family, band genovese che, non solo a mio parere, meriterebbe ben altra fama rispetto a quella ristretta agli appassionati più puri e duri del progressive, si arricchisce di un nuovo capitolo discografico, The Key Of The Garden, che va a chiudere la trilogia iniziata con Better Than Jesus (2010), seguito da The Face Of Evil (2014).

Il percorso del gruppo, che i più conoscono e continuano a chiamare semplicemente Fungus, è stata funestata dalla prematura scomparsa del fondatore e principale compositore AJ Blissett nel 2015, per cui non deve stupire se sono stati necessari cinque anni per dare un seguito al bellissimo precedente album.
AJ continua giustamente ad essere accreditato nelle note di presentazione come membro effettivo in qualità di compositore, e questo non deve apparire un semplice omaggio o un artificio retorico, perché appare evidente dall’ascolto di The Key Of The Garden come sia stata data grande continuità al suo impulso creativo sfruttando, probabilmente, molta della musica mai pubblicata che egli stesso ha lasciato in eredità, integrandola al meglio con un lavoro di squadra (ecco il senso di “Family” appunto) non così scontato in ambito progressive.
Del resto il sound dei Fungus incarna al meglio ciò che si intende per progressivo nell’accezione più pura del termine: i brani sono spesso in costante divenire, sorta di jam psichedeliche che lasciano spazio anche a evoluzioni strumentali che non scadono mai in onanistici virtuosismi, ma ciò non preclude la presenza di passaggi dall’enorme impatto melodico ed emotivo che rendono più facilmente assimilabile di quanto possa apparire un lavoro pur così sfaccettato.
Con l’imprimatur di un mito come Nik Turner, che suona il flauto in Eternal Mind (brano a dir poco meraviglioso, peraltro) ed il sax in Becoming to Be, Dorian Deminstrel e soci tra i gruppi contemporanei possono trovare un possibile, quanto puramente indicativo, termine di paragone nei folli e altrettanto psichedelici Bigelf, mentre loro stessi ci suggeriscono quali siano le loro band di riferimento coverizzando i Pink Floyd (See Emily Play) e i Family (The Weaver’s Answer), a cui possiamo aggiungere, volendo pescare nel mazzo, i Van Der Graaf Generator e gli imprescindibili King Crimson sessantiani, ma da sonorità talmente caleidoscopiche ed imprevedibili ognuno può rinvenire altri molteplici richiami.
Ciò che conta è che The Key Of The Garden si rivela un viaggio a ritroso nel tempo che non appare affatto nostalgico, in quanto sonorità che traggono linfa dagli anni d’oro del progressive vengono rielaborate con una freschezza ed una personalità che tengono alla larga quell’autoreferenzialità che spesso affligge diversi musicisti dell’epoca allorché si ripropongono ai giorni nostri.
Le lunghe Suite n. 5 (part 1) e 1q84 si rivelano ampiamente esaustive riguardo al talento e alle doti dei Fungus, i quali offrono un’ora circa di musica che non è per nulla facile da descrivere, per cui mi limito a dire che questi suoni appagano l’udito e l’anima, ma non solo; infatti, avendo avuto la possibilità di assistere alla presentazione dal vivo dell’album circa due mesi fa, la sensazione è stata che sul palco l’offerta della band acquisti, se possibile, ulteriore forza e profondità, grazie alla personalità del frontman e alla tecnica impeccabile dei suoi compagni d’avventura.
In definitiva, The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

Tracklist:
1 Suite n. 5 (part 1)
2 Eternal Mind
3 Demo-crazy
4 1q84
5 Becoming to Be
6 Suite n. 5 (part 2)
7 See Emily Play (Pink Floyd Cover)
8 Holy Picture
9 The Weaver’s Answer (Family Cover)

Line-up:
Alejandro J. Blissett: Composer
Dorian Deminstrel: Lead & Backing Vocals, Acoustic Guitar
Carlo “ZeroTheHero” Barreca: Bass & Noises
Alessio “Fuzz” Caorsi: Electric Guitar
Claudio Ferreri: Organ, Piano & Keyboards
Cajo: Drums

featuring:
Nik Turner: Space Saxophone (Becoming to Be) & Magic Flute (Eternal Mind)
Daniele Barreca: Percussions (The Weaver’s Answer)

FUNGUS FAMILY – Facebook

Avem – Meridiem

Meridiem dei progsters austriaci Avem è un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.

I viennesi Avem firmano per Wormholedeath che licenzia il loro primo album sulla lunga distanza intitolato Meridiem, un lavoro collocabile tra quelli di matrice progressiva, moderna e pregna di umori che alternano sfumature alternative, metal e dark.

Dietro al microfono la voce grintosa della singer Nora Bendzko a cui alle sue spalle agiscono quattro musicisti che sanno unire una buona tecnica strumentale, obbligatoria se si suona il genere e feeling di stampo rock, per un risultato che in generale soddisfa.
Potrebbero storcere il naso gli ormai obsoleti puristi del genere, fuorviati dall’atmosfera alternative di molti dei brani presenti, ma è un dettaglio che non inficia le buone sensazioni che lasciano brani come l’opener Sun-Chaser, Bermuda o Whispers On The Wind.
Progressive metal moderno dunque, un ramo dell’immenso albero progressivo che sta regalando ottimi lavori in questi ultimi anni e che viene alimentato da band come gli Avem, andando oltre ai soliti schemi e confezionando lavori di grande respiro, freschi, metallici e maturi.
Il piglio aggressivo e drammatico di Lost Cosmonaut si scontra con il rock progressivo attraversato da ritmiche sapientemente congegnate di Earth-Shaker o le sfumature tooliane di Sonder in un’alternanza di suoni ed atmosfere che rendono questa ora di musica un ascolto ampiamente soddisfacente per chi ama il genere.
Gli Avem risultano una band dalle potenzialità enormi, vedremo in futuro la direzione che prenderà la loro musica, aperta a qualsiasi tipo di evoluzione, per ora promossi senza riserve.

Tracklist
01.Sun Chaser
02.How I Got My Wings
03.Bermuda
04.Star Gazer
05.Lost Cosmonaut
06.Phantoms
07.Earth Shaker
08.Whispers On The Wind Feat. Andreas Gammauf
09.Chernobyl
10.Storm Facer Feat. Alexander Hirschmann
11.Sonder
12.LDV

Line-up
Reece Tyrrell – Guitars
Florian Uhl – Bass
Seppo Uhari – Drums
Nora Bendzko – Vocals
Manu Sharma – Keyboards

AVEM – Facebook

Eveline’s Dust – K.

Il ritorno sul mercato degli Eveline’s Dust dopo tre anni si intitola K, ed è un concept album, come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.

Periodo di ottime uscite per quanto riguarda la musica progressiva suggellate da questo splendido lavoro, il terzo per la band toscana degli Eveline’s Dust, quartetto molto apprezzato dagli amanti del progressive rock e dagli addetti ai lavori per i suoi due album precedenti, il debutto Time Changes, uscito nel 2013, e The Painkeeper, ultima opera targata 2016.

Il ritorno sul mercato dopo tre anni si intitola K., un concept album come da tradizione nelle discografie dei gruppi progressive, incentrato su un argomento sicuramente importante e delicato da trattare come la malattia.
La band tramite la sua musica ed i racconti dei protagonisti (gli Eveline’s Dust si sono rivolti alla Lega Italiana Fibrosi Cistica ONLUS, trovando molti membri disposti a condividere le proprie esperienze) ha dato vita ad un album davvero emozionante, raccontato dai protagonisti, che vivono in maniera diretta o indiretta la malattia.
K. è di fatto la protagonista di solo due brani, il resto fa parte di quanto raccolto dalle varie esperienze arrivate al gruppo che sagacemente ha creato una colonna sonora da cui emergono, comunque, consapevolezza e speranza, lotta e voglia di vivere, accantonando invece le troppo facili e scontate sensazioni di pietà e commiserazione, lasciando alla musica il compito di fedele compagna per chi non smette di sognare e lottare.
Il sound che il gruppo toscano ha creato per questo importante e difficile album si nutre di elementi progressivi tradizionali come è nel DNA del gruppo. prog rock di alto livello, che si aggira tra meandri jazzistici e a tratti metallici, mai troppo forzati, sempre cercando nelle emozioni le note giuste per sorprende chi ascolta.
Federico Avella al sax e flauto e Lorenza Catricalà alla voce sono gli ospiti che valorizzano questo splendido lavoro che per una quarantina di minuti ci accompagna tra lo spartito creato dagli Eveline’s Dust, ricco di ispirazioni ai grandi della musica progressiva passata e presente, ma con una classe ed una personalità encomiabili.
A New Beginning è l’opener che ci fa accomodare prima che l’album entri nel vivo, con prog song del calibro di Hope, Lost In A Lullaby e la conclusiva Rain Over Gentle Travellers, dove King Crimson, Yes, Genesis e Porcupine Tree forniscono alla band l’ispirazione per raccontare tramite sonorità emozionanti e testi che squarciano cuori, la storia di K., della sua famiglia e delle tante persone che vivono la drammatica esperienza di questa malattia.

Tracklist
1. A New Beginning
2. Fierce Fear Family
3. Hope
4. K.
5. Lost In A Lullaby
6. Faintly Falling
7. Rain Over Gentle Travellers

Line-up
Lorenzo Gherarducci – Guitars
Nicola Pedreschi – Keyboards, Vocals
Marco Carloni – Bass
Angelo Carmignani – Drums

EVELINE’S DUST – Facebook

Signs Of Human Race – Inner Struggle Of Self-Acceptance

E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato.

Le vie del progressive moderno portano su strade ormai battute ma pur sempre affascinanti, come dimostra il debutto dei Signs Of Human Race, quintetto bresciano che in questa primavera 2019 debutta con Inner Struggle Of Self-Acceptance, opera progressivamente metallica, alternativa ed avanguardistica.

Licenziato dalla Sliptrick Records, label acchiappatutto nel panorama underground europeo, l’album del gruppo lombardo non mancherà di soddisfare gli amanti dei suoni progressivi dal taglio moderno, sempre in bilico tra impatto estremo, sound drammatico, nervoso e dark, ed un’attitudine alternativa che risulta un mix perfettamente bilanciato tra metal estremo di matrice death (Opeth), prog rock alternativo (Tool) ed ispirazioni tradizionali che rimandano al prog psichedelico dei Pink Floyd.
Non male per un debutto, anche perché i Signs Of Human Race si dimostrano band capace di far dimenticare all’ascoltatore di essere al cospetto di una giovane band al debutto, con una serie di brani maturi, personali e perfetti nel saper miscelare le varie influenze che ispirano i cinque musicisti.
E’ un sound intimista e nervoso quello che la band ha creato per dar vita ai cinque lunghi brani che compongono la tracklist di Inner Struggle Of Self-Acceptance, che alterna, com’è da tradizione del genere, parti metalliche ed estreme a più pacati momenti di post rock dalle atmosfere che non permettono di scendere al di sotto di un grado di tensione elevato, mentre la musica (e qui sta il bello) scorre fluida grazie ad un songwriting ispirato.
Diventa difficile scegliere un brano in particolare, ma direi che i dodici minuti conclusivi della bellissima Choking In Hopeless Agony possono tramutarsi facilmente nel sunto compositivo del questo ottimo lavoro, consigliato senza remore agli amanti del genere.

Tracklist
1. Dreaming Reality
2. Above The Languages Of Life
3. Journey Into Self-Reflection
4. Of Love And Misgiving
5. Choking In Hopeless Agony

Line-up
Remek James Robertson – Vocals/Keyboards
Diego Lorenzi – Guitars
Alessandro Ducroz – Guitars
Davide Brighenti – Bass
Samuele Leonard Sereno – Drums

SIGNS OF HUMAN RACE – Facebook

Eris Pluvia – Tales From Another Time

Un album delicato, a tratti introspettivo, ma in grado di tenere alta l’attenzione di chi ascolta con soluzioni improvvise, cambi di umore e colori che sono la carta vincente di questi sei nuovi brani creati dagli Eris Pluvia.

Tornano con un nuovo lavoro i genovesi Eris Pluvia, band da considerarsi storica nel panorama del rock progressivo nazionale.

Rings of Earthly Light, album licenziato nel lontano 1991, è considerato un passo fondamentale nel ritorno in auge del genere, in anni in cui l’interesse degli ascoltatori era spostato verso differenti sonorità, ma per trovarne il successore, complice anche la prematura scomparsa del tastierista Paolo Raciti, si sono dovuti attendere quasi vent’anni (Third Eye Light, 2010), mentre del più recente Different Earths, uscito nel 2016, ne avevamo già parlato sulle pagine di Metaleyes.
Questa volta non abbiamo dovuto aspettare troppo tempo per un nuovo album targato Eris Pluvia e Tales From Another Time torna a far parlare del gruppo ligure e del suo progressive rock di gran classe.
Un’ora di musica divisa in sei capitoli, un album che si presenta come le classiche opere degli anni settanta, eppure tra le trame della musiva di Tales From Another Time ci si perde tra tradizione e soluzioni moderne, un mix di musica progressiva classica, new prog inglese ed ispirazioni che riflettono la voglia del gruppo di sperimentare nuove soluzioni, più vicine a quanto si ascolta in questi primi anni del nuovo millennio.
Ne esce un sunto elegante e raffinato di quello che in gran parte abbiamo ascoltato in tanti anni di progressive rock, con la band che non ha paura di sperimentare rimanendo legata alle sue influenze primarie, dai Pink Floyd a Genesis e Camel fino ai Porcupine Tree.
Bellissime le tre suite, La Chanson de Jeanne, The Call of Cthulhu e la conclusiva The Hum, ma è comunque tutto Tales From Another Time che funziona al meglio, regalando all’ascoltatore momenti di rock progressivo di qualità.
Un album delicato, a tratti introspettivo, ma in grado di tenere alta l’attenzione di chi ascolta con soluzioni improvvise, cambi di umore e colori che sono la carta vincente di questi sei nuovi brani creati dagli Eris Pluvia.

Tracklist
1. When Love Dies
2. Lost in the Sands of Time
3. La Chanson de Jeanne (Pt’s 1-3)
4. The Call of Cthulhu (Pt’s 1-3)
5. Last Train to Atlanta
6. The Hum (Pt’s 1-5)

Line-up
Alessandro Cavatorti – guitars & words
Marco Forella – bass, piano, programming keyboards & drums
Roberto Minniti – vocals
Roberta Pitas – flute

Ludovica Strizoli – vocals

ERIS PLUVIA – Facebook

Dayslived – Flectar

Flectar è una raccolta di musica tutta da ascoltare, progressiva, metallica, a tratti intrisa di poesia come nella migliore tradizione del genere, scaraventando in un angolo la tecnica per esaltare l’ascoltatore con canzoni emozionanti.

Nella scena progressive metal italiana le sorprese sono sempre dietro l’angolo e a noi divoratori di musica non rimane che archiviare a distanza di pochissimo tempo splendide opere provenienti da ogni angolo del nostro troppe volte bistrattato (e non solo parlando di musica) stivale.

Una premessa doverosa, scaturita dopo l’ascolto di Flectar, nuovo album dei torinesi Dayslived, band nata nel 2010 con un album di debutto licenziato nel 2015 (The Black Mouse) e un ep live uscito un apio d’anni fa (Reborn & Lived).
Lanciato sul mercato dalla Rockshots, il nuovo lavoro del quintetto è stato prodotto con la collaborazione di Marco Strega dei magnifici Materdea, mentre per il mastering la band si è affidata a Tony Lindgren nei Fascination Street Studios.
Con queste premesse Flectar non poteva certamente deludere, ed infatti l’album, con i suoi dieci brani, esplora l’universo progressivo partendo dagli anni settanta per arrivare ai giorni nostri, un viaggio musicale affascinante che convincerà anche i più conservatori tra gli amanti dei suoni progressivi.
Preso per mano dalla notevole interpretazione della vocalist Monik Fennelles, davvero personale e molto interpretativa, il sound del gruppo si nutre di tradizione e modernità, alternando ispirazioni che vanno dal prog rock degli Yes, fino a solcare lidi metallici di scuola Dream Theater e persino pulsioni elettroniche, strada che il progressive moderno sta attraversando grazie alle opere di Leprous e Haken.
Ne esce ovviamente una raccolta di musica tutta da ascoltare, progressiva, metallica, a tratti intrisa di poesia come nella migliore tradizione del genere, scaraventando in un angolo la tecnica per esaltare l’ascoltatore con canzoni emozionanti come il singolo Along Your Miles, Triora, Behind My Skin e la conclusiva Mater Musica, brano che in dieci minuti riassume l’intero concept musicale di Flectar, gioiello progressivo da non perdere per alcun motivo
.
Tracklist
01.Another Start
02.Flectar
03.Along Your Miles
04.Triora
05.My Angel Said
06.Touching The Clouds
07.Their Violent Game
08.Dark Exile
09.Behind My Skin
10.Non Frangar
11.Mater Musica

Line-up
Monik Fennelles – Vocals
Marco Allemandi – Guitars
Matteo Sabetta – Piano & Keyboards
Thor Jorgen Aesir – Bass
Gaetano Pira – Drums

DAYSLIVED – Facebook

I Pazzi Del Riformatorio – About Life (In The Rubbish)

About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.

I Pazzi Del Riformatorio sono un gruppo progressive/alternative metal siciliano nato nel 2011 e questo lavoro venne pubblicato la prima volta tre anni dopo.

La band, dopo qualche anno di pausa, ritorna con una line up rivoluzionata e di fatto a tre, con i due membri fondatori, Marco Blandini (voce e chitarra) e Lorenzo Giannì (chitarra e voci) raggiunti da Francesco Zanotti (batteria).
Il primo passo dei “nuovi” I Pazzi Del Riformatorio è la riedizione dell’album d’esordio con l’aggiunta di due brani inediti (Centro Nichilista, Inri) e da uno in versione live (Atracrar).
About Life (In The Rubbish) è un lavoro originale che amalgama in modo sorprendente, progressive rock, alternative metal, indie ed attitudine punk rock: la band si supera in quei momenti dove il tutto è perfettamente inglobato in brani che non lasciano letture precise sulla strada intrapresa ma giocano a sorprendere chi ascolta.
La cosa buona è che il tutto riesce in brani e attimi in cui il progressive metal di scuola Dream Theater viene violentato da scariche alternative/indie per poi tornare a trame progressive addirittura di stampo settantiano.
In tutto questo ben di dio musicale il metal è il collante che tiene i generi ben saldi tra loro nell’economia di brani come God Is A Woman, la suite Democracy’s Slave e la thrash/punk Escape The Grave.
About Life (In The Rubbish) è un lavoro vario e formato da generi diversi, perciò entrare in sintonia con il sound del gruppo non è facilissimo, ma una volta trovatane la chiave di lettura si scoprirà un mondo di note liberate da confini e barriere.

Tracklist
1.Frankenstein
2.God Is Woman
3.I Pazzi Del Riformatorio
4.Democracy’s Slave
5.Last Chance
6.Green
7.Unforgivable
8.Escape The Game
9.Centro Nichilista (Bonus Track 2019)
10.Inri (Bonus Track 2019)
11.Atracar (Bonus Track 2019 – Live)

Line-up
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Basso, Tastiere, Voci
Francesco Zanotti – Batteria

Line-up 2014:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Salvo Ilacqua – Basso
Vincenzo Fiorilla – Tastiere
Francesco Zanotti – Batteria

Line-up 2012:
Marco Blandini – Voci, Chitarre
Lorenzo Giannì – Chitarre, Voci
Elena Giudice – Basso
Francesco Zanotti – Batteria
Roberto Ferrara – Tastiere

I PAZZI DEL RIFORMATORIO – Facebook

Eva Can’t – Febbraio

Febbraio conferma appieno il valore degli Eva Can’t, la cui nuova veste assume contorni sempre più definiti, tali da non lasciare spazio a fraintendimenti riguardo al fatto che il percorso artistico di questa band bolognese sia sfociato in un sound a suo modo unico nel nostro panorama per stile e contenuti musicali e lirici.

Gravatum è stato in assoluto uno degli album cantati in italiano che, personalmente, ho più amato all’epoca della sua uscita, per cui riguardo a questa nuova produzione offerta dalla band guidata da Simone Lanzoni le aspettative erano notevoli.

Febbraio, ep contenente cinque brani per un totale di circa venticinque minuti di musica, vede un’ulteriore evoluzione verso una forma di cantautorato progressivo che ormai del metal degli esordi conserva solo poche ma ben inserite tracce.
L’intro strumentale Februus è ben più di quello che sovente è un semplice frammento volto a preparare il terreno al resto del lavoro, visto che il suo sviluppo consistente avvince ed avvolge fin da subito, rivelandosi l’ideale e non banale per premessa per l’episodio chiave Vermiglia, una canzone superba a livello lirico e musicale, con la quale Lanzoni sembra trarre linfa vitale dalla rinomata scuola cantautorale della sua Bologna, con il tutto ovviamente rivisto ed attualizzato con il background della band.
Di fronte ad un simile gioiello intriso di emotività, i restanti brani rischiano di venire offuscati ma questo non succede perché il livello di intensità del lavoro si mantiene elevatissimo, prima con Candele, in cui certi passaggi strumentali più evocativi quanto aspri rievocano nella parte conclusiva i migliori Primordial, poi con la title track, il cui avvio leggermente in sordina viene ampiamente compensato da una seconda parte nelle quale la chitarra solista si prende la scena e, infine, con il rock movimentato anche dal growl di Finale, degna chiusura di un lavoro di grande spessore.
Febbraio conferma appieno il valore degli Eva Can’t, la cui nuova veste assume contorni sempre più definiti, tali da non lasciare spazio a fraintendimenti riguardo al fatto che il percorso artistico di questa band bolognese sia sfociato in un sound a suo modo unico nel nostro panorama per stile e contenuti musicali e lirici.

Tracklist:
1. Februus
2. Vermiglia
3. Candele
4. Febbraio
5. Finale

Line-up:
Simone Lanzoni: guitars, vocals
Diego Molina: drums
Luigi Iacovitti: guitars
Andrea Maurizzi: bass

EVA CAN’T – Facebook

Tim Bowness – Flowers At The Scene

Flowers At The Scene nulla aggiunge e nulla toglie al precedente lavoro ed alla discografia solista di Bowness, risultando un album destinato ad essere amato dai fans dei due artisti che lo hanno composto e probabilmente trascurato da tutti gli altri.

Torna Tim Bowness, cantante dei progsters No-Man con un nuovo album a distanza di un paio d’anni dal precedente Lost In The Ghost Of Light.

Il nuovo lavoro, scritto in coppia con Steven Wilson, vede come in passato una serie di ospiti di spicco come Peter Hammill (Van Der Graaf Generator), Andy Partridge (XTC), Kevin Godley (10cc), Colin Edwin (Porcupine Tree), Jim Matheos (Fates Warning), David Longdon (Big Big Train), il co-produttore Brian Hulse (Plenty), il trombettista australiano Ian Dixon e i batteristi Tom Atherton e Dylan Howe, tra gli altri, a valorizzare queste undici composizioni all’insegna di un rock elegante e raffinato ma che, come già nel disco precedente, fatica a lasciare il segno.
Infatti anche questo nuovo Flowers At The Scene promette tanto ma mantiene solo in parte: gli ospiti fanno parte della crema del rock progressivo mondiale, la musica si muove sinuosa e delicata, pregna di note d’autore ma senza picchi emozionali, arrivando in fondo ai suoi tre quarti d’ora senza particolari squilli.
Da due artisti come Bowness e Wilson ci si aspetterebbe qualcosa in più, invece l’album continua la strada intrapresa in precedenza, con atmosfere e sfumature pink floydiane a rappresentare i momenti più alti dell’opera (It’s The World, Ghostlike).
Flowers At The Scene nulla aggiunge e nulla toglie al precedente lavoro ed alla discografia solista di Bowness, risultando un album destinato ad essere amato dai fans dei due artisti che lo hanno composto e probabilmente trascurato da tutti gli altri.

Tracklist
1.I Go Deeper
2.The Train That Pulled Away
3.Rainmark (feat. Jim Matheos)
4.Not Married Anymore (feat. Dylan Howe)
5.Flowers At The Scene (feat. Jim Matheos)
6.It’s The World (feat. Peter Hammill, Jim Matheos, Steven Wilson)
7. Borderline (feat. Dylan Howe, David Longdon)
8.Ghostlike
9.The War On Me
10.Killing To Survive (feat. Peter Hammill)
11.What Lies Here (feat. Kevin Godley, Andy Partridge)

Line-up
Tim Bowness – vocals, backing vocals, ukulele, trumpet and guitar loops

Guests:
Brian Hulse – synth/keyboards, guitar, drum programming
Peter Hammill – guitar and vocals, backing vocals
James Matheos – guitar
Andy Partridge – guitar
Ian Dixon – trumpet
Aleksei Saks – looped trumpet
Colin Edwin – bass / double bass / fretless bass
David K Jones – bass / double bass
Tom Atherton – drums
Dylan Howe – drums
Charles Grimsdale – drums
Kevin Godley – vocals
David Longdon – backing vocals, flute, melodica
Steven Wilson – synth, additional drum programming
Alistair ‘The Curator’ Murphy – string arrangement
Fran Broady – Bridge 5 string electro-acoustic violin, octave violin

TIM BOWNESS – Facebook

Devin Townsend – Empath

I ventitré minuti della conclusiva Singularity potrebbero valere quale sunto di tutto l’album, ma sarebbe come estrapolare da un’opera letteraria di oltre mille pagine un solo capitolo: resta solo da trovare il tempo, prealtro speso benissimo, per dedicarsi all’ascolto di questo capolavoro.

Empath è un album la cui musica potrebbe riempire le discografie di almeno dieci gruppi di generi totalmente diversi uno dall’altro.

Dopo la quantità di materiale ascoltato credo che questo sia il modo più semplice per descrivere l’ultimo capolavoro di quello che probabilmente (gusti a parte) è uno dei geni della musica moderna, un esempio fulgido di come il rock stia all’arte tanto quanto le più “nobili” forme musicali di stampo classico.
Un quadro di colori in costante mutazione, la musica che Devin Townsend ha creato per Empath non trova eguali o facili paragoni, è solo lucida follia tramutata in note che, come sempre, sorprendono ad ogni passaggio ora magniloquente, ora estremo, ora pervaso da una matrice elettronica che, girata la pagina di questo magico spartito, si trasforma in opera a tutti gli effetti.
Lo chiamano progressive, ma sinceramente la musica del canadese è lontana da qualsiasi genere specifico, essendo ormai di livello talmente superiore da rendere difficilissimo termini di paragone, per cui ci si può solo prendere un’ora abbondante della propria vita per perdersi nel mondo musicale di Townsend.
Empath è monumentale in tutto, a partire da un’infinita serie di ospiti infinita, tra i quali Mike Keneally (Frank Zappa) come direttore artistico ed altri come Morgan Ågren (Mats And Morgan, Frank Zappa, Fredrik Thordendal), Anup Sastry (Monuments, Periphery), Samus Paulicelli (Decrepit Birth, Abigail Williams), Nathan Navarro, Elliot Desagnes, Steve Vai, Chad Kroeger, Anneke Van Giersbergen, Ché Aimee Dorval, Ryan Dhale e The Elektra Women’s Choir, arrivando poi ad un cd bonus di materiale extra, per un pieno di musica che passa dal thrash, all’elettronica, dall’opera al grindcore, dal funky/jazz al symphonic metal, in un delirio artistico in realtà perfettamente studiato.
I ventitré minuti della conclusiva Singularity potrebbero valere quale sunto di tutto l’album, ma sarebbe come estrapolare da un’opera letteraria di oltre mille pagine un solo capitolo: resta solo da trovare il tempo, prealtro speso benissimo, per dedicarsi all’ascolto di questo capolavoro.

Tracklist
1. Castaway
2. Genesis
3. Spirits Will Collide
4. Evermore
5. Sprite
6. Hear Me
7. Why?
8. Borderlands
9. Requiem
10. Singularity 1) Adrift 2) I Am I 3) There Be Monsters 4) Curious Gods 5) Silicon Scientists 6) Here Comes The Sun!

Bonus CD “Tests of Manhood”:
1. The Contrarian (Demo) 2. King (Demo) 3. The Waiting Kind (Demo) 4. Empath (Demo) 5. Methuselah (Demo) 6. This Is Your Life (Demo) 7. Gulag (Demo) 8. Middle Aged Man (Demo) 9. Total Collapse (Demo) 10. Summer (Demo)

Line-up
Genesis:
Drums: Anup, Morgan & Samus
Bass: Nathan
Additional Vox: Elektra, Ché & Elliot
Additional Guitar and Keys: Mike Keneally
Spirits Will Collide:
Drums: Anup
Bass: Dev
Additional Vox: Elektra and Elliot
Evermore:
Drums: Anup
Bass: Nathan and Dev
Additional Vox: Elektra and Elliot
Sprite:
Drums: Morgan
Bass: Dev
Additional Vox: Elektra, Elliot, Josefa & Nolly
Hear Me:
Drums: Samus
Bass: Dev
Additional Vox: Anneke Van Giersbergen and Chad Kroeger
Why?:
Drums: Morgan
Bass: Nathan
Additional Vox: Elektra and Elliot
Additional Guitar and Keys: Mike Keneally
Requiem:
Vox: Elektra
Borderlands:
Drums: Anup and Morgan
Bass: Dev and Nathan
Additional Vox: Elektra, Jessica, Eric
Severinsen, Zim, Mike Keneally & Jess
Vaira
Additional Guitar and Keys: Mike
Keneally, Scott Reinson & Ryan Dahle
Singularity:
Drums: Anup, Morgan & Samus
Bass, Dev and Nathan
Additional Vox: Elektra, Anneke and
Elliot,
Whistles: Callum
Additional Guitar and Keys: Steve Vai and
Mike Keneally

DEVIN TOWNSEND – Facebook

Freddy Delirio And The Phantoms – The Cross

Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, Freddy Delirio ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.

Uno dei musicisti più importanti della scena rock/progressive e metal tricolore, storico tastierista dei leggendari Death SS e protagonista di molti altri progetti che lo hanno visto coinvolto, torna con un nuovo album di inediti.

Federico Pedichini, conosciuto come Freddy Delirio, tramite la label genovese Black Widow licenzia The Cross, cinquanta minuti di ottima musica rock divisa in undici capitoli sotto il monicker Freddy Delirio And The Phantoms.
Come in una colonna sonora di un film fantasy/gothic/horror anni ottanta, il musicista toscano ci prende per mano e ci conduce in un mondo parallelo, in cui fantasmi e spiriti si muovono attraverso il tempo in una loro dimensione ancestrale.
Dall’opener Frozen Planets in poi questo scrigno di musica senza tempo si apre davanti a noi: le ritmiche sono da subito grintose, e l’aura metallica del brano potrebbe ingannare l’ascoltatore, caricato di energia hard & heavy anche dal secondo brano, la splendida Guardian Angel.
Ma le porte del castello posseduto si aprono con Inside The Castle, primo capolavoro di questo lavoro, un brano orchestrato su atmosfere space/horror e valorizzato da un assolo di chitarra da brividi.
Con The Circles si entra nel cuore dell’opera, un brano horror che con il successivo In The Fog disegna paesaggi grigi di bruma, illuminati dagli occhi glaciali delle fiere nascoste tra i cespugli.
L’atmosfera di The Cross, anche grazie al superbo lavoro di Delirio alle tastiere e ad assoli chitarristici che sprizzano melodie heavy come sangue da un’arteria tagliata, alterna momenti di tensione altissima con passaggi più liquidi che si avvicinano alla new wave, per poi esplodere in cavalcate prog metal (Afterlife) o dark rock (In The Forest).
La conclusiva The Ancient Monastery è anche il brano più lungo dell’album, con il quale la band si congeda con un doom/dark/rock di scuola italiana, tradizione musicale di cui è pregno The Cross, album da avere a prescindere dai generi a cui si ispira.

Tracklist
01. Frozen Planets
02. Guardian Angel
03. Inside The Castle
04. The Circles
05. In The Fog
06. The New Order
07. Afterlife
08. In The Forest
09. Liquid Neon
10. Cold Areas
11. The Ancient Monastery

Line-up
Freddy Delirio: Vocals, keyboards, guitars, bass and drums

Special guests:
Vincent Phibes: Guitar solos and clean guitars on “In the fog”, “Cold areas” and “The ancient monastery”
Francis Thorn: Guitar solos and additional guitars on “Frozen planets”, “Guardian angel”, “Liquid neon” and “In the forest”
Lucky Balsamo: Guitar solos on “Inside the castle”, “The new order” and “The circles”
Jennifer Tavares Silveira: Female vocals
Elenaq: Female vocals
Steve Sylvester: Vocal chorus on “The new order”
Francesco Noli: Drums
Chris Delirio: Percussion

FREDDY DELIRIO – Facebook

Hex A.D. – Netherworld Triumphant

Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Terzo full length per i rockers norvegesi Hex A.D., quartetto che fa delle sonorità vintage la sua prerogativa.

La band norvegese asseconda la tradizione scandinava per i suoni hard rock di matrice settantiana, li potenzia con mid tempo di ispirazione doom classica e li personalizza con atmosfere progressive, per un risultato che va oltre le aspettative, almeno per chi ancora non si era imbattuto nei suoi lavori.
Netherworld Triumphant è dunque un album che soddisferà non poco gli amanti del rock pesante di matrice classica, un mix perfetto di Deep Purple, Uriah Heep e primi King Crimson, votati alla musica del destino.
Himmelskare funge da intro prima che il gruppo capitanato dal vocalist e chitarrista Rick Hagan cominci a disegnare su uno spartito vintage tappeti di musica maggiormente progressiva, nelle due parti della title track che formano dieci minuti abbondanti di rock duro di ottima qualità.
L’uso dell’hammond conferisce quel tocco lordiano ai brani che risultano il punto di forza del sound firmato dagli Hex A.D., i quali continuano a macinare grande rock con il doom sabbathiano della pesantissima Warchild, brano potente ed evocativo perfetto per chi ama in egual misura Black Sabbath ed Uriah Heep.
Sette brani per cinquanta minuti calati alla perfezione in una musica che, se prende ispirazioni ed influenze dalle band storiche citate, si avvale di un buon songwriting che non lascia indifferenti.
La lunga Ladders To Fire chiude alla grande questo nuovo lavoro con i suoi tredici minuti di sunto compositivo, tra lenti passaggi doom, hard rock e slanci progressive.
Netherworld Triumphant risulta quindi un ritorno altamente riuscito da parte della band norvegese, altra ottima band dalle sonorità vintage in arrivo da quel paradiso musicale che è la penisola scandinava, almeno per quanto riguarda le sonorità rock e metal.

Tracklist
1. Himmelskare
2. Skeleton Key Skeleton Hand
3. Netherworld Triumphant pt. I
4. Netherworld Triumphant pt. II
5. WarChild
6. Boars On Spears
7. Ladders To Fire

Line-up
Rick Hagan – Vocal, guitar
Mags Johansen – Organ, mellotron, keyboard
‘Arry Gogstad – Bass
Matt Hagan – Drums

HEX A.D. – Facebook

N.Ex.U.S. – N.Ex.U.S.

N.Ex.U.S. è un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare.

N.Ex.U.S. è un progetto musicale nato dall’unione artistica di Christian “Jeremy” Checchin (chitarra) e Fausto “Tex” Tessari (tastiere), partiti con la loro avventura nel mondo del rock progressivo nel 2015 condividendo l’esperienza con alcune cover band per poi arrivare all’importante decisione di scrivere brani propri.

Col tempo ai due musicisti si sono aggiunti Tommaso “Tommy” Galeazzo, Daniele Gallan, e Fabio Tomba a formare la line up che ha dato vita, sotto la supervisione di Alessandro Del Vecchio, questo debutto omonimo licenziato da Logic Il Logic Records & Burning Minds Music Group.
Ne esce un album affascinante e maturo, fuori dai cliché del progressive ipertecnico ma poco curato nel songwriting, per intraprendere una strada che porta alla valorizzazione dell’opera nel suo insieme e di una serie di brani che sono le dieci tappe di un percorso che il gruppo ci invita ad affrontare: un progressive rock che si nutre di impulsi metallici ed atmosfere pomp rock in un contesto moderno, accomunando in un unico sound spunti forniti dal new prog, dalla tradizione settantiana e dall’heavy metal.
Le ispirazioni dei N.Ex.U.S sono tante e perfettamente leggibili in un sound che risulta comunque personale, dando sfoggio ad un ottimo talento per l’aspetto melodico che si fa prepotentemente spazio tra la cascata di note che ci travolge in brani come la strumentale …The System, la progressivamente metallica Land Of Misery e la splendida John Doe.
I musicisti sfoggiano buona tecnica messa comunque al servizio di un songwriting di alto livello e l’ascolto dell’album ne giova non trovando ostacoli e arrivando alla fine con la voglia di ripremere il tasto play.
Progressive rock/metal di spessore dunque da parte di questa nuova scommessa targata Logic Il Logic Records/Burning Minds Music Group, assolutamente da non perdere se siete amanti dei suoni progressivi.

Tracklist
1.Loading…
2…The System
3.Empathy
4.A Man Without A Soul
5.Land Of Misery
6.Reflections
7.The Mercenary
8.Another Shore
9.John Doe
10.Final Act: A New Humanity

Line-up
Tommaso “Tommy” Galeazzo – Vocals
Christian “Jeremy” Checchin – Guitars
Fausto “Tex” Tessari – Keyboards
Daniele Gallan – Bass
Fabio Tomba – Drums

N.Ex.U.S. – Facebook