Stone Machine Electric – Darkness Dimensions Disillusion

Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore.

Gli Stone Machine Electric sono un duo texano dall’approccio poco convenzionale alla musica, creando sonorità molto eteree che portano l’ascoltatore molto in alto.

I due sono qui al nono lavoro in studio, dando prova di una gioiosa bulimia musicale che li porta a giocare con gli strumenti e a trovare sempre nuove melodie, molto minimali ma assai ricche di chitarra e batteria. Come è facile da notare frequentando i lidi della musica alternativa, i duo chitarra e batteria abbondano, specialmente in ambito heavy blues, ma quelli validi non sono molti. Gli Stone Machine Electric risiedono decisamente nei gruppi validi, avendo un tocco che tocca molti generi senza mai andare a fossilizzarsi, ricercando sempre la distorsione perfetta, il giro di chitarra e batteria che ti piove addosso, in quelle jam che si spostano veloci come nuvole ventose in cielo, senza mai lasciare il tempo di trovare una coordinata musicale e di genere. Fughe, stop e riprese, il tutto per un lavoro intenso che non lascia mai nulla al caso, creativo e stimolante senza essere onanistico come altre produzioni di questo genere. Il tutto è irrobustito da una dose costante di psichedelia pesante che potenzia l’opera dei Stone Machine Electric. Un disco che è l’esatto opposto di commerciabilità, con il suo tracciato onirico e di musica senza fissa dimora che regala notevole piacere all’ascoltatore. La loro produzione è fitta, e questo episodio non è forse il migliore, ma è sicuramente una summa molto precisa di cosa sia questa band texana.

Tracklist
1.Sum of Man
2.SAND
3.Circle
4.Purgatory
Line-up
Dub – Guitar/Vocals
Kitchens – Drums/Vocals/Theremin

https://www.facebook.com/StoneMachineElectric/

Dury Dava – Dury Dava

Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion.

Dalla Grecia arriva uno dei gruppi più estremi per quanto riguarda la psichedelia più oscura e generatrice di visioni.

Il nuovo lavoro del gruppo ateniese, che canta in greco, è un rito panico che attraverso l’astrazione e la interdimensionalità conduce in uno spazio fisico molto diverso da quello attuale. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion. Ma si badi bene che questo disco non è un guazzabuglio di suoni, quanto un bellissimo collettore di tanti momenti diversi, e chi ama certe sonorità che sanno essere sia eteree che pesanti in questo album troverà molta gioia. Le canzoni sono costruite in modo da svilupparsi in maniera mai lineare, ma cercando spazio nello spazio, usando quasi tutti gli strumenti presenti nel globo, per andare molto lontano. Si perde la cognizione del tempo, anche perché non esiste nessuna fretta, non ci sono obiettivi o soft skills, si cerca e si trova nutrimento per il nostro cervello stremato da cose ed orpelli inutili, ma che noi consideriamo essenziali. I Dury Dava riportano tutto al suo posto, confezionando un disco che è allo stesso tempo febbrile e curativo. Come quando si assume del peyote, prima qualcosa esce dal nostro corpo e poi si comincia il viaggio, e dopo non si è più come prima. Infatti nelle canzoni che sono contenute in questo disco la forma canzone è davvero obsoleta, e si supera anche quella della jam, per entrare in un altro stato mentale. E proprio la diversione psichica ciò che ricerca questo incredibile gruppo con un disco che pesca anche nella tradizione musicale greca e turca, l’oriente più vicino a noi. Dentro si possono trovare tantissimi generi, dal krautrock al prog, dal kosmische alla psichedelia anni sessanta, e anche alcune strutture della jazz fusion: un altro sguardo e tanta ottima psichedelia per un gruppo da scoprire.

Tracklist
1. Africa
2. Triptych
3. Come Again to
4. Satana
5. Zoupa
6. Summer
7. 34522
8. Ataxia
9. Tarlabasi
10. Kane Ligo Alithina

DURY DAVA – Facebook

Tenebra – Gen Nero

Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie.

I Tenebra da Bologna sono composti da Claudio al basso, Emilio alla chitarra e Mesca alla batteria, elementi dalla scena hardcore e post-hardcore cittadina (Settlefish, Ed, Gravesite, Assumption) che gravitava intorno allo spazio Atlantide Occupata, un vero posto per la cultura e tanto altro, chiuso dalla mano bieca del capitalismo.

La cantante Silvia è la più giovane del gruppo e con la sua voce ci porta per mano in una nuova stagione dell’amore occulto. Il loro disco d’esordio è composto da una buona miscela di hard blues, psych e fuzz con momenti molto stoner. La forza della loro proposta sta nel grande vigore musicale e nella bellezza di jam che sono diventate canzoni. Il disco è in download ad offerta libera sul loro sito, e come affermato molto correttamente da loro fotografa la forma che il gruppo aveva nel febbraio 2018, poiché ora è sicuramente altro. In teoria i dischi dovrebbero essere proprio questo, foto di un preciso momento di un gruppo, ma non dovrebbero essere nulla di pienamente caratterizzante, perché già dalla seduta successiva in sala prove potrebbe essere già tutto diverso e mutato radicalmente. Gen Nero è un bella dichiarazione musicale di amore per la musica pesante con l’animo blues, di cui vi sono molti esempi ma pochi possiedono la profondità dei Tenebra, che possono anche vantare una voce davvero adeguata al tutto. Ciò che colpisce è il grande senso del ritmo e della sinuosità che ha questa band, che riesce a rendere interessante ognuna della sei tracce di questo esordio. Si prendono le mosse dalla tradizione dei sessanta e dei settanta, ma in mano ai Tenebra diventa qualcosa di nuovo che si rinnova dentro le nostre orecchie. Molto forte è il lato occulto ed oscuro di un lavoro che si rifà apertamente all’alchimia, in una maniera molto intelligente ed adeguata. Un esordio molto positivo, aspettando la prossima mutazione.

Tracklist
1.In Tenebra
2.Cornered
3.Nostalgia
4.Scarlet Woman
5.Solve Et Coagula
6.Ex Tenebra

Line-up
Silvia: vocals
Emilio: guitar
Claudio: bass
Mesca: drums

TENEBRA – Facebook

Geezer – Spiral Fires

Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Il trio statunitense Geezer è uno di quei gruppi che ad ogni nuova pubblicazione alza lo standard del proprio genere, in questo caso lo stoner con forti influenze blues e psych.

In questo nuovo ep la band fa quello che le riesce meglio, ovvero musica pesante con un groove importante. La miscela sonica dei Geezer raccoglie vari elementi dagli ultimi cinquant’anni di musica psichedelica americana, a partire dalle visioni sonore degli anni sessanta e settanta, arrivando ad un certo doom degli anni ottanta, scarno e molto vicino al blues. Tutto ciò ed altro ancora lo possiamo ritrovare in questo disco, che nasconde molte sorprese. Spiral Fires ha degli uncini che vi trascineranno lontano, le distorsioni sono tutte al loro posto e hanno un gran bell’effetto sulle nostre menti assetate di viaggi psichedelici. Non a caso questo disco esce per Kozmik Artifactz, un’etichetta che ha sempre prodotto psichedelia pesante in molte declinazioni diverse. Rispetto all’ultimo disco del 2017, Psycchoriffadelia, le atmosfere sono simili ma c’è una presenza inferiore della componente blues, anche se mantengono sempre una struttura musicale fortemente debitrice al suono del delta del Mississipi. Le frequenze dei Geezer non appartengono tutte a questa dimensione e vi porteranno oltre i vostri sensi. Nell’ambito underground i Geezer rappresentano una sicurezza, un gruppo che non sbaglia mai un disco, essendo animati da sincera passione per la musica ma anche baciati da una capacità di composizione non comune. Tradizione americana ma anche tanto altro per una band che possiede un groove piacevole e che ben si sposa con la forma dell’uscita discografica dell’ep, attraverso il quale riesce a comporre musica notevole senza dispersioni, facendo concentrare l’ascoltatore sul risultato.

Tracklist
1.Spiral Fires Part 1
2.Spiral Fires Part 2
3.Darkworld
4.Charley Reefer

Line-up
Richie
Turco
Pat

GEEZER – Facebook

Clouds Taste Satanic – Evil Eye

Evil Eye è molto vicino ad essere una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione, per un risultato al di fuori del comune.

I Clouds Taste Satanic sono uno dei migliori gruppi stoner psych in giro, non hanno mai sbagliato una canzone e con questo disco sanciscono la loro netta superiorità musicale.

Riff oceanici di sangue infetto travolgono comitive di non morti che partono per una crociata con direzione l’inferno. Questi newyorchesi hanno un suono unico che si sviluppa nei meandri di canzoni lunghe alle quali non si può resistere. Per questo ultimo lavoro, che sarà come annunciato il primo dei due loro dischi che usciranno nel 2019, hanno confezionato due canzoni di venti minuti circa l’una, una per ogni lato del vinile, per una magia nera che non lascerà scampo. Ogni riff ha una vita a sé stante, ed il gruppo trova sempre una soluzione sonora, uno svolgimento di un passaggio altresì difficile con naturalezza e gran classe. Scrivere di musica non è facile, e se si trattano i Clouds Taste Satanic è ancora più difficile, perché su Evil Eye ci si potrebbe scrivere un libro. Questo è un disco che contiene dolore, morte, estasi e tanti viaggi, ha un suo peso corporeo e fisico ma al contempo fa volare lontano, facendo dimenticare tutto ciò che ci sta intorno. Musicalmente è qualcosa vicino ad una sinfonia di rock pesante, con tanta psichedelia interpretata in maniera differente rispetto alla normale concezione per un risultato al di fuori del comune. Non è difficile capire perché i Clouds Taste Satanic godano di una grandissima reputazione underground, sono uno di quei gruppi che compiono un’evoluzione continua e di alta qualità proponendo un qualcosa di unico ed originale. Fare due pezzi di oltre venti minuti con dentro mille mondi, tenendo sempre alta la tensione e l’attenzione dell’ascoltatore può riuscire a pochi, e si tratta di musica pura, senza parole. Già dai primi riff di Evil Eye veniamo portati in una dimensione molto diversa dalla nostra, dove possiamo aspettarci di tutto, cosa che infatti accade. Evil Eye è uscito il 30 aprile, la notte di Valpurga, data di inizio dell’estate esoterica e cara ai satanisti. E non ci potrebbe essere colonna sonora migliore di questa. Il prossimo disco sarà fuori per Halloween 2019.

Tracklist
1.Evil Eye
2.Pagan Worship

Line-up
Steve Scavuzzo
Sean Bay
Greg Acampora
Brian Bauhs

CLOUDS TASTE SATANIC – Facebook

Good Moaning – The Roost

La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro.

Album di esordio per i baresi Good Moaning che fanno un bellissimo dream pop a tinte psichedeliche, molto intimo e delicato.

The Roost è un disco che non lascia indifferenti, innanzitutto per la capacità di entrare dentro al nostro cuore e di non lasciarlo più, con il suo incedere trasognato e comunque disilluso: ci sono i sogni ma bisogna fare bilanci e stare attenti, molto attenti. Si guarda alla grande tradizione americana, che è certamente la prima fonte di ispirazione, ma ci sono molte cose fluttuanti in questo album. Il gruppo barese è pressoché inedito a queste latitudini perché fa un dream pop che in Italia non siamo molto capaci a proporre, mentre a loro riesce benissimo aggiungendoci anzi molto di loro, ad esempio con una psichedelia latente che esplode quando meno te lo aspetti ad arricchire il tutto. Ascoltando The Roost si capisce che questi ragazzi hanno una conoscenza molto ferrata della materia, ma sono al contempo dei notevoli creatori di musica e il loro disco di esordio funziona come un film, in cui si procede sceneggiatura per sceneggiatura e non ci si riesce a staccare molto facilmente. La dolcezza qui è presente, ma è più un leccarsi le ferite, un cercare di andare avanti cercando strade alternative, che è poi ciò che fanno questi ragazzi con la loro musica, cercare altro. Ogni canzone ha più di un motivo di interesse, e tutto il disco è ben al di sopra della media, proprio perché nella media non ci rientra, è ostinatamente altro, anche nell’uso di qualche elemento di elettronica. C’è una canzone quasi alla fine del disco, Curtain, che è uno dei migliori esempi di come si possa creare un’atmosfera raccontando in poco più di tre minuti di come giocavamo a calcio sotto la pioggia, e di come ora nidifichiamo in angoli che cerchiamo di tenere al riparo dall’acqua che monta, ma non è facile. Ecco, The Roost è una raccolta di momenti così, che ognuno interpreterà come vuole, perché questa in fondo è musica evocativa. E non è poco.

Tracklist
1. mother-door
2. suitcase
3. incubus
4. the roost
5. cornwall
6. scarecrow
7. curtain
8. yousuck

Line-up
Edoardo Partipilo – vocals / guitar
Lorenzo Gentile – guitar
Marco Menchise – bass
Davide Fumai – drums / keyboards

GOOD MOANING – Facebook

Fungus Family – The Key Of The Garden

The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

La storia dei Fungus Family, band genovese che, non solo a mio parere, meriterebbe ben altra fama rispetto a quella ristretta agli appassionati più puri e duri del progressive, si arricchisce di un nuovo capitolo discografico, The Key Of The Garden, che va a chiudere la trilogia iniziata con Better Than Jesus (2010), seguito da The Face Of Evil (2014).

Il percorso del gruppo, che i più conoscono e continuano a chiamare semplicemente Fungus, è stata funestata dalla prematura scomparsa del fondatore e principale compositore AJ Blissett nel 2015, per cui non deve stupire se sono stati necessari cinque anni per dare un seguito al bellissimo precedente album.
AJ continua giustamente ad essere accreditato nelle note di presentazione come membro effettivo in qualità di compositore, e questo non deve apparire un semplice omaggio o un artificio retorico, perché appare evidente dall’ascolto di The Key Of The Garden come sia stata data grande continuità al suo impulso creativo sfruttando, probabilmente, molta della musica mai pubblicata che egli stesso ha lasciato in eredità, integrandola al meglio con un lavoro di squadra (ecco il senso di “Family” appunto) non così scontato in ambito progressive.
Del resto il sound dei Fungus incarna al meglio ciò che si intende per progressivo nell’accezione più pura del termine: i brani sono spesso in costante divenire, sorta di jam psichedeliche che lasciano spazio anche a evoluzioni strumentali che non scadono mai in onanistici virtuosismi, ma ciò non preclude la presenza di passaggi dall’enorme impatto melodico ed emotivo che rendono più facilmente assimilabile di quanto possa apparire un lavoro pur così sfaccettato.
Con l’imprimatur di un mito come Nik Turner, che suona il flauto in Eternal Mind (brano a dir poco meraviglioso, peraltro) ed il sax in Becoming to Be, Dorian Deminstrel e soci tra i gruppi contemporanei possono trovare un possibile, quanto puramente indicativo, termine di paragone nei folli e altrettanto psichedelici Bigelf, mentre loro stessi ci suggeriscono quali siano le loro band di riferimento coverizzando i Pink Floyd (See Emily Play) e i Family (The Weaver’s Answer), a cui possiamo aggiungere, volendo pescare nel mazzo, i Van Der Graaf Generator e gli imprescindibili King Crimson sessantiani, ma da sonorità talmente caleidoscopiche ed imprevedibili ognuno può rinvenire altri molteplici richiami.
Ciò che conta è che The Key Of The Garden si rivela un viaggio a ritroso nel tempo che non appare affatto nostalgico, in quanto sonorità che traggono linfa dagli anni d’oro del progressive vengono rielaborate con una freschezza ed una personalità che tengono alla larga quell’autoreferenzialità che spesso affligge diversi musicisti dell’epoca allorché si ripropongono ai giorni nostri.
Le lunghe Suite n. 5 (part 1) e 1q84 si rivelano ampiamente esaustive riguardo al talento e alle doti dei Fungus, i quali offrono un’ora circa di musica che non è per nulla facile da descrivere, per cui mi limito a dire che questi suoni appagano l’udito e l’anima, ma non solo; infatti, avendo avuto la possibilità di assistere alla presentazione dal vivo dell’album circa due mesi fa, la sensazione è stata che sul palco l’offerta della band acquisti, se possibile, ulteriore forza e profondità, grazie alla personalità del frontman e alla tecnica impeccabile dei suoi compagni d’avventura.
In definitiva, The Key Of The Garden è uno dei migliori album ascoltati di recente in ambito progressive e non ha assolutamente nulla da invidiare né a più pubblicizzate produzioni straniere, né a quelle dei nomi storici della nostra scena.

Tracklist:
1 Suite n. 5 (part 1)
2 Eternal Mind
3 Demo-crazy
4 1q84
5 Becoming to Be
6 Suite n. 5 (part 2)
7 See Emily Play (Pink Floyd Cover)
8 Holy Picture
9 The Weaver’s Answer (Family Cover)

Line-up:
Alejandro J. Blissett: Composer
Dorian Deminstrel: Lead & Backing Vocals, Acoustic Guitar
Carlo “ZeroTheHero” Barreca: Bass & Noises
Alessio “Fuzz” Caorsi: Electric Guitar
Claudio Ferreri: Organ, Piano & Keyboards
Cajo: Drums

featuring:
Nik Turner: Space Saxophone (Becoming to Be) & Magic Flute (Eternal Mind)
Daniele Barreca: Percussions (The Weaver’s Answer)

FUNGUS FAMILY – Facebook

Nibiru – Salbrox

Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità (in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato.

Torna il trio torinese Nibiru, fresco di contratto con l’etichetta inglese Ritual Productions.

I Nibiru non fanno musica nel senso tradizionale del termine, le loro produzioni sono rituali, tutte sono diverse una dall’altra, tutte possiedono un significato differente, come le loro esibizioni dal vivo. Se dobbiamo trovare dei riferimenti musicali, questi si possono rinvenire nello sludge estremo, nella psichedelia totale e in lunghe jams che sono fluidi più che canzoni. La loro carriera è una continua evoluzione, un guardare fissamente l’abisso, producendo lavori estremamente soggettivi, dove ognuno potrà dialogare con i propri angeli o demoni e con la sua vera natura che viene continuamente celata. Salbrox in linguaggio enochiano significa zolfo, e tutto il disco è incentrato sul processo alchemico del solve et coagula, dove l’alchimia è un mezzo ed una raffigurazione del processo che dobbiamo intraprendere noi stessi nell’abbandonare il nostro io per diventare qualcosa d’altro, in un continuo processo di nascita, morte, rigenerazione e rinascita. La musica di Salbrox si spinge ancora oltre i già estremi dischi precedenti, bisogna però considerare una per una le loro opere. In questo lavoro la produzione è ottima, il tutto è stato registrato in presa diretta al Music Lab Studio da Emiliano Pilloni, che riesce sempre a plasmare molto bene questa materia, e poi masterizzato da Brad Boatright all’Audiosiege. I Nibiru sono un gruppo antimoderno, perché la loro musica è rituale e tribale e ci riporta in un passato dove vive ancora la maggior parte delle nostre credenze più profonde, dove risiede il nostro vero significato. Questa non è arte per intrattenere ma è un’invocazione per spezzare le nostre catene, soprattutto mentali, e riprenderci la nostra capacità di mutare, divenendo consapevoli d’essere una continua rigenerazione e che questa vita è solo un passaggio, brutto o bello che sia. Salbrox conferma e fa ulteriormente avanzare un discorso musicale che non ha eguali in tutto il mondo. In particolare questo disco, sia con la musica che con i testi, punta l’attenzione sulla disarmonia e sul bilanciamento fra i vari piani dimensionali. Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità ( in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato. I testi in enochiano ed in italiano sono poi un’autentica meraviglia: moltissimi si atteggiano, i Nibiru no, e dovete sentire ciò che dicono: una delle loro svolte migliori è stato appunto affiancare l’italiano all’enochiano, per produrre un effetto unico nel sentire Ardath e la sua possessione nella nostra lingua. Dalla fluviale EHNB, vero e proprio manifesto di ciò che sono i Nibiru, e forse il loro migliore rituale fino ad ora, all’ultima RZIORN, è un qualcosa che come al solito segna, e questo Salbrox è davvero da studiare e da capire, come fosse un testo da esaminare. Forma musicale e spirituale unica, i Nibiru non sono per tutti né lo vogliono essere, e questo è un altro capolavoro. Ma è davvero difficile e abbastanza inutile parlare di questo disco, perché è un cammino da fare e alla fine dell’ascolto potreste non esserci più: l’unica cosa da dire, usando delle parole di Ardath, è che siamo soli, orrendamente soli, ma siamo anche luce. Tutto è complesso, difficile, distorto e forse chiaro, tutto sembra e non è al contempo. Nibiru.

Tracklist
SALBROX LP TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. BITOM

SALBROX CD & DL TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. ABALPT
6. BITOM
7. RZIONR

Line-up
Ardat – Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

11 Paranoias – Asterismal

Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi.

Gli 11 Paranoias sono un gruppo inglese di sludge e doom che portano il caos dentro la nostra vita, attraverso canzoni che sono degli inni alla pesantezza e alla lisergia, una psichedelia rituale e malata, estremamente affascinante.

Attivi dal 2011, questi inglesi fanno musica allo scopo di aprire canali verso altri mondi e altre dimensioni attraverso rituali in musica molto potenti. Le coordinate musicali sono quelle dello sludge più spinto, con incursioni in territori metal e nella psichedelia più potente. Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi. Il combo britannico è un punto forte del catalogo della Ritual Productions, un’etichetta che fa musica come canale per andare a scoprire altre dimensioni, allontanandosi dalla realtà per conoscerne altre, o anche per farci capire che la nostra non è l’unica. Il disco è molto organico e va sentito nella sequenza della tracklist, per vivere molti momenti intensi e di astrazione totale. Gli 11 Paranoias sono uno dei pochi gruppi davvero rituali nella musica pesante moderna, un altro di questi sono i torinesi Nibiru, anche loro recentemente accasatisi presso la Ritual Productions con un disco di prossima uscita. Asterismal è la manifestazione fisica e concreta di qualcosa di etereo e altro, un discendere attraverso chitarre ribassate per poter spiccare il volo. Tutto ha un fine ben preciso nel loro suono e ogni elemento si fonda con perfezione alchemica agli altri, a partire dalla bellissima copertina dell’inglese Toby Ziegler. Asterismal è anche l’ultima tappa di una trilogia di album che porterà a qualcosa d’altro a breve.

Tracklist
1. Loss Portal
2. Bloodless Crush
3. Vitrified Galaxy
4. Prelude
5. Slow Moon
6. Quantitative Immortalities
7. Chamber of Stars
8. Acoustic Mirror

Line-up
Adam Richardson – bass/vocals
Mike Vest – guitar
Nathan Perrier – drums

11 PARANOIAS – Facebook

Zaum – Divination

Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune.

La presunta era tecnologica nella quale stiamo vivendo è l’ultimo tratto di un percorso illuminato e positivista della storia umana, che dopo millenni e secoli di buio ha finalmente scelto la luce della scienza, della ragione e del progresso tecnologico.

Ma prima cosa era l’uomo? Cosa faceva, cosa credeva, quale era il suo rapporto con la natura e con le altre dimensioni? E’ tutto qui nel nuovo disco degli Zaum, un gruppo che rende la musica un’espressione che va ben oltre il suono, per arrivare ad aprirci il terzo occhio e permetterci di vedere oltre. Dell’immensa storia umana pre-antropocene è rimasto bene poco, ma qui si possono recuperare sensazioni e visioni che pensavamo perse. Doom, esplosioni sludge, suoni da epoche lontane, il tutto in tre pezzi di lunga durata per un gruppo che continua a stupire disco dopo disco. I canadesi Zaum stanno percorrendo un cammino musicale notevole e personale, facendo incontrare situazioni e codici musicali molto diversi fra loro. Se si dovesse indicare un’influenza si potrebbero citare gli Zu, soprattutto per l’andamento mai regolare delle canzoni, ma la poetica è diversa. Gli Zaum questa volta ci portano nell’antica Burma, dove la natura incontra le tenebre e dove antichi dei giacciono vicino agli uomini. La loro musica è un concetto avanzato di musica pesante, in cui Kyle Alexander McDonald alla voce e al basso, e Christopher Lewis alla batteria e percussioni, sono coadiuvati dalla splendida e misteriosa egiziano canadese Nawal Doucette, che è un grande valore aggiunto al tutto.
Incredibile come questo gruppo riesca a costruire meravigliosi paesaggi sonori senza le chitarre, che vengono sostituite da un’impalcatura sonora fuori dal comune. L’effetto è straniante, tutto è potente e visionario, Divination è il loro disco più compiuto e di alta qualità, non perchè gli altri non fossero buoni, ma questo ha qualcosa in più. Analizzando bene il suono degli Zaum, oltre ad una fortissima impronta di musica tribale, si può definire il tutto come psichedelia altra, sia per l’andamento della musica che per le visioni che provoca. Non è da tutti intraprendere un nuovo percorso sonoro interessante e d originale riuscendo a essere immediatamente riconoscibili dall’ascoltatore. Un disco che è un viaggio ma anche uno sguardo molto accurato su cosa sia davvero l’uomo.

Tracklist
1 Relic
2 Pantheon
3 Procession

Line-up
Kyle Alexander McDonald – vocals, bass, textures
Christopher Lewis – drums, percussion
Nawal Doucette – visual performance art, ambiance

ZAUM – Facebook

Weyes Blood – Titanic Rising

Il suono è il risultato di un incontro magico tra voce e strumenti abbastanza disparati, portando un qualcosa dalle parti di Enya ad incontrarsi con un certo pop sognante e fortemente retrò.

Titanic Rising di Weyes Blood è uno dei dischi più originali e spiazzanti degli ultimi anni.

Cantautorato pop di grande classe e versatilità, con la voce neoclassica di Natalie Mering che in pratica fonde i madrigali con il pop e l’elettronica, per un effetto sottomarino e dolcissimo. Il titolo è appositamente scelto per poter descrivere questo concept album sulla riemersione del Titanic e di tutto ciò che si porta dietro. Questo è il suo quarto disco, e per chi non la conoscesse ancora sappia che si è perso un’autentica meraviglia, un qualcosa di raro e prezioso. Natalie narra in senso medioevale, cantando parole che trasforma in magia, con una musica teatrale e assolutamente slegata dai generi ad accompagnarla. La trasfigurazione della realtà in un altro codice, una dichiarazione di guerra alla normalità, un sognare oltre i sogni. Infatti uno dei propositi di Natalie è proprio quello di andare oltre con questo disco, di crearsi definitivamente un percorso personale ed inedito e ci riesce benissimo. Il suo suono è il risultato di un incontro magico tra voce e strumenti abbastanza disparati, portando un qualcosa dalle parti di Enya ad incontrarsi con un certo pop sognante e fortemente retrò. Lei canta e sussurra, mentre la musica compie evoluzioni tipiche di una colonna sonora di un film sognante ed onirico. Ascoltare Titanic Rising è provare la meraviglia di un’epifania che non si ripete mai simile a se stessa ma cambia sempre, a seconda di cosa vuole dirci Weyes Blood. Ci sono infatti pezzi in stile film anni cinquanta, anche perché le orchestrazioni sono forti e ben presenti all’interno del disco, e danno un forte valore aggiunto. Anche il pop è molto ben rappresentato, ma tutte queste cose sono elementi dell’insieme che è un unicum musicale, come se tante tradizioni musicali e di narrazione avessero scelto di possedere questa donna minuta ma possente. Lei parla alla nostra anima con un album che potremmo paragonare a quello del compagno di etichetta Orville Peck per impatto ed originalità, anzi forse questo è maggiore. Una fonte inesauribile di emozioni e di musica originale.

Tracklist
1.A Lot’s Gonna Change
2.Andromeda
3.Everyday
4.Something to Believe
5.Titanic Rising
6.Movies
7.Mirror Forever
8.Wild Time
9.Picture Me Better
10.Nearer to Thee

WEYES BLOOD – Facebook

Elevators To The Grateful Sky – Nude

La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.

Sono passati cinque anni dal bellissimo debutto Cloud Eye e tre dal capolavoro Cape Yawn e il viaggio degli Elevators To The Grateful Sky nel rock degli ultimi trent’anni del secolo scorso continua con questo terzo album intitolato Nude.

Con un contratto nuovo di zecca con la label greca Sound-Effects Records, ed accompagnato dallo splendido artwork realizzato come sempre dal frontman Sandro di Girolamo, i rockers parlermitani tornano con un questi nuovi undici brani che confermano il loro status di spicco nella scena underground in ambito stoner/psych rock.
D’altronde i componenti della band hanno sempre dedicato il loro talento a più di un genere, passando con disinvoltura dal metal estremo al rock ed alle sue tante sfaccettature dimostrando di saper convincere sia come Elevators To The Grateful Sky che nelle altre incarnazioni Sergeant Hamster, Haemophagus, Undead Creep e Cavernicular, tanto per nominare quelle di cui nel tempo ci siamo occupati e che puntellano una delle scene più interessanti del nostro paese.
La band, in questo nuovo lavoro, torna alle sonorità che avevano caratterizzato il debutto, lasciando in parte lo spirito garage che aveva animato lo splendido Cape Yawn per un viaggio che dal deserto porta la band ancora una volta nelle strade della piovosa Seattle.
Ovviamente la parte psichedelica e stoner è ben presente nei vari brani che compongono Nude, con l’opener Addaura che come un trip sale, stonata e psichedelica e di matrice settantiana.
Il quartetto prepara il campo per quello che sarà l’album più vario scritto fino ad oggi, con una serie di ispirazioni ed atmosfere che vanno dagli anni sessanta ai novanta, trent’anni di rock e hard rock catapultati in un’opera che affascina e tiene incollati alle cuffie dalla prima all’ultima nota.
Beggars Can’t Be Choosers, Insects In Amber, lo stoner/doom di Flowerian, Song For July, In Your Hands (che ricorda non poco gli Alice In Chains), mostrano un gruppo dall’approccio più diretto rispetto al passato.
Manca in questo lavoro il brano da jam session come poteva essere la title track dell’album precedente, ma il suo fagocitare ispirazioni che vanno dai The Beatles agli Alice In Chains, dai Kyuss ai Nirvana, dai Black Sabbath ai Cathedral per restituirle sotto forma di un sound personale ed ormai riconoscibilissimo, contribuisce a rendere Nude un altro straordinario lavoro targato Elevators To The Grateful Sky.

Tracklist
1.Addaura
2.Beggars Can’t Be Choosers
3.Like A Seashell
4.Nude
5.Insects In Amber
6.Night’s Out
7.Flowerian
8.Drowned Dragness
9.Song For July
10.In Your Hands
11.The Trembling Watermoon

Line-up
Sandro di Girolamo – vocals and percussion
Giorgio Trombino – guitars, bass, alto saxophone, congas, keyboards, alternate lead vocals
Giuseppe Ferrara – rhythm guitars
Giulio Scavuzzo – drums, darbouka, tambourine, percussion and alternate lead vocals

ELEVATORS TO THE GRATEFUL SKY – Facebook

Julinko – Nèktar

Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei dischi che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse, un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Etereo, esoterico, dolce, lancinante e additivo viaggio messo in musica in maniera davvero originale per questo terzo disco della creatura sonica chiamata Julinko, il primo in forma di terzetto.

La dea musicale che ha dato avvio al tutto è Giulia Parin Zecchin, cantante, chitarrista e visionaria che fonda il gruppo a Praga nel 2015 e per varie tappe arriva a concepire questo piccolo capolavoro in una discografia già ottima. Il disco possiede un suono che fa nascere un universo tutto suo, lo stile musicale ingloba molte cose, molti rimandi e tante cose che rendono speciale il tutto. Per prima cosa spicca la voce di Giulia, che altro non è che una bellissima connessione ad un qualcosa di superiore, che si può capire solo se legato alla musica degli altri componenti del gruppo, Carlo Veneziano alla batteria e synth e Francesco Cescato al basso. Nèktar è un distillato di riverberi, psichedelia profonda e di un’oscurità che piano piano si prende tutto. C’è un senso di sogno, di visione alchemica che prepara a qualcosa d’altro, un non stare mai fermi in un mondo che vive nel buio e scava nei simboli. Come altri pochi esempi, Giulia è una sciamana che suona per far nascere o rinascere qualcosa di antico che è in noi dormiente. L’ispirazione del disco le è venuta in un momento di conoscenza indotta da agenti esterni ed interni che ha fatto diventare il Nèktar del titolo un percorso a ritroso dalla morte ad una nuova vita. Giulia taglia carni con la sua voce e la sua chitarra, che è come una spada oppiacea che uccide e fa godere, il resto del gruppo la segue benissimo, in un percorso che non può essere lineare, ma che è anzi scosceso e difficile come tutti i percorsi iniziatici. La musica è dolce e sinuosa, pericolosa e bellissima come il canto di una sirena. Musicalmente si segue una certa tradizione italiana fortemente underground che ha sempre dato ottimi frutti, quella di un certo tipo di psichedelia rumorista e lisergica di alta qualità. Nèktar è un disco che ha molte letture e regala tantissimi spunti diversi, è uno di quei lavori che porta l’ascoltatore lontano, in una terra dove le leggi fisiche non sono le stesse. Un sogno che chiede di mutare forma per essere capito in fondo, un disco di musica bellissima e psichedelicamente altro.

Tracklist
1.Into the Flowing Stream Plunge Me Deep
2.Deadly Romance
3.Venus’Throat
4.Leonard
5.The Hunt
6.Spirit
7.Servo
8.Death and Orpheus
9.The Woods, the Wheel
10.Nèktar

Line-up
Giulia Parin Zecchin – Guitar and Voice
Carlo Veneziano – Drums and Synth
Francesco Cescato – Bass

JULINKO – Facebook

Der Blutharsch and the Infinite Church of the Leading hand – Wish I Weren’t Here

Il progetto di Albin avanza ulteriormente e fragorosamente, se lo si legge in chiave musicale questo disco è una delle cose migliori che sia ultimamente uscita in campo psichedelico e non solo, perché qui ci sono forti elementi di new wave e di ottimo krautrock.

Continua l’immensa parabola musicale di Albin Julius aka Der Blutarasch, geniale e controverso artista che forse nei tempi passati sarebbe stato un magnifico musicista classico, ma che oggi sicuramente è un medium attraverso il quale la musica fluisce e si disperde nell’universo.

La prima fase della sua vita musicale è stata all’insegna del martial neofolk politicamente schierato nell’estrema destra, collaborando anche con Death In June. Dal 2011 la svolta psichedelica, cambiando nome in Der Blutarsch and The Infinite Church Of The Leading Hand. La cesura musicale con il passato è pressoché totale, dato che qui siamo nei territori della psichedelia più libera e visionaria, per un disco che cattura e porta lontani. La svolta di Albin, che con musicisti come Douglas Pearce, deus ex machina dei Death In June condivide la stessa visione estremamente contraddittoria dell’arte della vita, non gli ha procurato grandi elogi dal suo passato pubblico, mentre invece gli ha fatto guadagnare nuovi adepti tra chi ama la musica più visionaria ed eterea. Wish I Weren’t Here, oltre ad essere una manata nei coglioni ai Pink Floyd e alla musica alternativa tutta, è un disco libero e contundente, un qualcosa di totalmente slegato dalle logiche commerciali, la cosa più lontana che ci possa essere da una zona di comfort. Der Blutarsch con i suoi soci vuole fare male, penetrare nel profondo della nostra psiche modernamente devastata, rompere gli argini del facile, distorcere una realtà già distorta, in un infinito che si ripiega su se stesso. Il suono è dirompente, la voce femminile è quella di una sciamana che ci porta in una regressio ad infinitum, mentre il gruppo evolve in jam che tendono a dilungarsi, con tutti gli spazi riempiti ed il vacuum che non esiste. Il progetto di Albin avanza ulteriormente e fragorosamente, se lo si legge in chiave musicale questo disco è una delle cose migliori che sia ultimamente uscita in campo psichedelico e non solo, perché qui ci sono forti elementi di new wave e di ottimo krautrock. Al di là di qualsiasi altra considerazione, lasciamo parlare appunto la musica per ora, perché quella è ottima.

Tracklist
1.evil
2.wish I weren`t here
3.all one
4.make me see the light
5.just because I can
6.my soul rests free
7.forgotten
8.he is here
9.o lord

DER BLUTHARSCH AND THE INFINITE CHURCH OF THE LEADING HAND – Facebook

Dead Witches – The Final Exorcism

Lo scopo è sempre quello di soffocare l’ascoltatore, di chiudere i chiodi della bara quando esso respira ancora e ci riescono in pieno.

Torna alla grande Mark Greening, con il suo gruppo Dead Witches, per un disco di perdizione metallica e psichedelica.

Con The Final Exorcism i nostri arrivano al secondo album, tappa traditrice per più di un gruppo che loro superano brillantemente.
Intendiamoci, come formula non è nuova, ma questo suono che nasce con i Black Sabbath e viene trasformato dagli Electric Wizard, dei quali Greening è stato fondatore e batterista per poi andarsene con tantissime polemiche, qui viene portato al suo zenit, perfezionandolo ulteriormente. Le vibrazioni sono pesantissime, ed il disco è da ascoltare ad un volume furioso, allo scopo di far tornare i morti sulla terra e di farci sanguinare i nervi. La voce di Soozi Chameleone, che ha sostituito l’italiana Virginia Monti aka Psychedelic Withcraft, cantante del disco precedente Ouija, è tagliente, calda, alta e completa, e si sposa benissimo con il resto del loro suono. La chitarra è super distorta e macina riff giganteschi su riff giganteschi, il basso spinge avanti tutto e la batteria è la solita cavalcata infernale firmata Mark Greening. Lo scopo è sempre quello di soffocare l’ascoltatore, di chiudere i chiodi della bara quando esso respira ancora e ci riescono in pieno. Troviamo molta psichedelia in questo disco, infatti il suono è molto debitore degli anni sessanta e settanta, e come gli Electric Wizard i Dead Witches ne fanno una versione molto pesante e distorta, non necessariamente più moderna. Il disco pesca anche molto dall’immaginario horror, specialmente quello della defunta casa di produzioni Hammer, vero e proprio pilastro di film di dubbia qualità ma di grande impatto. Inoltre la differenza, nel caso dei Dead Witches, la fanno i particolari, perché ogni cosa è curata e ci sono riff e giri di batteria che si pongono per impatto al di sopra della media degli atri gruppi simili. Prova molto buona, sperando che non sia l’esorcismo finale.

Tracklist
1. There’s Someone There
2. The Final Exorcism
3. Goddess Of The Night
4. When Do The Dead See The Sun
5. The Church By The Sea
6. Lay, Demon
7. Fear The Priest

Line-up
Mark Greening – Assault and Battery
Oliver Hill – Guitar
Carl Geary – Fuzz Bass
Soozi Chameleone – Vox
Oliver Irongiant – Guitar

DEAD WITCHES – Facebook

Mammoth Weed Wizard Bastard – Yn Ol I Annwyn

Si conclude la trilogia iniziata nel 2015: cosmic doom per i gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard, band personale con una forte identità.

Si chiude la trilogia, intrapresa nel 2015 con “Noec Ac Anoeth” e proseguita nel 2017 con “Y Proffwyd Dwyll” e i gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard dimostrano, ancora una volta, di essere una band unica, capace di sedurre e ammaliare con il loro cosmic doom proiettato verso spazi oscuri e ancora insondati.

La band si è creata una propria identità nell’arco di breve tempo, quattro anni, e oggi con la nuova opera conclude il suo viaggio intergalattico regalandoci più di un’ora di suoni potenti, misteriosi variando la struttura degli otto brani, rendendoli assolutamente coinvolgenti. I cinque musicisti creano arte a un livello superiore immergendoci totalmente nel liquido amniotico delle loro influenze, siano esse atmosfere da “soundscapes” di immaginari film siano essi delicati abbozzi acustici, siano essi infiniti viaggi galattici; potenza, capacità melodica e fascino sono miscelati sublimamente e sono sovrastati dalla incredibilie e “otherwordly” voce di Jessica Ball, che con arti seduttive magiche è capace di penetrarti nel cuore e nel cervello senza più uscirne: le atmosfere incantate di Fata Morgana ci conducono in paesaggi fiabeschi e rilassanti, prima che le chitarre di Davies e Leon ristabiliscano tensione e potenza. La varietà di strutture ci porta ad assaporare lati melodici finora inediti della band che con i quattro minuti di Du bist jenzt nicht in der zukunft propone con affascinanti keyboards e suoni di archi un lato diversamente “pop” straniante e algido. L’uso abbastanza costante di moog e cello “colorano” le strutture dei brani ammorbidendo l’atmosfera che rimane comunque sempre tesa e viscerale; la ritmica incalzante e ipnotica della title track ci ricorda che la band, pur variando i suoni, ha ben chiaro in mente cosa vuol ottenere, un articolato e coinvolgente cosmic space doom. I brani sono molto ben suonati, mostrano una evoluzione lenta e costante e anche in uno strumentale lungo, come Katyusha, dall’incedere maestoso e sinistro, i musicisti mantengono grande convinzione e rendono i tredici minuti un lungo trip multidimensionale. Influssi del suono Hawkwind sono ormai perfettamente intessuti nei brani e un’ attitudine prog permea l’atmosfera generale; la band dichiara di non essere affatto interessata alla scena doom attuale, preferendo evolvere un suono che ora rappresenta completamente la loro identità. A detta del chitarrista Paul Davies l’eventuale sviluppo futuro del suono potrebbe essere un synth album, una soundtrack per un immaginario film, senza chitarre: progetto affascinante sicuramente ma spero ugualmente che la trilogia non ponga fine a questo progetto unico e assai affascinante.

Tracklist
1. Tralfamadore
2. The Spaceships of Ezekiel
3. Fata Morgana
4. Du bist jetzt nicht in der Zukunft
5. Yn Ol I Annwyn
6. Katyusha
7. The Majestic Clockwork
8. Five Days in the Abyss

Line-up
Jessica Ball – Vocals
James Carrington – Drums
Paul Michael Davies – Guitars, Effects
Wes Leon – Guitars, Effects
Stuart Sinclair – Bass

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

Teverts/El Rojo – Southern Crossroads

Southern Crossroads è uno split da non perdere per gli amanti dello stoner doom rock che vogliono approfondire la conoscenza della scena tricolore.

Questo split curato dalla Karma Conspiracy Records ci presenta due realtà psych/stoner provenienti dalle calde terre del sud Italia, Teverts ed El Rojo.

I due gruppi ci invitano ad una passeggiata nelle aride terre dove si respira l’afosa atmosfera del deserto americano che tanto ha ispirato le band storiche del genere.
I Teverts, con più di dieci anni di attività, un paio di lavori pubblicati ed una esperienza live che li ha portati a dividere il palco con nomi importanti della scena stoner/doom nazionale, ci ipnotizzano con il loro stoner rock venato di psichedelia.
Road to Awakeness ipnotizza con le sue sfumature che evidenziano una vena pinkfloydiana su un tappeto di rock duro proveniente dagli angoli più remoti della Sky Valley.
Un sound lavico, un sinuoso discendere lungo aridi crinali come micidiali serpi, questo risulta lo stoner rock dei Teverts.
Gli El Rojo arrivano dalla provincia di Cosenza, hanno pubblicato il loro debutto lo scorso anno (16 Inches Radial) e con The Longest Ride si avvicinano di più al doom classico rispetto ai loro compagni di split.
Un doom chiaramente pregno di umori stonati, potente, pachidermico, venato da ispirazioni settantiane e dalle band di casa Hellhound Records, è quello che troviamo in The Longest Ride, magnifico brano che in coppia con il precedente vanno a formare uno split da non perdere per gli amanti del genere che vogliono approfondire la conoscenza della scena tricolore.

Tracklist
01. Road to Awakeness (Teverts)
02. The Longest Ride (El Rojo)

Line-up
Teverts :
Phil – Guitars/voices
Mario – Bass
Angela – Drums

El Rojo:
Evo Borruso – Vocals
Luigi Grisolia – Guitar 2016 – 2018
Fabrizio Miceli – Guitar 2019 – now
Fabrizio Vuerre – Guitar
Pasquale Carapella – Bass
Antonio Rimolo – Drums

TEVERTS – Facebook
EL ROJO – Facebook

The Absense – Khronocracy

Il sound è grezzo, registrato sicuramente in presa diretta fuori da qualsivoglia ambizione commerciale e creato e suonato come un lungo rituale pagano, una sorta di jam divisa in sei capitoli in cui rock acustico, atmosfere psichedeliche fine anni sessanta ed un tocco di pazzia compositiva rendono il tutto a suo modo originale.

I The Absense sono un quartetto di ispirazione pagana composto dai due fratelli Siri (Luca e Michele) ai quali nel corso del tempo si sono aggiunti la cantante Gianna Pinotti e il batterista Luca Pagliari.

E proprio il tempo è al centro del concept che si muove dietro a questo lavoro, intitolato Khronocracy e licenziato dalla Sliptrick records.
Il sound è grezzo, registrato sicuramente in presa diretta fuori da qualsivoglia ambizione commerciale e creato e suonato come un lungo rituale pagano, una sorta di jam divisa in sei capitoli in cui rock acustico, atmosfere psichedeliche fine anni sessanta ed un tocco di pazzia compositiva rendono il tutto a suo modo originale.
Non è per tutti la musica dei The Absense, quindi l’avvicinarsi con cautela a litanie distorte come l’opener Black Trip o il brano autointitolato diventa quantomeno d’obbligo, così come quanto consigliarne l’ascolto a chi è maggiormente avvezzo al rock psichedelico e rituale nelle sue vesti più underground.

Tracklist
01. Black Trip
02. Storm
03. Down On Your Eyes
04. The Absence
05. Khronocracy
06. La Fin Du Monde

Line-up
Luca Siri – Guitar/Vocals
Gianna Pinotti – Vocals
Michele Siri – Guitars
Luca Pagliari – Drums

THE ABSENSE – Facebook

https://www.facebook.com/theabsense/videos/200671984171433/

Warp – Warp

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco questo trio israeliano che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom.

Questa macchina macina riff chiamata Warp proviene da Tel Aviv e debutta con questa mezzora di stordente e psichedelico lavoro omonimo.

Diverse ma ancora più estreme rispetto a quelle americane, le aree desertiche del loro paese hanno ispirato non poco i tre musicisti israeliani che corrispondono a Itai Alzaradel (chitarra e voce), Sefi Akrish (basso e voce) e Mor Harpazi (basso e voce), un trio che dimostra notevole competenza in fatto di psichedelia, stoner ed heavy doom con questa jam di mezzora divisa in otto brani potenti, drogati ed ispirati tanto dall’heavy rock settantiano, quanto dallo stoner/doom anni novanta.
Il riff viene rimesso sul trono del rock dagli Warp, stordente come i raggi del sole che scaldano la sabbia del deserto, accompagnato da liquide parti jammate dove psych e hard rock si fondono tra le rocce arroventate tra le quali stanno in agguato serpi e scorpioni micidiali in attesa del passaggio delle loro vittime.
Licenziato in cd dalla Reality Rehab Records ed in seguito nella versione in vinile dalla Nasoni Records, Warp ci fa viaggiare tra illusioni ottiche in cui appaiono oasi di musica fuori dal tempo, tra atmosfere dilatate, solos incisivi e blues sporco di hard rock stonato a caratterizzare brani come l’opener Wretched, Gone Man, Out Of My Life e la conclusiva Enter The Void.
Sleep, Orange Goblin, Radio Moscow sono i primi nomi che sovvengono tra gli indistinti miraggi che appariranno dopo le troppe ore trascorse al sole.

Tracklist
1.Wretched
2.Into My Life
3.Gone Man
4.”Confusion Will Be My Epitaph” Will Be My Epitaph
5.Intoxication
6.Out Of My Life
7.Hey Littly Rich Boy II
8.Enter The Void

Line-up
Itai Alzaradel – Lead Guitar, Vocals
Sefi Akrish – Bass Guitar, Vocals
Mor Harpazi – Drums, Vocals

Sergeant Thunderhoof – Terra Solus

Un viaggio a ritroso nel tempo, un’esplorazione musicale del cosmo, che attinge al cospirazionismo alieno con sonorità calde e valvolari, analogiche e vintage.

Gli inglesi Sergeant Thunderhoof già avevano impressionato in termini altamente positivi con Ride of the Hoof (2015).

Con questa quarta fatica, come sempre autoprodotta, la band britannica non fa altro che confermare – sin dalle bellissima copertina, stile Andromeda-Saturnalia – tutte le proprie indubbie qualità. Siamo in presenza di un heavy psych che guarda esplicitamente al passato (non di uno stoner moderno, come numerose volte in questi casi accade). In particolare, nelle otto tracce di questo Terra Solus, tutte di durata compresa tra i quattro e i nove minuti complessivi, si respira aria di fine anni Sessanta-primissimi Settanta. Arcadium, Pink Floyd, Astral Navigations e Dark paiono essere gli amori musicali del gruppo inglese, che ci dona un platter di suoni pesanti e ipnotici, scuri e fantascientifici. La scrittura è sempre abbastanza complessa, le ambientazioni sonore a tratti quasi siderali (vengono in mente pure i primi tre degli UFO oppure gli ultimi Move di Roy Wood, nonché gli Hawkwind degli esordi). Anche i titoli e testi dei vari brani confermano un’attitudine molto rock e spaziale. A livello lirico e ispirativo, i Sergeant Thunderhoof mettono inoltre in mostra testi molto colti ed intelligenti, complessi e sofisticati, consacrati per lo più a temi quali il cospirazionismo, gli Illuminati, la mitologia aliena e la tradizione esoterica ed astrologico-occulta. Vale davvero la pena di ascoltarli, nonostante non siano di facilissima reperibilità dalle nostre parti (ci si può rivolgere a Black Widow di Genova). Le edizioni in vinile, oltre ad essere magnifiche, rendono giustizia a tutto l’immaginario musicale e iconografico dei Sergeant Thunderhoof, un combo realmente senza tempo, capace di riportare in vita (nell’episodio conclusivo) pure certe ritmiche raga della Notting Hill di fine ’60.

Tracklist
1- Another Plane
2- Stellar Gate Drive
3- The Tree and the Serpent
4- B Oscillation
5- Diesel Breath
6- Priestess of Misery
7- Half a Man
8- Om Shaantih

SERGEANT THUNDERHOOF – Facebook