Green Oracle – Green Oracle

I brani sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno

I Green Oracle sono uno di quei gruppi che appartengono alla schiera degli sciamani musicali, iniziati che mettono in musica riti per accedere a dimensioni diverse dalla nostra.

Il disco omonimo è il loro debutto, esce per Argonauta Records e le tre canzoni sono già un proclama fin dai titoli, Please, Do, Hallucinogens. E infatti la loro musica è molto forte ed evocativa, con lunghe jam che sono canali di chiamata per spiriti interdimensionali ma che, alla fine, hanno lo scopo ultimo di cambiarci e di non lasciarci come prima. Musicalmente non ci sono frontiere ma solo limiti da superare, la musica è totale e avviluppa ogni cosa con potenza e dolcezza. Di fondo si potrebbe definirli degli Zu maggiormente rituali e profondi, ad esempio i giochi che fanno con le voci sono profondamente sciamanici, un esempio di qualcosa di molto antico che giace ancora dentro di noi se lo si vuole guardare. Le litanie musicali di Green Oracle sono vicine alla tradizioni ritual doom, ma vanno oltre. Le canzoni qui diventano altro, mutando a seconda delle intenzioni plasmatrici del creatore, offrendo una visione della musica rituale a trecentosessanta gradi. Sono presenti in maniera molto interessante e feconda dei sintetizzatori, che sono dei mezzi molto adeguati per indurre una trance. Incredibili anche le sezioni delle canzoni in cui le chitarre in drone si uniscono con le percussioni. La produzione è primitiva e raccoglie tutto il furore e l’urgenza di composizioni che vanno oltre la forma canzone. I tempi si dilatano e il sangue scorre meno velocemente, mentre il nostro cervello acquista potere ed una superficie psichica maggiore. Sono tre viaggi che fanno parte di un disegno più grande che ognuno coglierà in maniera diversa, perché qui si va a toccare il subconscio profondo di ognuno. Una bella congiunzione fra musica rituale e musica pesante, operata da un collettivo che ha ottime idee.

Tracklist
1. Please
2. Do
3. Hallucinogens

Line-up
Thomas Santarsiero
Matteo Anguillesi
Vanni Anguillesi
Giulia Mannocci

GREEN ORACLE – Facebook

Nibiru – Salbrox

Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità (in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato.

Torna il trio torinese Nibiru, fresco di contratto con l’etichetta inglese Ritual Productions.

I Nibiru non fanno musica nel senso tradizionale del termine, le loro produzioni sono rituali, tutte sono diverse una dall’altra, tutte possiedono un significato differente, come le loro esibizioni dal vivo. Se dobbiamo trovare dei riferimenti musicali, questi si possono rinvenire nello sludge estremo, nella psichedelia totale e in lunghe jams che sono fluidi più che canzoni. La loro carriera è una continua evoluzione, un guardare fissamente l’abisso, producendo lavori estremamente soggettivi, dove ognuno potrà dialogare con i propri angeli o demoni e con la sua vera natura che viene continuamente celata. Salbrox in linguaggio enochiano significa zolfo, e tutto il disco è incentrato sul processo alchemico del solve et coagula, dove l’alchimia è un mezzo ed una raffigurazione del processo che dobbiamo intraprendere noi stessi nell’abbandonare il nostro io per diventare qualcosa d’altro, in un continuo processo di nascita, morte, rigenerazione e rinascita. La musica di Salbrox si spinge ancora oltre i già estremi dischi precedenti, bisogna però considerare una per una le loro opere. In questo lavoro la produzione è ottima, il tutto è stato registrato in presa diretta al Music Lab Studio da Emiliano Pilloni, che riesce sempre a plasmare molto bene questa materia, e poi masterizzato da Brad Boatright all’Audiosiege. I Nibiru sono un gruppo antimoderno, perché la loro musica è rituale e tribale e ci riporta in un passato dove vive ancora la maggior parte delle nostre credenze più profonde, dove risiede il nostro vero significato. Questa non è arte per intrattenere ma è un’invocazione per spezzare le nostre catene, soprattutto mentali, e riprenderci la nostra capacità di mutare, divenendo consapevoli d’essere una continua rigenerazione e che questa vita è solo un passaggio, brutto o bello che sia. Salbrox conferma e fa ulteriormente avanzare un discorso musicale che non ha eguali in tutto il mondo. In particolare questo disco, sia con la musica che con i testi, punta l’attenzione sulla disarmonia e sul bilanciamento fra i vari piani dimensionali. Come e più dei lavori precedenti ci sono dei momenti di totalità ( in italiano non esiste una parola adatta a descriverli), in cui la saturazione musicale è al massimo ed è così raffinata che si raggiunge qualcosa simile ad uno stato di coscienza alterato. I testi in enochiano ed in italiano sono poi un’autentica meraviglia: moltissimi si atteggiano, i Nibiru no, e dovete sentire ciò che dicono: una delle loro svolte migliori è stato appunto affiancare l’italiano all’enochiano, per produrre un effetto unico nel sentire Ardath e la sua possessione nella nostra lingua. Dalla fluviale EHNB, vero e proprio manifesto di ciò che sono i Nibiru, e forse il loro migliore rituale fino ad ora, all’ultima RZIORN, è un qualcosa che come al solito segna, e questo Salbrox è davvero da studiare e da capire, come fosse un testo da esaminare. Forma musicale e spirituale unica, i Nibiru non sono per tutti né lo vogliono essere, e questo è un altro capolavoro. Ma è davvero difficile e abbastanza inutile parlare di questo disco, perché è un cammino da fare e alla fine dell’ascolto potreste non esserci più: l’unica cosa da dire, usando delle parole di Ardath, è che siamo soli, orrendamente soli, ma siamo anche luce. Tutto è complesso, difficile, distorto e forse chiaro, tutto sembra e non è al contempo. Nibiru.

Tracklist
SALBROX LP TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. BITOM

SALBROX CD & DL TRACK-LISTING
1. ENHB
2. EXARP
3. HCOMA
4. NANTA
5. ABALPT
6. BITOM
7. RZIONR

Line-up
Ardat – Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

11 Paranoias – Asterismal

Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi.

Gli 11 Paranoias sono un gruppo inglese di sludge e doom che portano il caos dentro la nostra vita, attraverso canzoni che sono degli inni alla pesantezza e alla lisergia, una psichedelia rituale e malata, estremamente affascinante.

Attivi dal 2011, questi inglesi fanno musica allo scopo di aprire canali verso altri mondi e altre dimensioni attraverso rituali in musica molto potenti. Le coordinate musicali sono quelle dello sludge più spinto, con incursioni in territori metal e nella psichedelia più potente. Lo stampo musicale degli 11 Paranoias è un magma musicale nel quale ci si perde anche grazie alle deflagrazioni sonore, il loro groove è potentissimo e cattura l’ascoltatore portandolo verso qualcosa di primordiale che ognuno ha dentro di noi. Il combo britannico è un punto forte del catalogo della Ritual Productions, un’etichetta che fa musica come canale per andare a scoprire altre dimensioni, allontanandosi dalla realtà per conoscerne altre, o anche per farci capire che la nostra non è l’unica. Il disco è molto organico e va sentito nella sequenza della tracklist, per vivere molti momenti intensi e di astrazione totale. Gli 11 Paranoias sono uno dei pochi gruppi davvero rituali nella musica pesante moderna, un altro di questi sono i torinesi Nibiru, anche loro recentemente accasatisi presso la Ritual Productions con un disco di prossima uscita. Asterismal è la manifestazione fisica e concreta di qualcosa di etereo e altro, un discendere attraverso chitarre ribassate per poter spiccare il volo. Tutto ha un fine ben preciso nel loro suono e ogni elemento si fonda con perfezione alchemica agli altri, a partire dalla bellissima copertina dell’inglese Toby Ziegler. Asterismal è anche l’ultima tappa di una trilogia di album che porterà a qualcosa d’altro a breve.

Tracklist
1. Loss Portal
2. Bloodless Crush
3. Vitrified Galaxy
4. Prelude
5. Slow Moon
6. Quantitative Immortalities
7. Chamber of Stars
8. Acoustic Mirror

Line-up
Adam Richardson – bass/vocals
Mike Vest – guitar
Nathan Perrier – drums

11 PARANOIAS – Facebook

Dark Buddha Rising – The Black Trilogy

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Per chi ama il metal psichedelico e rituale, un sottogenere apertamente esoterico e alienante, questa raccolta dei primi tre dischi dei finlandesi Dark Buddha Rising è un bellissimo regalo da parte della Svart Records.

Prima di accasarsi alla stessa Svart e incidere per la Neurot, gli sciamani finnici avevano rilasciato tre doppi dischi, Ritual IX del 2008, Entheomorphosis del 2009 e Abyssolute Transfinite datato 2011, sulla loro etichetta Post -RBMM con un bassa tiratura, diventando ben presto un feticcio per i collezionisti. Ora sono disponibili rimasterizzati e con una nuova veste, in doppio vinile, cd e download digitale. Inoltre c’è anche una bellissima edizione limitata in sette vinili che oltre a contenete i succitati lp ha anche al suo interno l’introvabile demo del 2007.
Definire la loro musica è molto difficile, diventa arduo anche decidere se sia musica, poiché qui gli strumenti musicali, inclusa la voce umana, sono usati per compiete rituali che aprono la mente a dimensione diverse a quella in cui viviamo. Infiniti giri di chitarra basso e batteria, che con frequenze diverse dal normale entrano nella nostra mente e grattano via le nostre idee mentali per aprirci delle porte. Ad esempio il rituale chiamato Ennethean, dal primo disco Ritual IX, ha una frequenza talmente bassa che farà vibrare tutto il vostro corpo, membra incluse. Ovviamente questa non può essere una proposta musicale per tutti: qualche curioso potrà essere un nuovo adepto di questo grandissimo gruppo, ma chi non ha la mente aperta non entri neppure qui. I Dark Buddha Rising sono uno dei pochi gruppi al mondo, inclusi i Nibiru da Torino, che fanno davvero musica rituale, ovvero un qualcosa che ci metta in contatto con mondi diversi, dentro e fuori da noi. Le coordinate spazio temporali qui perdono di significato, si viaggia per l’universo come la pallina di un flipper, oppure molto lentamente, con il terrore di incontrare gli Antichi di Lovecraft. Magia, arcaici archetipi che si fondono dentro di noi, perché ci sono sempre stati e questa musica rituale dei finlandesi li porta fuori o ce li fa semplicemente rivivere.
Un’operazione doverosa e ben condotta dalla Svart Records per riportare a galla delle gemme che si erano perse e per espandere le nostre coscienze.

Tracklist
– Ritual IX –

1.Enneargy
2.Enneanacatl
3.Enneathan
4.Enneathan

– Entheomorphosis –

1.Transperson I
2.Transperson II
3.Transcent
4.Nog Uash’Tem

– Abyssolute Transfinite –

1.Ashtakra I
2.Ashtakra II
3.Chonyidt 45
4.Sol’Yata

Line-up
V. Ajomo
M. Neuman
P. Rämänen
J. Rämänen
J. Saarivuori

DARK BUDDHA RISING – Facebook

Ayahuasca Dark Trip – Upaya

Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.

Upaya è un disco uscito originariamente nel 2017, per essere poi ristampato nel 2018 dall’italiana Argonauta Records.

Gli Ayahuasca Dark Trip sono una bestia che nasce e prolifera in diverse nazioni, come il Perù con Brayan Anthony, negli Usa con Indrayudh Shome dei Queen Elephantine (anche loro su Argonauta Records), Pedro Ivo Araújo dei Necro dal Brasile, la colonia olandese formata da Buddy van Nieuwenhoven dei Cosmic Nod, Floris Moerkamp e Robin van Rooij, e infine la Grecia con Sifis Karadakis. La loro proposta va ben oltre la musica, essendo un rituale vero e proprio, dove la sonorizzazione è solo uno degli aspetti coinvolti. Molti gli stili che qui trovano un rifugio sicuro, a partire da suoni provenienti da diverse zone del mondo e dei loro strumenti, dalla musica per meditazione per poi arrivare ad una psichedelia poco convenzionale, come dovrebbe essere questo genere. Decisamente difficile riuscire a descrivere questa musica usando solo le parole invece che le note: ascoltando Upaya si viaggia moltissimo, partendo dai nostri esordi primordiali, quando la musica era pienamente catartica e non mero intrattenimento, e serviva quale portale per accedere a dimensioni sconosciute e precluse a chi non voleva vedere oltre. Gli Ayahausca Dark Trip sono proprio come l’infuso da cui il gruppo prende il nome, che è un potente sostanza psicotropa e anche un purgante, perché il corpo umano fa entrare ed uscire molte cose: questo disco non può essere infatti ascoltato come si fa di solito con le musiche alle quali siamo abituati, ma deve essere potenziato usando sostanze o semplicemente mettendosi le cuffie ed estraniandosi. Il gruppo entra direttamente nel limitatissimo novero di gruppi che fa realmente musica rituale come i Nibiru (tanto per rimanere in casa Argonauta Records), pur se su piani differenti. Upaya è un’opera che piacerà a chi vuole qualcosa di più dalla musica e dalle sensazioni che essa genera, grazie anche ad elementi sonori che intrigheranno chi ama gruppi come gli Yob o i Neurosis.
Un rituale davvero riuscito, dedicato alla memoria di Robin Van Rooij, il 27enne batterista del gruppo, scomparso poco prima dell’uscita del disco.

Tracklist
1.Rhythm of the Caapi
2.Water from Above, Water from Below
3.The Vine
4.Eternal Return
5.Drowning in the Godhead
6.Gathering Psychotria

Line-up
Indrayudh Shome
Floris Moerkamp
Buddy Van Nieuwenhoven
Sifis Karadakis
Thijs Meindertsma
Pedro Ivo Araujo
Brayan Anthony
Robin Van Rooij

AYAHUASCA DARK TRIP – Facebook

Nibiru – Netrayoni

Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola.

Netrayoni dei torinesi Nibiru è un disco che non è ascrivibile ad una sola dimensione, perché più che musica è un fluido che si espande in diverse direzioni, e l’umano non riesce a cogliere tutto di questo ciò, ora rimasterizzato e riproposto sul mercato da Argonauta Records.

Questo doppio disco ha tantissimi livelli e sottolivelli, è un detonatore che scoppia nel nostro cervello. Dal punto di vista compositivo non esiste una pianificazione, i brani sono stati creati con coscienze alterate per coscienze alterate. Una lunghissima jam, ed il lato musicale è solo uno dei tanti. La via carnale, la vita che sfiamma nei nostri corpi, dei antichi e poco benigni che ci guardando ed aspettano il nostro sangue. Tantissime visioni, in un disco ricco di immagini e di forza vitale, che non è detto che sia positivo, ed è anche un’opera che non rispecchia nessun bene e nessun male, è. Se aveste la fortuna di parlare con i Nibiru, e ne vale la pena perché capireste molto di più della loro musica, vi sentireste dire che Netrayoni è il disco che rappresenta al meglio lo spirito di questo gruppo, che è quasi un medium per portare in mezzo a noi esseri di altri dimensioni, seguendo il flusso che esce quando diventiamo per davvero noi stessi, nel bene e nel male, oppure quando ci buttiamo dentro la musica, in questo caso facendola. Netrayoni è un lunghissimo requiem, che anche quando finisce continua, come una radiazione di fondo, come un antico meccanismo dentro di noi, anche perché questo disco è fortemente contro la modernità e le sue asettiche sensazioni. Qui non c’è anestesia, a volte fa malissimo e disturba, ma questo è quello che c’è sotto la cortina delle buone intenzioni e delle nostre falsità di tutti i giorni. La rimasterizzazione del disco, e la conseguente fedeltà migliorata, ci proietta maggiormente all’interno di un piano astrale che non è per tutti. Parlando personalmente questo disco, e mi permetto di fare un’annotazione personale che ritengo sbagliata in una recensione ma questo è il caso, mi ha fatto conoscere i Nibiru e mi ha aperto tantissime porte, facendomi conoscere persone per me molto importanti, e mi ha fatto capire molto di me stesso. Spero avvenga lo stesso per voi, ma non è indolore, e non lo deve essere.

Tracklist
1.Kshanika mukta
2.Apsara
3.Sekhet aahru
4.Qaa-om sapah
5.Arkashani
6.Kwaw-loon
7.Sekhmet
8.Celeste samsara is broken
9.Viparita karani
10.Sothis
11.Carma geta

Line-up
Ardat : Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook

Bong – Thought And Existence

Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence : il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.

Nuovo viaggio astrale offerto da un gruppo che va ben oltre la musica,i geordies Bong, qui alla loro ottava prova su lunga distanza.

Per chi già li conosce sa che una volta ascoltata la loro musica, la prospettiva delle cose cambia, come quando si legge un libro che sposta l’angolazione dalla quale vediamo la realtà e quindi riusciamo a scostare il velo che ricopre tutto. I Bong fanno musica rituale, aprono porte per andare in dimensioni diverse, e la loro musica non può essere fruita in maniera normale o consumistica, con le cuffie per strada. Bisogna prepararsi per un viaggio mentale, quindi ognuno deve fare la preparazione al rito alla propria maniera, consumando droghe od isolandosi, l’unico denominatore comune è alzare il volume, perché la musica dei Bong è cubitale e molto fisica. Nei dischi precedenti i Bong avevano fatto vedere di cosa sono capaci, ovvero di usare la musica come medium per eccellenza per riti di magick, la magia crowleryana e non solo, che fa andare su piani astrali diversi da quello, davvero misero, nel quale viviamo. Questa musica non è escapismo o un qualcosa di new age, ma è una forza antica che arriva da lontano, e non a caso i Bong sono inglesi, perché l’isola e la sua storia è fortemente permeata di magia e di forze che altrove non esistono, o sono presenti in maniera minore. L’Inghilterra ha un storia antichissima ed il cristianesimo o il protestantesimo qual dir si voglia, è presente da duemila anni, una parentesi ben minore se si pensa agli altri cicli storici. La sapienza druidica è continuata per vie laterali, ed in Thought And Existence è molto presente, come magia per riconnettersi a quello che siamo veramente, energia a stento trattenuta da un corpo e dalle membra. Ascoltando questi droni, questa frequenza che i Bong stendono per tutta la loro opera, si ha la sensazione di tornare a casa, di riunirsi con un qualcosa che ci è stato fatto dimenticare, ed infatti tutto il disco è come un marcia di entità che nello spazio si ricongiungono alle loro altre metà. I Bong fanno qualcosa di potentissimo e di davvero originale, e dare un genere alla loro emissione musicale non è facile, anche se si potrebbe dire che sia un qualcosa fra lo sludge e il drone, post metal altro. In questo frangente si coglie tutta la inadeguatezza della nostra civiltà a definire una cosa come Thought And Existence, perché questo disco viene da lontanissimo, ed è passato in qualcosa dello spirito psichedelico inglese degli anni sessanti e settanta, ma prima era nelle processioni druidiche lungo il serpente Tamigi: proviene dallo spazio ed è stato a volte visto dai Neurosis e dagli Ozric Tentacles, è pura energia mentale. Un disco che è un rito, un rito antico che abbiamo seppellito sotto montagne di false credenze, e non si parla di dei, ma dell’unico dio al quale parla Thought And Existence: il nostro cervello che vuol tornare verso le stelle.
Forse la migliore prova di un gruppo che non fa solo musica da consumare.

Tracklist
01. The Golden Fields
02. Tlön, Uqbar, Orbis Tertiu

Line-up
David Terry – Bass
Mike Smith – Drums
Mike Vest – Guitars

BONG – Facebook

Mhönos – LXXXVII

Per poco più di quaranta minuti tutto il dolore ed il male che ci scrolliamo dalle spalle, considerandolo solo frutto di paure ancestrali, viene evocato dai Mhönos fino a mostracelo con il suo sinistro carico di ineluttabile morte e disfacimento.

Per i francesi Mhönos si ripropone l’eterno dilemma che attanaglia chi deve esprimere un parere su musica decisamente fuori dagli schemi, che è quello di capire se si tratta di vera genialità oppure di un’accozzaglia di suoni messi assieme senza un’apparente logica.

A mio modo di vedere, ogni forma di sperimentazione musicale deve anche mantenersi in un alveo entro il quale l’ascoltatore possa percepire un qualche disegno che consenta di assimilare opere, altrimenti, a forte rischio d’essere considerate un’esibizione di rumore fine a sé stesso.
LXXXVII oscilla pericolosamente su questo confine e immagino che la sua collocazione, dall’una o dall’altra parte, dipenda non solo dalla predisposizione dei diversi soggetti a simili ascolti ma, addirittura, dall’umore specifico di una stessa persona nel momento in cui il sound dei Mhönos viene si fa strada  senza alcuna misericordia.
Cercando d’essere asettici ed obiettivi il giusto, credo che questo sia un lavoro di notevole spessore, perché qui il male cessa d’esser un qualcosa che ci accompagna in maniera subliminale per proporsi in uno stato quasi solido, tramite una forma di black metal stravolta da un approccio rituale che porta il tutto su un piano ambient drone, con l’aggiunta di vocals quanto mai malevole a completare il quadro.
I Mhönos offrono un’opera che rischia seriamente di finire derubricata a sottobicchiere se acquistata in formato cd da qualcuno che non ha ben chiaro quali siano le finalità di questi misteriosi “frati” transalpini; viceversa, se si possiede un minimo di masochistica familiarità con certi suoni, è difficile restare indifferenti a questa esibizione di velenosa ed oscura follia musicale.
Per poco più di quaranta minuti tutto il dolore ed il male che ci scrolliamo dalle spalle, considerandolo solo frutto di paure ancestrali, viene evocato dai Mhönos fino a mostracelo con il suo sinistro carico di ineluttabile morte e disfacimento: il tutto senza fare neppure troppo rumore, ma affidandolo a sonorità minimali ed artifici vocali che da sgradevoli si fanno via via insinuanti fino a non poter essere più scacciati dalla memoria.
LXXXVII va sicuramente ascoltato, sia pure a proprio rischio e pericolo …

Tracklist:
1. I
2. II
3. III
4. IV

Line-up:
Frater Erwan: basso, cori
Frater Nikaos: percussioni
Frater Samuel: percussioni
Frater Nehluj: basso, coro
Frater Alexandre: basso, cori
Necropiss: voce

MHÖNOS – Facebook

Nibiru – Qaal Babalon

Come sempre i Nibiru ci offrono un’esperienza sonora difficilmente descrivibile a parole, ma bisogna dire che in questa occasione sono andati davvero oltre, regalando una prova di valore assoluto e pressoché unica.

La nostra vita può essere definita in molto modi, e può essere vissuta in maniere molto diverse fra loro.

Innanzitutto bisognerebbe capire cosa sia il concetto stesso di vita, che forse viene dato troppo per scontato, perché sicuri ed esigenti sul suo svolgimento tentiamo di negare l’abisso che si crea fra la nostra vita e la nostra anima, ovvero ciò che realmente siamo. Vivendo questa netta frattura i disastri sono dietro l’angolo, e le scelte che ci rimangono non sono molte. Lanciati a folle velocità in una vita che non è ciò che vorremmo, tentiamo nella maggior parte dei casi di rimanere in carreggiata, sacrificando il nostro inconscio e molto altro per avere un rinforzo di fiducia e riconoscimento dagli altri, per provare a far vedere che siamo capaci a fare qualcosa, o che siamo degni della vita, già essa stessa una menzogna. E pensiamo di esserci salvati, ma invece stiamo affondando, sempre più giù, e come in una palude più ci agitiamo più la presa diventa letale. La dannazione è dentro di noi, e questo disco dei Nibiru è un cantico della disperazione, quattro pezzi di tessuto lacerato dalla dannazione, un grido lacerante di un’anima persa, come dicono loro stessi. Il disco rappresenta cambiamenti sostanziali nella poetica dei torinesi, dato che Qaal Babalon è definito dal gruppo il seguito del loro primo disco Caosgon, uscito nel 2013 e recentemente ristampato con bonus da Argonauta Records. Caosgon era una nebbia venefica che si espandeva dalle casse degli stereo di anime incaute e dannate, composto da una psichedelia distorta e rituale, marcia e portatrice di morte. Qaal Babalon è la sublimazione di quel concetto, un avanzamento di qualità sonora e di composizione notevole per un gruppo che ad ogni ascolto e ad ogni concerto assume una forma diversa. Rimasti in tre dopo l’uscita di Steve Siatris dal gruppo, i Nibiru sono dunque concettualmente tornati alle origini, aggiungendo però molto a ciò che era stato Caosgon. Le quattro tracce sono altrettanti rituali, quattro offerte ai veri dei, dilatate e con cicli e ricicli, che attaccano l’ascoltatore alla fonte sonora. Ascoltando Qaal Babalon si può sentire un taglio netto da ciò che era stato Padmalotus, un disco davvero molto diverso da quest’ultimo, che aveva fatto intravedere un cambiamento stilistico poi rigettato con l’uscita di Siatris dal gruppo. Qaal Babalon è molto più di un disco musicale, è un riconoscimento ed un’esplorazione dei nostri abissi, una fuga da falsi valori e false maschere, per ricercare ciò che siamo veramente. L’impianto sonoro è maestoso e magnifico, i suoni sono prodotti molto bene, e la lacerazione dei Nibiru viene declinata, novità assoluta, oltre che in enochiano anche in italiano, e questo è davvero un valore aggiunto, poiché rende moltissimo in Qaal Babalon. I Nibiru hanno sempre avuto un percorso molto particolare e assolutamente di personale e qui raggiungono il loro apice, dando l’impressione sia soltanto l’inizio di qualcosa di terribilmente dannato e affascinante, dato che questo disco è davvero un salto di qualità notevole in una carriera ampiamente al di sopra della media. Come sempre i Nibiru ci offrono un’esperienza sonora difficilmente descrivibile a parole, ma bisogna dire che in questa occasione sono andati davvero oltre, regalando una prova di valore assoluto e pressoché unica.

Tracklist
1. Oroch
2. Faraon
3. Bahal Gah
4. Oxex

Line-up
Ardath – Guitars, Percussions and Vocals
Ri – Bass, Drones and Synthesizers
L.C. Chertan – Drums

NIBIRU – Facebook