Sadness – Circle Of Veins

Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Secondo disco in sei mesi per la polistrumentista messicana nata e cresciuta in Texas, Damián “Elisa” Ojeda, al quarto disco in due anni.

Se si va sul suo bandcamp si può facilmente capire la vastità e la prolificità dell’opera di questa donna che esplora il blackgaze con un tocco tutto suo. Circle Of Veins ci porta in territori differenti anche se simili rispetto al precedente Rain. Questo lavoro è uno dei rari dischi che possiede la capacità di fermare il mondo mentre lo si ascolta, nel senso che quando lo si sente, meglio se attraverso delle cuffie, non esiste più nulla. Damián riesce costantemente a stupire il suo ascoltatore, attraverso scelte che vanno ben oltre le scontate etichette di blackgaze e di atmospheric black metal. Il flusso musicale e di emozioni è continuo come nello shoegaze, ovvero quel muro di distorsioni che ti si para davanti come la proiezione mentale di un bambino con poteri mentali, che scopre quanto possa essere brutto il mondo e lo rifiuta. Qui si prova, attraverso una musica che è al contempo consolatrice ed assassina, a cercare qualcosa che valga la pena di soffermarsi un attimo, in modo da poter uscire dall’abisso che ci circonda o quello che ci tiene imprigionati nel silicio. Sadness crea piccoli universi partendo dall’osservazione della nostra realtà attraverso filtri che non sono quelli normali. Ci sono sfuriate, cavalcate ed improvvise fermate osservando lo sbocciare di un fiore, che è poi un nostra emozione. Come per il disco precedente, si viene rapiti da questa formula musicale, che nasce dal black metal ma va ben oltre, decretando la grande capacità del genere nato in Scandinavia di far esprimere voci diverse. Il black metal è un sentimento più che un genere, e ognuno lo può usare per esprimersi a proprio piacimento, sia per inneggiare a Satana che per fare un’opera poetico musicale come questa. Questi sei brani, per poco più di sessantatré minuti di musica, sono una raccolta di poesie, composte ed eseguite da una mente musicale superiore, sia per capacità tecnica ma soprattutto per sensibilità, perché certe anime sentono di più rispetto alla maggioranza, ma il vero messaggio è che ci vuole rispetto per ogni anima.
Se vogliamo cercare un genere, che sia blackgaze, qui al suo massimo.

Tracklist
1.Eye of prima
2.Cerrien
3.Lana
4.The spring sun on summer rain
5.I follow rivers

Line-up
Elisa – All instruments and vocals

https://www.facebook.com/sadnessmusicofficial/

Nosexfor – Nosexfor

A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione.

Esordio per il duo vicentino Nosexfor, composto da Severo Cardone e Davide Tonin.

Al primo ascolto non si rimane particolarmente impressionati dalla loro musica e dai loro testi, ma dopo un po’ che li si ascolta si rimane stupiti di quanto siano bravi e capaci nel rendere melodie e pensieri, fissandoli su piccoli bassorilievi musicali che colpiscono per la loro originalità e credibilità.
La prima impressione non era certo colpa del duo veneto, che infatti poi convince appieno, ma della nostra abitudine a sentire cose in poco tempo cercando di trovarci del senso e delle cose che in realtà non ci sono. In questo periodo storico, nel più completo rovesciamento della realtà, il cosiddetto indie è diventato più mainstream del mainstream stesso, attraverso formule musicali che sono per lo più vuote e barocche; quando contano più i followers su Instagram che la musica, l’atto musicale passa quasi in secondo piano, sotterrato da nuovi guru sonori. Poi arrivano dischi come questo d’esordio dei Nosexfor che, con parole adeguate e musica minimale e veritiera, ti aprono gli occhi riportandoti dove vorresti sempre essere stato. La formula chitarra e batteria è stata percorsa da molti gruppi negli ultimi anni, c’è chi lo ha fatto bene chi un po’ meno, ma i Nosexfor appartengono decisamente al gruppo di chi ha qualcosa da dire e lo grida bene. Non ci sono pose particolari, nessuna costruzione senza fondamento, ma un uso intelligente e potente della musica e delle parole. Melodie inusuali, momenti accelerati e fasi più intime che si incontrano e danno vita ad una formula assai inusuale per l’Italia, ovvero una specie di stoner rock dai molti risvolti, con tanta realtà raccontata in maniera mai isterica e puntuale. A differenza di ciò che deve essere compreso attraverso i social media, questo disco, fatto in maniera antica ma non per questo antiquata, mette la musica al centro di tutto rendendola strumento di narrazione. Inoltre c’è un sentore di blues che aleggia per tutto il lavoro, arricchendolo di una forza calma ed inoppugnabile. I Nosexfor fanno un qualcosa che è nell’aria e che c’è per chi ne sa cogliere la presenza, un piccolo tesoro che aspettavamo da tanto, con quella voce in italiano su un tappeto di suoni che sgorgano incessanti.

Tracklist
1Pensavo fosse ok
2 Zero Meno
3 Perdere la testa
4 Ma non ti preoccupare
5 L’America
6 Niente luci in centro
7 Noi
8 Bambino Vodu’
9 Eva
10 Quello che resta

NOSEXFOR – Facebook

Esben And The Witch – Nowhere

Praticamente l’album è un sogno lungo diverse decine di minuti, nel corso del quale il tempo e lo spazio sono sospesi e si va via con gli Esben And The Witch.

Come in un sogno, la musica degli Esben And The Witch si snoda nel nostro cervello, generando quel piacere del toccare ciò che non è reale, poiché la realtà qui non è di casa.

La musica del gruppo, che si divide fra Berlino e l’Inghilterra, è da annoverare nella psichedelia pesante, ma in realtà c’è molto di più. Il tappeto sonicamente distorto di Daniel e Thomas è fertile per la bellissima voce di Rachel, la strega che officia il rito che ci porta in un’altra bellissima dimensione. La musica è quasi uno shoegaze più pesante e dilatato dove sembra quasi che ogni strumento vada per conto suo, mentre si amalgama alla perfezione con gli altri. L’etereo cantato e ciò che succede sotto creano una trama che avvince l’ascoltatore per prepararlo alle tante esplosioni sonore che ci sono in tutto il disco. Praticamente l’album è un sogno lungo diverse decine di minuti, nel corso del quale il tempo e lo spazio sono sospesi e si va via con gli Esben And The Witch. Poche band riescono a catturare in maniera tale l’ascoltatore e qui stupisce anche la grande profondità dei suoni, che riescono a penetrare molto a fondo nella psiche dell’ascoltatore, lasciando un segno indelebile. La carriera del gruppo anglo tedesco è stata un continuum ben preciso, una decisa scalata verso vette molto alte: Nowhere è per ora il loro picco, ma possono dare ancora molto. Seppur non appartengano a nessun genere ben preciso, o forse proprio per questo motivo, gli Esben And The Witch sono uno di quelle sparute band che riescono a creare un genere a sé stante, rinnovando profondamente alcuni codici musicali. Un disco che fa sognare ma che non è sicuramente un prodromo della gioia, bensì una presa di coscienza della nostra fallibilità e della nostra brevità, ma ci sono musiche che fortunatamente ci conducono lontano.

Tracklist
1. A Desire For Light
2. Dull Gret
3. Golden Purifier
4. The Unspoiled
5. Seclusion
6. Darkness

Line-up
Daniel
Thomas
Rachel

ESBEN AND THE WITCH – Facebook

Sylvaine – Atoms Aligned, Coming Undone

La sensibilità artistica di Sylvaine si concretizza soprattutto nei brani in cui la sua eterea interpretazione è l’ideale completamento di un sound atmosferico e sognante, ma non dispiace neppure imbattersi in qualche ruvidezza che ci ricorda che anche le creature più angeliche nascondono un loro lato oscuro.

Quando ci si trova a dover parlare del disco di un’artista non proprio tra i più noti, il fatto che compaia tra gli ospiti invece qualche nome “pesante” spinge in maniera istintiva a fare accostamenti che talvolta si rivelano fuorvianti, soprattutto perché finiscono per spostare l’attenzione a margine degli album invece che focalizzarsi sui loro effettivi contenuti.

Il fatto che, ancora una volta, la brava ed affascinante Sylvaine si avvalga della collaborazione di Stephan Paut (alias Neige) rende automatico l’avvicinare il progetto solista della musicista norvegese agli Alcest; tale abbinamento è sicuramente fondato, ma non deve però far pensare però che tale imprimatur faccia scadere una album come Atoms Aligned, Coming Undone nel calderone delle copie sbiadite di una qualcosa di già sentito.
Il post rock/shoegaze di Sylvaine è più personale di quanto non possano farci presumere tutti questi indizi e se l’impronta melodica che traspare in gran parte del lavoro ci riconduce sicuramente nei pressi di Les Voyages de l’âme e dintorni, è fuor di dubbio che la suadente voce femminile ed un approccio molto più soffuso, talvolta rarefatto, conferiscono al tutto una fisionomia propria piuttosto lontana da una conclamata derivatività.
Non resta quindi che godersi l’incedere per lo più morbido, ma non privo di un fondo di inquietudine che (questo sì) è tratto comune di chi si cimenta con queste sonorità. La sensibilità artistica di Sylvaine si concretizza soprattutto nei brani in cui la sua eterea interpretazione è l’ideale completamento di un sound atmosferico e sognante (Worlds Collide, per esempio), ma non dispiace neppure imbattersi in qualche ruvidezza che ci ricorda che anche le creature più angeliche nascondono un loro lato oscuro, pronto a travolgerci con disperati soprassalti sonori (Mørklagt).
Se poi, alla fine, si tratta di rispondere a qualcuno che ci chiede se Atoms Aligned, Coming Undone sia un album consigliato agli estimatori degli Alcest e della conseguente genia, la risposta è ovviamente sì, ribadendo però con forza che quanto offerto da Sylvaine non è solo una bella copia bensì un’opera di grande qualità che è, semmai, un’importante alternativa ai nomi più noti in ambito post rock/shoegaze.

Tracklist:
1. Atoms Aligned, Coming Undone
2. Mørklagt
3. Abeyance
4. Worlds Collide
5. Severance
6. L’Appel du Vide

Line-up:
Sylvaine: vocals, guitars, synthesizers, bass, drums, percussion

Stephen Shepard: session drums on tracks 3 & 5
Stéphane “Neige” Paut: session drums on tracks 1, 2, 4 & 6

SYLVAINE – Facebook

The Fog Ensemble – Throbs

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita.

I The Fog Ensemble sono un gruppo greco forse fra i più originali al mondo, e non si sta esagerando.
La loro musica è una strana ed esplosiva miscela di shoegaze, post punk, minimalismo e psichedelia molto non convenzionale.

Throbs è un’opera che vive di emozioni e del gioco fra la poca luce e la molta oscurità e la nebbia ovviamente, quella coltre che spesso cala maggiormente dentro di noi piuttosto che fuori di noi, e che ci cela l’andamento della vita. Il gruppo greco usa tutti gli elementi in suo possesso per fare una musica che colpisce al cuore chi ama le distorsioni che portano la propria anima in un altro posto. Vi sono molte influenze e sono quasi tutte inglesi, perché si può dire quello che si vuole, ma la terra di Albione in quanto a distorsioni malinconiche è sempre al primo posto. I The Fog Ensemble hanno inciso il disco nello studio degli Shellac, e qualcosa anche del gruppo americano è rimasto all’interno del disco, ma la quasi totalità è opera loro. Il disco ha un andamento lento e dolcemente mortale, come un’incredibile dolcezza che ti possiede prima della fine, ci sono momenti ripetitivi e paranoici, e al contempo immense aperture melodiche che si schiudono quando meno te lo aspetti. I brani sono totalmente strumentali e ciò conferisce loro una forza che forse le parole avrebbero disperso, o forse no, ma ascoltando questi brani strumentali la meraviglia è comunque tanta. Raro è l’ascolto di un disco che non sai cosa ti possa riservare, e Throbs è una continua sorpresa, anche grazie ad un uso sapiente dell’elettronica che va a coadiuvare gli altri strumenti in maniera molto adeguata. Ogni canzone è un potenziale singolo per accompagnare dolci e tremendi momenti di smarrimento, e questo disco è un continuo perdersi dentro la musica, recuperando quel gusto antico di ascoltare un disco da capo a piedi, senza mai staccare, o solo per girare il lato. Un lavoro estremamente completo ed ipnotico, per gli amanti di varie sonorità, e soprattutto per chi apprezza la musica che scatena un vortice di emozioni.

Tracklist
01. Lighthouse
02. Droog Party
03. Fever Bliss
04. Weather Girl
05. False Moves
06. Throbs
07. Breathe

Line-up
Antonis Karakostas – Guitars,Loops,Programming
Nicholas Kondylis – Bass
George Nanopoulos – Drums

THE FOG ENSEMBLE – Facebook

Vanishing Kids – Vanishing Kids

La poetica musicale dei Vanishing Kids è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore.

I Vanishing Kids sono americani e fanno un doom metal molto psichedelico e sognante, che può facilmente indurre un dolce stato di trance.

Fondato da Jason Hartman (Jex Thoth) e Nikki Drohomyreky alla voce nei primi anni duemila, il gruppo ha fortemente risentito degli ascolti che i due hanno fatto in giovinezza, probabilmente tutti di grande valore visto il risultato finale.
Ascoltando questo nuovo lavoro, il primo da cinque anni a questa parte, si viene subito introdotti in una dimensione che non è quella quotidiana, bensì un qualcosa che muta sempre tenendo come sottofondo un sogno che si dipana lentamente, senza fretta, per spiegare le sue ali e volare. Dal 2013 è poi entrato nel gruppo Jerry Sofran, uno degli eroi dell’undeground del Midwest degli States con gruppi come Lethal Heathen e Mirrored Image, che ha dato un importante arricchimento al gruppo. Con questa formazione i Vanishing Kids sono al loro massimo, e questo disco ne è la bellissima dimostrazione. La loro poetica musicale è composta da una psichedelia che ha la forza sognante dello shoegaze, ma va oltre, creando un muro di suono che non è fatto da distorsioni bensì da un gruppo odi strumenti e voce che punta tutto sul creare uno stato alterato di coscienza nell’ascoltatore. Questa operazione non ha però nulla di violento o di coercitivo, mettere questo disco è come entrare nella tana del Bianconiglio, dove la realtà è felicemente distorta, non è paradisiaca ma è sicuramente lisergica. Il cantato è di rara bellezza, e tutto il resto del gruppo ha le idee molto chiare, sa sempre cosa fare e lo mette in pratica benissimo. Il suono è molto particolare, di una grandissima forza evocativa dai tratti immediatamente riconoscibili. I Vanishing Kids sono uno dei migliori gruppi di psichedelia altra che potete incontrare ed ascoltare, in quanto hanno anche una piccola percentuale di grunge che spiazza piacevolmente rendendo ogni canzone bellissima. Un disco prezioso per provare a sognare ancora attraverso la musica.

Tracklist
1 Creation
2 Heavy Dreamer
3 Without A Sun
4 Mockingbird
5 Eyes of Secrets
6 Reaper
7 Rainbows
8 Magnetic Magenta Blue

Line-up
Nikki Drohomyreky- Vocals, Organ, Synths, Percussion
Jason Hartman- Guitar
Jerry Sofran- Bass
Hart Allan Miller- Drums

VANISHING KIDS – Facebook

An Autumn For Crippled Children – The Light of September

The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk e lo si ascolta con grande piacere, in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Gli An Autumn For Crippled Children sono una strana creatura musicale che ormai da diversi anni offre un mix, invero dai tratti molto personali, di shoegaze, darkwave e black metal, il tutto sempre con risultati decisamente positivi.

Il solo problema di chi si cimenta in simili operazioni è quella di avere a che fare con ascoltatori magari non troppo propensi nel derogare dai propri gusti musicali, rischiando così di scontentare, da una parte, quelli che non sopportano la voce in screaming e, dall’altra, chi ritiene lo sviluppo musicale troppo morbido per avere diritto di cittadinanza nel panorama dei generi più estremi.
Sicuramente, a chi non suddivide la musica in compartimenti stagni l’opera di questi olandesi sarà decisamente gradita, perché la facilità innata nel tessere melodie avvolgenti quanto malinconiche da parte del trio è sempre sorprendente.
Non c’è un solo brano, infatti, che non regali uno sviluppo armonico incisivo al quale il substrato metallico dona solo uno scheletro più robusto senza andarne a snaturare l’essenza; d’altro canto, se è vero che tra magnifiche tracce come The Light of September, Lovelorn e Fragility le differenze appaiono evidenti per approccio e ritmi, non si può fare a meno di notare che, alla lunga, rischia ugualmente di affiorare quel pizzico di ripetitività capace di offuscare leggermente il piacere dell’ascolto.
Detto questo, personalmente preferisco di gran lunga trascorrere una quarantina di minuti del mio tempo con gli An Autumn For Crippled Children piuttosto che con i più celebrati Ghost Bath, tanto per restare su territori contigui, proprio perché quello della band dei Paesi Bassi mi appare come un sentire malinconico genuino, a differenza del depressive di facciata, per quanto ben costruito, degli statunitensi.
Al settimo full length in poco più di otto anni, gli An Autumn For Crippled Children offrono un’altra prova di sicuro valore: The Light of September è un album raccomandato ai fruitori del black più atmosferico e degli amanti di certo post punk (il lavoro del basso è un marchio di fabbrica, in tal senso), e lo si ascolta con grande piacere in virtù di una grande scorrevolezza e delle sue peculiarità che, piacciano o meno ai puristi, ne costituiscono il principale punto di forza.

Tracklist:
1. The Light of September
2. New Hope
3. Hiding in the Dark
4. Lovelorn
5. Fragility
6. The Silence Inside
7. A New Day Has Come
8. Still Dreaming
9. The Golden Years

Line-up:
TXT – Bass, Keyboards
CXC – Drums
MXM – Vocals, Guitars, Keyboards

AN AUTUMN FOR CRIPPLED CHILDREN – Facebook

Ether – Seek Through Control

Gli Ether dimostrano, con questa decina di minuti di musica senz’altro validi, di possedere le caratteristiche per interessare una certa fascia di ascoltatori trasversale ai generi, anche se per forza di cose le conclusioni si potranno trarre solo quando il duo britannico sarà in grado di offrire un’uscita dal minutaggio più consistente.

Via Loneravn ci giunge questa uscita degli inglesi Ether, contenente due brani brevi ma interessanti il giusto per far sì che la loro proposta non venga subito dimenticata.

I giovani Zak ed Imogen, fin dal look esibito nelle foto promozionali, ci rimandano ad un immaginario ottantiano e, in effetti, il loro sound si rivela un intrigante ibrido di psichedelia, post punk, shoegaze e doom (quest’ultimo soprattutto nella seconda delle due tracce).
Pur essendo in attività da qualche anno, la produzione degli Ether è stata finora piuttosto centellinata, sotto forma di qualche singolo, anche se l’ascolto di queste due buone canzoni brani rende comprensibile la scelta di non voler fare le cose con troppa fretta.
I’ll Laugh When They’re Crashing Down si snoda su ritmi piuttosto sostenuti , con la voce di Zak che sembra provenire di peso dalle band psichedeliche che imperversavano una trentina d’anni fa (gente tipo i Loop, per intenderci), mentre Seek Through Control, come detto, si sposta decisamente su territori doom, pur mantenendo quell’aura lisergica conferita anche dall’indolente incedere del cantato.
Gli Ether dimostrano, con questa decina di minuti di musica senz’altro validi, di possedere le caratteristiche per interessare una certa fascia di ascoltatori trasversale ai generi, anche se per forza di cose le conclusioni si potranno trarre solo quando il duo britannico sarà in grado di offrire un’uscita dal minutaggio più consistente.

Tracklist:
1.Seek Through Control
2.I’ll laugh When They’re Crashing Down

Line-Up:
Zak Mullard – guitar, vocals and drum machines
Imogen Shurey – bass

ETHER – Facebook

Backwoods Payback – Future Slam

Due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

I Backwoods Payback sono due ragazzi ed una ragazza che fanno uno stoner molto particolare a forti tinte grunge ed hard rock, una miscela molto interessante e assai godibile.

La formula scelta dal gruppo della Pennsylvania è un qualcosa che si potrebbe avvicinare al modus operandi dei Kylesa, ma in realtà è assai più complesso. L’amore per il suono di Seattle (anche qui una semplificazione agghiacciante dire che il grunge viene principalmente da lì), è dichiarato apertamente con la copertina di Softer Than Love, un singolo del 2017, che è il contrario di Louder Than Love, uno dei migliori episodi del gruppo del mai troppo compianto Chris Cornell. I ragazzi sono in giro da un bel po’ e sono uno dei gruppi più interessanti dell’universo stoner e più in generale della musica pesante, perché la loro proposta è molto originale. Innanzitutto mettono al centro la melodia con una fine e mai sdolcinata ricerca di essa. Potrebbe sembrare una bestialità ma questo disco ha un suono che sembra uno shoegaze stoner a stelle e strisce, ma ovviamente ascoltarlo è la maniera migliore per capire. Ogni canzone è diversa dalla precedente e dalla successiva, e c’è sempre qualcosa di diverso dentro ognuna di esse, come se ogni gradazione di sentimento avesse un suo colore, una sua sfumatura sonora. Ci sono molti echi britannici anche se l’impianto è fortemente a stelle e strisce, la composizione è assai differente dalla moltitudine dei gruppi stoner. Anche la voce è usata in un modo che non è canonico, ed insieme agli strumenti concorre a raggiungere un suono che è un sentire esso stesso. Si può venire facilmente catturati dalla bellezza e dalla sensualità di questo Future Slum, che è un disco che ha più livelli di ascolto e di comprensione, ed è tutto da gustare. I Backwoods Payback hanno uno dei muri sonori più belli, e andare a sbatterci contro è bellissimo.

Tracklist
1.Pirate Smile
2.Lines
3.Whatever
4.It Ain’t Right
5.Threes
6.Cinderella
7.Generals
8.Big Enough
9.Alone
10.Lucky

Line-up
Jessica Baker – Bass
Mike Cummings – Guitars, Vocals
Erik Larson – Drums

BACKWOODS PAYBACK – Facebook

Teksti-TV 666 – Aidattu tulevaisuus

Il disco è frutto di una rara ispirazione, nel senso che questi ragazzi sono un amalgama difficilmente ripetibile: la loro musica genera un terremoto di meraviglia, con tanti generi che si fondono con l’obiettivo comune di portare l’ascoltatore in un altro luogo.

I finlandesi Teksti-TV 666 sono uno dei gruppi più interessanti e validi del panorama mondiale, e dovete sentirli per crederci.

Non fanno un genere ben preciso, a meno che non si trovi un nome per lo shoegaze che si fonde con il punk ed il garage, o per la psichedelia che diventa hardcore. Tutto ciò lo si era già sentito nel loro magnifico debutto del 2016, che li ha poi portati in giro con i Kvertelak, un altro gruppo eccellente e dalla difficile classificazione, e qui nella seconda opera raggiungono un livello ancora maggiore, se possibile. Questo disco non è un lp né un ep, ma un qualcosa che è atterrato sul nostro pianeta e che è un oggetto musicale non identificato. Dentro possiamo trovarci di tutto, dallo shoegaze pesante al surf che si dilata in un trip di dieci minuti, alla new wave che entra in territori nuovi ed inesplorati, il tutto distorto e suonato in una maniera inedita. I Teksti-TV 666 riescono a portare le contraddizioni in musica, ed in maniera assolutamente felice. Il disco è davvero difficile da descrivere, perché genera sensazioni molto forti che ognuno interpreterà in maniera diversa, ed è frutto di una rara ispirazione, nel senso che questi ragazzi sono un amalgama difficilmente ripetibile: la loro musica genera un terremoto di meraviglia, con tanti generi che si fondono con l’obiettivo comune di portare l’ascoltatore in un altro luogo. Non bisogna pensare tanto, ma lasciarsi trasportare da questo disco lasciandolo scorrere e, come un’esperienza sciamanica, lui verrà da voi e vi condurrà dove vorrà.

Tracklist
1 Turbo-Mondeo
2 Aidattu tulevaisuus
3 Rauhankone
4 Serverny
5 Katko

TEKSTI TV 666 – Facebook

Tengil – Shouldhavebeens

Shouldhavebeens è un’opera trasversale per definizione, con il potenziale necessario per raccogliere consensi ed attenzioni da più parti, come richiesto da una così nitida esibizione di talento.

Gli svedesi Tengil sono una giovane band che aveva già seminato bene nel recente passato con un full length molto ben accolto come titolo, ma a giudicare dall’esito di questo nuovo Shouldhavebeens la loro evoluzione appare un qualcosa di imprevedibilmente inarrestabile.

Post rock, shoegaze e una componente post hardcore e rumorista, il tutto va a confluire in un coacervo sonoro a volte limpido e cristallino come acqua di fonte, in altri inquieto e torbido quasi a voler togliere certezze all’ascoltatore.
In realtà è proprio questo contrasto tra luci ed ombre, tra levità e senso di oppressione, a rappresentare il motore concettuale e musicale di un lavoro splendido, capace di commuovere, esaltare e far pensare: del resto il titolo che fa riferimento “ciò che potrebbe essere stato” è un po’ il leit motiv nell’esistenza di ognuno, destinato peraltro a divenire sempre più pressante man mano che il tempo a propria disposizione diminuisce in maniera ineluttabile; se poi, certe elaborazioni mentali sono prodotte da menti giovani e fresche come quelle di questi musicisti, figuriamoci l’impatto che tutto ciò può avere nei soggetti più sensibili con qualche decennio di vita in più a consuntivo.
Meglio non guardare indietro, alla fine, e cercare semmai di vivere ogni istante come se fosse destinato a durare per sempre: la musica dei Tengil può essere di grande aiuto, perché una canzone stupenda come It’s all for springtime è solo la punta dell’iceberg di un lavoro che supera per intensità un punto di riferimento per i Tengil quali sono senz’altro gli Alcest, rispetto ai quali la malinconia viene esibita in maniera molto meno diretta.
And the best was yet to come è un altro episodio che impressiona per urgenza e potenza comunicativa, con il bravissimo Sakarias Westman (che speso e volentieri ricorda per timbrica il giovane Bono) capace di imprimere al suo cantato quel quid emotivo ed interpretativo che fa la differenza.
Shouldhavebeens è un’opera trasversale per definizione, con il potenziale necessario per raccogliere consensi ed attenzioni da più parti, come richiesto da una così nitida esibizione di talento.

Tracklist:
1. I dreamt I was old
2. And the best was yet to come
3. With a song for dead darlings
4. A lifetime of white noise
5. It’s all for springtime
6. All for your myth
7. In Murmur

Line up:
Sakarias Westman
Pontus Carling
Karl Hauptmann
Tobias Jensen

TENGIL – Facebook

Trautonist – Ember

La proposta dei Trautonist si rivela impeccabile formalmente ma pecca di quella componente emotiva che invece non dovrebbe latitare in un genere come il post black/shoegaze.

Ember è il secondo full length per questa band di Coblenza denominata Trautonist, dopo l’esordio omonimo del 2016.

Il duo formato da Katharina e da Dennis, con l’ausilio di Hendrik alla batteria, ripropone un post black dalle sfumature shoegaze di buona fattura e nella media delle proposte attuali.
La vocalist si disimpegna bene sia con lo screaming che con le cleans, anche se i brani che vedono prevalere quest’ultima soluzione appaiono più a fuoco degli altri.
La proposta dei Trautonist si rivela impeccabile formalmente ma pecca, a mio avviso, di quella componente emotiva che invece non dovrebbe latitare in un genere come questo: per esempio, un brano come Smoke and Ember rappresenta nel migliore dei modi ciò che intendo, con un’ultima parte che cresce a livello d’impatto all’interno di una struttura ritmica più ragionata.
Il fatto è che, nonostante diversi ascolti di Ember, ciò che mi resta una sensazione gradevole che non è sufficiente a spingermi ad ulteriori passaggi del disco nel lettore perché, in un lavoro che non dubito possa trovare buoni riscontri tra chi frequenta il genere con maggiore assiduità, quello che non sono riuscito a rinvenire è il momento chiave, quello capace di conquistare l’attenzione rendendo la fruizione di un album un’esperienza in qualche modo unica.
Nè valgono, in tal senso, una traccia bizzarra e del tutto a sé stante come la conclusiva Woody Allen o la bellissima copertina a modificare sostanzialmente tale opinione.

Tracklist:
1. Fire and Ember
2. Vanish
3. The Garden
4. Smoke and Ember
5. Hills of Gold
6. Sunwalk
7. Woody Allen

Line-up:
Katharina – Vocals (female)
Dennis – All instruments, Vocals
Hendrik – Drums

TRAUTONIST – Facebook

 

Alcest – Souvenirs D’Un Autre Mond

Questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Sono passati dieci anni dalla data di pubblicazione di questo flusso onirico messo in musica, di un disco che ha sparigliato tutte le carte, di uno dei dischi preferiti da molti, come Pitchfork che lo ha inserito nella classifica dei migliori dischi di shoegaze di sempre.

In origine Souvenirs D’Un Autre Mond dovevca essere un breve progetto solista di Neige, chitarrista dei Peste Noire e dei Forgotten Woods, ma questo disco ha cambiato tutto, e ora Alcest è un nome consolidato nel metal altro.
Questa opera rielaborava in maniera molto personale sonorità che fino a quel momento si erano incontrate solo sporadicamente, come il post black metal, che è uno sviluppo del black metal, uno sfruttare alcune sue caratteristiche per portare avanti una musica di più ampio respiro. Lo shoegaze è un grande protagonista di questo disco, quel muro del suono che porta a galla il nostro subconscio e che qui si sposa benissimo con sfuriate black metal. La voce di Neige è un sogno nel sogno, come se qualcuno ci parlasse nell’orecchio durante il sonno. Come nelle opere maggiori delle arti, c’è un ribaltamento fra realtà e sogno, i piani si capovolgono e veniamo catturati da un’altra dimensione, nella quale il dolore e la gioia sono puri e un senso di leggerezza permea tutto. L’immaginario di questo disco è fortemente francese, infatti i cari significati sono occulti e le canzoni sono brevi romanzi di cose che nell’esagono sono molto sentite.
Come ristampa ci saranno varie sorprese sia per l’edizione in cd che per quella in vinile, come la copertina originale della prima stampa su lp, un libretto sull’anniversario, foto inedite, commenti di Andy Julia, il fotografo che è praticamente un membro del gruppo, e di Aaron Weaver dei Wolves In The Throne Room per testimoniare l’enorme influenza di questo disco.
Soprattutto ci sarà questo capolavoro che ci fa tornare bambini, un disco profondamente diverso e quasi perfetto, in grado di scatenare tempeste di emozioni, e che chiede solo di toglierci le zavorre e di chiudere gli occhi, perché questa opera è davvero ciò che dice il titolo, ricordi di un altro mondo, e il disco è la narrazione folclorica di questo mondo che è dentro di noi.

Tracklist
1. Printemps Émeraude
2. Souvenirs d’un autre monde
3. Les Iris
4. Ciel Errant
5. Sur l’autre rive je t’attendrai
6. Tir Nan Og

Line-up
Neige : guitars/bass, synths and vocals
Winterhalter : drums

ALCEST – Facebook

Sorrow Plagues – Homecoming

Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound.

Sorrow Plagues è il nome del progetto solista di David Lovejoy, musicista inglese che ha iniziato questa sua avventura nel 2014, pubblicando diversi ep e singoli fino ad approdare all’esordio su lunga distanza l’anno scorso, per giungere infine a questo suo secondo full length intitolato Homecoming.

L’ambito entro il quale si muove il ragazzo britannico è un black atmosferico con spiccata propensione verso lo shoegaze: una soluzione che abbiamo già incontrato più volte ma che si rivela sempre gradevole ed opportuna, in special modo se esibita con il buon talento e la sensibilità che contraddistinguono questo album.
La malinconia di fondo che pervade il lavoro è percepibile anche dai titoli dei brani che non lasciano molto spazio all’immaginazione: David si dimostra anche un musicista a tutto tondo, esibendo un buon gusto dal punto di vista tastieristico ed un bel tocco chitarristico, mentre come da copione nel genere la voce viene un po’ sopraffatta dagli strumenti a livello di produzione.
Continuo a pensare che questa soluzione stilistica abbia un senso solo quando proviene dai bassifondi dell’underground musicale, come avviene appunto in questo caso, rivelandosi frutto di un’espressione spontanea, fresca e ricca di spunti eccellenti, ben lontana dai tentativi di rendere più fruibile, con solo il risultato di farlo apparire artefatto, un sottogenere che per finalità e tematiche dovrebbe posizionarsi esattamente agli antipodi di ogni tentazione commerciale (ogni riferimento agli ultimi Ghost Bath è del tutto voluto …).
Del resto David fa propri gli insegnamenti del maestro Neige e ne sviluppa in maniera competente e spesso emozionante le coordinate tipiche, grazie ad ariose ed ampie aperture melodiche che vengono sporcate solo da uno screaming di stampo DSBM.
Homecoming è un lavoro che non mostra cedimenti e riesce a mantenere sempre un invidiabile equilibrio tra le diverse componenti del sound, trovando il suo picco ideale nella più lunga e magnifica Disillusioned ed il suggello con una title track che vede anche l’utilizzo di parti di sax, a testimoniare la volontà di Lovejoy di non rendere troppo monodimensionale la proposta.
Al momento il nostro ha chiamato a sé altri musicisti per poter offrire anche dal vivo la propria musica: una scelta condivisibile e che, spesso, consente ai titolari di one man band di ampliare ulteriormente i propri orizzonti con ricadute ovviamente positive anche sull’approccio compositivo; già così, comunque, i Sorrow Plagues si dimostrano una delle migliori espressioni odierne dello shoegaze abbinato al black atmosferico.

Tracklist:
1. Departure
2. Disillusioned
3. Isolated
4. Irreversible
5. Relinquish
6. Homecoming

Line up:
David Lovejoy – All Instruments

SORROW PLAGUES – Facebook

Mindkult – Lucifer’s Dream

Tra stoner doom, shoegaze, tanta psichedelia ed un pizzico di blues stonato, il sogno di Lucifero potrebbe trasformarsi in incubo se non si è pronti a rinunciare in partenza a suoni puliti, voci stentoree o aggressive, percussioni lanciate a folli velocità e virtuosismi assortiti.

Lucifer’s Dream è essenzialmente l’opposto di quanto ci si attende di ascoltare da un album metal in quest’epoca.

Suoni puliti, voci stentoree o aggressive, percussioni lanciate a folli velocità e virtuosismi assortiti: ecco, di tutto questo nel primo full length marchiato Mindkult non se ne troverà la minima traccia.
Il progetto solista del musicista della Virginia che si fa chiamare Fowst è una sorta di bolla spazio temporale, che è un po’ come camminare in una città del futuro sovrastati dai grattacieli e, svoltando l’angolo, ritrovarsi di fronte ad una collina sovrastata da un castello medioevale e dal suo borgo: in Lucifer’s Dream viene offerto uno stoner psichedelico che pare trascinarsi come un pigro serpente, mentre una voce piacevolmente stonata come quella di un J Mascis appena appena rinvigorito ci racconta le sue orrorifiche visioni.
Un sound sporco, ma dannatamente autentico, ed un approccio che più naif di così non si potrebbe ci riconduce nelle sue parti più psichedeliche a certi antieroi ottantiani come Nick Saloman (The Bevis Frond) tenendo sempre conto, però, che i Mindkult sono un progetto stoner doom, e quindi parliamo di un qualcosa che all’epoca non era ancora stato codificato.
Tutto ciò serve per dare un’idea di massima, perché, nonostante dalle mie descrizioni possa sembrare che in quest’album non ci sia nulla che vada, in realtà è esattamente il contrario: proprio il suo incedere sghembo, quasi indolente, avulso da ogni idea di perfezione formale, avvolge e stordisce costringendo l’ascoltatore ad una specie di sortilegio per il quale si ritrova ad amare un disco che, istintivamente, avrebbe usato magari a mo’ di frisbee.
Tra stoner doom, shoegaze, tanta psichedelia ed un pizzico di blues stonato, il sogno di Lucifero potrebbe trasformarsi in incubo per chi ricerca nella musica tutte le caratteristiche che ho elencato nelle righe iniziali. Al contrario, brani come Drink My Blood, Infernals e la title track si insinueranno nella testa continuando a riecheggiare a lungo pericolosamente.
Nelle note di accompagnamento all’album vengono citati nomi come Black Sabbath, The Cure, Hooded Menace, Altar Of Betergeuze, Windhand, Uncle Acid e Ghost: chi conosce tutte queste band, dopo aver ascoltato Lucifer’s Dream può divertirsi a fare il giochino del vero o falso, resta il fatto che il buon Fowst ha trovato una via stilistica ed espressiva che, al di là degli inevitabili rimandi, appare a suo modo decisamente personale.

Tracklist:
1. Drink My Blood
2. Nightmares
3. Behold the Wraith
4. Infernals
5. Howling Witch
6. Lucifer’s Dream

Line up:
Fowst – Everything

MINDKULT – Facebook

Violet Cold – Anomie

Cinquanta minuti di musica gradevole e complessivamente sognante, senza che si vada a sprofondare in abissi di oscurità e disperazione.

Violet Cold è il progetto solista dell’azero Emin Guliyev, un tipo piuttosto prolifico, musicalmente parlando, visto la quantità di singoli ed ep (più di una trentina) pubblicati in circa 4 anni di attività, oltre a quattro full lenght dei quali l’ultimo, intitolato Anomie, è quello che prendiamo in esame

Ferma restando la mancanza del tempo materiale per andare a rivangare quanto proposto nel passato dall’iperattivo musicista di Baku, quello che si può affermare con certezza è che viene offerto in questa occasione un black atmosferico con una forte propensione per lo shoegaze, solo inasprito dalle vocals in stile depressive, andando a collocare il sound da qualche parte tra i primi Alcest ed i Ghost Bath nelle loro recenti sembianze più leggiadre.
Inquadrato in qualche modo l’operato del buon Emin, non resta che immergersi in questi oltre cinquanta minuti di musica gradevole e complessivamente sognante, senza che si vada a sprofondare, quindi, in abissi di oscurità e disperazione: ciò che aleggia, piuttosto. è una malinconia di fondo esaltata dall’abilità del nostro nel costruire melodie a loro modo lineari ma dal sicuro impatto.
Evidentemente da un lavoro del genere deve tenersi alla larga chi considera questo approccio alla materia una degenerazione del black metal e reagisce al termine blackgaze come un vampiro di fronte ad una croce; in compenso, però, Anomie sarà oltremodo gradito da chi ricerca sonorità fluide, solo un pizzico urticanti ma dotate a modo loro di una certa profondità.
Se si fa eccezione per la title track, che apre l’album non proprio con il piede giusto, andando a rivangare temi musicali già sentiti in diverse salse, Guliyev offre in seguito una serie di brani nei quali riesce a sopperire ad una certa uniformità stilistica grazie alla sua capacità di comporre melodie indubbiamente belle, con l’aggiunta di divagazioni etniche che vengono amplificate nella bellissima e conclusiva No Escape From Dreamland.
Chiaramente, nel tempo di ricevere il promo, ascoltarlo qualche volta e scrivere due righe di commento, sono già usciti a nome Violet Cold uno split, una compilation ed un ep, quindi in questo caso la cronaca fatica a tenere il passo con la realtà, e questo si rivela un dato ancor più sorprendente se si pensa (magari sbagliando) che una tale dispersione di energie possa precludere risultati anche migliori di quelli già ottimi raggiunti in quest’occasione.
A livello di consuntivo ritengo infatti che, volendo fare un parallelismo, Anomie sia senz’altro superiore all’ultimo parto dei citati Ghost Bath, proprio perché qui tutto appare molto più spontaneo alla luce dello spirito naif con il quale Guliyev persegue i propri intenti, in antitesi ad una forma stilistica analoga ma che appare inevitabilmente edulcorata dall’approdo alla grande distribuzione e, di conseguenza, ad un bacino d’utenza ben più vasto.

Tracklist:
1.Anomie
2. She Spoke Of Her Devastation
3.Lovegaze
4. My Journey To Your Space
5.Violet Girl
6. No Escape From Dreamland

Line-up:
Emin Guliyev

VIOLET COLD – Facebook