Hornwood Fell – Damno Lumina Nocte

Quarta opera per la band laziale, formata dai fratelli Basili, i quali portano a compimento un percorso molto personale con il loro Black Metal sperimentale, abrasivo, disturbante e dissonante.

Fino dalla copertina della nuova opera dei gemelli Basili, Marco e Andrea, ci si immerge in un mondo non confortante, anzi assolutamente claustrofobico e soffocante.

L’evoluzione sonora degli Hornwood Fell giunge a compimento con l’ultimo nato Damno Lumina Nocte uscito per l’etichetta Third I Rex, da sempre attenta alle band che percorrono strade non usuali e spesso molto personali. Attivi dal 2014 con l’omonimo disco, i due fratelli hanno sviluppato una personale idea di black metal moderno, deviato e dalla forte identità spinta sull’esplorazione di territori selvaggi, visionari e estremamente affascinanti. Sette brani, tutti nominati Vulnera, distinti solo da numerazione romana, che indagano nel profondo le “vulnera\wounds” della società in cui noi vegetiamo. Non ci sono momenti di luce, tutto è denso, abrasivo, ogni brano ci scaglia contro dissonanze ritmiche forsennate, bagliori di un universo diverso e multidimensionale, dove ci si inabissa lentamente senza poter avere la possibilità di risalire. Opera di black metal sperimentale, fortemente visionaria e ipnotizzante fino dall’opener I, che con largo uso di synth, ci apre le porte di mondi dove tutto è sinistro e disturbante, prima di immergerci in visioni allucinatorie, in cui il riffing è distruttivo, ma capace di aprire la mente verso “dark landscapes”, dove ritroviamo un black metal mutante e gelido secondo coordinate che non sono usuali. Una coltre dissonante e spessa ricopre tutti i brani che, dopo diversi ascolti, rivelano un universo assolutamente non confortevole ma che ci attrae senza possibilità di poterne uscire. In scarsi quaranta minuti si compie il percorso abrasivo e disturbante della band laziale, che per la grande capacità compositiva e le atmosfere create potrebbe ricordare alcuni suoni dei Blut Aus Nord di Vindsval, da sempre affascinato da una visione “altra “ del black metal. Opera non destinata agli usuali fruitori del genere, perché qui ci sono stimoli e sensazioni che solo persone “open minded” possono cogliere nella sua più pura essenza.

Tracklist
1. Vulnera Pt. I
2. Vulnera Pt. II
3. Vulnera Pt. III
4. Vulnera Pt. IV
5. Vulnera Pt. V
6. Vulnera Pt. VI
7. Vulnera Pt. VII

Line-up
Andrea Basili – Drums, Percussion, Keyboards, Vocals (additional)
Marco Basili – Guitars, Vocals, Bass, Keyboards

HORNWOOD FELL – Facebook

Disen Gage – The Big Adventure

Un lavoro che richiede un approccio non comune ma che lascerà pienamente soddisfatti coloro che cercano qualcosa di alto valore musicale e di profondamente diverso: una grande avventura, come recita il titolo.

Il progetto Disen Gage nasce nel 1999 in Russia ed è dal 2016 una formazione flessibile di musicisti allo scopo di portare l’attenzione totalmente sulla musica intesa come flusso libero di note ed improvvisazioni.

La proposta dei Disen Gage è un prog rock dalle sfumature metal interpretato come fosse free jazz, con uno scorrimento molto inusuale. Non esistono linearità, ritornelli o forma canzone, è un continuo fluttuare in uno spazio infinito dove tutto è fluido e muta repentinamente. Anche l’ascolto non è comune, esso può cominciare in qualsiasi punto lo vogliate. Grandissima è la varietà di generi affrontati, anche se sarebbe molto scorretto parlare di steccati in questa opera, che è l’ultima propaggine di un’avventura musicale molto interessante. Colpisce la poderosa struttura che disegna un universo musicale immenso e molto variopinto. Si naviga a cuor leggero trasportati dalle eccezionali note di un magma musicale che cambia vorticosamente, ma che non perde mai l’eleganza e la bellezza. Le musiche del gruppo sono molto fini, si possono cogliere aspetti che si avvicinano alla poetica musicale dei Pink Floyd, con la chitarra del fondatore Konstantin Mochalov che ci porta lontano, per poi essere sbalzati in un giro funky che diventa quasi una polka, e questo è solo un minuto della loro musica. I Disen Gage sono musicisti che amano sperimentare e trovare sbocchi inusuali alle loro idee, ma soprattutto sono grandissimi amanti delle sette note, sanno di maneggiare una ricchezza immensa e non se la lasciano scappare, plasmandola a loro volere. Tutto ciò viene dalla Russia e non a caso, poiché è una terra dove ci sono notevoli ensemble e solisti che viaggiano in dimensioni molto differenti da quella normale. Un lavoro che richiede un approccio non comune ma che lascerà pienamente soddisfatti coloro che cercano qualcosa di alto valore musicale e di profondamente diverso: una grande avventura, come recita il titolo.

Tracklist
1.Shiroyama
2.Adventurers
3.Chaos Point
4.Enough
5.All the Truths’ Meeting
6.Selfish Tango
7.Carnival Escape
8.Fin

Line.up:
Konstantin Mochalov — guitar & sound engineering
Eugeny Kudryashov — drums
Nikolai Syrtsev — bass
Sergei Bagin — guitar & synth

Guests:
Igor Bukaev — accordion/button accordion in 2
Ekaterina Morozova — piano in 3 & 8
Vasily Tsirin — cello in 4
Vadim Sorokin — mixing all tracks, synth in 6 & bass in 8

DISEN GAGE – Facebook

Distorsonic – Twisted Playgrounds

Non è un disco fruibile in maniera tradizionale, né lo vuole essere, è un deciso andare avanti, nove jam, di cui una con parti cantate, con mille ritmi e percorsi diversi, in un’oscillazione perpetua e ricercata compiuta da due musicisti che sono di un altro livello, soprattutto in quanto a sensibilità.

Musica spaziale che genera nuovi suoni e generi attraverso le allucinazioni di un basso che fa orchestra a sé ed una batteria.

Il basso è quello di Maurizio Iorio, già con Molteni, ha ha cominciato il progetto Distorsonic già negli anni novanta e questo è il terzo episodio discografico. Il disco è una vera e propria esperienza sciamanica e psichedelica, non c’è un genere bene preciso, ma una continua generazione e rigenerazione di suoni vivi, suoni morti o ancora non nati. La direzione è quella di una jam, di un andare in qualsiasi caso senza mai fermarsi, ci sono così tante linee di basso da scrivere e da distorcere, e la batteria è un cuore malato collegato ad un cervello fuso, medium per vedere oltre. Oltre ad una totale mancanza di etichette, cosa già di per sé assai notevole, ci sono molte cose nuove ed un modo totalmente differente di approcciarsi alla materia musicale. Il basso di Maurizio Iorio è un elemento che fa storia a sé, dato che vive di vita propria, non fa accompagnamento o tiene il ritmo, bensì indica la via verso una nuova linea melodica. Lo strumento di Maurizio compie la funzione vera e propria di un oggetto che serve per esprimere qualcosa che altrimenti non verrebbe espresso. Inoltre la batteria di Stefano Balcone è un altro strumento perfetto per questo viaggio, anch’essa fa gruppo a sé stante e si compenetra perfettamente con il basso di Maurizio. Twisted Playgrounds illustra storie molto antiche ma anche moderne, suona di sangue e vite sull’asfalto, di sofferenza e di gioia, morte e vita, in un continuo rigenerarsi come se fosse un lungo giro di basso. Non è un disco fruibile in maniera tradizionale, né lo vuole essere, è un deciso andare avanti, nove jam, di cui una con parti cantate, con mille ritmi e percorsi diversi, in un’oscillazione perpetua e ricercata compiuta da due musicisti che sono di un altro livello, soprattutto in quanto a sensibilità. Non è sperimentazione, bensì un’altra dimensione musicale.

Tracklist
1. Space Underdogs From Hell
2. Subterranea
3. Messing Around With a Baritone
4. Headhunting the Headhunters
5. Secchezza delle fauci
6. Heavy Satori
7. Fisheye Speedfreak
8. Caronte
9. Tofranihl

Line-up
Maurizio Iorio – Basso
Stefano Falcone – Batteria

DISTORSONIC – Facebook

Vampillia – Happiness Brought By Endless Sorrow

Sei minuti di musica riescono nell’impresa di coinvolgere in un modo sorprendente, quattro brani dove sono racchiusi i generi più importanti della musica contemporanea.

Nella misteriosa terra del sol levante si aggira un’affascinante e brutale realtà che si definisce un’orchestra, un’entità estrema composta da dieci elementi che crea musica originale e fuori dagli schemi dal 2009, anno di uscita di Spears.

Da quell’anno il monicker Vampillia ha cominciato a girare tra gli addetti ai lavori, grazie soprattutto ad altri quattro album ed una serie di collaborazioni illustri (Attila Csihar, Nadja, The Body e Yellow Swans tra gli altri).
La misteriosa e brutale orchestra, di cui non si conoscono precisamente i componenti, licenzia un ep di quattro brani per sei minuti di musica geniale intitolato Happiness Brought By Endless Sorrow.
Grindcore, post-rock, ambient, shoegaze, classica, progressive, black metal, industrial, tutti questi generi creano un sound particolare e contorto, una bestia musicale estrema che non conosce confini nè barriere, una macchina da guerra oliata e perfettamente sincronizzata, tanto che i generi, usati come acquarelli di un quadro musicale bellissimo ed inconsueto, appaiono assolutamente e precisamente incastonati in queste quattro esplosioni di arte musicale straordinaria.
Sei minuti di musica riescono nell’impresa di coinvolgere in un modo sorprendente, quattro brani dove sono racchiusi i generi più importanti della musica contemporanea.

Tracklist
1.Winter Ash
2.Back to…..
3.ggggzzgggzzz
4.Hell PM

VAMPILLIA – Facebook

Gnaw Their Tongues – Gendocidal Majesty

L’olandese Mories sforna sempre cose interessanti e potentissime, visioni allucinate di un tempo sospeso dove tutto è possibile, un’esperienza che vale la pena fare, tenendo sempre presente che non si tratta di musica, ma un canale dimensionale.

Musica estrema e realmente disturbante, fatta per dare fastidio ed irritare, non certo per intrattenere o altre facezie.

Gnaw Their Tongues, aka Maurice “Mories” De Jong, l’uomo che sta dietro al progetto, è una firma affermata nel panorama estremo ed è un nome che ha un fortissimo e fedelissimo seguito, che ne ama le intemperie. Non è nemmeno esatta la definizione di ascolto per la musica di Gnaw Their Tongues, perché queste frequenze che producono sono un qualcosa che va ben oltre i comuni stilemi musicali, è un’esperienza sonora da vivere fisicamente. Il nostro stomaco e le nostre orecchie vengono messe sottosopra da questo dispiegamento di demoni in forma sonora, come se si aprisse un varco fra noi ed un dimensione differente, non propriamente benevola. Non si può affrontare facilmente Genocidal Majesty, e non è nemmeno nelle intenzioni dell’autore. Questa musica, se così si può definire, non è per tutti né vuole esserlo, la sua missione è far provare paura e smarrimento, non certo piacere o empatia, anzi qui è consigliabile non provare nessuna empatia sennò si impazzisce. Ogni lavoro di Gnaw Their Tongues è un ritorno al passato ancestrale e primitivo dell’uomo, dove la paura era un motore primo del nostro cervello, e ciò ci viene ricordato dal nostro cervello rettile. Genocidal Majesty è la colonna sonora di un massacro, lacerazioni e morte, una dimensione dove i demoni sono finalmente liberi. L’olandese Mories sforna sempre cose interessanti e potentissime, visioni allucinate di un tempo sospeso dove tutto è possibile, un’esperienza che vale la pena fare, tenendo sempre presente che non si tratta di musica, ma un canale dimensionale.

Tracklist
1.Death Leaves the World
2.Spirits Broken by Swords
3.Genocidal Majesty
4.Ten Bodies Hanging
5.The Doctrine of Paranoid Seraphims
6.Cold Oven
7.The Revival of Inherited Guilt
8.To Bear Witness to the Truth
9.Void Sickness

Line-up
Mories: all sounds

GNAW THEIR TONGUES – Facebook

Closet Disco Queen – Sexy Audio Deviance for Punk Bums

Dopo il debut album omonimo del 2015, i Closet Disco Queen tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani.

Sexy Audio Deviance for Punk Bums è un EP di sole tre canzoni, di puro prog-rock sperimentale carico di influenze di vari generi.

I Closet Disco Queen sono un duo di recente formazione composto dal chitarrista Jonathan Nido e dal batterista Luc Hess, decisi a creare un progetto insieme. Dopo il debut album omonimo del 2015, tornano in pista con questo nuovo lavoro che certo non può rendere giustizia alle loro capacità in soli tre brani. La opening track Ninjaune inizia con l’atmosfera tipica dell’ambient (che potrebbe fuorviare gli ascoltatori) per poi crescere gradualmente d’intensità e volume dando spazio ad un più rude e rozzo metal, per poi calare di nuovo nel finale. Si passa poi a El Moustachito, secondo brano dall’intro quasi punkeggiante, che continua con uno stoner influenzato da chitarre heavy che non dà modo all’ascoltatore di annoiarsi. A chiudere l’EP, il brano Délicieux che ci trasporta nelle atmosfere di settantiana memoria, un mix di blues e hard rock con influenze tipiche del prog che rende giustizia all’intero lavoro, rivelandosi una degna conclusione. Nel complesso, i Closet Disco Queen si sono costruiti un’ottima base di lancio creando qualcosa di nuovo, un prog di stampo “antico” ma proiettato nel futuro grazie ad influenze che attingono dal moderno. Il duo è perfettamente amalgamato ed in sintonia, e riesce a creare un ibrido che spazia da atmosfere tipiche del rock anni ’70 ad un più rude metal con caratteristiche dell’heavy, e non solo. Insomma, una band della quale sentiremo ancora parlare.

Tracklist
1. Ninjaune
2. El Moustachito
3. Délicieux

Line-up
Luc Hess – Drums
Jona Nido – Guitar

CLOSET DISCO QUEEN – Facebook

Lethe – The First Corpse On The Moon

Non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Close your eyes, open your mind, and let the music take you on a musical journey through different moods … è senz’altro il caso di seguire il consiglio della My Kingdom, attiva etichetta italiana che ha il merito d’aver acquisito i servigi, tra gli altri, di questi meravigliosi Lethe, progetto musicale che vede una sorta di alleanza tra musicisti norvegesi e svizzeri.

Infatti, attorno ai due protagonisti principali, lo scandinavo Tor-Helge Skei (Manes e Manii) e l’elvetica elvetica Anna Murphy (Eluveitie, Nucleus Torn), ruotano musicisti per lo più provenienti dalle loro rispettive band e troviamo, quindi, da una parte Eivind Fjøseide (chitarra), Tor Arne Helgesen e Rune Hoemsnes (batteria) e Asgeir Hatlen (voce), tutti gravitanti attorno al nucleo dei Manes, e dall’altra Fredy Schnyder (piano, Nucleus Torn) e Ivo Henzi (chitarra, ex Eluveitie).
Questo particolare connubio dà vita ad un lavoro di spessore non comune come The First Corpse On The Moon (il secondo nella discografia dei Lethe), difficile da inquadrare in un genere specifico anche perché il sound fluttua liberamente tra le intuizioni di Skei e la voce splendida della Murphy: tale presupposto consente di passare senza controindicazioni dagli accenni rap di Down Into The Sun (con l’ospite K-Rip) all’opprimente oscurità di My Doom, dalle melodie cristalline della title track all’incalzante crescendo di Snow, per arrivare ad altre due gemme di incommensurabile bellezza come Wind To Fire e With You.
L’intreccio tra le voci di Asgeir Hatlen e Anna Murphy rasenta la perfezione, con il caldo timbro del cantante norvegese che supporta la particolare voce della sirena svizzera, una sorta di Bjork meno estrema nei suoi vocalizzi ma ugualmente coinvolgente e, a tratti, commovente (in With You la sua interpretazione raggiunge un’intensità emotiva spasmodica).
Il senso di smarrimento che si fonde alla visionarietà, nell’artwork creato dall’ormai onnipresente Costin Chioreanu, ben rappresenta gli umori che l’album esprime, e che vanno forse anche oltre le attese degli ascoltatori più esigenti.
E’ proprio l’imprevedibilità che non impedisce, però, lo snodarsi di un filo conduttore melodico sempre definito, il tratto distintivo che eleva quest’opera al rango degli ascolti irrinunciabili per chi ricerca nella musica bellezza e talento fusi in maniera mirabile. Nessun esorcismo, neppure quello evocato dal titolo della traccia conclusiva, ci impedirà d’essere letteralmente posseduti dalla voce di Anna e dall’estro di Tor-Helge: davvero, non esiste un solo buon motivo per rinunciare ad un’ora di musica di tale livello.

Tracklist:
1. Night
2. Inexorbitant Future
3. Down Into The Sun
4. My Doom
5. Teaching Birds How To Fly
6. The First Corpse On The Moon
7. Snow
8. Wind To Fire
9. With You
10. Exorcism

Line up:
Line Up: Tor-Helge Skei: guitars, bass, sampling, programming, synths, lyrics
Anna Murphy: vocals, hurdy-gurdy, programming, synths, lyrics

Guest musicians:
Eivind Fjøseide: guitars;
Tor Arne Helgesen: drums;
Rune Hoemsnes: drums;
Asgeir Hatlen: vocals;
Tom Christian Engelsøy: additional vocals;
Richard Spooner: spoken voice;
K-Rip: rap;
Fredy Schnyder: piano;
Shir-Ran Yinon: violin ensemble;
Ivo Henzi: additional guitars;
Mark Cunningham: trumpets;
P Emerson Williams: sounds & vocal effects;
Rune Folgerø: vocal effects;
Andi Dobler: lyrics;
Torstein Parelius: additional lyrics

LETHE – Facebook

Violent Magic Orchestra – Catastrophic Anonymous

Tragiche e sublimi visioni di un manipolo di gente iper-pessimista

Catastrophic Anonymous del collettivo Violent Magic Orchestra è un album – un collage sonico per pochi – estremo, maestoso e massimalista nel senso più estremo, maestoso e massimalista del termine, comprendente una moltitudine di generi: dall’harsh noise a quel metal d’avanguardia, giapponesissimo, che trova il suo nucleo nella classica poetica dei Vampillia, fino a scenari techno-industrial, accenni di jpop, grind e via dicendo.

Basterebbe elencare la sfilza di nomi coinvolti in questo progetto internazionale – senza eccessivi principi d’autorità – per destare più d’una lecita curiosità. Un Régimbeau sugli scudi che più che Mondkopf è qui in versione Extreme Precautions (si vedano certi suoi lavori precedenti come le varie Untitled di I, del 2014). Un Plotkin in versione mastermind che più che Khanate – come recita la press sheet – qui ricorda concettualmente quel Phantomsmasher dell’album omonimo del 2002: un disco, come questo, la cui brutalità mascherava altro, brutalità in ogni caso mai fine a sé stessa. Ogni brano è un mondo a sé, legato da un filo rosso a tutti gli altri: dalle note di piano di Acts of Charity alle riflessioni occulte-cosmicheggianti – presto riportate a terra da un’elettronica fredda e lucida – di At The Bank. Dagli organi di One Day Less – intermezzo che sembra una paralisi dello spirito – all’harsh noise di tracce come In Favour of Cruelty, che ha invece distorti echi lontani da console videoludiche anni ’90. Dalle disperate vocalità DSBM che fanno capolino qua e là su paesaggi dronici modellati su blast beat tanto furiosi quanto nostalgici di brani come The Beginning Of Fortune e Pursuit of Dignity fino alla conclusiva Out of Orbit, che è pura sintesi – di una malinconia commovente – e che scorre come un unico pensiero di una mente nichilista che si approssima a lasciare il pianeta. L’enorme potere di questo disco non sta tanto nella somma delle pur eccellenti individualità coinvolte (tra gli altri, per l’occasione, sono stati assoldati Pete Swanson, Attila Csihar e quel Chip King che proprio nel 2016 ha firmato il bellissimo No One Deserves Happines coi The Body, oltre al discreto One Day You Will Ache Like I Ache in collaborazione coi Full of Hell), né nel loro lavorare – seppur perfettamente – all’unisono: quanto nel concept generale che scorre come un unico flusso di coscienza, quasi joyciano nel dar l’impressione di rappresentare in maniera temporalmente dilatata moti interiori istantanei, e che sembra descrivere con estrema sincerità le sensazioni di una mente tanto misantropa quanto a suo modo – per un ossimoro – nutrita di una tenue speranza.

TRACKLIST
1. The Beginning Of Fortune
2. Acts Of Charity
3. In Favor Of Cruelty
4. Divorcer
5. Halved
6. One Day Less
7. At The Bank
8. Brick Wall
9. Pursuit Of Dignity
10. Out Of Orbit

VIOLENT MAGIC ORCHESTRA

Queen Elephantine – Kala

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica.

Psichedelia pesante e molto noise, acida e fuzz, rituale e cosmica. Non bastano le parole per provare l’esperienza sonora che fanno vivere i Queen Elephantine.

Nati ad Hong Kong, non hanno fissa dimora, si possono trovare nello loro numerose uscite, quattro album, split e sette pollici. La loro psichedelia pesante e rituale è la continuazione della lotta per portare il rumore e la confusione quella vera al centro dell’arena. Bisogna abbandonarsi a Kala, lasciare che il trip salga e vi prenda, non resistete alle sirene elettriche. Questa non è musica, ma un rituale per espandere le nostre coscienze, allargare gli orizzonti e le sinapsi. Gli strumenti sono appunto un mezzo per creare stati di coscienza alterati, senza pose o forme da assumere, questo è puro flusso, rimodellando la materia secondo multiversi che inventiamo noi. dischi come Kala sono da studiare, assaporare, ma certamente non possono essere ascoltati in mezzo alla folla, ma bisogna cercare un qualche spazio meditativo, sia fisico che spirituale. In certi frangenti il gruppo, ora di stanza a Providence, ricorda la psichedelia tedesca tendente al krautrock, quello splendido tentativo di sintesi che poi non si ripeterà più. Ed invece qualcosa è tornato indietro, sotto forma di un disco di rumore cosmico, colonna sonora di pianeti che si spostano su assi lontani milioni di anni luce, ma con la nostra mente possiamo arrivarci, possiamo esserci ascoltando i Queen Elephantine, traghettatori neuronali.

TRACKLIST
1.Quartered
2.Quartz
3.Ox
4.Onyx
5.Deep Blue
6.Throne of the Void in the Hundred Petal Lotus

LINE-UP
Indrayudh Shome – Guitar
Ian Sims – Drumset
Mat Becker – Bass
Srinivas Reddy – Guitar
Derek Fukumori – Percussion
Samer Ghadry – Guitar, Synth
Nathanael Totushek – Drumset + Percussion on 2,4,6
Nick Disalvo – Mellotron on 1, 2, 3
Michael Scott Isley – Percussion on 2,4
Danny Quinn – Surgeon Pepper

QUEEN ELEPHANTINE – Facebook

MESSA

Il debutto dei Messa, Belfry, è uno dei più bei dischi di quest’anno. L’atmosfera che riescono a creare i Messa non è affatto facile sa spiegare, soltanto ascoltandoli potrete capire. Qualche elemento in più potrebbe fornirvelo questa nostra intervista a uno dei gruppi italiani più interessanti degli ultimi anni.

iye Come nasce il vostro suono così particolare ed ipnotico ?

Nasce da un’esigenza di sperimentazione di un linguaggio musicale diverso da tutto ciò che noi quattro eravamo e siamo tutt’ora abituati a fare: sia dal punto di vista tecnico, formale ed estetico, per noi è un approccio diverso.
Sara non ha mai cantato in vita sua ma sempre suonato in band hardcore/punk il basso, Alberto ha sempre suonato la chitarra in progetti prog,jazz , Rocco alla batteria sempre suonato black metal in molti progetti e io al basso sempre avuto un approccio piu dark’n’roll alla musica con parentesi garage.

iye Quali sono i vostri ascolti ?

I più svariati, da Coltrane ai Darkthrone, dai Bathory ai Current 93, per capirci, passando per tutti i generi lugubri lenti e fumanti.
L’approccio al progetto Messa cerca di non essere mono direzionale ma cerchiamo di esprimere ed evocare delle sensazioni, che poi siano dettate da un fuzz o da una campionatura o da una lirica poco importa.

messa2

iye Come portate sul palcoscenico il vostro disco ?

Cerchiamo di renderlo il piu low profile possibile, non siamo attrezzati con costumi o stronzate di nessun tipo.
Montiamo sul palco, bruciamo della resina di incenso pura, accendiamo poche candele e cerchiamo di darci dentro.

iye Se poteste scegliere a quale regista vi piacerebbe fare una colonna sonora ?

Sono tutti morti, quelli italiani poi … sepolti, ad ogni modo sarebbe interessante fare una cosa per Roy Andersson.
penso sia un genio. Come sa affrontare temi come morte, alienazione, sesso, ambiente in un modo così sottile non lo fa nessuno, sarebbe un sogno poter farlo

iye Progetti futuri ?

Stiamo cercando di progettare un mini tour di una 10 di giorni per il prossimo novembre e, nel mentre, stiamo già componendo materiale nuovo; un pezzo che è già finito a breve andremo a registrarlo in una chiesetta sconsacrata dove facciamo prove, per inciderlo poi in uno split da fare con i nostri amici tedeschi Breit.

Deathkings – All That Is Beautiful

All That Is Beautiful è senz’altro un buon album, anche se appare difficile che possa conquistare qualcuno che non sia del tutto addentro al genere, restando destinato, quindi, ad ascoltatori disposti a farsi erodere in maniera lenta ma inesorabile.

Quattro lunghe litanie a base di uno sludge doom sfibrante, ma sufficientemente vario per essere apprezzato, è quanto offrono i Deathkings in questo loro secondo full length, All That Is Beautiful.

Difficile capire cosa possa esserci, poi, di bello e consolatorio, nel mondo prefigurato dalla band californiana con un titolo dalle sfumature presumibilmente sarcastiche: una voce grida il suo livore che si placa a tratti, quando il sound, per lo più granitico, pare prendersi una tregua salvo poi riprendere con il suo incedere macinando riff.
Forse proprio questi passaggi costituiscono il punto meno incisivo del lavoro, facendo scemare un’intensità che invece emerge in maniera prepotente quando i Deathkings decidono di aprire al massimo i motori.
E’ anche vero, d’altra parte, che sarebbe impensabile e forse controproducente mantenere per oltre un’ora questo stesso andazzo, per cui, volendo comunque esprimersi su minutaggi di simili fattezze, l’inserimento di passaggi più sperimentali e meno diretti diviene quasi una necessità.
Va anche detto che sono, fondamentalmente, i 18 minuti dell’opener Sol Invictus a risentire maggiormente di questa sorta di dicotomia, mentre già nella successiva The Storm le doti compositive dei Deathkings emergono in forma più focalizzata, dando vita ad un brano aspro ma dal retrogusto malinconico.
Più diretta e rabbiosa si mostra The Road To Awe, mentre i quasi 20 minuti di Dakhma sono un’ulteriore prova di resistenza dalla quale i quattro losangelini escono egregiamente, pur senza cedere ad alcun ammiccamento per condurre in porto il lunghissimo brano, anche se, in qualche modo, si ritorna agli schemi proposti all’inizio del lavoro.
All That Is Beautiful è senz’altro un buon album, anche se appare difficile che possa conquistare qualcuno che non sia del tutto addentro al genere, restando destinato, quindi, ad ascoltatori disposti a farsi erodere in maniera lenta ma inesorabile.

Tracklist:
1.Sol Invictus
2.The Storm
3.The Road To Awe
4.Dakhma

Line-up:
N. Eibon Fiend – Bass, Vocals
Sean Spindler – Drums
Daryl Hernandez – Guitars, Vocals
Mark Luntzel – Guitars, Vocals

DEATHKINGS – Facebook

Messa – Belfry

Belfry dà uno stato di calma quasi eterna, un punto distaccato dal quale osservare i nostri disperati affanni, una comoda nicchia nel fresco di un ghiacciaio morto da eoni.

Incredibile debutto per questo gruppo italiano, doom con fortissime influenze anni settanta, droni possenti e volanti, il tutto fatto benissimo.

Disco per fortuna inconsueto e fuori dall’ordinario per questo gruppo nato, composto da musicisti dai più disparati bagagli musicali, dal black metal al grind, dal prog al dark ambient, al doom. Tutto ciò porta ad un risultato strabiliante per un gruppo nuovo, dato che si è formato nel 2014. Il suono dei Messa sembra un rituale pagano molto oscuro e godibile, che cattura vari immaginari, nobilitato dalla voce di Sara, sacerdotessa che ci accompagna in questo viaggio agrodolce.
Tutte le canzoni sono diverse e raccontano una storia che si intreccia con suoni e visioni diverse. Belfry dà uno stato di calma quasi eterna, un punto distaccato dal quale osservare i nostri disperati affanni, una comoda nicchia nel fresco di un ghiacciaio morto da eoni. I Messa hanno il passo dei grandi gruppi, e grande scenicità musicale, come se fossero stati portati nel mondo reale da Dario Argento in persona, perché per tutto il disco aleggia questo sentimento di horror anni settanta all’italiana. Differenti visioni musicali si amalgamano per un risultato straordinario.

TRACKLIST
1- Alba
2- Babalon
3- Fårö
4- Hour Of The Wolf
5- Blood
6- Tomba
7- New Horns
8- Bell Tower
9- Outermost
10- Confess

LINE-UP
Mark Sade: guitar/bass/ambient
Sara: Voice.
Mistyr : drums.
Albert: lead guitar

MESSA – Facebook

Snøgg – Snøgg

il lungo brano autointitolato si rivela sufficientemente interessante anche se la forma di black proposta, con i suoi tratti sperimentali talvolta ai limiti dell’improvvisazione di matrice jazzistca, è altrettanto intricata per essere recepita con un certo agio.

Progetto piuttosto originale, quello messo in scena da questo duo sloveno che propone un black metal altamente sperimentale, riversando il tutto, peraltro, in un solo brano di quasi mezz’ora.

Nati come progetto solista di Matej Voglar (Ulv), gli Snøgg, dopo varie configurazioni, hanno inciso questo ep con l’affiancamento al fondatore del batterista Grega Cestnik (Mørke). La possibilità di andare in tour con i connazionali Cvinger ha aperto qualche porta in più facendo crescere così l’interesse per il nome Snøgg.
Detto il necessario per inquadrare il progetto, il lungo brano autointitolato si rivela sufficientemente interessante anche se la forma di black proposta, con i suoi tratti sperimentali talvolta ai limiti dell’improvvisazione di matrice jazzistca, è altrettanto intricata per essere recepita con un certo agio.
Ne scaturisce un flusso sonoro piuttosto discontinuo, che alterna intuizioni davvero brillanti a fasi eccessivamente cervellotiche, in linea con un lavoro dalle caratteristiche sopra descritte.
Ineccepibile per inventiva e vis sperimentale, l’operato degli Snøgg è destinato a menti aperte più che ad appassionati di black metal nelle sue sembianze più consuete.
Anche in questo caso, quindi, come per tutti le prime uscite di una band aventi un minutaggio limitato, ci riserviamo di fornire per ora un giudizio interlocutorio, in attesa di una nuova e più probante release.
Resta comunque vivo l’interesse per l’operato di un musicista che, seppure riuscendoci in maniera discontinua, cerca nuove vie espressive nell’ambito di un genere che molti (a torto) considerano oggi piuttosto stantio.

Tracklist
1. Snøgg

Line-up:
Ulv – guitars, bass, vocals
Mørke – drums

SNOGG – Facebook

ATLANTIS CHRONICLES – Barton’s Odyssey

Viaggio ad Hadotopia solo andata!

Eccoci finalmente fuori le lande compassionevoli di Alcest per ritrovarci in un terreno incontaminato, di frontiera senz’altro e ben più (pre)potente.

C’è tutto in questa formazione, tutto quello che la Francia non ha tra i suoi tipici luoghi comuni: prog, death, speed e screamo. Quattro punti cardinali dove dirigersi a seconda delle tracce in un’avventura sonora dal retrogusto tagliente.
Forse gli Atlantis Chronicles ricordano i Bal Sagoth di “Battle Magic”, ma con sonorità molto più dolci rispetto alle rivali terre inglesi, o magari rimandano ai Nekrogoblikon ma, tuttavia, l’originalità del quintetto francese si comprende appieno solo dopo ripetuti ascolti, per essere sicuri di non ricadere nella ricerca di similitudini. C’è da dire anche che in Francia regna sempre più una vaga aura di post/symphonic black, quindi per un gruppo death è necessario decisamente giocare con le improvvisazioni, tanto meglio se spingono in digressioni ritmiche e assoli psichedelici.
Le varie tappe in Francia e in Belgio programmate per tutto il 2016 permetteranno al gruppo di testare l’attitudine live, alla ricerca di ulteriori miglioramenti che potrebbero corrispondere, per esempio, ad una maggiore organicità del sound. Per gli amanti del death la band potrebbe rappresentare comunque un prospetto da osservare attentamente nel corso della sua progressione.

TRACKLIST
1. The Odysseus
2. Otis Barton
3. Back to Hadotopia
4. Within the Massive Stream
5. Upwelling Pt. I
6. Upwelling Pt. II
7. Lights and Motions
8. I, Atlas
9. 50°S 100°W
10. Modern Sailor’s Countless Stories

LINE-UP
Alex Houngbo – chitarra e cori
Sydney Taieb – batteria
Antoine Bibent – voce
Jérôme Blazquez – chitarra
Simon Chartier – basso

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