Blowout – Buried Strength

Un album potentissimo e dall’impatto devastante, assolutamente in grado di tenere legati allo stereo prima che le cuffie si trasformino in un ammasso di plastica e fili, fusi dall’inferno di lava bollente che improvvisamente scende tra le note dall’album.

Continua senza sosta l’ottima forma della scena alternativa made in Italy, da un po’ di anni ben assestata nei piani alti dell’underground nazionale ed internazionale e che ci fa partecipi di ottime realtà e tanta buona musica.

L’alternative metal dai rimandi stoner e soprattutto doom è il sound offerto dai Blowout, band trentina con nel sangue la sabbia del deserto e non la neve delle loro bellissime montagne.
I Blowout hanno dato inizio al loro viaggio tra pianure assolate e vulcani addormentati nel 2013, hanno trovato rimedio a diverse defezioni nella line up e un paio di anni fa hanno licenziato il loro primo ep.
E’ giunto il momento per la band del meritato esordio sulla lunga distanza che arriva quest’anno con Buried Strength, album di otto brani che vede la partecipazione in veste di ospite dello storico chitarrista Dario Cappanera (Strana Officina, Rebeldevil) sul brano Stomp On Fire.
Buried Strength è un vulcano in eruzione, un potentissimo calcio nei denti che farà tremare le pareti di casa vostra come il terremoto che precede l’esplosione di lava, un pesante album di metallo alternativo che amalgama impatto ed attitudine stoner metal a più tradizionali bordate di doom, il tutto perfettamente legato da sfumature southern e grunge che modernizzano e rendono molto americano il tutto.
Ed è proprio la traccia che vede come ospite il Kappa, l’esempio perfetto del sound lavico del gruppo, dove i Cathedral di Lee Dorian jammano con i Kyuss, i Black Sabbath e i Down, in un’atmosfera catacombale.
Ma non ci si ferma qui e i Blowout hanno diverse frecce da scagliare,  e l’atmosfera settantiana ritual e cadenzata (ancora la bellissima title track) è alternata a passeggiate nella Sky Valley (l’opener Cheers In Hell e Slum) prima che tutto si tramuti in cenere che lenta cade sul nostro stereo al ritmo della sabbathiana Scars On The Road.
Un album potentissimo e dall’impatto devastante, assolutamente in grado di tenere legati allo stereo prima che le cuffie si trasformino in un ammasso di plastica e fili, fusi dall’inferno di lava bollente che improvvisamente scende tra le note dall’album.

Tracklist
1. Cheers in hell
2. Slum
3. Feel The Phantom Pain
4. Be Divided Be Ruled
5. Stomp On Fire
6. Ghost Shadow
7. Buried Strength
8. Scars of the Road

Line-up
Lorenzo Helfer – Bass
Giuseppe Fontanari – Guitars
Igor Rossi – Vocals
Michele Matuella – Drums
Andrea Avancini – Guitars

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Grand Delusion – Supreme Machine

Supreme Machine è un lavoro sufficiente, nel quale non manca qualche difetto ma che nel suo insieme può sicuramente dire la sua, specialmente al cospetto degli amanti dei suoni doom/stoner e vintage

Da poco entrati nelle grazie della Minotauro, gli hard rockers svedesi Grand Delusion tornano con un nuovo lavoro intitolato Supreme Machine.

Hard rock stonerizzato e vintage è quello che ci propina il quartetto scandinavo, attivo dal 2011 e con alle spalle un ep di debutto seguito dal primo lavoro sulla lunga distanza uscito un paio di anni fa (The Last Ray of the Dying Sun).
La band di Umeå bada al sodo e spara sei cannonate heavy/doom/stoner metal senza risparmiarsi, con le chitarre che urlano riffoni metallici e le ritmiche che, senza mai affondare completamente negli abissi del doom, si fanno grosse di mid tempo heavy stoner.
Non mancano accenni alla psichedelia (Trail Of The Seven Scorpions) e quel tocco desertico tanto cool di questi tempi a mietere vittime tra gli amanti del genere.
La declamatoria Imperator si piazza sul gradino più alto del podio nelle preferenze del sottoscritto, mentre avrei lasciato l’onore di aprire l’album ad un brano più convincente che non la debole Just Revolution, ma sono dettagli, mentre a seguire l’atmosfera soffocante di Infinite ci pensa la conclusiva Ghost Of The Widow McCain, brano che attinge sia a Black Sabbath che ai Pink Floyd.
Supreme Machine è un lavoro sufficiente, nel quale non manca qualche difetto ma che nel suo insieme può sicuramente dire la sua, specialmente al cospetto degli amanti dei suoni doom/stoner e vintage, ai quali è rivolto l’invito ad ascoltare questi rockers svedesi e la loro musica.

Tracklist
1. Just Revolution
2. Mangrove Blues
3. Trail of the Seven Scorpions
4. Imperator
5. Infinite
6. Ghost of the Widow Mccain

Line-up
Mikael Olsson – Bass, Keyboards, Vocals (backing)
Magnus Rehnman – Drums
Per Clevfors – Guitars
Björn Wahlberg – Guitars, Vocals

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Evoke Thy Lords – Lifestories

Gli Evoke Thy Lords imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del doom, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.

Quarto full length per i siberiani Evoke Thy Lords, doom band dall’approccio quanto mai psichedelico alla materia, accentuato dalla presenza in pianta stabile in line-up dell’ottima flautista Irina Drebuschak.

I nostro proseguono imperterriti il loro percorso obliquo all’interno del genere, anche se l’impressione è che ora il sound sia più compatto, lasciando al solo flauto e a qualche assolo di chitarra il compito di di far provare qualche vertigine lisergica all’ascoltatore.
Emblematica al riguardo è la traccia d’apertura Regressed, che in più di un frangente riporta ai  mai abbastanza rimpianti Type 0 Negative, mentre la successiva Still Old, in fondo, si muove su un piano non dissimile.
Ben diverso è invece il mood di Life Is A Trick, un doom blues micidiale nel quale una lasciva voce femminile (probabilmente della stessa Irina, ma non ho certezze in merito) conduce le danze assieme al sempre presente flauto che si conferma elemento essenziale nello sviluppo del songwriting.
Ancora qualche sentore blues accompagna la lunga Heavy Weather, che oscilla appunto tra riff pesanti, sovrastati dal growl aspro di Alexey Kozlov, e fughe psichedeliche, andando a comporre un quadro sfaccettato e allo stesso tempo altamente lisergico.
Una nuovamente più lineare Stuff It chiude un lavoro breve ma intenso, con il quale gli Evoke Thy Lords confermano la particolare dicotomia termica tra il loro gelido luogo di provenienza e le torride atmosfere stoner doom rovesciate su disco, alle quali hanno la capacità di conferire con il loro particolare modus operandi quel tocco di imprescindibile peculiarità.

Tracklist:
1. Regressed
2. Still Old
3. Life Is A Trick
4. Heavy Weather
5. Stuff It

Line-up:
Irina Drebuschak – Flute
Yuriy Koziko – Guitars
Sergey Vagin – Guitars
Alexey Kozlov – Vocals, Bass

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