Slow Order – Eternal Fire

Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Nuovo lavoro per questo gruppo bolognese di stoner e doom, nato per esprimere l’amore verso i suoni ribassati e i giri di chitarra che si fondono con la sezione ritmica.

Gli Slow Order fanno ottima musica strumentale, sciogliendo una forte dose di psichedelia nel pastiche stoner doom. Eternal Fire è un disco strutturato molto bene, con una composizione che spazia in molti campi diversi, non c’è mai uno schema fisso e di ciò il disco si giova enormemente, lasciando molti motivi per muovere la testa durante l’ascolto. Giustamente si potrebbe chiedere cosa hanno di più questi bolognesi rispetto al resto di gruppi stoner doom strumentali? Ascoltando Eternal Fire lo si potrà capire subito, mentre per invitare all’ascolto si potrebbe dire che ci sono molti mondi qui dentro, dallo stoner strumentale alla Karma To Burn, a riff in stile southern metal, a momenti di psichedelia pesante, per un lavoro molto forte e con i piedi bene piantati nel pantano. Ogni cosa qui è funzionale allo svolgimento generale, non ci sono orpelli o cose fittizie, tutto è consequenziale e opera per un fine più alto. Il trio è molto affiatato e ciò lo si sente dalle prime note, perché gli Slow Order sono uno di quei gruppi che trascinano l’ascoltatore indicandogli la via, anche se fosse in mezzo alle tenebre. Eternal Fire è un ottimo esempio di come possa essere la musica pesante declinata in una certa maniera, con un codice nato in giro per il mondo e che tanti gruppi stanno usando nel migliore dei modi. Il re incontrastato di Eternal Fire è il groove, che gli Slow Order sanno creare molto bene portandolo a spasso lungo un disco piacevole, più complesso e corposo di tanti altri all’interno di questo genere.

Tracklist
01. Eternal Fire
02. Obsessive Tale
03. Serpent’s Son
04. Eclipse
05. Kanavar
06. The Hunter
07. Starweed
08. Black Mass

Line-up
minoz
robby
ale

https://www.facebook.com/sloworder/

Painqirad – Empires’ Sema’yi

Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura.

Nel sottobosco musicale ci sono spesso vere e proprie gemme da scoprire e da cullare, come questo lavoro del multistrumentista Damiano Notarpasquale sotto il nome Painqirad.

Damiano è uno studioso della musica in tutte le sue forme e si è sviluppata in maniera binaria: l’universo metal è sempre stata la sua passione, mente ha portato avanti studi classici musicali al conservatorio studiando inizialmente clarinetto e trombone, per poi avvicinarsi al jazz, al sassofono e alle musiche del mondo, in special maniera quella araba. Questo lavoro è infatti una bellissima dichiarazione d’amore in musica per il mondo e la sue diversità. Damiano si è innamorato della musica araba nel 2014 e la sua seconda tesi di conservatorio è un metodo per trombone per suonare musica araba e turca. Nasce da queste sonorità, unite ad una certa visione del metal, questo disco che è qualcosa di magnifico, un’eruzione musicale, un’unione di stili e di ritmi diversi che si incontrano nel deserto e proseguono ben oltre. Preponderante è la parte della musica araba, che possiede una metrica molto diversa dalla nostra, e che in questo caso viene supportata da intarsi metal molto adeguati. Il disco è stato registrato in soli dieci giorni, ma c’è un lavoro immenso dietro, con una produzione maestosa che ne rende al meglio le atmosfere. Empires Sema’Yj è un disco dall’immaginario potentissimo, trasporta in un futuro, o forse un passato in cui le dune incontravano il silicio, montagne di sabbia da attraversare senza posa, un miraggio nel caldo soffocante del deserto e tanto altro. Damiano riesce a rendere della atmosfere magiche ed uniche, unendo alla perfezione tutte le componenti e facendolo non in maniera fragorosa e caciarona nella quale ci si imbatte altrove in più di un qualche caso. Qui tutto ha il suo tempo, la crescita di melodie molto diverse da come le intendiamo è graduale e credibile, portando avanti l’essenziale concetto che ascoltare la musica di popoli diversi fa parte del processo di comprensione della loro cultura. E qui l’ascolto è ricchissimo, per un risultato unico nel suo genere.

Tracklist
1.Tahmila
2.Saz Temple
3.Nubah No. 10
4.Dunes
5.Allayl Nahawand
6.Taksim
7.Nawakht
8.Iron, Far Away

Line-up
Damiano Notarpasquale – soprano clarinet, G clarinet, alto sax, tenor sax, trombone, ney, zurna, bağlama, algerian mondol, mandolin, keyboards, guitars, bass, bendir, darbuka

PAINQIRAD – Facebook

Goodbye Kings – A Moon Daguerreotype

Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

I Goodbye Kings sono un gruppo milanese che costruisce la propria musica attraverso le immagini, come se dovessero musicare un film od un romanzo.

Tutto ciò lo fanno attraverso un ottimo post rock che si congiunge con l’ambient e dalla narrazione di ampio respiro. Il progetto dietro il loro terzo disco è di svelare come la fotografia abbia permesso all’uomo di indagare sé stesso e la natura in maniera differente. Il loro post rock di ampie vedute è qualcosa che lascia un bellissimo gusto retrò, uno struggimento languido e caldo, un essere preso a braccetto da qualcosa di antico e che ti vuole bene. Ascoltando i Goodbye Kings si ha l’impressione di entrare in una bolla dove si è protetti dai mali del mondo esterno. In prima battuta perché i battiti al minuto si abbassano di molto, e si dà attenzione ai piccoli momenti musicali, ai particolari che si riescono a cogliere anche grazie alla sapiente masterizzazione di James Plotkin, che mise mano a lavori di Isis e Sunn O))). Non c’è solo dolcezza, ci sono anche le asperità che si esprimono con ripartenze rabbiose e diversi momenti di maggiore pathos. Il sound dei precedenti due dischi aveva indicato la rotta, e con A Moon Daguerreotype si perfeziona la traiettoria, che è una delle più interessanti in Italia, dato che un post rock dai risvolti jazz è molto difficile da proporre e ancora di più da trovare. Un’altra particolarità del gruppo è anche l’immaginario in bianco e nero, un’indagine sulle origini della nostra modernità e sulle cose che possiamo ancora essere. Un ottimo bilanciamento fra quiete e tempesta, con momenti che lasciano lo stampo sul cuore di un’era che vede troppo ma sente molto poco. I Goodbye Kings ci lasciano un disco che parla di sogni e di verità, di lune e di sfumature in bianco e nero, ed un suono elegante che rilascia endorfine.

Tracklist
1.Camera Obscura
2.Méliés, The Magician
3.Drawing With Light
4.Phantasma
5.Giphantie
6.Space Frame Natives
7.The Ancient Camera Of Mo Zi
8.A Moon Daguerreotype

Line-up
Davide Romagnoli – electric & acoustic guitars
Matteo Ravelli – drums, fx, percussions
Luca S. Allocca – guitars, synths
Luca Sguera – keyboards, synths, percussions
Riccardo Balzarin – guitars
Francesco Panconesi – sax
Alessandro Mazzieri – bass

GOODBYE KINGS – Facebook

Noemi Terrasi – Black Seagull

Black Seagull è un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.

Progressive rock/metal strumentale dall’ottima tecnica, ideale colonna sonora di un concept ispirato ad una catastrofe ambientale, è quanto si trova in Black Seagull, primo lavoro della chitarrista siciliana Noemi Terrasi.

Il gabbiano fatica a prendere il volo, il suo ambiente ancora una volta è messo a dura prova dall’uomo e da quel petrolio, portatore di ricchezza e sofferenza: una storia della quale nostro malgrado siamo stati fin troppe volte testimoni, che raccontata dalla chitarra della giovane musicista e compositrice, davvero brava nel tenere a bada inutili virtuosismi e a puntare sull’emozionalità della propria musica.
Black Seagull è composto da quattro brani per quasi mezz’ora di musica strumentale che passa agilmente da atmosfere prog metal a più pacate sfumature ambient rock, piacevole nel suo andamento drammatico e di denuncia, ma con un’aura di speranza che avvolge in particolare la seconda parte di Ice Wind e la conclusiva The Way Home.
Il crescendo di tensione della title track apre la mente al quadro drammatico della storia, e la Terrasi fa iniziare una sorta di countdown prima che la sua chitarra esploda in trame progressive e metalliche, sempre alternate a sfumature pacate disegnando melodie vincenti di scuola Dream Theater.
Black Seagull è un lavoro molto suggestivo e pervaso da un’attenzione particolare per le melodie: un ottimo biglietto da visita per Noemi Terrasi ed un ascolto consigliato agli amanti del progressive metal e delle opere strumentali.

Tracklist
1.Black Seagull
2.Steel Eyes
3.Ice Wind
4.The Way Home
Line-up
Noemi Terrasi

NOEMI TERRASI – Facebook

Riccardo Tonoli – City Of Emeralds

La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.

City Of Emeralds è il primo lavoro strumentale del chitarrista Riccardo Tonoli, da più di dieci anni in forza ai Tragodia, ex di Bladhe, D-Vines ed Hand of Glory e in veste di collaboratore con i norvegesi To Cast a Shadow e Gravøl e i nostrani Take Me Out e Dark Horizon.

Prodotto da Daniele Mandelli e dallo stesso Tonoli, l’album parla di Dorothy, che dopo essere stata travolta da un tornado si ritrova in un mondo fatato, nel quale incontrerà personaggi di ogni tipo, raccontato dalla chitarra del musicista lombardo, aiutato da Luca Paderno al basso ed Arin Albiero alla batteria.
Il lavoro, strumentale, mette in evidenza la tecnica sopraffina di questo chitarrista: City Of Emeralds è forse l’album più shred oriented che mi sia capitato di ascoltare negli ultimi tempi, anche se Tonoli mantiene un approccio al songwriting lineare quanto basta per permettere anche a chi non è avvezzo alle opere del genere di carpire le atmosfere regnanti sui tredici brani che compongono l’opera.
Metal progressivo di alta scuola, ricamato da evoluzioni strumentali e raffinate sfumature shred sono comunque le qualità principali dell’album che attrae e rapisce grazie alle atmosfere fantasy che disegnano luoghi meravigliosi nell’immaginario di chi ascolta.
La grande tecnica lascia campo ad emozionanti momenti di musica in cui arrangiamenti e melodie trovano il loro spazio, alternandosi con le evoluzioni chitarristiche di Tonoli, a tratti incendiarie, in altri momenti progressivamente eleganti.
Tra i bani segnalo Through The Looking Glass, Mad Hatter, The Garden Of Light Flowers, The Rabbit Hole, anche se City Of Emeralds è opera da ascoltare nella sua interezza, quindi prendetevi un’oretta, mettetevi comodi ed esplorate questo mondo fiabesco in compagnia di Dorothy, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Meeting The Kalidahs
2.Live Together, Die Alone
3.Through The Looking Glass
4.City Of Emeralds
5.Mad Hatter
6.There’s No Place Like Home
7.Walkabout
8. The Garden Of Light Flowers
9.The Pattern
10 A Road With Yellow Bricks
11.The Rabbit Hole
12.The Myth Of The Cave
13.There’s More Than One Of Everything

Line-up
Riccardo Tonoli – chitarre, basso, programming e arrangiamenti
Luca Paderno – basso
Arin Albiero – batteria

RICCARDO TONOLI – Facebook

Luke Fortini – Inside

Fortini, oltre alla riconosciuta ottima preparazione strumentale, esibisce anche un buon talento nella scrittura di brani che non restano avviluppati da virtuosismi fine a sé stessi.

Non certo un nome nuovo della scena metal/rock nazionale, il chitarrista Luke Fortini presenta il suo nuovo album solista interamente strumentale.

Il musicista, oggi in forza agli Hyperion (band heavy/thrash di cui ci siamo occupati in occasione dell’uscita dell’album Dangerous Days) ed agli Imago Imperii (epic/power metal), ha un passato in molti altri gruppi della scena metal tricolore e alle spalle una manciata di lavori solisti che precedono questo nuovo lavoro intitolato Inside.
I sette brani sono stati scritti, registrati e suonati interamente da Fortini, il quale, oltre alla riconosciuta ottima preparazione strumentale, esibisce anche un buon talento nella scrittura di brani che non restano avviluppati da virtuosismi fine a sé stessi rivelandosi a loro modo originali ed affascinanti anche per chi non ama le opere strumentali.
L’album si apre con la title track, un brano progressivo e dalle atmosfere oscure che a tratti ricorda i Goblin, ma a seguire le tracce prendono strade diverse, raggiungendo lidi che vanno dal metal estremo al rock sperimentale, fino a raggiungere atmosfere stranianti nella conclusiva From Hell To Space, che si sviluppa tra suoni ed effetti dai rimandi cinematografici, ricordando la colonna sonora di un film muto.
Un album scritto per sé stesso, che trova nella sua varietà di stili l’arma per non sfigurare tra le opere del genere.

Tracklist
1.Inside
2.The Prism
3.Interplanetary Code
4.Irregular
5.The Black Demon
6.Virtuoso
7.From Hell To Space

Line-up
Luke Fortini – All Instruments

LUKE FORTINI – Facebook

San Leo – Y

Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste.

Il duo riminese San Leo è un gruppo che usa la musica per contornare un universo profondo e tutto da scoprire.

Le composizioni sono molto ben strutturate e sono assolutamente slegate dalla forma canzone, possiedono un ritmo ed una vita tutta loro e molto particolare; questo è l’ultimo capitolo della trilogia comincia con XXIV nel 2015 e proseguita con Dom nel 2017, un lungo percorso esoterico di ricerca sia spirituale che musicale. La musica vera e profonda, con un significato anche nel suono oltre che in ciò che si vuole dire, è come questa dei San Leo, che non ha in pratica un genere di riferimento, ma scaturisce da una sorgente profonda che è arcaicamente insita dentro di noi. I titoli lunghi, in un’era come la nostra connotata dal simbolismo dell’eiaculazione precoce in cui tutto deve essere veloce e chiaro, sono già poesie e prese di posizione di per sé, e si accompagnano benissimo alla musica. Il duo chitarra e batteria è una forma diffusa nel mondo della musica, e ne abbiamo alcuni validi esempi anche qui in Italia, ma dimenticate ciò che avete sentito fino ad ora in questo ambito, perché questo è un processo alchemico che non vi lascerà come prima. Inutile cercare di usare qui la dicotomia musica facile e comprensibile versus musica difficile e intellettuale: qui c’è la musica che ricerca, che va incessantemente avanti, senza fermarsi per farsi acclamare. Le idee sono molte e tutte molto valide e ben congegnate, il dipanarsi della trama ha un senso ben compiuto, che però cela moltissimo di quello che non si vede e che si deve scoprire, e per tutti avrà un significato diverso, perché siamo tutti ricettori differenti. Si viene rapiti da queste frequenze, da questi suoni che sono chiavi di un software superiore, stati d’animo fusi con l’acciaio degli angeli, potentissime visioni minimali che lasciano stucchi dorati nella volta celeste. Y è un disco incredibile per una traiettoria musicale unica in Italia, supportata da varie e notevoli etichette italiane.

Tracklist
1) Una presenza, una doppia entità nascosta nell’ombra: tra le fenditure del legno risiedeva il riflesso
del vero volto
2) La lama in attesa, la vertigine di un gesto inesorabile, l’eco sinistra delle urla del re
3) Lasciami precipitare come pioggia di meteore: a me fuoco e distruzione, a me catastrofe e
rinascita
4) Nella risacca udì la voce della mutazione marina, un mormorio di ossa tramutate in conchiglie

Line-up
Marco Tabellini – guitar
Marco Migani – drums

SAN LEO – Facebook

The Outsider – Hyeon

Se Beauty Awakens the Soul to Act poteva essere stato un frutto prelibato ma estemporaneo, Hyeon conferma quanto Andrea Cicala sia un musicista capace, ispirato e degno più di molti altri dell’attenzione di chi ricerca sonorità fresche, limpide e dalla potente forza espressiva, anche quando, come in questo caso, le note sono volte a cullare piuttosto che a sferzare l’ascoltatore.

Avevamo scoperto il bel talento del musicista siciliano Andrea Cicala lo scorso anno, con la sua prima uscita sotto il monicker The Outsider intitolata Beauty Awakens the Soul to Act.

Oggi il nostro si ripresenta con un altro lavoro nel quale le coordinate sonore si discostano decisamente dal metal contaminato dall’elettronica e dall’ampio respiro progressivo offerto in quell’occasione: Hyeon, infatti, mette in evidenza un’anima post rock dai tratti liquidi e sognanti e soprattutto sempre volto a smuovere le corde dell’emotività.
Il lavoro, ancora una volta del tutto strumentale, consta di nove brani per circa tre quarti d’ora di sonorità carezzevoli, suonate e prodotte ottimamente (nonostante il ragazzo palermitano mantenga sempre il solito basso profilo), solo saltuariamente irrobustite ritmicamente (Yearning Tides, traccia peraltro baciata da una linea melodica magnifica) ma senza rischiare mai di andare fuori giri o fuori tema.
Per evitare di risultare alla lunga tedioso, un lavoro di questa specie deve essere equilibrato e privo di ridondanze: ciò è esattamente quanto si riscontra dalla prima all’ultima nota di Hyeon, con momenti di assoluto splendore come Oceans Have No Memory, dove la rarefazione del suono nella sua seconda metà assume a tratti connotazioni magicamente ipnotiche.
Appare evidente come Andrea esibisca nei brani più lunghi (oltre ai due citati, anche Jötunn) sonorità più composite ed inquiete, lasciando invece alle tracce più brevi il compito di regalare passaggi di cristallina bellezza, capaci di tergere sia pure temporaneamente l’animo e la mente dai pensieri più cupi.
Se Beauty Awakens the Soul to Act poteva essere stato un frutto prelibato ma estemporaneo, Hyeon conferma quanto Andrea Cicala sia un musicista capace, ispirato e degno più di molti altri dell’attenzione di chi ricerca sonorità fresche, limpide e dalla potente forza espressiva, anche quando, come in questo caso, le note sono volte a cullare piuttosto che a sferzare l’ascoltatore.
The Outsider rappresenta, in qualche modo, la quintessenza dell’underground, e per noi è proprio la possibilità che ci viene data nel divulgare progetti musicali come questi a fornire le maggiori soddisfazioni, credeteci.

Tracklist:
1.Intro
2.Over
3.Sine Ira
4.Yearning Tides
5.Polaris
6.Oceans Have No Memory
7.Materia
8.Jötunn
9.The Deep Roar of the Breaking Waves

Line-Up:
Andrea Cicala

La Fantasima – Notte

Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano.

I La Fantasima sono un trio di Roma che vuole rendere omaggio alle atmosfere e ai colori del nostro paese, cercando una poetica musicale molto differente e totalmente personale.

La loro musica è per nostra fortuna e godimento difficilmente classificabile, dal momento che troviamo diversi stili in essa. La struttura è prevalentemente progressive, nel senso che è musica fatta per andare avanti senza ritornelli od inutili abbellimenti, ma è prodotta per creare uno stato d’animo nell’ascoltatore attraverso dilatazioni sonore che fanno sia meditare sia elevare. Notte è un disco totalmente strumentale, e questo impasto sonoro sembra quasi doom fatto con un altro codice, con quella cifra stilistica che parla di malinconia ma anche di adorazione delle poche cose belle che ci circondano. Qualcuno potrebbe anche sentirci dentro qualcosa di post rock, ma i La Fantasima sono un gruppo devoto alla tradizione, anche se sono molto moderni nel porsi in maniera originale. Lo scopo di Notte è di creare una mitopoiesi di questo paese che si chiama Italia e che forse non è mai stata una nazione, ma che ha dei luoghi unici, dove è meglio andare quando in cielo comanda la luna, perché certe cose con una luce differente si vedono assai meglio. Le atmosfere create dal trio romano, qui al secondo disco, sono molto belle e godibili: si gusta a fondo questo disco inforcando le cuffie e pensando solo a quello che stiamo ascoltando. La nuova fatica dei La Fantasima è preziosa, fa parte di quel poco tempo che strappiamo al panopticon che ci circonda, dove possiamo essere noi stessi e rincorrere ancora le lucertole sui muri, o impressionarci per un albero visto di notte. C’è tanta dolcezza in questo disco, ma anche la consapevolezza che siamo stati recisi dal nostro vero io, che possiamo trovare nelle cose e nei rari momenti in cui tutto si allinea e noi con esso, rare apparizioni di sapienza come questo disco che parla direttamente alla nostra anima, come poche altre cose sanno fare.

Tracklist
1.Notte
2.Placida Musa
3.Dea mia
4.Amante Silente
5.Sino Al Mattino

Line-up
Chris: Guitars
Maxbax: Bass
Artifex: Drums

LA FANTASIMA – Facebook

June 1974 – Nemesi

Nemesi risente talvolta delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Se, fino ad oggi, chi ascolta abitualmente metal non ha mai sentito nominare i June 1974 è tutto sommato giustificato, nonostante la marea di lavori pubblicati sotto questo monicker negli ultimi anni.

Il perché è presto spiegato: per la prima volta Federico Romano, il musicista che sta dietro al progetto, ha deciso di approdare in territori a noi più familiari dopo avere esplorato svariate forme musicali; così , con la collaborazione di Tommy Talamanca, che ha registrato il lavoro presso i suoi Nadir Studios, ha chiamato in qualità di ospiti nei diversi brani nomi piuttosto illustri della scena rock e metal, italiana ed internazionale.
Non si può negare, quindi, che alla luce del cast messo assieme da Romano, comprendente, tra gli altri, musicisti come Patrick Mameli , Andy LaRocque, James Murphy, Paul Masdival e lo stesso Talamanca, si finisce per prefigurare un disegno stilistico che alla fine non corrisponde del tutto al vero.
Nemesi è, infatti, un lavoro di stampo progressivo, interamente strumentale e virato più sul rock che sul metal, e non è che questo sia di per sé un male, l’importante è appunto non farsi traviare da idee precostituite; è anche vero, d’altro canto, che a livello di consuntivo i brani che più convincono sono quelli che vedono coinvolti ospiti non di estrazione metal, come Sognando Klimt con Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori) e Home con Francesco Conte (Klimt 1918), oppure specialisti di altri strumenti che non siano la chitarra, come Nothing Man con Jørgen Munkeby (sassofonista degli Shining norvegesi) e Beloved con Francesco Sosto (tastierista dei The Foreshadowing).
Molto bello è anche Narciso, il brano che vede impegnato John Cordoni dei Necromass, con un chitarrismo morbido e melodico, in antitesi con l’appartenenza dell’ospite alla band più estrema tra quelle rappresentate, ma in generale l’album è comunque molto vario e si lascia ascoltare senza che la mancanza di parti vocali presenti più di tanto il conto.
Quello che non convince del tutto, finendo per inficiare parzialmente la resa finale del lavoro, è però l’elemento percussivo che si rivela il più delle volte troppo invadente, se non addirittura fuori luogo, nell’accompagnare uno sviluppo melodico che avrebbe richiesto un approccio più morbido e meno incalzante.
Detto questo, Nemesi, pur non essendo un’opera imprescindibile, contiene diversi motivi di interesse anche se, guardando le forze messe in campo da Federico Romano, potrebbe sembrare a prima vista soprattutto un’occasione perduta; indubbiamente il lavoro risente delle difficoltà oggettive nell’assemblare pulsioni e stili differenti dei vari ospiti, per di più da parte di un compositore che si cimenta per la prima volta con sonorità di questo genere, ma una simile operazione alla fine va vista con favore, avvicinandovisi possibilmente con la giusta mentalità.

Tracklist:
1.”Sognando Klimt” featuring Gionata Mirai (Il Teatro Degli Orrori)
2.”Inoubliable” featuring Tommy Talamanca (Sadist)
3.”Narciso” featuring John Cordoni (Necromass)
4.”Home” featuring Francesco Conte (Klimt 1918)
5.”Panorama” featuring Andy LaRocque (King Diamond)/Tommy Talamanca(Sadist)
6.”Nothing Man” featuring Jørgen Munkeby (Shining/Ihsahn)
7.”Death Note” featuring Patrick Mameli (Pestilence)
8.”Arcadia” featuring Paul Masvidal (Cynic/Death)
9.”Creed” featuring James Murphy (Obituary/Death/Testament/Cancer/Gorguts)
10.”Beloved” featuring Francesco Sosto (The Foreshadowing)

Line-up:
Federico Romano

JUNE 1974 – Facebook

Ærgonaut – Destination Anywhere

Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

I tempi sono cambiati in ambito metal strumentale, e col passare del tempo ci ritroviamo sempre più spesso al cospetto di lavori che, oltre alla mera tecnica, cercano di trasmettere emozioni anche a chi non è per forza di cose un musicista e dal mondo delle sette note cerca emozioni.

Molti sono coloro i quali si cimentano in opere in cui la mancanza di una voce guida lascia libera l’immaginazione dell’ascoltatore, rapito dalle evoluzioni strumentali mai fine a se stesse ma esposte come colonne sonore, racconti in musica di viaggi come questo ottimo debutto intitolato Destination Anywhere, opera strumentale di Ærgonaut, polistrumentista e compositore italiano.
Destination Anywhere è proprio quello descritto in precedenza, un viaggio musicale lungo sette brani, dalla decisione di partire, ai timori del protagonista per quello che lo aspetterà lungo il tragitto che lo separa dalla Terra, un traguardo sospirato e raccontato con l’aiuto di un metal progressivo che non disdegna soluzioni moderne, tra elettronica, synth e ritmiche a tratti sincopate, ma subito alleggerite da splendide aperture melodiche.
I solos raccontano le emozioni che scaturiscono dalle varie peripezie che Ærgonaut incontra nel suo vagabondare, lo spazio e il suo infinito, mentre le note alternano momenti di ruvido metall, a progressive digressioni melodiche e atmosferiche parti vicino allo space rock.
Il sound di Destination Anywhere è composto da varie anime che si alternano e rendono l’ascolto vario e a suo modo originale, pur restando nei binari del metal progressivo, con sette brani che formano una lunga jam strumentale nella quale non troverete una nota fuori posto.

Tracklist
1. The Beginning
2. Planet
3. Little Trip
4. Boys On The Road
5. The Storm
6. The Binary Code
7. Arrival

Line-up
Ærgonaut – All Instruments

AERGONAUT – Facebook

Flynotes – Child in the Woods

C’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Sempre dalla grande madre Russia eccoci altre prese con i Flynotes, terzetto alle prese con un progressive strumentale che porta con sé pregi e difetti derivanti dalla rinuncia alle parti vocali.

Diciamo che gli aspetti positivi, almeno in questo caso, superano di gran lunga quelli negativi, in quanto questi ragazzi ci sanno fare e, soprattutto, non abusano delle loro capacità tecniche bensì le veicolano al meglio per esplorare i diversi territori che vanno a comporre il mondo rock e metal.
Il sound si appoggia molto sul lavoro della chitarra solista, alla quale viene affidato il compito di trasportare l’ascoltatore in un piacevole viaggio che vede i suoi momenti migliori allorché è una psichedelia in quota Ozric Tentacles a prendere il sopravvento (Green Rodeo), ma anche quando vengono messe in evidenza pulsioni più metalliche (Marble) le cose non vanno affatto male.
Per il resto c’è ben poco da eccepire su un lavoro che scorre piacevolmente ma, per il quale, la natura esclusivamente strumentale diviene, come detto, il limite che impedisce una più immediata assimilazione nonché una più duratura permanenza della musica dei Flynotes nella nostra memoria.

Tracklist:
1. Dark Floyd
2. Wolf
3. Green Rodeo
4. Witch
5. Flower Machine
6. Marble
7. Harvest Time
8. Child in the Woods

Line up:
Ilya Rytov – Bass
Natalia Bogulyan – Drums
Roman Komarov – Guitars, Keyboards

FLYNOTES – Facebook

Carmelo Caltagirone – F*ck*d Alien

Questa raccolta racchiude i tre album fin qui incisi dal chitarrista Carmelo Caltagirone, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.

Carmelo Caltagirone è un chitarrista che si trova nel mondo della musica dall’alba del nuovo millennio, fin da quando ha imbracciato la sei corde e ha cominciato a suonare coverizzando Litfiba e Deep Purple.

In questi ultimi anni ha inciso tre album: Iron man uscito nel 2014, Gemini Man dell’anno seguente e Cosa Loro, Please, nel 2016
Oggi è la volta di pubblicare una raccolta intitolata F*ck*d Alien, che racchiude tutti e tre i lavori pubblicati più una manciata di tracce live.
F*ck*d Alien è sicuramente una raccolta esaustiva del credo compositivo del chitarrista, partendo dai brani scarni e rudimentali inclusi in Iron Man, per passare al sound più elaborato di Gemini Man ed in particolare dell’ultimo Cosa Loro, Please.
Il sound proposto dal musicista varia molto, ma prevalgono la sperimentazione e la voglia di strafare, perdendo qualcosa per strada sul versante prettamente compositivo.
Più di un’ora di trame chitarristiche ispirate dal metal/rock a cavallo dei due millenni e da vari generi come l’alternative dei R.A.T.M., il progressive metal dei Dream Theater o quello più estremo di Nevermore o Lamb Of God, lasciano all’ascoltatore la sensazione di essere al cospetto di un’artista che ha assorbito con passione ed attenzione il meglio che la musica ha proposto in questo secolo, ma d’altra parte una più attenta selezione dei brani avrebbe reso questa collezione più fluida e di più agevole ascolto.

Tracklist
1.God’s Wrath (Alternative Version)
2.Indie Shred
3.Virtual Icon
4.Bass Solo
5.Density
6.Macigno (Alternative Version)
7.Skate Rock
8.The Iron man
9.Sunday Mornong
10.Snob Breack
11.Ipnotic Trauma
12.Rmelo The Boss
13.Prank (Alternative Version)
14.Triskelle
15.her Conversion
16.Cosa loro, please
17.Surf’n’Skate (live)
18.Dark Funk (live)
19.Sunday Morning (live)
20.Winter (live)
21.Density (live)

Line-up
Carmelo Caltagirone – Everything

CARMELO CALTAGIRONE – Facebook

https://youtu.be/AYW3y6q5r9M

Goblin 4 – Four Of A Kind

Four Of A Kind risulta ritorno molto convincente, ancora di più se pensiamo alla qualità altissima di queste nuove composizioni che non risentono minimamente dell’anagrafe dei loro creatori, musicisti eccezionali con ancora molto da dire nel panorama progressivo nazionale ed internazionale.

I Goblin sono, insieme ad una manciata di altri nomi illustri, la storia del progressive rock tricolore, famosi in tutto il mondo per aver legato il proprio nome alle fortunate pellicole dalle tematiche horror di Dario Argento.

Nel corso degli anni il loro monicker è stato modificato più volte per non inciampare in diatribe legali con il membro fondatore e tastierista Claudio Simonetti, riavvicinatosi alla band nel 2011, ma subito tornato ai suoi Claudio Simonetti’s Goblin.
New Goblin, Goblin Rebirth, Claudio Simonetti’s Goblin e Goblin 4: la quarta anima del folletto più importante della storia del progressive rock è formata dai quattro quinti della band originale, quindi Fabio Pignatelli al basso, Massimo Morante alla chitarra, Maurizio Guarini alle tastiere e Agostino Marangolo alla batteria.
Four Of a Kind segue il precedente Back To The Goblin e risulta un viaggio strumentale nel mondo progressivo, misterioso e oscuro di chi del genere è diventato l’icona, realtà intoccabile da quarant’anni di un certo modo di fare musica, sempre con quelle sfumature da colonna sonora che ne sono il marchio di fabbrica.
Fin da Uneven Times, splendida apertura, questo nuovo lavoro ci presenta un sound immortale, personalissimo, prodotto e suonato come il monicker in calce alla copertina richiede, pregno di atmosfere pressanti ma valorizzate da un’eleganza compositiva rimasta intatta dopo tutti gli anni trascorsi.
Si passa così da ovvie celebrazioni di sé stessi, a brani capolavoro come Kingdom o Dark Blue(s), sofferto blues dove la sei corde lacrima solos sanguigni, in un contesto che rimane progressivo ed altamente emozionale.
Un ritorno molto convincente, ancora di più se pensiamo alla qualità altissima di queste nuove composizioni che non risentono minimamente dell’anagrafe dei loro creatori, musicisti eccezionali con ancora molto da dire nel panorama progressivo nazionale ed internazionale.

Tracklist
1. Uneven Times
2. In the Name of Goblin
3. Mousse Roll
4. Bon Ton
5. Kingdom
6. Dark Blue(s)
7. Love & Hate
8. 008
9. Goblin [Recorded live in Austin]

Line-up
Maurizio Guarini – keyboards, Hammond orgena, clavicembalo
Fabio Pignatelli – bass, keyboards
Massimo Morante – electric & acoustic guitars, bouzouki
Agostino Marangolo – drums, keyboards

Guest:
Antonio Marangolo – sax (1)

GOBLIN – Facebook

Dreamfire – Atlantean Symphony

Opere come queste si possono sicuramente considerare fuori dal tempo, avvicinatevi con cautela se non avete ben in mente di cosa vi troverete di fronte, e crogiolatevi nelle atmosfere e sfumature di Atlantean Symphony se questo tipo di musica è un vostro ascolto abituale.

Questa misteriosa band di cui si conosce pochissimo è un entità strumentale attiva dalla fine del secolo scorso, oltre a questo album ha negli anni riproposto brani con l’aiuto del supporto di video tratti da Star Wars e Games Of Throne, ma ad oggi Atlantean Symphony rimane l’unico album, licenziato in varie versioni dal 2012.

Quest’anno tocca alla Minotauro Records che, dopo la firma con Dreamfire , ristampa l’album rimasterizzandolo completamente, con l’aggiunta di un paio di bonus tracks (una nuova versione di An Epitaph Engraved In Water e una propria versione di  The Rains Of Castamere di Ramin Djawadi) ed una nuova copertina: musica ambient, colonna sonora per epici film dove lunghi viaggi in terre inesplorate o nei misteri dell’universo fungono da immagine per questi quattordici magici brani, difficili da digerire se non si è in confidenza con questo tipo di suoni.
Consigliato dunque a chi maneggia con cura musica ambient, Atlantean Symphony regala visioni mistiche ed epiche, con il suono di tastiere e synth che creano atmosfere epiche e magniloquenti in un contesto fuori da ogni tipo di reminiscenza metal.
Un’ora immersi in un mondo parallelo dove all’orizzonte si intravedono i fuochi della battaglia appena conclusa dominati da un cielo grigio di fuliggine e dal mare che lambisce le rive rosse dal sangue dei guerrieri caduti.
Un modo per vivere una storia solo con la forza della musica che, magicamente, apre il cinematografo della vostra mente e vi trasporta nel mondo di brani come Embraced By The Light Of The Final Dawn o A Reflection Of Rebirth Through The Eye Of Forlorn.
Opere come queste si possono sicuramente considerare fuori dal tempo, avvicinatevi con cautela se non avete ben in mente di cosa vi troverete di fronte, e crogiolatevi nelle atmosfere e sfumature di Atlantean Symphony se questo tipo di musica è un vostro ascolto abituale.

Tracklist
1 – Across The Ageless Ocean
2 – Approaching Atlantean Monoliths
3 – Embraced By The Light Of The Final Dawn
4 – The Opening Of Eternity
5 – A Reflection Of Rebirth Through The Eyes Of The Forlorn
6 – Into The Temple Of The Elements
7 – (Immersion Into) The Azure Mirror Of Infinity
8 – Tears Of The Enlightened
9 – Of Grandeur And Fragility
10 – A Timeless Lamentation Carried Upon The Storm
11 – Through Fire Into Legend
12 – An Epitaph Engraved In Water
13 – The Rains Of Castamere
14 – An Epitaph Engraved In Water MMXVIII

DREAMFIRE – Facebook

Paolo Carraro Band – Newborn

Assolutamente priva di inutili diavolerie tecniche fine a se stesse, la musica contenuta in Newborn non stanca ed è consigliata anche a chi non stravede per i lavori strumentali e per i maestri delle sei corde, proprio per la sua notevole fluidità e per la cura alla forma canzone che il gruppo non perde mai di vista.

Inizia con il pianto di un neonato questo viaggio musicale nel mondo di Paolo Carraro e la sua band, una strada da percorerre con la mente libera facendo proprie tutte le influenze che il sound di questi cinque brani ci consegnano.

Un rock strumentale attraversato da una vena heavy prog è quello che ci presenta questo quintetto capitanato da chi gli dà il nome, chitarrista vicentino con un percorso che negli anni lo ha portato a confrontarsi in vari concorsi nazionali, a dare vita un primo ep (You’d Better Run) e tornare con la Paolo Carraro Band con questo ottimo lavoro intitolato Newborn e con l’Atomic Stuff ad occuparsi della promozione.
I cinque brani proposti coprono almeno una quarantina d’anni di musica rock, partendo dal progressive e dall’hard rock anni classico di ispirazione settantiana, al più diretto heavy metal per sfiorare accenni blues e metal prog.
Assolutamente priva di inutili diavolerie tecniche fine a se stesse, la musica contenuta in Newborn non stanca ed è consigliata anche a chi non stravede per i lavori strumentali e per i maestri delle sei corde, proprio per la sua notevole fluidità e per la cura alla forma canzone che il gruppo non perde mai di vista.
La band si diverte e fa divertire seguendo uno spartito colorato di note progressive, ma che non dimentica il rock nella sua forma più pura e bluesy, come nella spettacolare ed hendrixiana Expetions o nella divertente Prog’n’roll, un brano tirato e sfacciatamente rock’n’roll , ma con una verve progressiva che scatena il gruppo, in una ipotetica jam tra Chuck Berry e John Petrucci.
Ancora grande musica blues con Blue Jay River e la più hard & heavy Beck In Town, brano che chiude l’album in un crescendo di scale ipertecniche, su un tappeto di ritmiche groove rock da trattenere il fiato.
Una gradita sorpresa, quindi,  questa band che con Newborn ci consegna uno dei lavori strumentali più belli sentiti ultimamente.

Tracklist
01. Introduction 1257
02. Exeptions
03. Prog’n’Roll
04. Blue Jay River
05. Beck in Town

Line-up
Paolo Carraro – Guitar
Daniele Asnicar – Guitar
Federico Saggin – Bass
Federico Kim Marino – Drums

PAOLO CARRARO – Facebook

Gianluca Magri – Reborn

Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Debutto solista per il chitarrista bellunese Gianluca Magri, con un passato nella metal band Phaith, con la quale ha inciso un album nel 2011 (Redrumorder).

In questa nuova avventura discografica, intitolata Reborn, il musicista nostrano affida il basso alle mani di Diego Maioni, la batteria a Raffaele Fiori ed i tasti d’avorio a Lorenzo Mazzucco per dar vita alla sua idea di rock strumentale, assolutamente fuori dai binari ipertecnici dei guitar heroes, ed orientati come spesso accade tra le nuove leve verso una forma canzone che ne facilita la fruibilità.
Anche se in poco più di una ventina di minuti, ma sicuramente di buon livello, Reborn ci presenta un musicista preparato ed assolutamente in grado di ben figurare nel vasto mondo del rock/metal strumentale, con cinque brani che passano in rassegna le varie ispirazioni che hanno portato Magri ad imbracciare una sei corde, dai Led Zeppelin, a Gary Moore e Satriani, con un occhio agli anni settanta quanto al metal del decennio successivo.
Bellissime e varie, a mio parere, sono Snowballed e A.D.R., cuore di questo gioiellino strumentale iniziato con la title track (brano alla Satriani) e Cloudbreaker, poi concluso con le armonie acustiche e zeppeliniane della sognante Atlas Bound che prova a far rivivere la magia di Bron-Y-Aur, dal mastodontico Physical Graffiti.
Un buon inizio per il chitarrista bellunese, che ci fa testimoni della sua bravura in un contesto armonioso e mai fine a sé stesso.

Tracklist
1.Reborn
2.Cloudbreaker
3.Snowballed
4.A.D.R.
5.Atlas Bound

Line-up
Gianluca Magri – Guitars
Diego Maioni – Bass
Raffaele Fiori – Drums
Lorenzo Mazzucco – Hammond, Synth

GIANLUCA MAGRI – Facebook

Divine Realm – Nordcity

Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.

Metal progressivo e strumentale quello proposto dai Divine Realm, quartetto canadese che licenzia il suo nuovo lavoro autoprodotto dal titolo Nordcity.

La band esordì nel 2013 con l’ep Mor[T]ality , seguito da un paio di full length, Abyssal Light e Tectum Argenti, rispettivamente del 2014 e del 2016, tornando sul mercato con questa ventina di minuti nel quale il talento tecnico fa bella mostra di sé, valorizzando questo piccolo assaggio delle potenzialità del gruppo, per chi ancora non lo conoscesse.
Non manca qualche difettuccio, è bene sottolinearlo, a tratti la band si specchia nel tecnicismo per perdere leggermente in fluidità, ma sono dettagli di un sound che pesca dai maestri del prog (Dream Theater) quanto dai lavori strumentali dei vari guitar heroes.
Nordcity può essere certamente considerato come un buon antipasto in attesa del prossimo full length: la musica dei Divine Realm insegue le vette in cui la tecnica strumentale gioca un ruolo importante sulla valutazione, lasciando un passo indietro la parte emozionale, a mio avviso anima e sangue di un’opera musicale.
Autumn e Revival sono i momenti migliori dell’album, consigliato agli amanti dello shred e del metallo progressivo.

Tracklist
1. As the Crow Flies
2. Autumn
3. Whitewater
4. Revival
5. Hanging Valleys

Line-up
Leo Diensthuber – Lead/Rhythm Guitars
Marc Roy – Lead/Rhythm Guitars
Tyler Brayton – Bass Guitar
Josh Ingram – Drums

DIVINEREALM – Facebook

Claudio Signorile – Groove Experience

Come ci hanno abituato ormai da tempo i musicisti che si cimentano in lavori strumentali, anche Claudio Signorile riesce ad impressionare senza necessariamente smarrire la strada maestra che conduce ad una scrittura rivolta non solo agli iniziati, bensì a chiunque ami la buona musica.

La musica contemporanea ha dato, da parecchi anni, sempre maggiore importanza agli strumenti ritmici, con il basso ad ergersi a protagonista principale, in più di un caso anche più della stessa chitarra: nell’economia dei vari generi con il suo suono caldo ha abbracciato migliaia di ascoltatori, ed anche nel metal e nel rock ha sempre trovato maestri indiscussi.

Groove Experience è il secondo ep del musicista pugliese Claudio Signorile, che i cultori del basso e dei lavori strumentali ricorderanno con A song 4 each day…, primo album uscito nel 2011 che lo vedeva impegnato quasi completamente con la programmazione degli altri strumenti, registrazione e mix.
Questa volta il bassista barese è accompagnato da una serie di ottimi musicisti che valorizzano i brani presenti in Groove Experience, dove il basso viene presentato sia come accompagnamento sia come strumento principale, offrendo una panoramica soddisfacente sul mondo delle quattro corde.
Ovviamente, in un album interamente strumentale, i pericoli dietro l’angolo sono l’ autocompiacimento e la tecnica fine a se stessa, a discapito di una fruibilità che per chi ascolta diventa vitale se non si è musicisti e non si ha confidenza con le tecniche di esecuzione.
Invece, per fortuna, Groove Experience lascia trasparire la voglia da parte di Signorile di rendere partecipi tutti quelli che si soffermeranno su queste sette gemme strumentali, nelle quali le capacità tecniche sono esclusivamente funzionali allo scorrere del fiume di musica che passa da rimandi jazz, al funky, dal rock, al metal, con il basso a dettare i tempi e, di conseguenza, le emozioni scaturite da bellissime cascate strumentali come Bass Suite, Groove Experiment e la magnifica Mosaic.
Come ci hanno abituato ormai da tempo i musicisti che si cimentano in lavori strumentali, anche Claudio Signorile riesce ad impressionare senza necessariamente smarrire la strada maestra che conduce ad una scrittura rivolta non solo agli iniziati, bensì a chiunque ami la buona musica.

Tracklist
01. Horizon
02. Bass Suite
03. Unforgettable
04. Groove Experiment
05. When love ends
06. Mosaic
07. In my memory

Line-up
Claudio Signorile – bass
Pierluigi Balducci,Vincenzo Maurogiovanni – Lead bass
Michele Campobasso – piano
Francesco Adessi and Danny Trent – acoustic guitar
Aurelio Follieri – electric guitar
Rha Stranges Francesco “Frums” Dettole – drums
Marcello Leanza – sax
Aurelio Follieri – electric guitar
Danny Trent – acoustic guitar

CLAUDIO SIGNORILE – Facebook