Wormhole – Genesis

La mezz’ora regalataci dai Wormhole rispecchia in toto la tradizione brutal death americana.

Brutal death metal da Baltimore con questo devastante trio chiamato Wormhole, che unisce al metal estremo liriche che richiamano il mondo dello sci-fi.

Genesis è il primo lavoro sulla lunga distanza del gruppo, nato nel 2015 e con due singoli già editi: il suo metal brutale di matrice slamming risulta un assalto sonoro senza soluzione di continuità, anche se il gran lavoro delle sei corde lascia intravedere in qualche assolo scorci di luce melodica in un mondo di totale devastazione ed oscurità.
Mezz’ora scarsa basta al trio del Maryland per vomitarci addosso una serie inumana di blast beat, momenti altamente tecnici ed intricati e massacri musicali veloci e debordanti, le due chitarre fanno il bello e cattivo tempo con una serie di diavolerie sul manico che non lasciano indifferenti.
Il growl animalesco, affiancato da uno scream di matrice black, fa il resto e Genesis si rivela un lavoro soddisfacente per gli amanti di queste sonorità.
Inutile scrivere che dall’opener Nurtured in a Poisoned Womb in poi è un susseguirsi di cambi di tempo, velocità al limite, con una serie di brani estremi di buona fattura di cui almeno due brani a spiccare: Battle Logic Disrupted e la conclusiva Existence Gap.
Niente di nuovo, il genere è questo e la mezz’ora regalataci dai Wormhole rispecchia in toto la tradizione brutal death americana, con tutte le band storiche del genere ben presenti nel sound di questo debutto che dovrebbe risultare gradito ai fans del genere.

TRACKLIST
1.Nurtured in a Poisoned Womb
2.Battle Logic Disrupted
3.Symbiotic Corpse Possession
4.Automated Distress Signal
5.Geoform 187
6.Gravity Manipulation Unit
7.Genesis Chamber
8.Existence Gap

LINE-UP
Sanil Kumar – Guitars
Sanjay Kumar – Guitars, Bass
Calum Forrest – Vocals
Duncan Bentley – Vocals

WORMHOLE – Facebook

Ashaena – Calea

Un album di grande sostanza che conferma quanto, in Romania, le varie forme musicali che prendono le mosse da una base black si stiano sviluppando con grande continuità, in diverse direzioni e con esiti sempre stimolanti.

A sette anni di distanza dal full length d’esordio, i rumeni Ashaena ritornano con un nuovo album, Calea, che segue l’omonimo ep uscito nel 2013.

Poca prolificità (visto anche che ben tre dei sette brani contenuti provengono proprio dall’ep) che per fortuna non va di pari passo con la qualità del pagan black offerto dalla band di Cluj, capace invece di modellare con buona padronanza e personalità un genere nel quale il rischio di scadere nella banalità è sempre dietro l’angolo.
Il valore che aggiungono gli Ashaena è il gusto est europeo per sonorità etniche, il che li porta a non aderire eccessivamente allo stile nordico per andarsi ad avvicinare più volte a sentori folk, naturali per chi fa musica nel medesimo paese dei Negură Bunget: lo stesso ricorso alla lingua madre rende più istintivo un accostamento che non si tramuta mai in un atteggiamento passivamente derivativo.
Del resto, sono proprio i momenti in cui Calea si illumina, ammantandosi di un’aura solenne ed ancestrale, a rendere l’album degno della dovuta attenzione, visto che le accelerazioni di matrice black, da sole, non sarebbero in grado di fare la differenza.
Troviamo così il fulcro nell’accoppiata centrale Crapat di Cer e Spirit-Sageata, dove un’aulica coralità si fonde con le asprezze estreme, creando un ibrido magari non inedito ma davvero riuscito e coinvolgente.
Comunque anche i brani più orientati al pagan godono di una buona personalità e di un gusto melodico sempre di prim’ordine, mentre lo strumentale Tara Berladnicolor è folk metal allo stato puro e, nonostante sia decisamente gradevole, risulta l’episodio più ordinario dell’album. Molto belle anche le più datate Zbor Insetat e Mos Urs, tracce che suggellano un album di grande sostanza, a conferma del fatto che, in Romania, le varie forme musicali che prendono le mosse da una base black si stanno sviluppando con grande continuità, in diverse direzioni e con esiti sempre stimolanti.

Tracklist:
1.Tapae 87
2.Calea
3.Tara Berladnicolor
4.Crapat di Cer
5.Spirit-Sageata
6.Zbor Insetat
7.Mos Urs

Line-up:
Cosmin “Hultanu” Duduc – Guitar, Clean Vocals, Aplehorn and Flutes
Alex “Strechia” Duduc – Drums, Percution, Bagpipe
Marius Gabrian – Bass
Alex “Vrancu” Vranceanu – Guitar and vocals

ASHAENA – Facebook

Emptiness – Not for Music

La band afferma “We try to transport the listener into a world that wants to exclude him. Nothing to enjoy”.la conferma di un band che ha trovato il proprio suono.

Il respiro pulsante del fuoco in un una natura madre e matrigna, una profonda immersione in un oscuro e liquido mondo incubico senza via di uscita.

Queste sono le sensazioni che possono permeare l’ascolto dei belgi Emptiness con il loro quinto full, a tre anni da “Nothing but the Whole” che me li fece conoscere e stra-apprezzare: è necessario, com’è scritto sul cd, essere realmente “open minded” per poter metabolizzare questa affascinante opera concepita da quattro musicisti che, partendo da basi black e death metal, evolvono verso un sound realmente unico approdando a un atmosferico mix di darkwave (può ricordare in parte i Bauhaus), sinistra ambient con un flavour psichedelico (Digging the sky) e qualche strano aroma pop nella melodia (Ever). Due di loro, Olivier Lomer-WIlbers alla chitarra e Jerome Bezier al basso e alla voce, derivano dalla band di puro black metal Enthroned, una leggenda per i veri cultori del genere; la voce di Bezier con il suo profondo timbro, più che cantare in senso stretto, ammalia narrando storie oscure e malate e contribuisce a rendere i brani ancora più claustrofobici e “otherwordly”. Per chi voglia addentrarsi in questa “selva oscura” è oltremodo necessario rammentare che non troveranno cavalcate black o ritmi serrati death ma un suono indefinito figlio di tempi cupi, plumbei, claustrofobici e senza speranza. Diversamente estremo per un opera affascinante e misteriosa.

TRACKLIST
1. Meat Heart
2. It Might Be
3. Circle Girl
4. Your Skin Won’t Hide You
5. Digging the Sky
6. Ever
7. Let It Fall

LINE-UP
Phorgath – Bass, Vocals
Jonas Sanders – Drums
Olve J.LW – Guitars, Vocals
Peter Verwimp – Guitars

EMPTINESS – Facebook

Forgery System – Distorted Visions

Esordio d’eccezione per questi ragazzi assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

I pavesi Forgery System debuttano sulla lunga distanza con Distorted Visions, un più che buon disco di thrash e crossover.

Questi ragazzi hanno molte idee e le sviluppano tutte bene, dando vita a composizioni thrash metal molto varie e con sconfinamenti nel crossover. Stupisce, essendo un disco di esordio, la padronanza della materia e la bravura tecnica, oltre alla capacità di poter usare diversi registri della musica pesante. Distorted Visions è un lavoro che ha fortissime radici nel metal anni ottanta e novanta, e questi ragazzi hanno una conoscenza dell’argomento che, se non li sapessi così giovani e di Pavia, avrei tranquillamente giurato sulla loro provenienza a stelle e strisce. Nel disco si sente quella freschezza di groove molto anni novanta, quella bella scorrevolezza di generi metal che concorrono tutti allo stesso risultano, ovvero quello di arrivare a divertire l’ascoltatore attraverso la durezza e la melodia. Unico appunto può essere la produzione, perché, e non è facile, con suoni più potenti questo disco sarebbe ancor più gigantesco.
Esordio d’eccezione per questi ragazzi, assolutamente da seguire nel loro percorso thrash e crossover, sperando che non si separino più.

TRACKLIST
1.Metal Ain’t Gonna Die
2.Swimming In A Bowl
3.Instrumetal
4.New Sensation
5.Yellow Line
6.Eclipse Of Wrath
7.She
8.Ebola
9.2016

LINE-UP
Gabriele Orlando – Guitar/Vocals
Daniele Maggi – Guitar
Pablo Dara – Bass/Vocals
Federico Fava – Drums

FORGERY SYSTEM – Facebook

Frozen Sand – Fractals – A Shadow Out Of Lights

I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

Vi avevamo parlato dei piemontesi Frozen Sand in occasione dell’uscita del primo ep intitolato Prelude, uscito nel 2015, ottimo lavoro che appunto fungeva da preludio a questo primo full length che conferma la bravura del gruppo novarese.

Fractals – A Shadow Out Of Lights mantiene quello che i quattro brani contenuti nel lavoro precedente promettevano, sviluppando le virtù che risplendevano all’epoca e valorizzandole con ottime idee ed un songwriting più maturo, con il gruppo più consapevole dei propri mezzi.
Prodotto benissimo, come deve essere un album di metallo progressivo, Fractals riparte da dove si era fermato l’ep, ed il primo brano, A Melody through Time and Space mette subito in evidenza l’eleganza metallica con cui i Frozen Sand affrontano tracce aggressive e la loro bravura nel saper coniugare il power prog al metal più moderno, magari poco digerito dagli amanti della musica progressiva più canonica, ma perfetta per accaparrarsi le lodi dei più giovani dagli ascolti estremi.
Perfect Inspiration ed Everlasting Yearning sono due devastanti canzoni power prog, in  cui la sezione ritmica mette la freccia e viaggia sulla corsia di sorpasso: da annotare anche il bell’assolo power sulla seconda traccia e le ottime linee melodiche vocali.
Si corre veloce e Sail Towards The Unknown tiene il piede ben schiacciato sull’acceleratore preparandoci a Yell Of Esitation dove tornano le sfumature modern metal che non inficiano affatto l’ottimo risultato ottenuto dalla band con questo primo full length.
Poi, come per incanto, si torna a viaggiare sulle ali dei DreamTheater: You – Partial – Perfection – Daylight, traccia top di questo lavoro, con il prezioso contributo al microfono di Alessandra Sancio (ospite sull’album oltre a Fabio Privitera e Alex Saitta), vede il gruppo affrontare la materia progressiva con uno spiccato talento melodico, così da fare del brano uno scrigno emozionale, seguito dalla splendida ballad dalle tinte folk Silent Raven.
I Frozen Sand si confermano una realtà da seguire con attenzione in un panorama nostrano che ha ormai raggiunto una qualità complessiva altissima, anche in questo specifico genere.

TRACKLIST
1.A Melody through Time and Space
2.Perfect Inspiration
3.Everlasting Yearning
4.Sail towards the Unknown
5.Yell of Hesitation
6.Rule this World
7.You – Partial – Perfection – Daylight
8.Silent Raven

LINE-UP
Luca Pettinaroli – Vocals
Mattia Cerutti – Guitar
Tiziano Vitiello – Bass
Simone De Benedetti – Drum
Federico De Benedetti – Guitar, synth guitar & back vocals

FROZEN SAND – Facebook

Solitude – Reach For The Sky

I Solitude riescono nell’intento di confezionare un prodotto metallico fresco, pur conservando la propria anima classica

La terra del sol levante ha una tradizione metal rock radicata fin dai primi anni settanta, e non è un caso se molti dei nomi storici della scena abbiano nella discografia almeno un album live registrato nel paese dei samurai.

Dal successo di Made in Japan dei Deep Purple in poi (ed era il 1972) ogni gruppo con un minimo di ambizione commerciale è dovuta passare per il Giappone, ma ovviamente non sono mancate le band indigene che si sono costruite una reputazione anche in occidente (su tutti i Loudness), mentre la scena regalava ottime realtà, magari ad uso e consumo dei fans accaniti come i Sacrifice, thrash metal band nata addirittura nella seconda metà degli anni ottanta: quella band venne lasciata da Akira Sugiuchi (voce) e Toru Nishida (basso) nel 1996 per formare i Solitude, con i quali licenziarono Virtual Image, ep di debutto uscito all’alba del nuovo millennio.
Nel 2009 è tempo per il debutto sulla lunga distanza (Brave The Storm ) seguito a distanza di sette anni da quest’ultimo lavoro, Reach For The Sky un buon esempio di metallo classico, puro acciaio musicale tra thrash, heavy e potenti ritmiche hard rock.
Raggiunti da Takamasa “Mad” Ohuchi alle pelli e Shingo Ida alla sei corde, che trancia il cielo del levante con una prestazione tutta fuoco e fiamme, i due storici musicisti riescono nell’intento di confezionare un prodotto metallico fresco, pur conservando la propria anima classica
L’album risulta così una versione più hard rock dei Primal Fear (l’aquila in copertina richiama non poco gli album del gruppo tedesco), o se preferite un compendio delle caratteristiche primarie di una manciata di gruppi storici, tra cui Saxon, Maiden e Judas Priest, potenziate da potenti dosi di power metal ed impreziosite a tratti da una vena hard rock.
Il risultato piace, Reach For The Sky si lascia ascoltare volentieri, la prestazione della vecchia volpe Sigiuchi al microfono è un concentrato di grinta e furore, con i brani che si stampano in testa al primo ascolto e le melodie che escono dalle corde della chitarra di Ida sono forgiate nel sacro fuoco dell’heavy metal.
Le migliori tracce aprono e chiudono il lavoro (Venoms Angel e December), nel mezzo una raccolta di brani da spararsi a volumi illegali per vendicarsi della vicina di casa e del suo amore per i talent show.

TRACKLIST
1.Venom’s Angel
2.Blow
3.Reach for the Sky
4.Don’t Need Mercy
5.Escape for the Crime
6.You Got My Mind
7.On the Edge of Sorrow
8.December

LINE-UP
Takamasa “Mad” Ohuchi – Drums
Toru Nishida – Bass
Akira Sugiuchi – Vocals
Shingo Ida – Guitars

A Sun Traverse – A Sun Traverse

Un’opera breve ma che fa presagire la prossima affermazione di una nuova realtà in grado di regalare emozioni agli estimatori del doom death melodico.

Guardando la formazione degli A Sun Traverse, band danese all’esordio con questo ep autointitolato, chi ama i Saturnus e ne conosce a menadito la storia avrà avuto senz’altro un sussulto: infatti, ad esclusione del vocalist Michael H. Andersen, tutti gli altri musicisti coinvolti nel progetto furono artefici dell’incisione di quel capolavoro intitolato Veronika DecidesTo Die (2006).

Quindi era lecito attendersi da questo gruppo un death doom melodico e dalle ampie aperture atmosferiche e così è, visto che in circa 25 minuti il sestetto di Copenhagen mette in scena quello che è naturalmente nelle loro corde.
Al netto dei due brani strumentali, è il caso di soffermarsi sulle altre tre tracce, tra le quali l’opener Still Shining ha un andamento più movimentato pur non lesinando le consuete malinconiche progressioni chitarristiche.
Molto più saturniana invece è Dance Darkness, Dance introdotta da The Meadow: qui si riconoscono alcune delle coordinate tipiche quali appunto il piano, che fa la sua apparizione sia nell’intro che in alcun parti del brano, sia il magnifico assolo di chitarra; anche The Autumn Of Fall si ammanta di magnifiche e dolenti melodie, spingendo maggiormente sul piano ritmico e trovando in qualche modo una sorta di trait d’union tra Saturnus e Swallow The Sun, complice anche lo screaming utilizzato talvolta dal bravo Andersen. Molto bella comunque anche la traccia finale, uno strumentale dai tratti davvero inquietanti, suggello di un’opera breve ma che fa presagire la prossima affermazione di una nuova realtà in grado di regalare emozioni agli estimatori del doom death melodico.

Tracklist:
1.Still Shining
2.The Meadow
3.Dance Darkness, Dance
4.The Autumn Of Fall
5.The Harvest

Line-up:
Lennart Jacobsen – bass
Nikolaj Borg – drums
Peter Erecius Poulsen – guitars
Tais Pedersen – guitars
Anders Ro Nielsen – keyboards
Michael H. Andersen – vocals

A SUN TRAVERSE – Facebook

Cynic – Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings

Una compilation che aiuta, specialmente chi non conosce l’intera discografia del gruppo, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.

Paul Masvidal, Sean Reinert, Sean Malone e Jason Gobel sono entrati nella storia del metal per aver creato uno degli album che più hanno influenzato il corso della musica contemporanea, almeno se parliamo di metal estremo.

Era il 1993 quando il quartetto statunitense licenziò Focus, dopo aver dato alle stampe una serie di demo, ed il mondo metallico si inchinò al genio creativo e strumentale di questi viaggiatori dello spartito, non gli unici ai tempi a contaminare il death con altri generi (Atheist, Pestilence) ma mai il risultato fu così perfettamente bilanciato ed amalgamato, fondendo in un unico ed allora originalissimo sound death metal, fusion e progressive.
Focus si può considerare senza dubbio un album che ancora oggi crea figli legittimi, molto belli alcuni, nella norma altri, anche perché l’effetto sorpresa è svanito e le note progressive condite da sfumature fusion e jazz non sono più una novità.
Questa compilation vuole tributare il periodo antecedente l’uscita del primo album del gruppo, prima parte di una discografia che, come poi avremmo visto, regalerà solo due full length più qualche lavoro minore: qui sono racchiusi i demo incisi tra il 1988 ed il 1993, quando la band della Florida non aveva ancora sviluppato in toto il suo personalissimo sound, ed il death suonato ai tempi negli States era il signore e padrone del songwriting dei Cynic.
L’unico brano finito sul famoso esordio è quello che dà il titolo a questa raccolta, Uroboric Forms,  non a caso il più diretto e death della track list di Focus, mentre le altre tracce ci presentavano una band death metal devastante, dal sound veloce ed aggressivo, ma lontana dalle sontuose trame progressive che vedranno la luce più avanti, anche se più ci si avvicinava alla fatidica data d’uscita dell’album più la musica dei Cynic cominciava a cambiare sfumature (The Eagle Nature).
Una compilation che aiuta, specialmente chi non ne conosce l’intera discografia, a capire l’evoluzione di questa straordinaria band, che in seguito ha dato forse meno di quello che avrebbe potuto.
Uroboric Forms – The Complete Demo Recordings ha il valore di un documento storico che gli appassionati della musica estrema e dei Cynic non possono ignorare.

TRACKLIST
1.Uroboric Forms
2.The Eagle Nature
3.Pleading For Preservation
4.Lifeless Irony
5.Thinking Being
6.Cruel Gentility
7.Denaturalizing Leaders
8.Extremes
9.A Life Astray
10.Agitating Affliction
11.Once Misguided
12.Weak Reasoning
13.Dwellers Of The Threshold

LINE-UP
Jack Kelly – Vocals (lead)
Paul Masvidal – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Mark van Erp – Bass –
Sean Reinert – Drums

Paul Masvidal – Guitars (lead), Vocals
Jason Gobel – Guitars (lead)
Tony Choy – Bass
Sean Reinert – Drums

CYNIC – Facebook

Ashenspire – Speak Not Of The Laudanum Quandary

Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

L’Inghilterra ha sempre provato a tacere le proprie nefandezze e brutture, e dell’epoca vittoriana abbiamo un’immagine il più possibile romantica, mentre in realtà è stata un’epoca di progresso ma anche di un terribile tenore di vita per molti.

Prendiamo ad esempio Londra, che era una città divisa in due: nel West End la minoranza ricca, mentre nell’East End la massa di poveri e proletari, ammassati uno sull’altro, spesso costretti a pagare per vivere in luride case, vittime poi di inquinamento o di violenza. E qui tacciamo la vicenda di Jack Lo Squartatore, che ha anche avuto una valenza sociale non abbastanza indagata nella storiografia, perché ha fatto luce sulle condizioni di vita di una larga fetta di popolazione. Ora attraverso il metal gli scozzesi Ashenspire producono un sublime concept album sull’epoca vittoriana e più in particolare sul troppo taciuto imperialismo inglese. La maggior parte della popolazione mondiale quando si parla di imperialismo pensa agli Stati Uniti D’America, mentre i più grandi imperialisti della storia sono stati gli inglesi. Il loro impero si allungava sul mondo intero, e oltre ad esportare usi e costumi hanno anche regalato molta oppressione a tanti popoli. Gli Ashenspire con toni molto gotici e drammatici mettono l’accento anche sulla distruzione del popolo britannico attuata dai loto stessi governanti, perché attraverso l’imperialismo si provava anche a risolvere il problema dei poveri, sia mandandoli dall’altra parte del mondo sia facendoli morire in patria. Il gruppo di Glasgow concepisce un’opera fuori dal comune e bellissima, e sembra di essere a teatro mentre si ascolta Speak Not Of The Laudanum Quandary, un disco che va ben oltre la solita fruizione di musica popolare. I perfetti intarsi di piano e violino, la completa compenetrazione fra gli altri strumenti rende questo disco un autentico gioiello, con canzoni che diventano suite e ci trasportano nelle situazioni descritte. Il progetto è stato concepito da Alastair Dunn, batterista del gruppo, che militando nel gruppo black metal Enneract si era giustamente stufato del nazionalismo di bassa lega vigente nel black metal e si era dato l’obiettivo, completamente raggiunto con questo disco, di usare la musica per dare al pubblico una visione più oggettiva della storia, senza colorarla con falsi colori. Questo disco, che usa diversi toni del metal, dal prog al gothic, dal post all’heavy, tenendo fermo come modelli i misconosciuti Devil Doll, ha un tono drammatico notevolissimo, con passaggi immensamente belli, e anche momenti di musica ottocentesca rivista in chiave moderna. Speak Not Of The Laudanum Quandary è un disco che va in profondità in situazione ed argomenti poco piacevoli ma molto più reali della falsa visione che si vuole dare di un impero malvagio ed oscuro, impilato su sangue e ossa, ma anche composto da paura e miseria,e questo disco ce lo sbatte in faccia in una maniera elegantissima e bellissima. Gli Ashenspire testimoniano nel migliore dei modi come il metal possa essere usato in maniera splendida e struggente per bilanciare narrazioni assai false.

TRACKLIST
1.Restless Giants
2.The Wretched Mills
3.Mariners at Perdition’s Lighthouse
4.Grievous Bodily Harmonies
5.A Beggar’s Belief
6.Fever Sheds
7.Speak Not Of The Laudanum Quandary

LINE-UP
Alasdair Dunn – Drums, Sprechgesang
Fraser Gordon – Guitars
James Johnson – Violin, Percussion
Petri Simonen – Bass

ASHENSPIRE . Facebook

Artemisia – Rito Apotropaico

Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

Tornano gli Artemisia con il quarto album della loro carriera, a conferma dello stato di grazia raggiunto dal precedente lavoro, Stati Alterati Di Coscienza, uscito tre anni fa ed applaudito da fans e addetti ai lavori.

La band della splendida interprete Anna Ballarin e del chitarrista Vito Flebus, ormai da dieci anni nella scena metal nazionale, propone il suo disco più oscuro e dark, potenziato da scariche metalliche classic doom ed una vena psichedelica che spunta tra i brani come ipnotici occhi di un serpente pronto a colpire.
Sempre valorizzato da testi d’autore, questa nuova quarta opera dal titolo Rito Apotropaico (termine riferito a oggetto, atto, animale o formula che allontana o annulla un’influenza maligna) porta con sé una voglia di cambiamento da parte del quartetto, che potenzia la vena sabbatica del proprio sound, lasciando le sfumature alternative dei precedenti lavori e proponendosi come band metal a tutti gli effetti.
Oscuro e potente dicevamo, proprio come un rito che deve allontanare le forze oscure, con una Ballarin espressiva e a tutti gli effetti sacerdotessa di questi trentacinque minuti di metal cantato in italiano.
Leggende, magia, l’aldilà ed il sempre aberrante lato oscuro dell’uomo sono i temi trattati in questi otto brani ,con l’opener Apotropaico che, senza indugi, ci invita al sabba creato dagli Artemisia e che continua ipnotico con Il Giardino Violato, traccia dedicata al tema scottante della pedofilia.
Stupenda Tavola Antica, con in evidenza il basso di Ivano Bello, mentre la tensione metallica rimane altissima, con la protagonista che tramite una tavola ouija cerca di evocare uno spirito guida.
Doom stoner di alta qualità nella rituale Iside e atmosfera che si rilassa con le ariose armonie acustiche di La Guida, prima che il gran finale venga assicurato dalle sfuriate metalliche del trittico La Preda, Regina Guerriera e Senza Scampo.
Un album molto bello ed intenso, un passo avanti importante per gli Artemisia ed uno dei migliori esempi di metal cantato in italiano degli ultimi tempi.

TRACKLIST
1.Apotropaico
2.Il giardino violato
3.Tavola antica
4.Iside
5.La guida
6.La preda
7.Regina guerriera
8.Senza scampo

LINE-UP
Anna Ballarin – Voce
Vito Flebus – Chitarra
Ivano Bello – Basso
Gabriele “Gus” Gustin – Batteria

ARTEMISIA – Facebook

Clouds Of Dementia – Seventh Seal

Black Sabbath, Pentagram e Candlemass, nè più ne meno il sound del gruppo è ispirato a queste icone del genere, perciò un ascolto è consigliato a chi ama le band citate ed i loro figli sparsi per il mondo musicale.

Nel doom di stampo classico non sono poche le buone realtà che ci arrivano da tutto il mondo, ed in questa sede vi presentiamo il quartetto transalpino dei Clouds Of Dementia, all’esordio autoprodotto e promosso dalla Solstice Promotions, con Seventh Seal, ep di cinque brani ricchi di atmosfere heavy/doom classiche.

Tempi medi, rallentamenti e riff di granitico heavy metal si scagliano su ritmiche e sfumature messianiche in orge temporali dove vengono chiamate in causa i migliori act della musica del destino.
Dagli anni settanta passando per i vari decenni, la scena del doom classico ha vissuto una vita parallela mentre piano piano passavano le mode, continuando a proporre  litanie e riti di questa magica variante della musica heavy: i Clouds Of Dementia tutto questo lo fanno assaporare agli amanti del genere, con brani forgiati nello spartito dei mostri sacri del genere, con tutti i tasselli al loro posto e forti di una manciata di brani che da Welcome, passando per la title track e la notevole My Friend, non ci fanno risparmiare i complimenti per Jujux (voce) e soci.
Black Sabbath, Pentagram e Candlemass, ne più ne meno il sound del gruppo è ispirato a queste icone del genere, perciò un ascolto è consigliato a chi ama le band citate ed i loro figli sparsi per il mondo musicale.

TRACKLIST
1.Welcome
2.All My Prayers
3.Seventh Seal
4.Love Song
5.My Friends

LINE-UP
Jujux – Vocals
Ben – Lead Guitar
Chérubin – Rhythm Guitar
Cécile – Bass
Azra – Drums

CLOUDS OF DEMENTIA – Facebook

Psychedelic Witchcraft – Magick Rites and Spells

Al di là del buon valore della musica contenuta, sfugge l’utilità di un’uscita retrospettiva per una band che all’attivo ha solo un Ep ed un full length.

Autori di due lavori già trattati all’epoca dal nostro Massimo Argo sulle pagine di In Your Eyes, i Psychedelic Witchcraft cercano di mantenere elevata l’attenzione nei loro confronti con l’uscita di questa raccolta che presenta, di fatto, la riedizione dell’intero Ep Black Magic Man (a sua volta già oggetto di una precedente riedizione), un brano inedito, due cover e due altre canzoni ri-registrate che erano già uscite come singolo.

In buona sostanza, i motivi di interesse reale non sono moltissimi, a meno che non si sia dei fan sfegatati della band, alla luce anche di una produzione ancora troppo scarna (oltre all’Ep, il full length The Vision del 2015) per condividere del tutto l’immissione di un simile prodotto su un mercato già abbastanza saturo.
Questo non perché la musica ivi contenuta non sia meritevole di attenzione, visto che il rock psichedelico dalle sfumature doom della band fiorentina è senz’altro avvincente, nonostante personalmente la voce di Virginia Monti non mi convinca sempre del tutto, specialmente nelle tracce iniziali. Non a caso, resta piuttosto marcata la differenza qualitativa tra la seconda metà della raccolta, ovvero quella corrispondente a Black Magic Man, e la prima composta, al netto delle cover, dall’inedito Come A Little Closer e dalle riproposizioni nella nuova veste di Wicked Dream e Set Me Free, nonostante la vena blues di quest’ultimo brano sia tutt’altro che disprezzabile.
La sensazione è che la Monti indulga troppo, in queste tracce, su toni alti che non le si addicono, al contrario di quanto avveniva in ottimi brani quali Angela, Lying On Iron, Black Magic Man e Slave Of Grief, dove l’interpretazione era talvolta più grintosa ma nel contempo maggiormente controllata.
Ma al di là di questo, che è un parere derivante da gusti personali che, come tali, possono essere del tutto opinabili, quella che non si riesce a rinvenire è la reale utilità di un’operazione che aggiunge davvero poco a quanto già si sapeva dei Psychedelic Witchcraft, una band che comunque prosegue meritoriamente la sua strada a ritroso rivolta verso un rock che sarà pure vintage ma non per questo meno affascinante.

Tracklist:
1. Come A Little Closer (exclusive to this release)
2. Godzilla (Blue Öyster Cult cover, exclusive to this release)
3. Set Me Free (Re-recording, exclusive to this release)
4. Wicked Dream (Re-recording, exclusive to this release)
5. The Dark Lord (originally performed by Sam Gopal with Lemmy)
6. Angela (taken from the Black Magic Man EP)
7. Lying On Iron (taken from the Black Magic Man EP)
8. Black Magic Man (taken from the Black Magic Man EP)
9. Slave Of Grief (taken from the Black Magic Man EP)

Line-up:
Virginia Monti – Singer
Riccardo Giuffrè – Bass
Jacopo Fallai – Guitar
Mirko Buia – Drums

PSYCHEDELIC WITCHCRAFT – >Facebook

Krokus – Big Rocks

Un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.

Anche per gli storici hard rockers svizzeri Krokus è arrivati il momento di licenziare un album di cover.

Certo è che da un gruppo attivo dalla metà degli anni settanta non si può certo parlare di un tributo ai grandi interpreti del rock, ma piuttosto un omaggio a dei colleghi, magari molti più famosi del gruppo di Marc Storace anche se vorrei ricordare che i Krokus rimangono la band più famosa proveniente dal suolo elvetico.
Big Rocks raccoglie tredici brani famosissimi per gli amanti del rock, più Backseat Rock’ n’ roll rifatta dal gruppo per l’occasione, un viaggio spazio temporale tra la storia della nostra musica preferita con la S maiuscola.
I nomi sono quelli di Led Zeppelin, Queen, The Who, Steppenwolf, Neil Young, Bob Dylan, The Rolling Stones e molti altri, con brani che non mancano di entusiasmare, altri dove le versioni originali ne escono vincitrici, ma in generale possiamo sicuramente affermare che l’operazione è riuscita.
D’altronde stiamo parlando di musicisti con un’esperienza che supera i quarant’anni nel mondo dell’hard rock, con uno Storace che non perde un colpo, con la sua voce cartavetrata, sanguigno come la sua band, che tanto ha dato all’hard rock, ma che non ha mai dimenticato suo padre il blues.
Un album da lasciare sull’auto a vita, adrenalinico il giusto per non addormentarsi nelle notti passate a correre sulle strade delle Highway To Hell europee, tra una Whole Lotta Love davvero riuscita, My Generation degli Who, quel piccolo capolavoro blues che risulta Summertime Blues di Eddie Cochran, il brano hard rock più coverizzato della storia nelle note di Born To Be Wild, inno biker dei Steppenwolf, e Jumpin’ Jack Flash scritta dalla premiata ditta Jagger/Richards.
In conclusione, Big Rocks non è affatto male, certo un album di sole cover lascia sempre qualche dubbio, ma se siete fans accaniti del gruppo o solo amanti delle compilation rock, l’album diverte, e probabilmente ha fatto divertire gli stessi Krokus nel registrarlo.
Niente di più, niente di meno, it’s only rock ‘n’roll.

TRACKLIST
1. N.I.B.(originally by Black Sabbath)
2. Tie Your Mother Down (originally by Queen)
3. My Generation (originally by The Who)
4. Wild Thing (originally by The Troggs)
5. The House Of The Rising Sun (originally by The Animals)
6. Rockin’ In The Free World (originally by Neil Young)
7. Gimme Some Lovin’(originally by Spencer Davis Group)
8. Whole Lotta Love (originally by Led Zeppelin)
9. Summertime Blues (originally by Eddie Cochran)
10. Born To Be Wild (originally by Steppenwolf)
11. Quinn The Eskimo (originally by Bob Dylan)
12. Jumpin’ Jack Flash (originally by The Rolling Stones)
13. Backseat Rock N’ Roll (KROKUS original recording 2017)

LINE-UP
Marc Storace – Lead Vocals
Chris von Rohr – Bass, Vocals
Fernando von Arb – Guitars,Vocals
Mark Kohler – Guitars
Mandy Meyer – Guitars
Flavio Mezzodi – Drums

KROKUS – Facebook

Midnight – Shox Of Violence

Questo disco di 25 canzoni è davvero divertente, regalerà molti bei momenti a chi apprezza lo speed metal più vicino al punk, perché non è per niente la solita raccolta di roba trita e ritrita.

I Midnight sono un gruppo speed punk metal di Cleveland, e dalla città dei Cavs fanno rumore dal 2003.

La loro produzione consiste di molti ep e di un disco su lunga distanza diventato un classico del metal punk underground, Satanic Royalty. Lo stile dei Midnight deriva dai Venom, dai classici metal dell’underground suonati sbronzi ai mille all’ora, con passione e sudore, riuscendo ad essere molto divertenti. In attesa di un nuovo disco la Hells Headbangers pubblica una raccolta di ep, Shox Of Violence, che non è la solita raccolta di ep giù usciti ed introvabili, poiché contiene quattro nuove canzoni che sono pubblicate in un 12” a parte, e nel resto troviamo i brani degli ep e molte cover davvero belle. Nei titoli coverizzati troviamo ovviamente due canzoni dei Venom che sono delle dichiarazioni di intenti e poi molti gruppi interessanti, come i Pagans, i The Spits e anche i Quiet Riot. Gli americani dimostrano di avere ampie vedute e di saper fare del gran metal, suonato con un incedere punk. Questo disco di 25 canzoni è davvero divertente, regalerà molti bei momenti a chi apprezza lo speed metal più vicino al punk, perché non è per niente la solita raccolta di roba trita e ritrita. Le canzoni più notevoli sono i quattro inediti che fanno attendere il nuovo disco con molta voglia. Velocità, alcool e satanismo.

TRACKLIST
1.Death Scream
2.Who Gives A Fuck
3.Ready For Destruction
4.Groin Gripper
5.Sadist Sodomystic Seducer
6.In League With Satan (Venom)
7.Too Loud For the Crowd (Venom)
8.The Witch
9.Breakout (Taipan)
10.Hels Fire (Mistreater)
11.TAP
12.When I Die (Pagans)
13.Unholy and Rotten (Live)
14….On the Wings of Satan (live)
15.Slick Black Cadillac (Quiet Riot)
16.Nuclear Bomb (The Spits)
17.Black Kar (The Spits)
18.Rat Face (The Spits)
19.Shitty World (The Spits)
20.Death Sentence (Crucifixion)
21.Wicked Women (Scarab)
22.Eyes of Satan (Pagans)
23.Watch Your Step (Girlschool)
24.Vomit Queens
25.Cross Held High

MIDNIGHT – Facebook

Errant Shadow – Errant Shadow

Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.

Altro bellissimo concept album tra progressive metal e gothic rock, questa volta creato dal musicista torinese Seren Rosso, aiutato da una manciata di ottimi musicisti come Nalle Påhlsson (Therion), Kevin Zwierzchaczewski (Lord Byron), Mattia Garimanno (Il Castello di Atlante), Emanuele Bodo (Madiem), Davide Cristofoli (Highlord) e Isa García Navas (ex-Therion).

Uno spiegamento di forze niente male per un’opera rock emozionante, licenziata dalla Ænima Recordings ed intitolata Errant Shadow.
La storia è un viaggio epico attraverso il tempo e lo spazio: in un mondo decadente post-moderno, due cavalieri erranti, un uomo e una donna, ripercorrono le tracce di episodi cruciali, fino alle origini dell’uomo e lungo questo avventuroso viaggio si innamorano l’uno dell’altra.
La band prende il nome dal titolo dell’opera e gli Errant Shadow, sotto la guida di Seren Rosso e del produttore, nonché patron della label, Mattia Garimanno, danno vita a questo straordinario viaggio all’insegna del prog metal elegante e raffinato, così come d’autore si sviluppano le trame dark gotiche.
Forse con troppa fretta l’opera è stata presentata dai protagonisti come una sorta di alleanza prog/gothic tra Dream Theater, Opeth e Nightwish perché, a ben sentire, qui si va oltre e l’album a mio parere trova la sua ideale collocazione tra il progressive elegante di Ayreon e quello finemente gotico dei primi Nightingale del genio svedese Dan Swano; insomma, un’accoppiata che sicuramente non svilisce i paragoni fatti nelle presentazioni anzi, valorizza l’album come opera di culto ed aggiunge arte su arte con spunti dark rock riconducibili agli ultimi Tiamat.
Prodotto in maniera impeccabile e suonato divinamente, Errant Shadow è un prodotto dal taglio internazionale cosi come lo sono i musicisti che ci hanno lavorato, creando momenti emozionanti e grande musica rock.
Un plauso ai due vocalist in grado, con le loro voci, di creare sfumature malinconiche e dark rock su un tappeto di musica totale che raccoglie in un unico sound progressive, metal e rock, sotto la bandiera delle emozioni: un turbinio di note ed atmosfere incredibilmente intense e che hanno la loro massima espressione nelle due tracce che concludono l’album, To The Cygnets Committee e Just In Heaven, ma ricordo che Errant Shadow va assolutamente ascoltato in tutta la sua durata, per godere al meglio della musica di cui è composto.
Un lavoro bellissimo, che non mancherà di sorprendere ed affascinare gli amanti dei suoni progressivi e delle melodie di stampo dark rock.

TRACKLIST
01. The Captain
02. The Dark Room
03. In a Cave
04. From the Abyss of My Heart
05. Such a Lot
06. Hiroshima
07. Crows in the Air
08. Broken Dreams
09. To the Cygnets Committee
10. Just in Heaven
11. To the Cygnets Committee (Bonus Track)

LINE-UP
Seren Rosso – Guitars
Kevin Zwierzchaczewsk – Vocals
Isa Garcia Navas – Vocals
Nalle Pahlsonn – Bass
Mattia Garimanno – Drums
Emanuele Bodo – Guitars
davide Cristofoli – Keyboards

ERRANT SHADOW – Facebook

Aggression – Fragmented Spirit Devils

Il concept riguardante il mondo ecclesiastico e le sue contraddizioni, non originale ma sempre fonte di forti denunce da parte del mondo metallico, è il perfetto accompagnamento alla musica del gruppo canadese.

Eccoci al cospetto di una band storica del panorama metallico internazionale e del loro paese d’origine (il Canada) a livello underground, i thrashers Aggression.

Nato addirittura a metà degli anni ottanta, il gruppo formato da vecchi lupi della scena metal d’oltreoceano ha avuto nel corso degli anni una serie di stop che li ha portati fino a quest’ultimo lavoro, avendo firmato solo due full length, The Full Treatment nel 1987 e Forgotten Skeleton nel 2004, dunque mancavano da una dozzina d’anni dal mercato, escludendo ovviamente la compilation uscita lo scorso anno (Fractured Psyche Demons).
La firma con Xtreem, che ne cura la distribuzione, ed una ritrovata ispirazione porta a Fragmented Spirit Devils, nuovo devastante lavoro che poggia la sua natura estrema su un thrash metal con non poche infiltrazioni death, per un risultato sicuramente improntato all’impatto senza soluzione di continuità.
Death/thrash tradizionale, con gli Slayer a fare da padrini e la scena americana dai richiami old school ad applaudire questi attempati mestieranti del genere, che con l’esperienza accumulata in anni di metal estremo sul groppone confezionano un album senza picchi ma pure senza cadute di tono, sempre con la massima tensione e attenti a non far scendere l’attenzione di chi si avvicina a Fragmented Spirit Devils.
Voce sempre in bilico tra il growl di stampo death ed il classico tono aggressivo del thrash più violento, velocità tenuta su buoni ritmi ed interessanti viaggi sui manici delle sei corde, sono le virtù del classico album per i fans del genere, con esplosioni metalliche che danneggiano i padiglioni auricolari in brani come Chapel Of Horrors,
Furnace Creek e Strangulation Ejaculation.
Il concept riguardante il mondo ecclesiastico e le sue contraddizioni, non originale ma sempre fonte di forti denunce da parte del mondo metallico, è il perfetto accompagnamento alla musica del gruppo canadese.

TRACKLIST
1.At Play in the Fields of Satan
2.Chapel of Horrors
3.Unleashing the Ghost
4.Insanity Without Indulgence
5.Halo of Maggots
6.Furnace Creek
7.Dark Shadow Crossing
8.Strangulation Ejaculation
9.Evil Pox 2016
10.Razamanaz (Nazareth cover)

LINE-UP
Denis “Sasquatch” Barthe – Guitars
Ryan Murray Idris – Drums
Dave Watson – Guitars
Brian Langley – Vocals
Martin Meyer – Bass

AGGRESSION – Facebook