Radien – Maa

I Radien centrano l’obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Maa è la prima uscita ufficiale dei Radien, sludge band finnica.

L’ep consta di due tracce lunghe una dozzina di minuti che si dipanano, appunto, lungo sonorità sludge doom che si tengono alla larga da stonerizzazioni assortite, spingendosi maggiormente verso lidi post hardcore, accentuati dall’uso di un tono vocale caratteristico di quest’ultimo genere.
Varjot parte in maniera abbastanza canonica, per poi distendersi in un avvolgente e minaccioso crescendo, mentre Viimeinen è molto più rocciosa, indulgendo più a lungo sui riff ribassati e distorti che il quartetto di Helsinki maneggia con buona padronanza, lasciando intendere grandi potenzialità ed altrettanto margini di manovra per il futuro.
Del resto, quando ci si lancia in un settore come questo, per fare la differenza bisogna, in primis, conferire al proprio sound un’intensità che vada a compensarne con gli interessi la ridotta varietà e la quasi totale asenza di sbocchi melodici: i Radien centrano tale obiettivo al primo colpo, ma ovviamente è doveroso attenderne la riprova alle prese con un minutaggio più consistente.

Tracklist:
1. Varjot
2. Viimeinen

Line up:
Jyri – Vocals, synth
Tommi – Bass, vocals
Felipe – Guitar, vocals
Mikko – Guitar, vocals
Tuomo – Drums

RADIEN – Facebook

Wheel Of Smoke – Mindless Mass

Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

Musica progressiva tradizionale, hard rock direttamente dal periodo d’oro (gli anni settanta) e stoner rock disidratato del sole caldo della Sky Valley, unite tutto questo ben di dio in un unico sound ed avrete tra le mani il nuovo lavoro del gruppo belga, al secolo Wheel Of Smoke, quartetto che si è inventato un album, Mindless Mass, davvero affascinante.

Insieme dal 2005, il gruppo arriva al traguardo del terzo full length, rigorosamente autoprodotto, dopo due opere targate 2011 (In Sense) e 2013 (Signs Of Saturn) ed un ep licenziato in formato digitale lo scorso anno (Enter the Pyramid), continuando così con il nuovo album il suo percorso artistico fatto di ispirazioni ed influenze che formano un pianeta musicale a parte, considerando il sound personalissimo che ne scaturisce.
Si diceva progressive, ed allora non si può non fare i conti con una sezione ritmica che, senza lasciare grosse indicazioni, cambia ritmo ogni attimo, ed in alcuni casi (Degeneration) impregna lo spartito di sangue lasciato cadere dal progressive dei nostrani Goblin o dalle note imprevedibili del Re Cremisi, per poi affondare la lama con letale hard rock psichedelico e stoner, ipnotizzando con dosi letali di Black Sabbath, Sleep e Kyuss.
Con sagacia il gruppo non si dilunga troppo, così che, pur mantenendo un approccio musicale da jam session, i brani scivolano via senza affaticare troppo i giovani ascoltatori, abituati al basso minutaggio delle tracce abituali dei gruppi odierni.
Non mancano le sorprese, l’album risulta un contenitore musicale che spazia nel rock del secolo scorso con una No More TV che ricorda non poco le fughe hard blues di Jimmy Page nei primi anni dei Led Zeppelin (How Many More Times).
Un album per riscoprire in modo personale il valore assoluto della musica rock negli ultimi decenni del vecchio millennio, maneggiatelo con cura se vi ci avvicinate, crea dipendenza.

TRACKLIST
1.Degeneration
2.Ruins
3.Bad Shepherd
4.Unnamed
5.Synchronicity
6.No More Tv
7.Feral

LINE-UP
Filip Remans – Guitar, vox
Erik Heyns – Guitar, vox
Jouk Opdebeeck – Drums
Tristan Michiels – Bass, vox

WHEEL OF SMOKE – Facebook

Helheim – landawarijaR

Un perfetto e affascinante incrocio tra sonorità viking black e suoni prog;una band unica !

Attivi fino dal lontano 1993, quando fu pubblicato l’omonimo demo, i leggendari Helheim all’alba del 2017 pubblicano il loro nono full e continuano a sviluppare il loro suono che testimonia sia liricamente che musicalmente l’attaccamento alle più profonde tradizioni norrene.

Da ogni nota di questo disco emerge la fierezza delle loro radici, l’epica spavalderia, la furia di antichi guerrieri che vogliono rivivere antiche atmosfere ormai dimenticate. In tutti questi anni di attività la band ha evoluto, pur restando ancorata al più puro viking/black, il proprio suono partendo dalla furia cieca di perle black come Jormundgand (1995) e Av norrøn ætt (1997), per poi incorporare altre influenze folk, heavy e progressive creando un loro personale suono; anche la stabilità della line up negli anni ha contribuito a rafforzare la loro personalità . Il disco è splendido! Fin dal primo brano (Ymr) si assiste a un continuo alternarsi di suoni prettamente black cupi ed oscuri con momenti più meditabondi e folkeggianti solcati da squarci melodici e atmosferici con evocative chitarre, come nella meravigliosa title track che ingloba in modo naturale echi prog d’annata, omaggiando la Premiata Forneria Marconi con il tema principale di Impressioni di Settembre; gli ascoltatori più “open minded” sicuramente si emozioneranno come il sottoscritto. Anche il passare da clean vocals a scream e chorus suggestivi contribuisce a creare un’opera magnifica che potrebbe ritagliarsi uno spazio tra le migliori di questo inizio anno. La ricerca melodica in ogni brano, mai banale, ritaglia sprazzi di grande gusto e sensibilità senza perdere mai l’urgenza e la forza distruttiva di questa grande band viking/black; e l’arte creata da questi artisti, libera da biechi vincoli commerciali, continua a librarsi fiera nel cielo …

TRACKLIST
1. Ymr
2. Baklengs mot intet
3. Rista blóðørn
4. landawarijaR
5. Ouroboros
6. Synir af heiðindómr
7. Enda-dagr

LINE-UP
V’gandr – Bass, Vocals
Hrymr – Drums, Drum programming
H’grimnir – Vocals, Guitars (rhythm)
Reichborn – Guitars (lead)

HELHEIM – Facebook

Altjira – Anent Wist

Gli Altjira potrebbero fare il botto nel genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

Un ep di debutto che promette bene per questo quintetto di defenders provenienti da Parma.

Gli Altjira si presentano sul mercato metallico nazionale con una mezzora di heavy metal che a tratti sfocia nel thrash e nel metal americano, anche se la loro massima fonte di ispirazione sono i Judas Priest, assieme agli Iced Earth periodo Owens, confermato dalla cover di Dracula, brano tratto da Horror Show.
Anent Wist fa male con una manciata di canzoni che rispecchiano l’heavy metal che più piace ai defenders di vecchia data: melodico, graffiante, ritmicamente pesante e veloce, ma soprattutto fiero, così come le opere dei gruppi citati e da cui la band trae ispirazione.
Gli Altjira  presentano un ottimo vocalist (Dest), perfetto animale metallico tutto grinta e ugola, una coppia di chitarristi che fa fuoco e fiamme (Rampage e Jimmy) ed una sezione ritmica precisa e potente (Kara al basso e Mirko alle pelli), niente di più e niente di meno, ma idelae per suonare heavy metal tripallico, che si specchia nella tradizione ma che non dimentica produzione e tutti i dettagli fondamentali per un lavoro professionale.
Della cover di Dracula abbiamo parlato, ma il meglio lo si trova (fortunatamente) nelle tracce inedite con I Will Not Bend e The Chase, che spiccano dalla notevole anche se breve track list.
Band da seguire in futuro, gli Altjira sembrano avere i numeri per emergere nel loro genere se manterranno le caratteristiche evidenziate su questo ottimo primo passo discografico.

TRACKLIST
01. Anent Wist
02. I Will Not Bend
03. Missing Generation
04. Fragments Of A Hologram Rose
05. The Chase
06. Dracula (Iced Earth Cover)
07. Cymoril

LINE-UP
Dest- voce
Rampy- chitarra
Kara- basso
J- chitarra
Mirko Virdis- session drummer

ALTJIRA – Facebook

Haggefugg – Metgefühl

Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi

Dopo la battaglia ai margini della foresta in nostri eroi tornano all’accampamento dove ad attenderli per festeggiare la vittoria ci sono fiumi di birra fanciulle prosperose e succosi maialini arrostiti.

Tutto questo ben di dio allevia le sofferenze per le ferite e le perdite sul campo, mentre la festa può iniziare con la musica che parte, fiera e metallica come lo stridore delle spade.
Arrivano al debutto sulla lunga distanza i medieval folk metallers Haggefugg, sestetto di Colonia con il loro Metgefühl, successore dell’unico lavoro licenziato Trinkt aus!, ep dello scorso anno.
Il gruppo tedesco confeziona un piccolo gioiellino di folk metal tradizionale, che non mancherà di far innamorare gli amanti delle atmosfere folkloristiche, abbinate ad un metal d’assalto dall’ottima presa ed impatto.
Rigorosamente cantato in lingua madre, Metgefühl risulta trascinante e dall’ottimo songwriting, la band segue le linee tracciate dai gruppi più famosi della scena tedesca (In Extremo) ma non manca di personalità, con un uso riuscito di cori e voci, una sezione ritmica potente e varia e gli strumenti tradizionali che come d’ ordinanza nel genere, impazzano tra fiumi di alcool e balli sfrenati intorno al fuoco.
Un lotto di canzoni da ascoltare tutto d’un fiato con il volume al massimo e la musica degli Haggefugg non mancherà di trasformarvi in soldati di un’era dimenticata dal tempo, ricoperti di pelliccia e con il corno colmo di birra svuotato per l’ennesimo brindisi.

TRACKLIST

1. Metgefühl
2. Met, Wirt, Bestellt
3. Trinkt Aus!
4. Krähenweise
5. Spielmannssünden
6. In der Schenke
7. Tapferes Herz
8. Ai vist lo lop
9. Villemann og Magnhild
10. Danse du ventre
11. Seemannsgarn
12. Plattgekontert (Bonus)

LINE-UP
Gregor Krähenkehle – Gesang
Dudel zu Lang – Dudelsack, Schalmei, Flöten
Henry d’Humel – Gesang 2, Darbuka, Dudelsack 2;
Martin Lauther – Gitarre
Bassbär – Bass
Hauptmann Klopfer – Schlagzeug

HAGGEFUGG – Facebook

Kratornas – Devoured By Damnation

Devoured By Damnation si rivela un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

I Kratornas distruggono i timpani dei malcapitati ascoltatori da oltre un ventennio, ma il primo organico parto su lunga distanza risale al 2007, quando la band aveva le proprie basi ancora nelle natie Filippine.

Devoured By Damnation è il terzo della serie ed è il primo composto in terra canadese, luogo dove Zachariah si è stabilito nel nuovo decennio; ingaggiato il batterista GB Guzzarin (canadese nonostante il nickname possa richiamare alla memoria quello di un un oste trevigiano …), il vocalist e chitarrista scaglia sul pubblico quest’incandescente meteorite che, sebbene veda i Kratornas accreditati di un sound grind/black, è in realta fortemente debitore del più furioso death novantiano di matrice statunitense.
Ma i paragoni, specialmente in un genere dove spesso le differenze sono costituite da sfumature infinitesimali per chi non ne è un fruitore abituale, sono del tutto superflui: ciò che conta è la distruttiva e genuina urgenza che trova sfogo in un album composto, registrato e pubblicato su un suolo sicuramente più ricettivo ed accogliente per il metal estremo.
Nonostante il suo retaggio sia riconducibile ad un epoca lontana, il sound dei Kratornas si appropria in maniera più che lecita di certe sonorità, semmai ci fosse bisogno di puntualizzarlo, stante il suo status di band già attiva nel bel mezzo degli anni novanta: la freschezza e la virulenza non risentono dell’anagrafe, e Devoured By Damnation si rivela così un’apprezzabile prova di death genuino e virulento quanto basta per riuscire a catturare la giusta dose di attenzione.

Tracklist:
1. Spit On God
2. Dead Burning Christ
3. Archangels of Destruction
4. Deluge – After Massacre
5. Blood of The Devil
6. Evil Is Reborn
7. Devoured By Damnation
8. Cadavers of Gods
9. Huios Diabolus
10. World Within Demons

Line up:
Zachariah – guitars
Guzzarin – drums

KRATORNAS – Facebook

The Ritual Aura – Tæther

Tæther va seguito in tutto il suo percorso anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare.

Era il 2015 quando sulle pagine virtuali di Iyezine comparve nella sezione metal la recensione del primo full length di questo fenomenale gruppo australiano.

Laniakea seguiva a ruota i due singoli di questa nuova band, The Ritual Aura, nata dalle ceneri degli Obscenium e freschi di firma per la Lacerated Enemy Records.
Il primo lavoro strappò i complimenti del sottoscritto, immancabili dopo aver ascoltato il metal estremo suonato dalla band, un brutale esempio di death metal tecnico e progressivo che seguiva la strada tracciata a suo tempo dai Cynic.
I The Ritual Aura tornano dopo un anno a sconvolgere le certezze musicali di non pochi detrattori del metal con un mastodontico album dal titolo Tæther, più di un’ora tra brutal death metal, progressive e svariate forme musicali (dalla fusion, al jazz) momenti di musica destabilizzante e spettacolari fughe metalliche tra blast beat ed infuocati manici delle sei corde strapazzate e torturate, e solo a tratti fatte riposare, per lasciare a synth e tasti d’avorio il compito di portare l’ascoltatore in un mondo parallelo, dove il confine tra i generi è abbattuto a colpi di musica globale.
La band di Perth se ne esce dunque con un album di straordinaria musica estrema, dove il classico technical death metal viene nobilitato da un songwriting eccellente ed una predisposizione naturale per il progressive rock, che stupisce e nobilita un’opera che come il primo album è colma di atmosfere sci-fi, ma si allontana dal sound dei Cynic per abbracciare un più ampio specchio di generi ed ispirazione.
Quando Levi Dale e soci decidono di brutalizzare l’atmosfera, i brani sono furiose e violente cavalcate estreme, per passare poi a passaggi elaborati ed un attimo dopo sconvolgere l’andamento del brano con combinazioni di musica totale in un turbinio di note progressive.
Tæther va seguito in tutto il suo percorso, anche perché i brani sono uniti tra loro da un filo sottilissimo, come i capitoli di un film fantascientifico e spettacolare e quindi richiede il tempo necessario per seguire gli sviluppi musicali di questi signori degli strumenti in arrivo dalla terra dei canguri.
Ogni nota è dove deve stare, ogni passaggio risulta una sorpresa e stupisce, folgora, annichilisce … se siete amanti del genere dovete ascoltare la musica dei The Ritual Aura, assolutamente.

TRACKLIST
1. Tæthered Betwixt / Hearthless
2. Ghostgate
3. Until Absence Confides Eternal
4. Te-no-me
5. Hitodama / Like Fiery Lanterns
6. I Am No Longer I?
7. (i) That I May Cease to Be
8. Mononoke • 一 • A Grievous Betrayal
9. Mononoke • 二 • On Wax Wings Ablaze
10. Mononoke • 三 • The Burden of Worlds
11. Mononoke • 四 • Dirge of Impermanence
12. Kage no Yamai / Shadow-Sickness
13. Kitsune / The Fox Fires
14. (ii) Earth Their Bones Left Hallowed
15. In Our Hearts
16. Yūrei no Umi / A Sea of Ghosts
17. A Farewell to Being

LINE-UP
Darren Joy – Bass
Adam Giangiordano – Drums
Levi Dale – Guitars
Matthew Gedling – Guitars
Jamie Kay – Vocals

THE RITUAL AURA – Facebook

Doctor Cyclops – Local Dogs

Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni, possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro.

Dal pavese arriva quello che uscendo a fine marzo 2017 sarà molto probabilmente uno dei dischi dell’anno, se non IL disco dell’anno.

Sono rimasto seriamente stupefatto dalla prova di questo trio. Dentro Local Dogs, solo per elencarne alcuni (e dovete assolutamente sentire come vengono resi), possiamo trovare heavy rock anni settanta, note riecheggianti i primi Deep Purple e i Jethro Tull più muscolari, doom classico e proto doom, cavalcate in stile New Wave Of British Heavy Metal, psichedelia incandescente e tanto altro. Magnifico perdersi in questo disco, in questo labirinto erboso di bellezza sonora, dove tutto è bello, rumoroso e naturale. Se dovessero chiedervi di elencare dei dischi anni settanta od ottanta di musica rumorosa potete fare un favore a voi e al vostro dirimpettaio consigliando direttamente questo disco, perché qui c’è tutto. Si rimane meravigliati dalla prima all’ultima nota, ci sono persino intarsi di epic metal e doom insieme, e il risultato non è assolutamente un accatastare musica alla rinfusa, ma c’è un disegno creatore superiore, molto superiore. E cosa che non mi stupisce questo prodigio è nato a Bosmenso, un paese sull’appennino pavese, perché è nella provincia che vive e lotta la volontà di potenza. Il loro percorso è stato lungo ed interessante, e questo disco è una delle migliori cose mai fatte nell’undeground italiano.
Scendete nel buco nella terra vicino all’albero…

TRACKLIST
Side A
I. Lonely Devil
II. D.I.A.
III. Stardust (feat. Bill Steer)
IV. Epicurus
V. Wall Of Misery

Side B
I. King Midas
II. Stanley The Owl
III. Druid Samhain (feat. Bill Steer)
IV. Witch’s Tale
V. Witchfinder General

LINE-UP
Christian Draghi – Guitar and Vocals
Francesco Filippini – Bass
Alessandro Dallera – Drums

DOCTOR CYCLOPS – Facebook

Last Union – Most Beautiful Day

Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura.

James LaBrie non è solo il vocalist di una band famosa, è la persona che ha regalato la sua voce a lavori importantissimi per lo sviluppo del metal dai rimandi progressivi, protagonista di uno degli album più importante degli ultimi venticinque anni di musica, Images And Words.

Capirete che trovarlo ospite su tre brani di un lavoro dai natali italiani non può che rendere orgogliosi non solo i protagonisti, ma pure chi della scena italiana scrive abitualmente fra tanti alti e fortunatamente pochissimi bassi.
Se poi si parla della scena prog, allora in Italia si continua a tenere alta la bandiera di una tradizione che ha radici negli anni settanta e che con il metal ha creato un’alleanza che non lascia briciole ai dirimpettai europei.
Most Beautiful Day è un lavoro straordinario, ricco di un’ appeal altissimo, melodie vincenti, e tanto hard & heavy progressivo, con la coppia Elisa Scarpeccio, singer sopra la media per interpretazione e talento, ed il chitarrista e songwriter Cristiano Tiberi che, non contenti dell’ospite al microfono, si sono accompagnati ad una sezione ritmica da infarto, con l’ex Helloween, Masterplan e Gamma Ray, Uli Kusch alle pelli e Mike LePond dei Symphony X al basso.
Già così, i Last Union potrebbero tranquillamente salutare tutti e sedersi a guardare quello che succede la sotto, ma fortunatamente la musica non è fatta solo di nomi e Most Beautiful Day ne esce come un capolavoro di metal progressivo, in cui le melodie dall’appeal straordinario amoreggiano con la potenza e la magniloquenza della musica dura: un nuovo e perfetto esempio di quanto il mondo delle sette note sia un mare in burrasca, colmo nei suoi abissi di scrigni che, una volta aperti, nascondono tesori inestimabili.
Tutto è perfetto in questo album, dalla produzione che valorizza sia le prestazioni dei singoli, su cui risplende (e non me ne vogliano i più famosi ospiti) l’enorme talento di Elisa Scarpeccio, sia il songwriting, per cinquanta minuti di grande musica che non accenna ad affievolirsi fino all’ultima nota.
President Evil, A Place In Heaven (di una bellezza assurda) e Taken sono i tre brani dove LaBrie ha prestato la sua voce, ma i gioielli non finiscono qui, con Hardest Way, Purple Angels, 18 Euphoria e Back In The Shadow a portare l’album a livelli sconosciuti anche dalle band più famose.
Nel genere, il primo vero capolavoro di questo 2017.

TRACKLIST
01. Most Beautiful Day
02. President Evil (feat. James LaBrie)
03. Hardest Way
04. Purple Angels
05. The Best of Magic
06. Taken (feat. James LaBrie) [Radio Edit]
07. 18 Euphoria
08. A Place in Heaven (feat. James LaBrie)
09. Ghostwriter
10. Limousine
11. Back in the Shadow
12. Taken (feat. James LaBrie)

LINE-UP
Elisa Scarpeccio – Vocals
Cristiano Tiberi – Guitars
Mike LePond – Bass
Uli Kusch – Drums
Feat. James LaBrie

LAST UNION – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=3EBySmwRaIw

MOJUBA

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Il video di Astral Sand, tratto dall’album omonimo.

Astral Sand, con la regia di Pasquale Giovine, è il primo video estratto da Astral Sand, il primo album della band abruzzese Mojuba uscito lo scorso 3 dicembre per Red Sound Records.

La band nasce 2014 da un’idea di Mascio (chitarra), ispirato dagli ascolti pesanti e psichedelici di quel periodo. La prima formazione viene completata da Pierserio (voce), conosciuto ad una jam sul finire del 2013.

La strada musicale da percorrere si delinea subito. Sì, perché i ragazzi amano jammare riff di chitarra incastonati in dense atmosfere evocative, sulle orme dei grandi gruppi heavy anni ’70, Black Sabbath su tutti. Senza dimenticare band come Kyuss e Orange Goblin. Se li si volesse incastrare in un genere, questo sarebbe sicuramente lo stoner.

Il nome arriva poco dopo. Il “Mojuba” è una preghiera africana di lode e ringraziamento, da cui deriva il termine Mojo, l’amuleto magico che accompagnava i bluesman delle origini, successivamente diventato sinonimo di libido con l’avvento del rock ‘n’ roll. Fascinazione per i rituali magici e per la natura evocativa dell’Africa tribale a parte, Mojuba ha assunto per i ragazzi un altro significato: liberare il corpo e la mente

Dopo circa un anno di sala prove e concerti, nel 2015 si susseguono due cambi di formazione: entrano nel gruppo Alfonso (batteria) ad aprile ed infine Fabrizio (basso) ad ottobre.

Dopo due anni trascorsi tra sale prove e concerti, senza ulteriori indugi nel gennaio 2016 i Mojuba registrano il loro primo album, “Astral Sand”, che uscirà il 3 dicembre per Red Sound Records.

Teramobil – Magnitude Of Thoughts

Una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.

Difficile, quasi impossibile seguire gli intrecci musicali di questo trio canadese se non si è amanti del metal estremo ipertecnico e strumentale.

Già, perché i Teramobil suonano un metal estremo che definire death risulta superficiale, il loro sound a tratti destabilizzante vive di decine di varianti, di cui le più ordinarie sono quelle progressive, shred, rock, hard rock e groove, passando da sfumature moderne e jazzy ad altre, come nella title track che si avvicina al periodo settantiano, con tanto di organo sopra un tappeto di suoni tra i più disparati.
La band nasce nel 2010 e tre anni dopo licenzia l’esordio in formato ep (Multispectral Supercontinuum), ancora altri tre anni passano prima che Magnitude Of Thoughs arrivi negli stereo degli appassionati e, credetemi, per certi versi, questo lavoro è quanto di più estremo si possa trovare in circolazione.
Tale termine si usa non solo per descrivere la violenza tout court, ma pure per un modo di porsi fuori dagli schemi ed assolutamente per pochi: e di estremo in questo lavoro, partendo dall’opener Terahertz, non manca nulla: una cascata arrembante di note su note, a tratti progressive o vicine al death, molte a sezionare rock per riproporlo in maniera dissonante, sempre con la velocità esecutiva che non scende praticamente mai dai limiti consentiti, ed una voglia di stupire che è pregio e difetto del gruppo canadese.
A tratti, infatti, manca la forma canzone e per chi si pone in maniera superficiale all’ascolto molti passaggi rasentano la cacofonia, anche se per molti sarà follia compositiva alla John Zorn, tanto per fare un esempio su chi più deve aver influenzato i Teramobil.
Certo è che Mathieu Bérubé (chitarra), Dominic”Forest”Lapointe (basso) e Alexandre Dupras (batteria) sanno il fatto loro e viaggiano sullo spartito con una facilità di esecuzione straordinaria.
Album dal difficile ascolto se non si è amanti del metal estremo tecnico e strumentale.

TRACKLIST
1.Terahertz
2.Magnitude Of Thoughts
3.Thanatonaut
4.Deconstruct Metabolism
5.Synchrotron
6.Exoteric
7.The Armada

LINE-UP
Mathieu Bérubé – Guitar
Dominic”Forest”Lapointe – Bass
Alexandre Dupras – Drums

TERAMOBIL – Facebook

Tethra – Like Crows For The Earth

Like Crows For The Earth è, un album magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore

Sono passati quattro anni dall’ottimo full length Drown In The Sea Of Life ed oggi ritroviamo i Tethra alle prese con un nuovo album intitolato Like Crows For The Earth.

Come spesso accade a troppe band, il vocalist Clode, unico membro originale rimasto, nel frattempo ha dovuto rivoluzionare la line-up approdando ad una formazione a cinque che, rispetto al passato, si avvale dell’apporto di due chitarristi.
Troviamo così, ad affiancare il musicista novarese, Luca Mellana e Gabriele Monti alle sei corde, Salvatore Duca al basso e Lorenzo Giudici alla batteria, a comporre un organico che, a giudicare dall’esito finale, si rivela del tutto all’altezza della situazione, con l’auspicio che ciò possa garantire a lungo termine una certa stabilità.
Come per il suo predecessore la produzione è stata affidata alle mani esperte di Mat Stancioiu, mentre anche il mastering, eseguito da parte dell’eminenza grigia del doom Greg Chandler (Esoteric), e l’artwork, curato da Marco Castagnetto, sono indicatori netti della volontà di non trascurare il benché minimo particolare, in modo da consegnare al pubblico un prodotto impeccabile sotto tutti gli aspetti.
L’obiettivo viene ampiamente raggiunto in virtù di un scrittura varia, che porta i Tethra a spaziare tra le diverse anime del doom, partendo dal gothic, passando a quello di matrice più classica per giungere, infine, a quello dai toni dolenti ed animato da pulsioni death: il tutto viene sviluppato con la massima consapevolezza e maturità, riuscendo nella non facile impresa di mantenere un’impronta ed un’identità precisa, nonostante la tracklist sia composta da una serie di brani dotati ciascuno della propria peculiarità.
L’album si apre con la breve intro acustica Resilience che prepara il terreno a Transcending Thanatos, episodio già sufficientemente indicativo di una maggiore propensione gotica: in particolare lo splendido e trascinante refrain ha riesumato nella mia memoria di vecchio appassionato i misconosciuti olandesi Whispering Gallery, autori di tre oscuri gioelli di death doom melodico all’inizio del secolo.
Prelude to Sadness, altro strumentale, introduce Springtime Melancholy, canzone che, pur restando nei canoni del doom tradizionale, mostra una volta di più una maggiore propensione melodica che trova sfogo nell’ottimo assolo conclusivo di Luca Mellana.
E’ il sitar ad aprire Deserted, traccia che, nonostante l’incipit di tutt’altro tenore, si rivela il brano più trascinante ed immediato del lotto, in virtù di un riffing micidiale, un chorus di grande presa ed un break centrale contrassegnato da un altro azzeccato assolo: insomma, qui si trovano tutti gli ingredienti necessari per imprimere la traccia nella memoria, mantenendo intatta la profondità del genere proposto.
L’interludio Subterranean mette in mostra le doti vocali di Clode, che se già prima era lecito considerare un vocalist di indubbio valore, con questo lavoro innalza ulteriormente il proprio livello, spiccando per versatilità e spaziando da tonalità estreme (growl con qualche sconfinamento nello screaming) a profonde ed evocative clean vocals che non possono che rimandare a quelle di Fernando Ribeiro, uno dei modelli di riferimento per chiunque si cimenti in questo genere musicale.
Subito dopo si palesa il momento in cui l’album trova la sua ideale sublimazione con un brano magnifico come The Groundfeeder, che si può considerare idealmente il manifesto musicale dei nuovi Tethra, unendo alla perfezione le diverse anime del sound ed andando a lambire, in certi passaggi strumentali, l’emozionalità dei migliori The Foreshadowing.
Entropy è l’ultimo dei frammenti acustici, preparatorio al trittico finale aperto dalle belle melodie chitarristiche di Synchronicity Of Life And Decay, traccia che si sviluppa poi in maniera piuttosto ritmata e chiusa ancora una volta da un assolo brillante che riporta, infine, al punto di partenza, mentre Earthless spinge ancor più sul versante gothic grazie a linee melodiche irresistibili che si alternano a passaggi più rarefatti, esaltati da una prestazione superlative di Clode dietro al microfono: ancora un brano magnifico per intensità e attrattività.
A chiudere il lavoro ci pensa la title track, ultima delle gemme offerte da un album di qualità a tratti sorprendente, il cui suggello non può che essere il brano più malinconico ed oscuro del lotto, esempio magistrale di come il doom possa offrire quel turbinio di sensazioni che ad altri generi non sempre è concesso fare.
Like Crows For The Earth è, semplicemente, un disco magnifico, che porta di diritto i Tethra al livello delle band di punta del doom tricolore, grazie all’approdo ad una forma capace di veicolare in maniera più diretta ed efficace quei toni dolenti e malinconici che sono la componente imprescindibile del genere.

Tracklist:
1.Resilience (intro)
2.Transcending Thanatos
3.Prelude To Sadness
4.Springtime Melancholy
5.Deserted
6.Subterranean
7.The Groundfeeder
8.Entropy
9.Synchronicity Of Life And Decay
10.Earthless
11.Like Crows For The Earth

Line up:
Clode Tethra – Vocals
Luca Mellana – Guitars
Gabriele Monti – Guitars
Salvatore Duca – Bass
Lorenzo Giudici – Drums

TETHRA – Facebook

Morta Skuld – Wounds Deeper Than Time

La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld

Sembra davvero di essere tornati ai primi anni novanta, con una band storica come i Morta Skuld ed una label leggendaria come la Peaceville di nuovo insieme per regalarci ancora grande death metal old school.

Attiva dal 1990, la band proveniente dal Wisconsin fu molto attiva negli anni d’oro del death metal e, tra il 1993 (anno di uscita del primo full length Dying Remains) ed il 1997, furono quattro gli album di una carriera brillante, almeno nella scena estrema dell’epoca.
Poi, dopo l’uscita di Surface, il lungo silenzio durato quasi vent’anni ed interrotto dall’ep Serving Two Masters del 2014, antipasto di questo nuovo album che arriva come un treno in corsa ed impatta contro i crani dei deathsters mondiali.
Wounds Deeper Than Time è stato registrato ai Mercenary Studios da Scott Creekmore (Putrid Pile, Broken Hope, No Zodiac, Waco Jesus, Bloodline, Lividity), mentre la produzione è farina del sacco del gruppo di David Gregor chitarrista, cantante nonché fondatore dei Morta Skuld, oggi assieme aa Scott Willecke (chitarra), AJ Lewandowski (basso) ed Eric House (batteria).
Morta Skuld e Peaceville risultarono all’epoca una coppia vincente e il nuovo album, a distanza di così tanti anni, conferma questa brillante collaborazione.
Wounds Deeper Than Time è un album death metal come lo si faceva negli States negli anni novanta, ma con una verve ed un impatto che lo inseriscono senza problemi nella musica estrema di questo nuovo millennio.
La devastante e morbosa atmosfera di malignità e potenza, l’assoluta forza di questa raccolta di tracce, old school nell’animo ma fresche nel songwriting, non fanno che confermare la nomea dei Morta Skuld e del loro sound che, se non cambia di una virgola rispetto alle storiche opere, insegna death metal alle nuove generazioni.
Soffocante, potente e oscuro, il sound di brani come Breathe In The Black, Against The Origin e la title track fa parte della storia del metal estremo, seguendo i passi di Morbid Angel, Obituary e della splendida scena di quei gloriosi anni.

TRACKLIST
1.Breathe in the Black
2.Hating Life
3.My Weakness
4.Against the Origin
5.In Judgment
6.Wounds Deeper than Time
7.Scars Within
8.Devour the Chaos
9.Becoming One Flesh

LINE-UP
Scott Willecke – Guitars
Dave Gregor – Guitars, Vocals
Eric House – Drums
AJ – Bass

MORTA SKULD – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=aBsvNAs6ai4

Light Of The Morning Star – Nocta

Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto.

Non si sa granché di O-A, unico deus ex machina di Light Of The Morning Star, ma spiega molto più la sua musica che mille parole.

Dopo aver esordito nel 2016 con l’ep Cemetery Glow, andando ad esplicare le coordinate del progetto, O- A torna con questo debutto sulla lunga distanza, che è notevole. Nocta è la summa di quanto di meglio possa offrire il metal più tenebroso quando si fonde con un senso gotico della melodia, e il disco potrebbe essere la colonna sonora della notte di un vampiro, che desidera lascivamente nottetempo ma al contempo è conscio di essere maledetto. Questi nove cantici oscuri sono pieni di melodie sensuali e di distorsioni che accompagnano una tenebrosa eppure calda narrazione, senza fronzoli o autocompiacimenti, ma solo tanta nera sostanza. Molti sono i generi trattati, da una radice funeral doom melodica si passa ad un gothic metal con sfumature black melodiche, ma su tutto domina la melodia. Le canzoni sono strutturate in maniera da creare un climax che trasporta l’ascoltatore in un limbo piacevole, ma assai vicino alla morte, che è comunque uno stadio della nostra natura. O-A compone e suona da solo un album di canzoni bellissime e lascive, sensuali e vampiresche, il tutto con una lucidità ed una facilità musicale che non possono che stupire. Si rimane fortemente attratti da questa musica magnetica che sa di castelli polverosi e cimiteri con la nebbia, da ascoltare al buio e con le cuffie.
Nocta piacerà molto a chi ama il doom ed il metal più dark, ed è propenso a fare incursioni sonore in altri ambiti musicali.

TRACKLIST
1.Nocta
2.Coffinwood
3.Serpent Lanterns
4.Grey Carriages
5.Crescentlight
6.Oleander Halo
7.Ophidian
8.Lord of All Graves
9.Five Point Star

LIGHT OF THE MORNINGSTAR – Facebook

Tre Chiodi – Murmure

Un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da’assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

Affascinante progetto alternativo, non solo musicalmente parlando, ma anche concettualmente per i temi trattati.

Nato nel 2014, il progetto Tre Chiodi è formato da Babu (batteria), Enrico (voce e chitarra) e Zilty (basso): il loro sound si manifesta urgente, dalla tensione palpabile mentre alternative rock, stoner e grunge nirvaniano si alleano per sommergerci di watts.
Il concept scelto per Murmure riguarda il corpo umano ed ognuno dei nove brani prende ispirazione da una sua parte in una pazza e quanto mai originale proposta.
Passati i primi ascolti e digeriti i testi, a tratti leggermente forzati nel voler essere originali a tutti i costi, rimane l’ottima parte strumentale, dove i Tre Chiodi giocano con il rock alternativo americano degli anni novanta, partendo dal grunge della piovosa Seattle, viaggiando tra il deserto della Sky Valley ed arrivando al noise newyorchese.
A livello lirico i brani sono dei monologhi tra il parlato ed il cantato, mentre la chitarra urla torturata dall’elettricità, il basso pulsa come il cuore affaticato di chi si è perso nel deserto e le pelli si strappano sotto i colpi inferti da Babu.
Cuore, bellissima, intensa ed attraversata da una vena psichedelica, è a mio avviso il punto più alto di questo intrigante ed intricato lavoro, nel quale il trio viene aiutato da ospiti che duettano con Enrico, come Mirko (8ful Strike) e Folake (Hit-Kunkle).
Murmure, che in latino indica il suono dei polmoni mentre respirano, è un album affascinante e sicuramente originale, ma complicato e difficile da assimilare se non si riesce ad entrare in simbiosi con ciò che i Tre Chiodi vogliono descrivere: per questo c’è bisogno di tempo e della dovuta attenzione nell’ascolto.

TRACKLIST
1.Trago
2.Lingua
3.Anche
4.Cuore
5.Denti
6.Vertebra
7.Orbite
8.Colon
9.Capelli

LINE-UP
Babu – Drums
Enrico – Vocals, Guitars
Zilty – Bass

TRE CHIODI – Facebook

Vanik – Vanik

Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

Dall’ underground metallico statunitense dalle reminiscenze old school, arrivano i Vanik creatura horror del musicista Shaun Vanek (Midnight, Vandallus, Whitespade, Eternal Legacy, Breaker, Manimals, Sixx), aiutato in questa avventura da Ed Stephans (Ringworm,Shok Paris, Gluttons) al basso e Al Biddle (Toxic Holocaust, Cauldron, Diemonds, Castle) alle pelli.

Alcune delle band in cui militano i tre demoni metallici sono vecchie conoscenze, quindi è un piacere per il sottoscritto presentarvi questo buon lavoro omonimo, un album che più old school di così non si può, ma che risulta ben confezionato, con una produzione in linea con la musica suonata, ed un lotto di brani che strappano più di un ghigno beffardo e maligno.
Vanik parte a tavoletta e non si ferma più, lasciando un cumulo di cadaveri al suo passaggio, un massacro a colpi di velocissimi e taglienti solos che Shaun Vanek rifila come mazzate terrificanti: un heavy metal con targa anni ottanta, sparato a mille e con una combustione letale di soluzioni speed e rock ‘n’roll, testi che fanno riferimento ai film horror di serie b, una venerazione per gli storici Venom e tanta attitudine vecchia scuola,
La voce di Vanik, in linea con il cantato speed/thrash ottantiano (e non poteva essere altrimenti), canta di omicidi, demoni, zombie e di tutte le creature che dominano il mondo horror trash, mentre le ritmiche si fanno sempre più serrate ad ogni brano e la chitarra sporca di sangue innocente continua il suo martirio.
Trenta minuti bastano per il primo massacro targato Vanik, ed è una mezzora di headbanging sfrenato sulle ali dell’heavy speed metal old school.
Un album che non ha chance di uscire dal confine dell’underground, ma può solo continuare a vivere nel mondo parallelo dei lavori cult, sapendo come far divertire gli amanti del genere.
Immaginate il massacro nella sala cinematografica del film Demoni di Lamberto Bava (1985): uno dei brani di questo album avrebbe potuto fungere da colonna sonora al bagno di sangue perpetrato dall’orda di malefici e famelici servi del demonio a colpi di heavy speed metal.

TRACKLIST
1. Deadly Pleasures
2. Fire Again!
3. One More Dose
4. The Blackest Eyes
5. Blood Sucking Lust
6. Dr. Speed
7. Midnight Ghoul
8. Eat You Alive
9. Island Of Lost Souls

LINE-UP
Vanik – Guitars/Vox
Ed Stephans – Bass
Al Biddle – Drums

VANIK – Facebook

Noêta – Beyond life And Death

Un album che deve essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli animi che non si sono ancora del tutto assopiti.

Come sempre, dalla scuderia della Prophecy giunge a noi musica mai banale e che, nella maggior parte dei casi, costringe chi vi si approccia ad uno sforzo in più per scongiurare il rischio di non cogliere il valore del contenuto delle diverse proposte della label tedesca.

Confesso che, nel caso del full length d’esordio del duo svedese Noêta, ho faticato più del solito, a causa del sound rarefatto ed essenziale che, soprattutto nella fase iniziale del lavoro, vede in primo piano la voce salmodiante di Êlea stagliarsi su un tappeto ora tenuemente percussivo, ora acustico ma privo di quegli slanci di immediatezza melodica capaci di conquistare al primo ascolto.
Ma la musica dei Noêta è perfettamente allineata alle tematiche tutt’altro che lievi proposte a livello lirico, sicché la ricerca del significato dell’esistenza, la presa di coscienza della sua imperscrutabilità e lo sgomento che ne consegue, divengono un tutt’uno con suoni pervasi da un constante senso di inquietudine.
Folk, dark, ambient vanno a comporre una quadro affascinante, in grado di insinuarsi con inesorabile lentezza tra le pieghe dell’animo, lasciando al termine dell’ascolto un languido senso di vuoto che mette in stand by ogni sensazione, piacevole o dolorosa che sia.
Come si diceva in apertura, la fatica spesa per penetrare nel sound dei Noêta è ampiamente ripagata, specie nella parte centrale di Beyond life And Death, quando è lo struggimento a prendere campo con una coppia di perle musicali quali In Void e Dead Soil, ma è quasi superfluo precisare come l’album debba essere assimilato nella sua forma di continuo flusso sonoro, capace di colpire e scuotere emotivamente quegli spiriti che non si sono ancora del tutto assopiti.

Tracklist:
1.Beyond Life
2.In Drowning
3.Darkest desires
4.Pneuma
5.In Void
6.Dead Soil
7.Beyond Death
8.In Thunder
9.Urkaos

Line up:
Êlea
Ândris

NOÊTA – Facebook

Cremation – Retaliation

Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation risulta un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

In questi anni in cui le uscite quotidiane in ambito metallico sono pari alla quantità di persone che alle sette del mattino si riversano nelle strade per andare al lavoro, un’iniziativa come quella della Vic Records, cioè ristampare i lavori di quei gruppi che negli anni storici del metal estremo non trovarono grossa fortuna, sembrerebbe avventata, eppure per chi ama il death metal, la label olandese sta rispolverando degli autentici gioiellini come questo bellissimo primo ed unico album dei deathsters Cremation.

Il gruppo olandese si formò nel 1993 e per tutto il decennio sfornò opere minori in formato demo e split fino al 2002, anno in cui uscì Retaliation, un ottimo esempio di death metal tra tradizione europea e statunitense, impreziosito da una tecnica sopraffina, un esaltante lavoro ritmico e, scusate se è poco, ottime canzoni.
Nella nuova riedizione troviamo, oltre all’album, delle bonus track prese dai primi demo del gruppo ,quindi un lavoro completo e perfetto per fare una buona conoscenza del quartetto di Utrecht.
Capitanati da Paul Baayens, chitarrista e cantante con un passato in gruppi cardine della scena di quegli anni (Asphyx, Hail of Bullets, Thanatos) i Cremation con questo primo album uscito quasi dieci anni dopo la loro nascita si rifecero del tempo perduto: il lotto di brani raccolti in Retaliation non lascia scampo con un sound che ai Death si ispirava tecnicamente, ma non mancava di rimarcare la loro appartenenza alla scuola europea di quel periodo.
Retaliation risulta così un ottimo album, un macigno di oscuro death metal old school suonato benissimo ed ispirato in fase di songwriting; i brani vomitati dalle casse travolgono l’ascoltatore senza soluzione di continuità, un massacro che mantiene in evidenza l’ottima tecnica dei musicisti coinvolti.
Per gli amanti del death metal che vogliano riscoprire piccoli gioielli dimenticati nel tempo, Retaliation è un lavoro di assoluto interesse, peccato solo per il fatto che quel lavoro resta l’ultima testimonianza dei Cremation.

TRACKLIST
1.Vanished into Oblivion
2.The Void
3.Sempiternal Hatred
4.Intangible Malignancy
5.Veil of Secrecies
6.Futile Existence
7.Stain of Purity
8.The Prohibition of Light
9.Deceptive Felicity
10.Beyond the Edge of Insanity
11.Suffer in Obedience
12.Waiting for the Sun
13.Unjustified Judgements
14.Echeos of Mayhem
15.Valediction
16.Deceptive Felicity
17.Futile Existence

LINE-UP
Paul Baayens – Vocals, Guitars
Joost de Boer – Guitars
Michiel Stoop – Bass
Benito ‘Bono’ Grotenberg – Drums