Kadinja – Ascendancy

Se l’idea era quella di rendere ultra-tecnico un genere che si basa principalmente sull’impatto, i Kadinja riescono nell’impresa solo a sprazzi, mentre trovo ormai superato l’uso della doppia voce, specialmente se non si è maestri nel far funzionare un abbinamento che negli ultimi tempi sta tirando la corda.

Prendete un gruppo di giovani metallari dal suono moderno ed in linea con il metalcore, ma con la voglia matta di sfoggiare la loro ottima tecnica, usando i cliché tipici del prog metal ed avrete in mano il sound di Ascendancy, full length dei Kadinja.

Il quintetto francese, proveniente dalla capitale, non le manda certo a dire e abbina un devastante ma comunque melodico metal moderno, con il prog metal, un’aggressività che viene nobilitata da intricate ritmiche e da un lavoro delle sei corde che passa dal classico melodico/stoppato a fughe sul manico che riportano al genere più tecnico per eccellenza.
Il problema maggiore di questo album è che risulta un po’ freddino, e il metal estremo abbinato alla tecnica, spesso fine a sé stessa, produce un effetto caotico che non giova alla fruibilità della musica prodotta dal combo transalpino.
I momenti migliori, infatti, si mostrano quando l’aggressività si placa per lasciare spazio alla melodia, momenti nascosti tra i vari brani che risultano poco emozionali e, alla lunga, pervasi da una ripetitività di fondo che non aiuta certo l’attenzione dell’ascoltatore già provato nel seguire l’intricata ragnatela di note in brani come le due parti di Episteme, A November Day o Bittersweet Guilt.
Se l’idea era quella di rendere ultra-tecnico un genere che si basa principalmente sull’impatto, i Kadinja riescono nell’impresa solo a sprazzi, mentre trovo ormai superato l’uso della doppia voce, specialmente se non si è maestri nel far funzionare un abbinamento che negli ultimi tempi sta tirando la corda.
Ascendancy raggiunge la sufficienza ma nulla più, le potenzialità ci sono ma vanno sfruttate meglio da parte del gruppo francese.

TRACKLIST
01. Stone of Mourning
02. Glhf
03. Episteme
04. Episteme Part II
05. ‘Til the Ground Disappears
06. A November Day
07. Dominique
08. Ropes of You
09. Bittersweet Guilt
10. Seven (The Stick Figures)

LINE-UP
Philippe Charny Dewandre – Vocals
Pierre Danel – Guitars
JJ Groove – Bass
Nicolas Hørbacz – Guitars
Morgan Berthet – Drums

KADINJA – Facebook

Naudiz – Wulfasa Kunja

Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere.

Puro, devastante e senza compromessi black metal pagano, che più nero e pagano non si potrebbe.

Gli italiani Naudiz tornano con un secondo disco per la Iron Bonehead Productions, ed alzano ulteriormente l’asticella rispetto al disco precedente, Aftur till Ginnungagaps, che era già su ottimi livelli. Il black metal dei Naudiz è di concezione classica, ovvero chitarre non troppo distorte ma belle corpose e veloci, voce in clean e potente, e batteria al fulmicotone. Il risultato è molto interessante, regalando un gran disco di black metal, come è sempre più difficile ascoltarne. Con ciò qui non si vuole affermare che fosse meglio prima, anche perché il black metal ha moltissime declinazioni, e bisogna ascoltare caso per caso. Un disco come questo riporta alla sorgente stessa del concetto di black metal, dato che ha in sé tutte le caratteristiche migliori del genere. Wulfasa Kunja è soprattutto un disco pagano, che descrive il mondo e la religione nordica con competenza, come fanno i Naudiz fin dal primo disco. Non si sa granché di questo gruppo, ma non interessa nemmeno, dato che la potenza e la godibilità di questo lavoro sono molto esaurienti di per sé. Gli argomenti trattati sono tutti inerenti alla mitologia nordica, un substrato antichissimo che non è mai veramente morto, e che ha resistito più tenacemente delle nostre tradizioni pagane, che invece hanno perso molto presto la battaglia con il cristianesimo. Il mondo descritto in questo disco è radicalmente differente dal nostro, è più vicino di noi al caos primordiale, e sa che prima o poi finirà, e non ci sarà nessuna ricompensa. I Naudiz sono bravissimi nel mettere in musica questo differente sentire, che è maggiormente veritiero rispetto alle nostre menzogne quotidiane. Siete pronti per un ragnarok di black metal ? Una delle migliori uscite di quest’anno per il vero black metal.

TRACKLIST
01 Garmr
02 Vali ok Nari
03 Jarnvidr
04 Angrboda
05 Loki
06 Geri ok Freki
07 Vanargandr
08 Wulfasa Kunja

LINE-UP
ᛗᚲ: Guitars
ᚢᛞ: Bass, Vocals
ᛗᛞ: Drums

NAUDIZ – Facebook

Rainforce – Lion’s Den

Lion’s Den è il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

Arrivano al debutto i rockers svizzeri Rainforce e lo fanno con un concentrato di nitroglicerina hard rock dal titolo Lion’s Den.

La band fondata dal chitarrista Andy La Morte vede Matt Brand al basso, Benjamin Mann alle pelli, il singer Jordan Cutajar più vari ospiti, tra cui Kevin Wright ex Jacob’s Dream.
La proposta del gruppo è un hard rock di matrice centro europea, del resto i Rainforce appartengono a tale area geografica e non fanno niente per nasconderlo, neppure nel sound che richiama lo stile degli storici Krokus, un ‘icona dell’hard rock aldilà delle Alpi.
Dunque, Lion’s Den mantiene quello che promette un album di genere: ritmiche hard & heavy, voce al vetriolo, chorus da cantare come se non ci fosse un domani sotto ad un palco (anche se a tratti risultano leggermente forzati) e solos di estrazione heavy ottantiana che può portare al gruppo qualche fan dai gusti metallici in più.
Niente di più classico che farsi sballottare dalle grintose My Rock e Feed Me (I’m Hungry), mentre la title track lascia qualche dubbio con il suo refrain ripetuto all’infinito.
L’album scorre così tra alti (la bluesy New Jerusalem) e bassi (lo strumentale Speechless), mentre Desert Sand è il classico brano anni ottanta tra Ac/Dc, Krokus ed arena rock, e The Gods Have Failed ha un andamento riscontrabile nel rock di fine anni settanta; proprio l’alternarsi tra brani riusciti ed altri meno convincenti porta ad usare il tasto numerico del vostro lettore più volte.
Lion’s Den è comunque il debutto per i Rainforce, quindi perdoniamo qualche passaggio a vuoto e promuoviamo il gruppo, che in futuro potrà solo migliorare partendo dalle cose buone che, fortunatamente, non sono poche.

TRACKLIST
01. Lion’s Den (with Philipp Rölli)
02. My Rock (with Rex D. Scott)
03. Feed Me (I’m Hungry)
04. I Am Yours (with Rex Carroll)
05. Speechless (with Philipp Rölli)
06. New Jerusalem (with Hämu Plüss)
07. Desert Sand (with Jim LaVerde)
08. The Gods Have Failed (with Philippe “The Greis” Kreis)
09. He Came To Set The Captives Free (with Oliver Schneider & Philipp Rölli)
10. Shine A Light (with Kevin Wright & Philipp Rölli)

LINE-UP
Jordan Cutajar – lead vocals
Andy La Morte – guitars
Matt Brand – bass
Benjamin Mann – drums

RAINFORCE – Facebook

Mosaic – Old Man’s Wyntar

Supreme Thuringian Folklore …come spesso accade nell’underground si celano grandi realtà per “open-minded people”.

Spettacolare riedizione (la quarta in tre anni) da parte della tedesca Eisenwald dell’ep Old Man’s Wyntar dei Mosaic, che in realtà nascondono le gesta musicali di un solo artista, Inkantator Koura, accompagnato da altri musicisti (Leshiyas, Scorpios, Maya e altri).

Le tre precedenti edizioni non sono neanche lontanamente paragonabili alla magnificenza dell’ attuale packakging in A5 digibook con testi tedesco e inglese, con intervista all’artista e storia del concept; inoltre, per rendere imperdibile il tutto e’ stato aggiunto un terzo capitolo intitolato Joyful reminiscense and sacred eyes. Inkantator Koura narra di un concept riguardo a winter journey through ancient mysticism and bittersweet darkness e lo fa creando un masterpiece, stratificando suoni black metal, neofolk, ambient, experimental trascinando l’ascoltatore in un vortice di emozioni varianti dall’ incanto alla melanconia, dall’orgoglio alla oscurità, dalla disperazione alla estasi. L’opera alterna momenti folk e neo folk struggenti e dolorosi con parti black raramente esasperate o ritmicamente forsennate, ma cariche di fierezza e disperazione; la struttura è complessa a formare una materia cangiante che sfida l’ascoltatore ad entrare in un regno di freddo e oscurità omaggiante la stagione invernale. L’opera originaria, edita nel 2014, nelle parole dell’autore intesa come un omaggio a Paysage d’Hiver, entità guidata da Wintherr (ora anche nei Darkspace), si divide in due capitoli: il primo, Awakening & Snowfall, inizia con Incipit:Geherre, una litania ovattata sferzata da un gelido vento, per poi proseguire con Onset of Wyntar, brano a tinte black molto atmosferico con Inkantator che declama le sue lyrickal magick.
Il terzo brano Im Winter, che conclude il primo capitolo, profuma di immobili e infiniti ghiacci e mi ha ricordato echi, probabilmente non voluti, di una leggenda Krauta di acidfolk, gli Amon Duul II (qualche vecchio ascoltatore ricorderà); il secondo capitolo, …of Magick and Darkness, presenta Snowscape, un breve viaggio guidato da una tersa melodia,White gloom, un fiero inno black come un lupo in cerca di prede da dilaniare, mentre in the darkness the wind still blows… e Black Glimmer, spettrale e salmodiante racconto ricco di tensione per un posto in cui …nothing shall be green here, for as long as winter reigns. Il terzo capitolo, Joyful reminiscense and sacred eyes, presenta altri tre brani che completano il concept, Silent world, holy awe, oscuro e acido folk rock ,Vom ersten schnee/a tale of mother Hulda dove una nonna, su note molto malinconiche, narra al nipote l’origine della neve; il finale Silver Nights, della durata di circa venti minuti (l’opera dura in tutto molto più di un’ora) chiude su intense, atmosferiche ed epiche note black un lavoro molto particolare, originale, di non facile assimilazione e, come chiosa Inkantator, …for candid, open minded people that take an umbiased approach to music and don’t need to sort everything into stereotyped thinking.

TRACKLIST
1.Incipit: Geherre
2.Onset of Wyntar
3.Im Winter
4.Snowscape
5.White Gloom
6.Black Glimmer
7.Silent World, Holy Awe
8.Vom ersten Schnee
9.Silver Nights

LINE-UP
Inkantator Koura – all instruments and vocals

MOSAIC – Facebook

Exiled On Earth – Forces Of Denial

Ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

Con gli Exiled On Earth si viaggia spediti su territori power/thrash progressivi tra tradizione e soluzioni più moderne, così che questo nuovo album non si può certo considerare old school, pur mantenendo le coordinate delle band che hanno fatto la storia del genere.

Il gruppo romano è in attività da parecchi anni, anche se dall’anno di fondazione (2000) ad oggi la sua discografia conta solo un paio di demo e due full length, compreso questo buon lavoro dal titolo Forces Of Denial.
Registrato ai 16th Cellar Studios e licenziato dalla Punishment 18, l’album non manca di infiammare per più di mezz’ora i thrashers dai gusti raffinati: l’opera si mantiene dura nell’approccio, ma elegante nei dettagli e nelle soluzioni di matrice progressive e, complice la durata, si fa ascoltare mantenendo alta l’attenzione dell’ascoltatore;
per niente prolisso dunque, difetto facile da riscontrare nel genere, essendo composto da otto brani che rivelano buone idee espresse con il giusto piglio e senza troppi ghirigori compositivi.
Impatto e tecnica, si potrebbe riassumere con queste due parole la musica degli Exiled On Earth, band capitanata dall’ottimo chitarrista e cantante Tiziano Marcozzi, unico superstite della formazione originale, oggi a guida di una squadra (Gino Palombi al basso, Piero Arioni alle pelli e Alfredo Gargaro alla chitarra) che si ritrova a meraviglia tra le cavalcate metalliche dei brani, perfetta nel cambiare tempi di gioco, mantenendo una forma canzone ed un equilibrio tra potenza thrash metal, tecnica e melodie.
Forces Of Denial è un lavoro di thrash moderno e progressivo, melodico e dalla potenza metallica che si rifà alla scena statunitense, così come nei momenti più ragionati e tecnici la mente corre ai gruppi autori di un certo modo di suonare il genere come i Control Denied ma anche i Coroner, che si fanno spazio tra le note di brani notevoli come Hypnotic Persecutions, Underground Intelligence e la splendida Into The Serpent’s Nest brano in cui Marcozzi dà prova della bravura al microfono anche su linee vocali meno aspre.
In conclusione, Forces Of Denial è un album riuscito, nonchè il ritorno importante per un gruppo che, con un po’ di costanza in più nelle uscite, potrebbe ritagliarsi uno spazio importante nella scena nostrana.

TRACKLIST
01. Forces Of Denial
02. The Glory And The Lie
03. Hypnotic Persecution
04. The Mangler
05. Vortex Of Deception
06. Underground Intelligence
07. Into The Serpent’s Nest
08. Lifting The Veil

LINE-UP
Tiziano Marcozzi – Vocals, Guitar
Gino Palombi – Bass
Piero Arioni – Drums
Alfredo Gargaro – Guitar

EXILED ON EARTH – Facebook