WIDOWMAKER

Il video di ‘The Nihilist’, pubblicato in occasione della firma con SharpTone Records.

SharpTone Records è lieta di annunciare la firma con i WIDOWMAKER di Huntsville, Alabama. In occasione di questa news, la band deathcore ha pubblicato il nuovo video di ‘The Nihilist’.

I WIDOWMAKER commentano: “Abbiamo lavorato sodo e abbiamo provato instancabilmente durante tutta la nostra carriera di creare il miglior team possibile intorno a noi. Siamo felicissimi di essere entrati a far parte della famiglia SharpTone. Lavorano duramente per noi e non vediamo l’ora di scoprire cosa ci riserva il nostro futuro con loro!”

Per iniziare con il piede giusto la band sarà in tour negli Stati Uniti prima in supporto ai SLAUGHTER TO PREVAIL e un mese dopo con BORN OF OSIRIS.

24 Maggio – Springfield, MO @ The Outland Ballroom
26 Maggio – Fayetteville, NC @ Drunk Horse Pub
28 Maggio – Mclean, VA @ Post 82411
30 Maggio – Corning, NY @ Landos
31 Maggio – Webster, NY @ Harmony House
1 Giugno – London, ON @ London Music Hall
2 Giugno – Ottawa, ON @ Mavericks
4 Giugno – Montreal, QC @ Bar Le Ritz
5 Giugno – Quebec City, QC @ LA Source DE LA Martiniere

I WIDOWMAKER sono:
Matt Childers – Voce
Tyler Stansell – Chitarra
Hagan Dickerson – Chitarra
Sean Landman – Basso
Kurtis Stoneking – Batteria

Maggiori info:

https://www.facebook.com/widowmakeral
https://www.twitter.com/widowmakeral
https://www.instagram.com/widowmakerband
http://sharptonerecords.co/
https://www.facebook.com/sharptonerecs/
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Sarea – Black At Heart

Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

Andate direttamente alla terza traccia, Perception, alzate il volume e tornerete all’alba del nuovo millennio scapocciando sulle note di quel monumento al death metal melodico moderno che è Clayman, storico capolavoro degli In Flames.

Ormai sono passati diciassette anni e il gruppo di Anders Fridén è l’ombra della grande band arrivata, dopo gli ottimi lavori degli anni novanta, a scrivere il vangelo del genere con molti gruppi che ancora oggi provano a raggiungere le vette artistiche di quell’album senza riuscirci.
Ma, attenzione, perché la Wormholedeath parte per una battuta di caccia in Svezia e la preda sono i Sarea, band di Norrköping che se la cava benissimo, licenziando un album di melodic modern metal molto interessante, composto da una serie di brani melodici, dall’ottimo appeal, ma belli tosti, grintosi e tirati.
Quindi dimenticatevi i ritmi sincopati o stoppati del metalcore, il sestetto scandinavo spara una dozzina di adrenaliniche tracce dove l’estremo è di casa e convive con un talento per le melodie da top band.
Non siamo al debutto e si sente, il gruppo, attivo da 2006, si gioca la carta dell’esperienza accumulata nei tre full length precedenti (Rise Of A Dying World del 2008, Alive del 2010 e l’ultimo This Is Not Goodbye uscito tre anni fa) e in Black At Heart non sbaglia un passaggio, una melodia, uno scambio tra il growl e la voce pulita (spettacolare il primo, nella norma la seconda), con un lavoro chitarristico che non lascia scampo, tra riff moderni di scuola americana e solos che fanno lacrimare più di un sopravvissuto al death melodico novantiano.
Che non siamo al cospetto della solita band core è subito chiaro dall’opener Lights, talmente perfetta ed irresistibile nelle melodie da lasciare sgomenti, mentre la title track ci porta verso quella che a mio avviso è il capolavoro di questo album, la già citata Perception che strappa cuori mentre gli In Flames si chiedono perché non sono più riusciti a scrivere un brano di questa levatura.
Ma fatevi rapire anche dalle irresistibili melodie di Let Us Fall,  dalle atmosfere estreme di The Dormant National, quelle intimiste e tragiche della ballata darkwave Control ed il ritorno tra le sfumature di inizio millennio con la conclusiva e devastante Circles.
Se siete orfani dei migliori In Flames e degli album delle truppe scandinave di inizio millennio, Black At Heart è un lavoro da avere e consumare.

TRACKLIST
01. Lights
02. Black at Heart
03. Perception
04. The Others
05. Let Us Fall
06. Duality
07. The Dormant National
08. Monotone
09. Control
10. Dead Eyes
11. All for None

LINE-UP
Chris Forsberg – Vocals
Calle Larsson – Drums
Johan Axelsson – Guitar
Alex Dzaic – Guitar
Johan Larsson – Bass
Martin Persson – keyboard

SAREA – Facebook

Danzig – Black Laden Crown

E’ apprezzabile da parte di Danzig la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, e qualche brano riuscito rende Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Glenn Danzig rappresenta un bel pezzo di storia del rock/metal contemporaneo e, in quanto tale, la gratitudine per quanto fatto con i Misfits prima e con la band che porta il suo nome in seguito, è doverosa ma non può influenzare le sensazioni derivanti dall’ascolto di questo nuovo album di inediti, pubblicato ben sette anni dopo l’ultimo Death Red Sabaoth.

Il tempo trascorre inesorabile per tutti, e se già un certo calo della voce di Danzig era emerso nei primi lavori del nuovo millennio, Black Laden Crown segna in questo senso un punto di probabile non ritorno.
Infatti, non sono stati pochi i vocalist che, ad un certo punto della loro carriera, non sembravano più in grado di ripetersi ai livelli del passato salvo poi riuscire a tornare su registri accettabili, ma questo non sembra proprio il caso del nostro che, quanto meno, pare accettare il tutto cercando di adeguare il sound alle sue attuali potenzialità, optando anche per una produzione ovattata che di certo, però, non aiuta a valorizzare il lavoro chitarristico del buon Tommy Victor.
Inevitabilmente tutto ciò finisce per penalizzare un album che a livello compositivo non dispiace nemmeno troppo, pur non avvicinandosi alle migliori opere del passato: la peculiare commistione tra heavy/doom metal e rock/blues che aveva reso sfolgoranti i primi quattro lavori usciti a nome Danzig, con due capolavori assoluti come Lucifuge e How The Gods Kill, ogni tanto fa capolino tra le atmosfere di Black Laden Crown, ma senza l’apporto decisivo di quella voce che riusciva ad essere sia profonda che stentorea.
Così qualche spunto brillante lo si riscontra ancora nella notevole But A Nightmare o nella blueseggiante Last Ride, mentre riguardo ad un brano come Devil On Hwy 9 non si può fare a meno di notare come il Danzig d’annata avrebbe potuto esaltarne al massimo il buon potenziale, anche commerciale, e lo stesso discorso lo si può fare anche per la conclusiva Pull the Sun.
Resta comunque apprezzabile, da parte del musicista americano, la voglia di rimettersi in gioco con del materiale inedito, quando molti altri, alla sua stessa età, si limitano a vivacchiare sulle produzioni del passato, ed i buoni episodi citati all’interno della tracklist rendono alla fine Black Laden Crown un album non del tutto superfluo, anche se purtroppo il confronto con i lavori composti nei primi anni novanta si rivela impietoso.

Tracklist:
1. Black Laden Crown
2. Eyes Ripping Fire
3. Devil On Hwy 9
4. Last Ride
5. The Witching Hour
6. But a Nightmare
7. Skulls & Daisies
8. Blackness Falls
9. Pull the Sun

Line-up:
Glenn Danzig – lead vocals, rhythm guitar
Tommy Victor – lead guitar, bass guitar
Joey Castillo – drums, percussion
Johnny Kelly – drums, percussion
Karl Rockfist – drums, percussion
Dirk Verbeuren – drums, percussion

DANZIG – Facebook

Circus Nebula – Circus Nebula

Qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.

Oggi è tutto più difficile, si cerca sempre di dividere e a catalogare tutto, ad incatenare creatività ed idee in compartimenti stagni che, nella musica, non sono altro che generi e sottogeneri sotto la stessa bandiera, quella del rock’n’roll.

Il rock e l’ hard rock , per chi lo ha vissuto negli anni settanta ed ottanta era soprattutto libertà di esprimersi o ascoltare fuori dai soliti schemi, diventati purtroppo obbligatori anche nella nostra musica preferita da almeno due decadi.
Ora, infatti, ascoltare e scrivere di rock o progressive e con disinvoltura e passione godere anche di un album estremo è cosa di pochi, ma tanti anni fa ascoltare Led Zeppelin, Iron Maiden ed i primi vagiti estremi di Slayer e Venom era la normalità, con magari nel mezzo dosi adrenaliniche di street rock dalla lussuriosa Los Angeles.
Nel 1988 la scena italiana, povera di mezzi e di seguito e tenuta in piedi da veri eroi delle sette note, vedeva nascere i Circus Nebula, gruppo che esordisce con il primo full length solo oggi, ma che calca i palchi in giro per lo stivale fin da allora, sempre in mano a Alex “The Juggler” Celli (chitarra), Mark “Ash” Bonavita (voce) e Bobby Joker (batteria).
Ora voi vi chiederete : cosa c’entrano i Black Sabbath con l’hard rock stradaiolo suonato nella città degli angeli?
Come può un gruppo southern rock prendere sottobraccio e farsi un giro con una band proveniente dalla new wave of british heavy metal?
E come hanno potuto i nostri eroi aprire i concerti di Death SS e Paul Chain, ma anche quelli dei Dog’s D’Amour?
La risposta sta tutta in queste dodici tracce, che formano un album di adrenalinico hard & heavy, colorato con una scatola di pennarelli che vanno dal nero del doom, al rosso del rock’n’roll, dal grigio del metal, al marrone del southern con un tocco di giallo psichedelico a formare un arcobaleno di musica straordinaria.
A completare la formazione troviamo Michele “Gavo” Gavelli alle tastiere (in comproprietà con la band Blastema) e Frank “Leo” Leone al basso, un contratto con l’Andromeda Relix ed il sogno del rock’n’roll continua anche dopo trent’anni, tanta esperienza con altre band ed una voglia di lasciare il segno che si evince da questo splendido lavoro omonimo.
Come si può intuire, qui le barriere sono abbattute da un purosangue musicale che indomito cavalca verso la libertà, quella di esprimersi senza briglie, tra riff metallici, impatto street rock, irriverenza rock’n’roll e tanta di quella attitudine da farne dono ad una buona fetta di realtà che calcano la scena attuale.
D’altronde quando una band conclude l’album con un brano rock’n’roll alla Chuck Berry (Mr. Penniwise), seguito subito dopo da un heavy doom alla Death SS (Spleen) le possibili chiavi di lettura sono la pazzia o la genialità: io propenderei per la seconda ipotesi, senza tralasciare del tutto la prima …

TRACKLIST
1. Hypnos (Intro)
2. Sex Garden
3. Ectoplasm
3. Here Came The Medecine Man
4. Rollin’ Thunder (Raw’n’Roll)
5. Vacuum dreamer
6. Welcome To The Circus Nebula
7. 2 Loud 4 The crowd
8. Electric Twilight
9. Head down
10. Mr. Pennywise
11. Spleen

LINE-UP
Mark Ash – Vocals
Aex “The Juggler” – Guitars
Bobby Joker – Drums
Michele “Gavo” Gavelli – Keyboards
Luca “Ago” Agostini – Bass

CIRCUS NEBULA – Facebook