DEVOTION

Il video di “Charlie Big Potato”, cover degli Skunk Anansie

Il video di “Charlie Big Potato”, cover degli Skunk Anansie

A poco più di un anno di distanza dalla pubblicazione del loro ultimo album “Words And Crystals”, i Devotion pubblicano un’inedita versione del famoso brano degli Skunk Anansie “Charlie Big Potato”, un regalo per i propri fan in attesa di saperne di più sui prossimi passi della band.

I Devotion hanno anche girato un video dedicato al brano diretto da Matteo Aiello che potete vedere a questo link

Il brano è stato prodotto e mixato da Maurizio Baggio, registrato a La Distilleria – Produzioni Musicali e infine masterizzato da Jack Shirley ai The Atomic Garden Studio di San Francisco.

Le parole della band:

“L’idea di registrare la cover di questo pezzo è nata dal nostro amore per questo pezzo degli Skunk Anansie ma solo dopo abbiamo pensato di farne anche un videoclip.
Il messaggio che vogliamo trasmettere tramite il video è il nostro sentimento di lontananza ed estraneità dalla tendenza nel dare priorità all’immagine rispetto al contenuto, alla visibilità ad ogni costo rispetto alla sostanza. E’ un fenomeno, questo, tipicamente legato al diffondersi del cosiddetto “essere social” a tutti i costi, qualcosa in cui noi non ci riconosciamo o perlomeno non in maniera così forte.

Da lì è partito lo spunto per la scena in cui i nostri “fantasmi” risalgono la collina, a rappresentare il distacco che proviamo da quel prevalere dell’apparenza rispetto alla realtà delle cose.”

Next Shows:
28.05 @ BIRRERIA 78 – SARCEDO (VI)
01.06 @ LEGEND – ROCK IN PARK – MILANO (MI) – http://bit.ly/2qvy0sM
02.06 @ OFFICINE SONORE – VERCELLI (VC)
09.06 @ PREVIEW LINE FESTIVAL – SCHIO (VI) – http://bit.ly/2riTgmA

Hadal Maw – Olm

Ottimo lavoro estremo questo secondo album degli australiani Hadal Maw, con il loro sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black.

Gran bella mazzata estrema questo nuovo album dei deathsters australiani Hadal Maw, ma in effetti quelle terre posizionate all’altro capo del mondo offrono spesso ottima musica, in tutti i campi dell’universo metallico.

Il quintetto di Melbourne arriva al secondo full length con un sound che risulta una fatale miscela di death metal tecnico e black/death riconducibile al modus operandi dei Behemoth, maestri europei del genere.
Una proposta interessante, dunque, pesantissima ed estrema, curata in ogni dettaglio e suonata molto bene dai musicisti coinvolti, tanto da avvicinarsi a tratti al technical death metal.
La differenza la fa il songwriting che sposta le coordinate del sound sull’impatto, lasciando la mera tecnica al servizio di devastanti brani neri come la pece, su cui si staglia il vocione di Sam Dillon, una vera miniera di tonalità cupe ed efferate.
Grande è il lavoro della sezione ritmica (Jim Luxford al basso e Rob Brens alle pelli) e delle due chitarre (Ben Boyle e Nick Rackham) che tagliano l’aria irrespirabile con fendenti metallici, lasciando la melodia alle parti più rallentate di rabbioso doom/death (False King) che, con l’altra perla del disco, la lunga ed emozionante Simian Plague, una cavalcata death/black tra mid tempo e terremoti ritmici, rendono Olm un acquisto consigliato agli amanti del metal estremo.
Un’altra ottima prova proveniente dall’Australia, dove ferve una scena per certi versi ancora tutta da scoprire.

TRACKLIST
1.Leviathan
2.Affluenza
3.Failed Harvest
4.Witch Doctor
5.False King
6.The Olm
7.Simian Plague
8.Germinate
9.Hyena
10.Circus of Flesh

LINE-UP
Sam Dillon – Vocals
Nick Rackham – Guitar
Ben Boyle – Guitar:
Jim Luxford – Bass
Rob Brens – Drums

HADAL MAW – Facebook

Sollertia – Light

I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico.

Da un’altra di quelle etichette europee dalle uscite rade ma sempre di qualità, come è la francese Apathia Records, arriva l’esordio dei Sollertia, intitolato Light.

Il duo è composto dal francese VoA VoXyD (con un passato nei gotici Ad Inferna), che si occupa interamente della parte musicale e compositiva, e dal più noto James Fogarty, vocalist britannico conosciuto anche come Mr.Fog, attualmente titolare del ruolo nei grandi In The Woods, nonché detentore del progetto solista Ewigkeit.
Nonostante alcuni indizi derivanti dal passato dei due musicisti possano farlo pensare, in realtà il sound dei Sollertia si rivela estremo solo in pochi frangenti (The Devil Seethe), andandosi invece a collocare in un ambito che si potrebbe definire, a grandi linee, sotto la sfera di influenza dei Katatonia, e comunque andando ad abbracciare le diverse sfumature che si diramano da quel settore musicale ricco di realtà talentuose e nel quale si possono annoverare, con tutte le distinzioni del caso, anche Anathema ed Antimatter.

Infatti, in maniera affine alle band citate, Light offre una serie di brani per lo più avvolti da linee malinconiche, anche se i Sollertia ci mettono di loro una propensione progressiva ed un notevole carico di tensione che pervade il disco per l’intero sviluppo.
Le undici tracce si snodano, così, sempre in maniera convincente, grazie ad una pulizia sonora volta a solleticare con buona continuità la sfera emotiva dell’ascoltatore, alla quale contribuiscono in maniera decisiva sia l’interpretazione vocale di grande spessore da parte di Fogarty (coadiuvato in tre brani dall’ospite Vanja Obscure), sia lo splendido lavoro chitarristico di VoA VoXyD; non penso di esagerare defininendo Light uno dei migliori album usciti finora nel 2017, in virtù di un sound che, nonostante appia a tratti fruibile, gode contestualmente di una grande profondità.
Qui la luce evocata dal titolo è in realtà quella che, nella copertina, si fa largo tra le nubi e la nebbia: un qualcosa di tenue e soffuso che prelude ad un’oscurità mai del tutto assoluta, derivante da una sensibilità lirica e musicale che assume un sentire cosmico nei suo momenti più alti (le meravigliose Pascal’s Wager, Enter The Light Eternal, Praying At The Chapel Perilous, Mathematical Universe Hypothesis e Sisyphean Cycle).
I Sollertia colpiscono nel segno al primo colpo, rilasciando un album di rara bellezza ed intensità e che possiede la freschezza di un approccio progressivo unito ad un dolente incedere affine per impatto al doom più melodico: difficile chiedere di meglio ad un lavoro che, per il suo valore, si colloca come minimo all’altezza delle ultime uscite delle citate band di riferimento.

Tracklist:
1. Adducantur
2. Abstract object theory
3. Pascal’s wager
4. Enter the light eternal
5. Praying at the chapel perilous
6. The devils seethe
7. Mathematical universe hypothesis
8. Dark night of the soul
9. Sisyphean cycle
10. Positive disintegration
11. Light

Line up:
James Fogarty : Lyrics & Vocals
VoA VoXyD : Instruments & Composition

Vanja Obscure : Vocals on #3, #6 and #10

SOLLERTIA – Facebook

The Big Blue House – Do It

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.

Quali note se non quelle del blues si rivelano più adatte a descrivere in musica l’amore, essendo per sua natura viscerale, sanguigno e, spesso, perdente (perché nell’amore c’è quasi sempre un vincitore ed un vinto).

Si torna a parlare di blues sulle pagine di MetalEyes con il primo album dei The Big Blue House, quartetto toscano che si presenta al pubblico con un lavoro fresco ed energico, frizzante e disperato come sa essere l’amore e la musica con cui viene descritto.
I tasti d’avorio passano dai suoni classici dell’ hammond di scuola rock, a quelli jazzati del pianoforte, con Sandro Scarselli che si dimostra musicista dotato di feeling, così come Danilo Staglianò, con una chitarra che sanguina passione ed una voce che racconta di amori, illusione e ricerca della felicità.
Luca Bernetti (basso) e Andrea Berti (batteria) accompagnano semplicemente, ma con classe, la musica che i due compagni estraggono dai loro strumenti lungo otto brani piacevoli, nei quali si alternano l’energia rock della sei corde e lascive armonie tastieristiche.
Un blues che trova la sua natura malinconica nelle note della splendida Now I Can Call Your Name, il suo spirito rock’n’roll nella coppia iniziale formata dalla title track e da Blue Sky, che raggiunge la perfetta armonia ed attitudine nella clamorosa He’s A Fucking Bluesman e strappando, infine, applausi nella disperata e sentita interpretazione che la band offre nella conclusiva This Is How Feel.
Un album godibilissimo per gli amanti del rock blues di scuola classica e in cui spicca una forte personalità che costituisce, ovviamente, un fondamentale valore aggiunto.

TRACKLIST
1.Do It
2.Blue Sky
3.Now I Can Call Your Name
4.He’s A Fucking Bluesman
5.Sweet Thing Bad Thing
6.I Knew A Story About
7.Everything’s Rollin’
8.This Is How I Feel

LINE-UP
Danilo Staglianò – Guitar/Voice
Luca Bernetti – Bass
Sandro Scarselli – Keyboards/ Hammond
Andrea Berti – Drum

THE BIG BLUE HOUSE – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=CF4t94TZhRs

D8 Dimension

I D8 Dimension annunciano la pubblicazione di “Astrokiller”, primo videoclip estratto dall’album ProGr 0.

I D8 Dimension annunciano la pubblicazione di “Astrokiller”, primo videoclip estratto dall’album ProGr 0, secondo lavoro per la band Alternative/Industrial Metal livornese.

Il video, diretto dal chitarrista Tyo Crayon, è disponibile al seguente indirizzo:

ProGr 0 è disponibile a partire da Marzo 2017 in CD formato fisico e come streaming gratuito sulla pagina Bandcamp dei D8 Dimension www.d8dimension.bandcamp.com

Contatti D8 Dimension
Pagina ufficiale: www.facebook.com/D8DimensionOfficial
Email: d8dimension@hotmail.com

Adamantine – Heroes & Villains

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Tornano con il loro secondo full length i portoghesi Adamantine, presentati come una thrash metal band, ma in realtà gruppo che guarda alla scena death melodica scandinava.

Nato in quel di Lisbona una decina d’anni fa, il quartetto torna così a produrre death/thrash melodico (lo chiamerò così per non fare torto a nessuno) dopo il primo album uscito cinque anni fa (Chaos Genesis).
Heroes & Villains è un album intenso e molto ben curato, con devastanti brani come la title track e Fire That Cleanses, in arrivo, esplosive e melodiche, dopo l’intro semi orchestrale che ci invita all’ascolto di questo lavoro senza tregua e dalla perfetta alchimia tra il death estremo e quello melodico, dove il thrash finisce per fare da struttura portante di alcune canzoni a livello ritmico; da citare anche Scream, che ricorda ragazzacci cattivi su nel nord Europa, liberi di far danni con la sua furia davvero notevole e senza soluzione di continuità.
Personalmente, tra i solchi di notevoli bombe sonore come Remember Who You Are, Elegies Of War e Blood On My Hands ho riscontrato una quasi totale venerazione per Soilwork ed At The Gates, mentre di gruppi puramente thrash neanche l’ombra.
Se sia un bene o un male sta a voi decidere, Heroes & Villains rimane comunque un ottimo album estremo che non manca di melodie e di quel tocco classico nei solos, segreto di Pulcinella dei migliori gruppi del genere.

TRACKLIST
1.Lux in Tenebris
2.Heroes & Villains
3.Fire That Cleanses
4.Reborn in Darkness
5.Remember Who You Are
6.Spellbound
7.Elegies of War
8.Grudge
9.Hydra
10.Blood on My Hands
11.Everything Ends

LINE-UP
André Bettencourt – Vocals, Guitar
Luís Abreu – Guitar
Frederico Campos – Drums
André Pisco – Bass

ADAMANTINE – Facebook

Opalized – Rising From The Ash

Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano.

Gli Opalized sono di Bordeaux e propongono un metalcore molto potente e vicino al thrash, con un forte background hardcore.

Gli Opalized si distinguono nel grande mare del metalcore per una notevole potenza di suono, anche grazie ad una puntuale produzione. Questi ragazzi di Bordeaux hanno una marcia in più e lo si può sentire benissimo nel disco, perché la potenza ed il controllo che hanno molti gruppi se lo sognano. Oggigiorno per fare un metalcore che possa risultare notevole bisogna essere ancora più bravi di anni fa, sia perché quando un genere comincia a mostrare segni di usura bisogna ricercare altre vie, sia perché non è per nulla facile distinguersi. Gli Opalized invece riescono molto bene a farsi sentire, con il loro timbro veloce e potente, e le loro parti melodiche mai ovvie e scontate, inserite sempre molto bene e con proprietà. Diventa davvero piacevole ascoltate dischi come questo di metal moderno, che lasciano anche grande speranza per il futuro del fare musica pesante in maniere intelligente: dalla Francia arrivano molti di questi esempi e gli Opalized sono fra i migliori.

TRACKLIST
01. The Fall
02. Gives It Back
03. End of Humain Reign
04. Unity
05. Black Flag
06. Near Death Experience
07. Rising from the Ashes

LINE-UP
Boris Kasnov – Vocals
Joachim Touron – Guitar, Clean Vocals
Seeklone – Guitar, Studio Drums
Rémy Pasques – Bass

OPALIZED – Facebook

The Match – Just Burn

Just Burn non è un affatto brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

I The Match sono un duo composto da Francesco Gallo e Ivan Mercurio, rispettivamente basso/voce e batteria, attivi da quattro anni ed ora all’esordio con l’album Just Burm.

Un sound strutturato solo su strumenti ritmici non può che risultare un concentrato di cambi di tempo, sfuriate alternative che fanno capo al funky, ancor prima del rock, e questo rende senz’altro originale la proposta del gruppo.
Chiaramente il rock alternativo proposto non può che fare riferimento ai gruppi che, nel proprio DNA, hanno ben consolidati generi che con il rock hanno poco a che fare, ma è pur vero che in generale i nove brani presenti in Just Burn funzionano, almeno ad un primo ascolto, quando il fattore sorpresa fa il suo sporco lavoro.
Con il passare del tempo scema la sorpresa ed anche l’attenzione, perché le tracce tendono ad assomigliarsi un po’ troppo, coinvolgendo l’ascoltatore solo a sprazzi.
La cover di Firestarter dei Prodigy, Danger e Earthz (il brano più metal del lotto) sono i brani più coinvolgenti di un lavoro consigliato agli amanti dei Primus e dei Red Hot Chili Peppers, nascosti da un attitudine punk rock e dal lavoro del basso, tecnicamente notevole così come quello delle bacchette sulle pelli.
Just Burn non è affatto un brutto lavoro, ma gli manca a mio parere quell’idea di forma canzone che diventa fondamentale anche quando si opta per lo stile musicale irrequieto ed originale offerto dai The Match.

TRACKLIST
1. Beast
2. Firestarter
3. Aflame
4. K-22
5. Danger
6. Shinobu
7. Earthz
8. San Francisco
9. Neh

LINE-UP
Francesco “The GrooVster” Gallo – Bass, Vocals
Ivan “Pattùman” Mercurio – Drums, backing vocals

THE MATCH – Facebook

WIND ROSE

La folk/power metal band WIND ROSE ha appena rilasciato un video per il brano “To Erebor”, il secondo singolo tratto dal loro nuovo album “Stonehymn”, che verrà pubblicato il 26 maggio in Europa a Nord America tramite Inner Wound Recordings.

Dopo essere stati in tou con band quali Wintersun, Eluveitie e Ensiferum, and con due album di successo all’attivo, i WIND ROSE sono pronti a spingersi ad un livello ancora superiore con l’uscita del loro terzo album “Stonehymn”, contraddistinto dal power metal epico, potente e dall’ispirazione folk che ne costiutuisce il marchio di fabbrica.

“Stonehymn” è stato mixato e masterizzato da Simone Mularoni [DGM, Ancient Bards, Secret Sphere] mentre l’artwork è stato realizzato da Jan Yrlund [Apocalyptica, Korpiklaani, Tyr].

“Stonehymn” track listing

01. Distant Battlefields
02. Dance of Fire
03. Under the Stone
04. To Erebor
05. The Returning Race
06. The Animist
07. The Wolves’ Call
08. Fallen Timbers
09. The Eyes of the Mountain

WIND ROSE sono confermati al Masters of Rock 2017, che si terrà a Vizovice [CZ] dal 13 al 16 luglio, assieme a Sabaton, Running Wild, Kreator, Edguy, Epica ed altri.

Wind Rose online
Website: http://www.windroseofficial.com
Facebook: http://www.facebook.com/windroseofficial

Inner Wound Recordings online
Website: http://www.innerwound.com
Facebook: http://www.facebook.com/innerwoundrecordings

Atreides – Neopangea

Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo.

Nati dalle ceneri dei metallers Skydancer intorno al 2014, i power metallers Atreides licenziano il loro primo full length per la Suspiria Records, questo buon pezzo di granito heavy/power dal titolo Neopangea.

Il quartetto spagnolo presenta dunque un roccioso album di metallo classico cantato in lingua madre, seguendo le band storiche del metal iberico, ma a differenza dei loro colleghi, l’impostazione melodica e progressiva tipica della scena spagnola, viene scaraventata in un angolo dalla furia power: gli Atreides suonano pesante, sicuramente melodici ma dalle ritimiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash metal e con un’atmosfera oscura più vicina al metal classico statunitense.
Neopangea è un buon lavoro, grintoso e dal sound che sottolinea la buona tecnica dei suoi protagonisti, con qualche salto nell’epica eleganza del power scandinavo; non manca certo quel tocco orchestrale tipico dei gruppi del genere, ma dell’album piace la belligeranza di brani come Penitiencia o il riff estremo di Plaga Capital, che giunge a rompere l’atmosfera romantica creata dall’ottima Balada n°6.
E così, tra ritmi forsennati, epica oscurità ed incendiari passaggi metallici, il cantante Iván López e compagni, influenzati da gruppi come Kamelot, Iced Earth ed i compatrioti Avalanch, si distinguono per forza e potenza amalgamate ad una certa eleganza, liberando la bestia sotto forma di un convincente album heavy/power metal.
E’ da seguire la scena spagnola, foriera di ottime realtà per quanto riguarda il metal classico, dall’heavy al power e della quale gli Atreides sono uno degli esempi recenti di maggior spicco.

TRACKLIST
1.Caminante
2.Penitencia
3.Laberintos
4.La niebla
5.Frágiles
6.Balada Nº6
7.Plaga capital
8.¿A dónde ir?
9.Solaris
10.Nueva pangea

LINE-UP
Antonio Orihuela – Bass
Dany Soengas – Guitars,Backing Vocals, Keys
Adrián Moa – Drums
Iván López – Vocals

ATREIDES – Facebook

Obscura Amentia – The Art Of The Human Decadence

Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

A cinque anni da Ritual ritornano gli Obscura Amentia, duo italiano che all’epoca avevamo lasciato alle prese con una buona interpretazione di un black metal di matrice svedese.

In questo lasso di tempo le cose sono decisamente cambiate, e sicuramente in meglio, anche per quanto riguarda la maggiore peculiarità del sound proposto: oggi, infatti, gli Obscura Amentia sono una solida realtà dedita ad un doom ovviamente intriso di una massiccia componente black.
Gli stessi aspetti che non mi avevano convinto al 100% nel precedente lavoro hanno visto senz’altro un importante progresso: l’abrasivo screaming di Hel appare del tutto appropriato allo stile proposto e anche la produzione favorisce un maggiore equilibrio tra voce e strumenti.
Il lavoro di Black Charm con chitarra, basso e tastiere è lo specchio di un notevole sforzo compositivo, atto a rendere evocativo e malinconico il sound senza fargli perdere le sue ruvide connotazioni estreme. Volendo fare per forza un paragone, utile ad inquadrare meglio i contenuti di The Art Of The Human Decadence, si può azzardare a livello di umori una certa vicinanza all’ormai datato ultimo album dei Valkiria, anche per un lavoro chitarristico similmente volto alla ricerca di melodie di grande impatto ma con il tutto, come detto, maggiormente inserito all’interno di ritmiche dal passo più spedito.
Di quest’album non si può non apprezzare l’intensità che traspare da ogni singola nota e difficilmente chi predilige i due generi che ne costituiscono l’impalcatura potrà restare indifferente.
The Art Of The Human Decadence non è certo opera per puristi, capaci di godere solo della perfezione formale senza neppure provare a grattare una superficie la cui rugosità preserva, ad un ascolto distratto, una profondità non comune. Oltretutto il lavoro si snoda in costante crescendo, trovando i momenti più alti nella sua seconda metà a fronte di una prima che gli è comunque di poco inferiore: infatti, se Ocean, Entropy, la title track e Agony sono brani che già da soli riescono a comunicare quale sia il valore dell’album, dopo l’intermezzo strumentale Broken si susseguono tracce dal magnifico impatto melodico e drammatico allo stesso tempo, inaugurate da una eccellente Apathy, che lascia poi spazio allo struggente incedere della magnifica Sentenced e all’impatto apocalittico di King, episodio che, prima dello strumentale di chiusura Ananke, ben rappresenta gli umori di un lavoro che verte liricamente sulla decadenza inarrestabile di un’umanità impegnata in un’ottusa quanto inarrestabile corsa verso l’autodistruzione.
Gli Obscura Amentia riescono con la loro musica a trasmettere compiutamente un senso di inquietudine che prende forma man mano che si procede con gli ascolti, e questo più di altri è un indicatore affidabile della profondità compositiva che pervade The Art Of The Human Decadence.

Tracklist:
01. Ocean
02. Entropy
03. The Art Of The Human Decadence
04. Agony
05. Broken
06. Apathy
07. Sentenced
08. King
09. Ananke

Line up:
Hel – Vocals
Black Charm – All and drum programming

OBSCURA AMENTIA – Facebook

Olneya – Olneya ep

Un rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato.

Chiudete gli occhi ed immaginate la nostra costa adriatica completamente spoglia delle catene di alberghi, parchi di divertimento e cittadine affollate dal turismo estivo, quello del divertimento a tutti i costi, delle facili conquiste e delle balere che hanno fatto illudere di vivere una vita diversa ad una moltitudine di generazioni.

Una distesa sabbiosa che dalle coste venete scende fino alla Puglia, sabbia e mare, un deserto caldissimo dove l’ombra è un tesoro ed il sale ha già riempito la nostra bocca, dopo pochi chilometri in riserva di ossigeno e acqua dolce.
Un trip, un incubo che vi si ripresenterà ogni qualvolta vi metterete in ascolto di questo rituale completamente strumentale, psichedelico e stonerizzato, l’ep omonimo degli Olneya, trio nostrano composto da Maurizio Morea alla Chitarra, PJ alle pelli e Enry Cava al basso.
I piedi bruciano sopra la sabbia arsa dal sole desertico, mentre Mantra e Zerouno ci accompagnano nei primi passi di questo che sarà un viaggio relativamente corto, ma totalmente destabilizzante.
Il basso pulsa e ci dà il ritmo da tenere per non perdere terreno, mentre la sei corde ci tortura, a tratti psichedelica e settantiana, in altri momenti più vicina alle sonorità americane del caldissimo decennio che accompagnò la fine del millennio, tra l’assolato stoner rock della Sky Valley ed il piovoso grunge di Seattle.
Siamo già a Zerotre, liquida, avvolgente e pericolosa come le spire di un serpente mostruoso creato dalla nostra mente in balia del caldo opprimente e degli effetti collaterali causati dall’abuso di questo ep e altro, mentre la musica sfuma, l’incubo sparisce e la spiaggia torna ad animarsi di uomini, donne e bambini, incuranti di noi e del nostro delirio.

TRACKLIST
1.Mantra
2.Zerouno
3.Zerodue
4.Road to Aokigahara
5.Zerotre

LINE-UP
Maurizio Morea – Guitars
Pj – Drums
Enry Cava – Bass

OLNEYA – Facebook

Hexer – Cosmic Doom Ritual

Titolo immaginifico per un’opera estremamente atmosferica che proietta verso l’ignoto.

La fertile scena tedesca genera un’ altra piccola gemma di arte nera: gli Hexer, band di Dortmund di recente nascita (2014), dopo un EP (Holodeck Sessions) del 2015, esplode letteralmente con il full Cosmic Doom Ritual, dal suggestivo e grandioso titolo in cui esplora la propria idea della materia doom ammantandola di visioni psichedeliche, stoner e creando un’atmosfera insana, surreale, proiettata in uno vuoto cosmico sempre affascinante da esplorare.

Il loro suono cresce lentamente, senza fretta, increspato da note di cupo synth, creando un mood ritualistico con melodie sempre evocative come nel primo brano, Merkaba, dove millenarie tempeste di sabbia si abbattono su rovine perdute di mondi antichi immersi in deserti roventi: gli Hexer possono ricordare gli Esoteric per il loro incedere ipnotico anche se non raggiungono la loro pesantezza
Il secondo brano Pearl Snake profuma di intensa essenza orientale iniziando come un “raga” indiano, per poi incendiarsi in note stoner e doom che planano su templi abbandonati dove antichi culti sono stati celebrati: un brano veramente particolare denotante una visione personale della materia; l’ ultima traccia Black Lava Flow, dopo un inizio funeral, prosegue con note heavy doom ipnotiche e incessanti, per poi planare ancora su suggestioni orientali e, infine, come nuovi Hawkwind proiettarsi verso il cosmo. Decisamente una bella scoperta, con un buon guitar sound sempre ispirato, le melodie create dal synth e le influenze orientali a dare un tocco personale ed originale. Da seguire con attenzione.

TRACKLIST
1.Merkaba
2.Pearl Snake
3.Black Lava Flow

LINE-UP
L Synth, Samples
D Bass, Vocals
J Drums
M Guitars, Vocals

HEXER – Facebook

Foetal Juice – Masters of Absurdity

Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

In colpevole ritardo sulla data di uscita (Dicembre 2016) vi presentiamo il primo full length della death metal band inglese Foetal Juice.

Colpevole, perché il loro primo lavoro sulla lunga distanza, dopo svariati ep e split, è un bombardamento sonoro notevole, un album davvero massiccio ed a tratti stupefacente nel saper dosare la violenza in un contesto al limite del brutal.
Death, grind e brutal si incontrano e con l’hardcore, che fa da quarto cavaliere dell’apocalisse, costituiscono il sound del gruppo di Manchester, una macchina da guerra naturalmente predisposta a portare distruzione e morte.
Poco più di mezzora ma da catastrofe, quella che i Foetal Juice ci offrono, mentre fantasmi di un neanche troppo lontano passato affiorano in tutta la loro belligeranza estrema tra i solchi di brani creati per fare male, senza soluzione di continuità.
Ed infatti Dutch Oven, devastante opener dell’album seguita da Phantom Visions e dalle altre tracce, non possono che far affiorare l’amore del quartetto per Napalm Death, Lock Up e Death, padrini di questo modo di intendere il metal estremo.
Tornare indietro di qualche mese e scoprire questo gioiellino estremo è un dovere che, per tutti gli amanti del genere, si trasformerà in sadica goduria alle prime note di Masters of Absurdity.

TRACKLIST
1.Dutch Oven
2.Phantom Vision
3.Noneckahedron
4.The Leachate King
5.Brutal Tooth
6.Gin’ll Fix It
7.Grave Denied
8.Booze Locust
9.Nun So Vile
10.More Hate, More Hell

LINE-UP
Ben – Bass, Vocals
Rob – Drums
Ry – Guitars
Sam – Vocals

FOETAL JUICE – Facebook

Memoriam – For The Fallen

Il ricordo per l’amico caduto permea tutto il disco, ed in alcuni momenti diventa davvero struggente e ci fa tornare a quello che dovrebbe essere lo spirito del metal, potenza, cattiveria, valori ed amicizia e Karl Willetts incarna benissimo tutto ciò. La guerra continua.

Quando un compagno cade lo si piange, ma la guerra purtroppo non finisce mai, può terminare per noi quando chiudiamo gli occhi, ma per gli altri non finisce.

Arriva così, dopo una manciata di ep e singoli la nuova avventura di Karl Willetts e soci, reduce dalla grandiosità e dalla bellezza guerriera dei Bolt Thrower, la cui importanza non potrà mai essere sminuita. Essendo una persona con dei valori, e con lui i membri dei Bolt Thrower, dopo la morte a soli 38 anni del compagno Martin Kearns, ha deciso nel 2016 di mettere fine all’avventura e di cominciarne un’altra, ed ecco qui i Memoriam. Le canzoni sono state scritte in un breve lasso di tempo, e nel disco si può svariare su tutta l’asse della carriera musicale e delle influenze di Willetts. I Memoriam sono principalmente un gruppo death metal, ma Willetts non ha mai abbandonato le proprie radici musicali, quelle che una notte del 1986 in un pub di Coventry diedero ad uno dei più grandi gruppi metal della storia. Hardcore quindi, ma anche e soprattutto quel sentire molto vicino a gruppi come Discharge e quell’ondata inglese di aggressione musical politica che ha poi influenzato molti gruppi. I Memoriam spaziano in tutto questo, riuscendo a fare un disco granitico e potente, ben disgiunto dai Bolt Thrower, anche se ovviamente qualche riff e situazione li possono ampiamente ricordare. For The Fallen è un ottimo esempio di death metal inglese, che è un qualcosa di ben diverso dalle altre interpretazioni del genere. Molte cose possono essere sistemate o migliorate, ma essendo un disco di pancia è molto bello così. Il ricordo per l’amico caduto permea tutto il disco, ed in alcuni momenti diventa davvero struggente e ci fa tornare a quello che dovrebbe essere lo spirito del metal, potenza, cattiveria, valori ed amicizia e Karl Willetts incarna benissimo tutto ciò. La guerra continua.

TRACKLIST
1. Memoriam
2.War Rages On
3. Reduced to Zero
4. Corrupted System
5. Flatline
6. Surrounded By Death
7. Resistance
8. Last Words

LINE-UP
Karl Willets – Vocals
Frank Healy – Bass
Scott Fairfax – Guitar
Andy Whale -Drums

MEMORIAM – Facebook

Antonio Giorgio – Golden Metal-The Quest For The Inner Glory

Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito.

Le proposte della Andromeda Relix sono all’insegna della qualità e della varietà di stili, che vanno dal rock blues, all’hard rock, dal progressive all’heavy metal classico, e non è una novità in un panorama odierno in cui le case discografiche sono sempre meno specializzate e più aperte alle varie sfumature che compongono il variegato universo del rock.

In questo contesto si piazza una delle ultime uscite della label italiana, ovvero l’album d’esordio del compositore e musicista Antonio Giorgio, con un lavoro incentrato su sonorità metal classiche: Golden Metal – The Quest For The Inner Glory è infatti un concept epic/fantasy nel quale si alternano heavy metal, power, progressive andando a formare il golden metal, appellativo forgiato dallo stesso musicista.
Il mastodontico lavoro vede Antonio Giorgio aiutato da vari musicisti della scena nostrana facenti parte di ottime realtà come Fogalord, Astral Domine e Blue Rose.
Golden Metal introduce l’ascoltatore nel mondo epico e cavalleresco di Giorgio del quale, fin dalle prime note, si evince un amore profondo per i Virgin Steele, gruppo che musicalmente fa da padrino alle sontuose note create dal nostro, mentre le sei corde lampeggiano nel cielo come lampi metallici, lanciate in solos epici (The Voice Of The Prophet) e le tastiere ricamano arabeschi, ora barocchi, ora elegantemente sinfonici.
Le ritmiche passano da veloci cavalcate heavy/power (Luminous Demons) a potenti mid tempo sabbathiani era Dio/Tony Martin (The Reaper) mentre i tasti d’avorio sono protagoniste nella bellissima Forever We Are One, brano alle entusiasmanti reminiscenze della band di DeFeis.
Il golden metal continua a regalare ottima musica metallica, a tratti raffinata, epica e non priva di quei cliché, magari abusati, ma che non mancano di inorgoglire i defenders più accaniti, in brodo di giuggiole all’ascolto di Et In Arcadia Ego Suite, brano epico sinfonico molto suggestivo.
Non solo Virgin Steele, tra le note di Golden Metal-The Quest For The Inner Glory troverete accenni ad una buona fetta dei gruppi che hanno fatto la storia del genere, non solo icone degli anni ottanta (Black Sabbath) ma realtà classiche consolidate negli ultimi decenni come Kamelot e Royal Hunt.
L’album è accompagnato da un sontuoso digipack, mentre la versione digitale contiene un bonus cd con una dozzina di cover (Black Sabbath, Queensryche, Dream Theater, Kamelot, Virgin Steele tra gli altri) e un paio di brani inediti scritti da Antonio Giorgio.
Un’opera mastodontica che merita l’attenzione degli amanti del metal classico e sinfonico, un lavoro tutto italiano che conferma l’ ottima forma della scena nazionale in questo ambito, da avere!

TRACKLIST
1.Golden Metal
2.Lost & Lonely (Desperate Days)
3.The Vision
4.The Calling
5.The Voice Of The Prophet
6.The Eternal Rebellion
7.Luminous Demons
8.Keeper Of Truth
9.The Reaper
10.Forever We Are One
11.Et In Arcadia Ego Suite: Part I -The Quickening (Golden Ages) Part II – Human Gods Part III – The Emerald Table (As Above So Below)
12.Alone Again

LINE-UP
Antonio Giorgio
Dany All
Giuseppe Lombardo
Nicolò Bernini
Stefano Paolini
Luca Gagnoni
Riccardo Scaramelli
Mattia Bulgarelli
Enrico Di Marco

ANTONIO GIORGIO – Facebook

Exhume To Consume

Gianluca Lucarini (Rome In Monochrome, Degenerhate) ci presenta la sua nuova temibile creatura chiamata Exhume To Consume.

ME Ciao Gianluca. Degenerhate, Rome In Monochrome ed ora Exhume To Consume, non ti fermi mai …

GL Ciao Alberto, ben trovato! No, non mi fermo mai, ho sempre bisogno di esplorare nuovi orizzonti musicali. E poi, come dicono nei paesi anglosassoni: rest is rust!

ME Una nuova avventura, un nuovo sound e altri ottimi musicisti da presentare ai lettori di MetalEyes.

GL I miei compagni d’avventura sono musicisti che conoscete molto bene: Alessio Reggi alla chitarra (suona con me anche nei Rome In Monochrome), Marco Paparella al basso (suona con me nei Rome In Monochrome e nei Degenerhate), Flavio Castagnoli alla batteria (batterista anche nei Rome In Monochrome) e Sergiu Mircescu alla voce. Il feeling che ho con questi eccezionali musicisti, che sono anche ottimi amici, è straordinario! Quando ho deciso di creare gli Exhume To Consume, sono state le prime persone alle quali ho pensato.

ME Il sound di questa nuova e temibile creature estrema è orientato su un brutal death metal impreziosito da un gran lavoro melodico delle sei corde: è tutta farina del tuo sacco o c’è qualcuno in particolare con cui hai lavorato in fase di scrittura dei brani?

GL I quattro brani che compongo il nostro mini cd d’esordio, Let The Slaughter Begin, sono stati scritti da me. Successivamente, in fase d’arrangiamento, Alessio ha creato quelle linee melodiche, alle quali accennavi tu.

ME Quali sono le band che vi hanno maggiormente influenzato, oltre ovviamente ai Carcass, (Exhume To Consume è il titolo di un brano presente su Symphonies of Sickness, secondo lavoro dello storico gruppo estremo inglese) ai quali  vi siete ispirati per il nome del gruppo?

GL Come tutti oramai sapranno, i Carcass sono la mia band preferita di sempre. Anche se musicalmente, lo stile degli Exhume To Consume è stato ispirato da band statunitensi come Internal Bleeding, Devourment, Pyrexia, Broken Hope. Il nostro è un mix tra brutal death metal old school e quello che odiernamente viene chiamato slam, con qualche passaggio melodico a stemperare il tutto.

ME Lo splatter/gore offre al metal estremo, così come nel cinema, una miriade di sfumature ed ispirazioni, eppure continua ad essere considerato un genere di serie b (per molti solo spazzatura): tu come ti sei avvicinato a questo mondo?

GL Io sono appassionato di splatter/gore da sempre, e cinefilo amante del genere fin da tenera età. Sono sempre stato terribilmente attratto da qualsiasi forma artistica (musica, cinema, libri, fumetti, dipinti) che abbia una connotazione orrorifica. Colleziono dvd splatter/gore di serie b da moltissimi anni. Ho formato gli Exhume To Consume proprio come tributo a questa mia passione.

ME Degenerhate, Rome in Monochrome ed Exhume To Consume sono tre realtà musicali profondamente diverse: in quale, tra queste, come musicista ti ritrovi di piu?

GL Avendo formato io tutte e tre le band, mi ritrovo in ognuna di essa. Sono tre proiezioni del mio essere musicista, in tre diverse maniere, ma sono sempre io.

ME Porterete Let The Slaughter Begin dal vivo?

GL Ci stiamo pensando seriamente, perché parecchie persone ce lo stanno chiedendo. Ora valuteremo la cosa, comunque per essere sempre informati sulle attività della band, vi consiglio di seguire la nostra pagina Facebook: www.facebook.com/exhumetoconsumeofficial

ME Ci puoi anticipare le prossime mosse sul versante Degenerhate e Rome In Monochrome?

GL Con i Rome In Monochrome, abbiamo appena terminato le registrazioni del nuovo album, che si chiama “Away from light”. Inoltre, seguiteci in giro per l’Italia, perché faremo diverse date nello stivale. Con i Degenerhate, ho appena iniziato a scrivere il nuovo full lenght album, che uscirà nel 2018. Stay tuned!

Bloodgod – Catharsis

Una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è Dutch death metal di origine controllata.

La scena olandese dei primi anni novanta può sicuramente essere considerata come una delle più floride e qualitativamente importanti del death metal di quegli anni: non a caso, con il ritorno in auge dei suoni old school, le label hanno cominciato a rilasciare vecchie uscite dei gruppi più famosi o album di altri rimasti ai margini, persi nell’universo dell’ underground estremo.

I Bloodgod sono invece un gruppo nuovo di zecca o quasi: attivo da una manciata d’anni, arriva al secondo lavoro in formato ep intitolato Catharsis, che segue di quattro anni il debutto Pseudologia Phantastica.
Il trio proveniente dalla provincia di Utrecht si definisce dutch death metal band e non solo riguardo al paese che ha dato i natali a Johnny Derechos (batteria), Frank Van Boven (voce e basso) e Daan Douma (voce e Chitarra), ma per il sound che si ispira alla storica scena orange degli anni novanta.
Catharsis si compone di cinque brani oltremodo devastanti, con l’uso sistematico della doppia voce (scream/growl), chiaramente in ambito old school.
Quindi dimenticatevi anche una sola nota che vada più in là della metà del decennio che ha accompagnato il genere nel nuovo secolo: il death metal dei Bloodgod è pesante, soffocante, pregno di malati mid tempo ed una vena ispirata, tra gli altri, dai primissimi Gorefest, uno dei gruppi più importanti nati nei Paesi Bassi.
Un buon lavoro ed un gruppo che risulta senz’altro convincente nel saper trattare la materia, più delicata di quello che si possa pensare, una botta estrema che non si placa che per pochi secondi di trame acustiche che fanno da preludio all’ottima Hammerite, il resto è dutch death metal di origine controllata.

TRACKLIST
1.Valar Morghulis
2.Catharsis
3.Hammerite
4.’t Schrickelik Tempeest
5.Satan’s Smile

LINE-UP
Johnny Derechos – Drums, Spoken words
Frank van Boven – Vocals, Bass
Daan Douma – Vocals, Guitars

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Padre Gutiérrez – Addio Alle Carni

Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità

Mattia Tarabini è un musicista emiliano che gravita all’interno della scena rock da molti anni e, dopo aver militato in diverse band, circa un decennio fa ha deciso di dar vita ad un progetto solista dai tratti cantautorali denominato, in maniera bizzarra, Padre Gutiérrez.

Anche se il tipo di musica proposto in Addio Alle Carni, titolo dell’album pubblicato quest’anno, non è propriamente uno dei più trattati dalla nostra webzine, mi ha solleticato non poco l’idea di parlare di questo lavoro, specie dopo averne sentito le prime note ed averne potuto constatare la qualità musicale e l’arguta originalità dei testi.
Intanto, non possedendo troppi parametri contemporanei, dedicandomi giornalmente al metal e per di più con propensioni estreme, sono stato costretto a riavvolgere il nastro e tornare indietro di un bel pezzo, a quando, da imberbe studente alle magistrali, sentivo impazzare nelle radio un album come Burattino Senza Fili di Edoardo Bennato: ovviamente una simile accostamento è da prendere con tutte le riserve del caso, però con il grande musicista partenopeo Mattia ha in comune diversi aspetti, come l’amore per il blues, che traspare in più di un brano, ed un’impostazione vocale spesso sardonica che ben si sposa con testi, come detto, tutt’altro che banali e ricchi di brillanti citazioni e metafore.
E, inevitabilmente, sono proprio i brani più movimentati o blueseggianti quelli capaci di colpirmi di più, come Il Buco Da Riempire, L’Ultimo Maiale Sulla Terra e Vanessa, ma in fondo la bravura del nostro “Padre” sta proprio nell’essere credibile e profondo anche quando, in Corpo Di Martire, si spinge verso lidi più canonicamente indie rock, oppure lambisce il jazz in Nudo Di Venere, per finire con l’intimismo di Della Mia Carne. Come si può intuire fin dal titolo, il tema della carne è ricorrente in tutti i brani, e viene trattato nelle sue diverse forme e significati, partendo dall’accezione propriamente sessuale a quella alimentare, per approdare ad un’eloquente La Carne è Finita, con la quale Mattia ci regala uno dei passaggi più illuminanti del lavoro, quando canta “Prendila con filosofia oppure prenditela con la filosofia se, finita la carne, anche lo spirito va via”, offrendo una sua personale e condivisibile visione su quanto (non) succede dopo che la “nostra” carne perde ogni suo soffio vitale.
Addio Alle Carni è un lavoro maturo, completo, ottimamente suonato e prodotto, e la speranza è che possa trovare il meritato apprezzamento anche da parti di chi non si nutre frequentemente di queste sonorità, perché quando la musica è suonata con simile passione e competenza, non ci sono barriere di genere che tengano.

Tracklist:
1.Il Rock
2.Il Buco da Riempire
3.L’Insaziabile
4.Corpo di Martire
5.La Donna dal Velluto Nero
6.Nudo di Venere
7.L’ultimo maiale sulla terra
8.Vanessa
9.Della mia carne
10.La Carne è Finita

Line up:
Mattia Tarabini

https://www.facebook.com/padregutierrez/

Del Norte – Teenage Mutant Ninja Failures

Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana

Gli anni novanta non sono stati solo il decennio del grunge, infatti il rock americano in quel decennio ha avuto esponenti di un’ importanza epocale per lo sviluppo di un certo tipo di sonorità, uscite dai primi posti delle classifiche ma assolutamente in grado di influenzare generazioni di rockers in ogni parte del mondo.

Parliamo per esempio di Sonic Youth e Dinosaur Jr, con i primi all’assalto con il loro punk/noise e J Mascis a farci partecipi di un rock di provincia, malinconicamente alternativo, ma meno irruento; se a queste due band aggiungiamo il sound dei primi Smashing Pumpkins (Siamese Dream), siamo molto vicini al rock dei nostrani Del Norte, trio di Pesaro che, all’esordio con Teenage Mutant Ninja Failures, convince con sei brani potenti, irriverenti e aggressivi.
Badano al sodo i Del Norte, infatti l’attacco dell’opener Chun-Li è di quelli che lascia il segno, dritto per dritto il gruppo spara una serie di colpi che non si esauriscono alla prima traccia, e con Faceless arriva la prima bomba dalle reminiscenze Sonic Youth.
Leggermente più ariosa ed armonica On The Basement, mentre Billy Corgan jamma con i Sonic Youth in Pa Pa Pa! e la conclusiva Space Coyote si veste di rock ‘n’ roll energizzato da una vena punk rock.
Gianfranco Gabbani (voce, chitarra), Luca Follega (basso) e Gianluca Fucci (batteria) formano un gruppo molto interessante e Teenage Mutant Ninja Failures si rivela un album fresco e graffiante, consigliato ai rockers dagli ascolti alternativi di matrice novantiana.

TRACKLIST
1.Chun-Li
2.Faceless
3.Old Boy
4.On The Basement
5.Pa Pa Pa!
6.Space Coyote

LINE-UP
Gianfranco Gabbani – Chitarra, Voce
Luca Follega – Basso
Gianluca Fucci – Batteria

DEL NORTE – Facebook