Gravdal – Kadaverin

Kadaverin è un album che, senza stravolgere i canoni consolidati, si concede diverse divagazioni che donano a ciascun brano motivi di interesse, con il valore aggiunto d’essere eseguito e prodotto in maniera impeccabile.

Con i Gravdal siamo al cospetto di un’interpretazione del black metal leggermente fuori dai canoni, soprattutto se pensiamo che si tratta di una band norvegese.

Infatti, se togliamo alcuni nomi storici, che spesso hanno spinto la loro vena sperimentale fino ad uscire del tutto o quasi dall’alveo del genere, non sono molte le realtà provenienti dalla nazione dove il black è nato che provano ad interpretarlo in maniera diversa, pur senza stravolgerne l’essenza.
I Gravdal esistono da oltre un decennio e nel corso degli anni hanno visto ruotare diversi elementi attorno a Phobos, batterista degli Aeternus e, dal vivo, dei Gorgoroth, che con questa sua creatura si disimpegna, invece, alla chitarra: gran parte dei partecipanti al progetto sono sempre stati legati, in un modo o nell’altro, a diverse band storiche della scena, per cui il quadro che ci troviamo davanti è quello di un consesso di musicisti di grande esperienza nonché conoscenza approfondita del genere.
Proprio questo consente ai nostri di sperimentare, ma sempre con lodevole misura, utilizzando per esempio in più di un passaggio uno strumento come il sax, oppure spingendo talvolta l’uso della voce verso tonalità pulite e stentoree; il bello però è che, anche quando il black viene proposto in maniera più ortodossa ciò avviene in maniera esemplare, con un brano travolgente come Arkaisk kamp, angrip!, il cui solo elemento di discontinuità è un assolo chitarristico di matrice classica.
In sintesi, Kadaverin è un album che, senza stravolgere i canoni consolidati, si concede diverse divagazioni che donano a ciascun brano motivi di interesse, con il valore aggiunto d’essere eseguito e prodotto in maniera impeccabile; d’altronde una band di matrice estrema che decide di chiudere un proprio album con una splendida pennellata notturna come Når noen tar farvel non può mai essere banale.

Tracklist:
1. Kadaverin
2. Apostler av døden
3. Dans med livet, dans med døden
4. Arkaisk kamp, angrip!
5. Vi som ser i mørket
6. Eklipse
7. Roten til all ondskap
8. Inni menneskedyret
9. Når noen tar farvel

Line-up:
Eld – Vocal & Bass
Phobos – Guitar
Saur – Guitar
Taakesjel – Drums

GRAVDAL – Facebook

Kroh – Altars

Altars è il secondo full length dei doomsters britannici Kroh, ottimi cultori del verbo sabbathiano portato ad un livello di misticismo occulto affascinante e ricco di sfumature oniriche.

Liturgie doom in arrivo dalle strade bagnate dall’umidità del Regno Unito, sabbatiche litanie, lenti e monolitici cammini pregni di musica del destino e metal d’annata, tradizionalmente fermo tra gli anni settanta e i primi passi nel decennio successivo.

I Kroh non sono una band al debutto, il primo album omonimo risale al 2011, poi seguito da una manciata di split e singoli, fino alla creazione di questo ultimo lavoro intitolato Altars, una lunga e sacrale litania doom metal, che una voce femminea rende ancora più sabbatica.
Un album che mette in ombra la pura tecnica e pulizia del suono, per un approccio da messa occulta, con l’atmosfera che ad ogni passaggio si fa sempre più intensa, come l’aria irrespirabile dal profumo d’incenso che la sacerdotessa Oliwia Sobieszek elargisce sull’altare dove rimangono i poveri resti umani di quello che una volta era un dio, votato al male e maledetto.
Altars rievoca antichi costumi e riti, celebrati ancora una volta intonando note doom metal con la chitarra satura di watt che crea riff mastodontici su tempi lenti e dilatati.
Mother Serpent, il mid tempo psichedelico Living Water, l’ipnotica Malady e la conclusiva, lentissima e rituale Precious Bones segnano il tempo trascorso imprigionati nell’incantesimo creato dal gruppo di Birmingham, ottimo cultori del verbo sabbathiano portato ad un livello di misticismo occulto affascinante e ricco di sfumature oniriche.

Tracklist
1.Krzyżu święty
2.Mother Serpent
3.Living Water
4.Feed the Brain
5.Malady
6.Break the Bread
7.Stone into Flesh
8.Cold
9.Precious Bones

Line-up
Oliwia Sobieszek – Vocals
Paul Kenney – Guitar
Paul Harrington – Guitar
Darren Donovan – Bass
Rychard Stanton – Drums

KROH – Facebook

Descrizione Breve

Three Eyes Left – The Cult Of Astaroth

Chitarre ribassate, basso che schiaccia per terra, mentre la batteria ci percuote i neuroni e la voce di un caprone che ci comanda: tutto ciò è pesante, bellissimo e sta in questo disco.

I Three Eyes Left sono un rumoroso ensemble bolognese attivo dal 2004, con la loro miscela di stoner, doom, fuzz e psichedelia pesante.

Dopo alcuni demo ed ep approdano su Go Down Records con due dischi che li mettono sulla cartina delle migliori band del genere. Grazie a queste due uscite suonano molto in giro con gruppi di grosso calibro, riuscendo sempre a farsi notare. Ascoltando The Cult Of Astaroth si intuisce presto il perché: il disco è un concentrato astrale di musica pesante in varie forme, da momenti doom alla Candlemass, allo stoner più marcio, passando per iniezioni di sludge in vena, il tutto fatto con grande equilibrio. Non ci si annoia mai, sia grazie a riff che vengono sparati nell’etere fino a pianeti molto lontani, e con il contributo della sezione ritmica si produce un connubio potente e ritualistico, anche perché l’intero disco parla di culti che per fortuna non si sposano molto bene con le religioni dominanti. The Cult Of Astaroth è un invito ad aprire la mente e a togliere il velo che abbiamo davanti a gli occhi, ascoltare musica pesante che ci può portare a captare la nostra vera essenza carnale. Uno dei pregi maggiori del gruppo bolognese è quello di comporre e suonare canzoni di lunga durata mai noiose, poiché dentro ad esse vi sono momenti, stili e generi diversi. Chitarre ribassate, basso che schiaccia per terra, mentre la batteria ci percuote i neuroni e la voce di un caprone che ci comanda: tutto ciò è pesante, bellissimo e sta in questo disco.

Tracklist
1. Sons of Aries
2. You Suffer… I, the Evil Dead
3. Spiritic Signals Through the Beyond
4. Chants into the Grave
5. The Satanist
6. Demon Cult
7. De Umbrarum Regni
8. Funeral of an Exorcist
9 … And Then God Will Die…

Line-up
Maic Evil – voice-guitar
Andrew Molten – bass
K. Luther Stern – drum

THREE EYES LEFT – Facebook

Novelists – Noir

Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale verrebbe da dire, nella quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli

Un album basato su quello che, oggi, viene definito prog core è sempre un’incognita ed è facile sia trovarsi al cospetto di un buon lavoro, sia di brutte copie di opere che ingarbugliano il metalcore con tecnicismi intricati e fini a se stessi.

Le nuove leve fortunatamente sembrano indicare una via che possa mettere d’accordo tutti, puntando su melodie ed atmosfere e cercando di smuovere emozioni che l’ascoltatore molte volte attende che si risveglino in lavori del genere.
I francesi Novelists riescono ad uscire da questa impasse con un sound fortemente progressivo e moderno, dove la rabbia core viene stemperata da uno stato di grazia melodico sopra la media.
Un album moderno che si ascolta come un’opera tradizionale, verrebbe da dire, nel quale il gruppo parigino mette una tecnica invidiabile al servizio di brani piacevolmente scorrevoli, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome), sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.
Non è mai troppo sincopato il sound di Noir, procede su linee che variano ad ogni traccia lasciando all’ascoltatore tantissimi input utili alla comprensione della musica del gruppo, mentre accenni nu metal compaiono a ribadire con forza la capacità dei Novelist di non ripetersi (Les Nuits Noires).
Confermate le buone impressioni suscitate con il primo album Souvenirs, la band fa un passo avanti verso una popolarità che nel genere non mancherà di arrivare: l’album con estrema facilità giunge alle ultime cartucce, sparate dopo aver colpito il segno con una pioggia di fuoco metalcore progressiva portata da brani avvincenti come A Bitter End, The Light The Fire e la conclusiva Heal The Wound.
Giovani, preparati e con un’idea di sound che trova pochi paragoni, questi sono i Novelists e noi ve li consigliamo vivamente.

Tracklist
1. L’appel du Vide
2. Monochrome
3. Under Different Welkins
4. Les Nuits Noires
5. Grey Souls
6. A Bitter End
7. Stranger Self
8. The Light, The Fire
9. Joie de Vivre
10. Lead The Light
11. À Travers le Miroir
12. Heal The Wound

Line-up
Matt Gelsomino – vocals
Florestan Durand – guitar
Charles-Henri Teule – guitar
Nicolas Delestrade – bass
Amael Durand – drums

NOVELISTS – Facebook

Descrizione Breve
, sia quando atmosfere liquide ci trasportano su notturni territori progressivi (Monochrome) sia quando il metalcore strappa le redini al suo alter ego e lancia il purosangue metallico al galoppo.

Autore
Alberto Centenari

Voto
82