GOD + Gigantomachia- Live at Traffic club

In prossimità del Natale, periodo ricco di appuntamenti, è certamente da non perdere il doppio concerto metal che il 14 dicembre 2017 vedrà il ritorno nella Capitale dei cremaschi Genus Ordinis Dei in tour per l’uscita del full-length “Great Olden Dynasty” (Eclipse Records, 24 novembre 2017), bel disco con dieci nuovissime tracce di “splendore tecnico-sinfonico” impreziosito dalla presenza di Cristina Scabbia dei Lacuna Coil nel brano “Salem”.
I Genus saranno introdotti sul palco del Traffic Live dai giovani e agguerritissimi Gigantomachia, band epic/death metal di Alatri che porta in giro i sette brani del loro album di debutto “Atlas” (prossimo alla pubblicazione per Agoge Records), ottimo lavoro di riffs melodici e potenti e di growling/screaming a sostegno di mitologiche ambientazioni.
Non mancate questa serata, titanica e travolgente.

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Concrete Jelly – Amless In Wonderland

I Concrete Jelly concludono nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché la loro è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio.

Terza ed ultima puntata della trilogia di Amless da parte dei Concrete Jelly, un gruppo triestino di rock and roll pesante e pensante.

Il musicista maledetto Amless ed il suo fido socio Chaz vivono la loro ultima avventura e sarà tutta da scoprire. I Concrete Jelly hanno dipanato una storia molto particolare su Amless, unendo narrativa, musica e dimensione onirica. Amless In Wonderland è fatto di blues, hard rock anni settanta e tanto altro. I generi suddetti sono dominati con saggezza ed estrema tranquillità, l’importanza maggiore è data alla musica che si incrocia con la storia, e ascoltando il disco si entra o in profondità in entrambe. Ciò che colpisce della musica dei Concrete Jelly è la perfetta consecutio temporum nella composizione, ovvero tutto va al suo posto, ed incastrandosi perfettamente rende tutto molto piacevole. Non parlo tanto di tecnica, che qui è comunque ben rappresentata, quanto della chiarezza con la quale si sviluppa il lavoro. Ci sono momenti maggiormente vicini alla jam, altri maggiormente strutturati, ma è tutto molto bello e di valore. Il gruppo triestino è composto da amanti e profondi conoscitori della musica ed il loro operato è il giusto risultato di tutto ciò. C’è uno spirito anni settanta che aleggia per tutto il disco, ma non è solo una nostalgia, quanto uno stimolo musicale, perché poi la proposta dei Concrete Jelly si fonda sull’originalità e su una certa dolcezza musicale, accarezzando le orecchie nonostante la musica sia rumorosa. Il gruppo conclude nella maniera migliore la trilogia su Amless, un progetto nel quale si fondono molte cose e dal quale sarebbe bello trarre un musical, perché questa  è una musica molto visiva, con un concept dal respiro molto ampio. Amless in Wonderland è la loro prova più lucente, convincente come e più delle precedenti, che già erano ottime. Il disco vedrà la luce in un prossimo futuro, non si sa ancora quando, ma se amate l’hard rock imbastardito e di qualità, qui c’è il meglio.

Tracklist
1. Rock Town
2. The Memory Hurts
3. Good Ol’ Chaz
4. The Dealer
5. The Drug
6. Black Curtains
7. Head Out
8. Monsters
9. Elicse Atarme Pt.3

Line-up
Francesco Braida: Guitar & Voice
Sebastiano Belli: Drums
Matteo Monai: Bass & Voice
Sebastiàn Gerlini: Guitar

CONCRETE JELLY – Facebook

Руины вечности – Будни войны

l’operato del gruppo siberiano si colloca ben al di sopra della sufficienza ma si rivela la classica messa in scena dei dettami di base di un genere, con l’inserimento di tutti gli ingredienti necessari senza che appaiano mai davvero coesi tra loro.

In un scena death doom russa davvero fiorente, il full length d’esordio di questa band di Krasnoyarsk chiamata Руины вечности (Ruins Of Eternity), corre il serio rischio di finire in secondo piano.

Questo non deriva del tutto dal valore di un album come Будни войны (The Whispers of Forgotten Hills), tutt’altro che riprovevole, bensì dal fatto che la concorrenza, anche interna, è forte e qualificata; l’operato del gruppo siberiano si colloca ben al di sopra della sufficienza ma si rivela la classica messa in scena dei dettami di base di un genere, con l’inserimento di tutti gli ingredienti necessari senza che appaiano mai davvero coesi tra loro.
Così succede che il violino, elemento sempre peculiare benché non siano affatto poche le band che utilizzano questo strumento, sembra scontrarsi più che amalgamarsi con i riff chitarristici, la base ritmica ed il growl del vocalist; per essere sulla carta un death doom melodico, l’album offre con il contagocce momenti capaci di creare un adeguato flusso emotivo, puntando più su un impatto robusto e che, molto spesso, devia verso una sorta di avanguardismo, convincendo molto di più nei momenti in cui il sound sembra avvicinarsi maggiormente alle sfumature sinfonico orchestrali dei nostri Dark Lunacy.
Quando sembra che la melodia possa finalmente assumere una forma compiuta e prendere il sopravvento, come per esempio in Эхо, viene sempre meno quel momento chiave capace di dar seguito a tali intuizioni, sia per scelta da parte della band sia per una produzione che restituisce il sound in una maniera a mio avviso troppo secca, con le tastiere che non svolgono quel ruolo di raccordo che competerebbe loro in una formazione strutturata in questa maniera.
Detto ciò, l’ascolto di Будни войны è tutt’altro che superfluo, ma il confronto con Shallow Rivers o Откровения Дождя, per esempio, vede i pur bravi Руины вечности ancora diversi gradini sotto il livello raggiunto dalle band viciniori collocabili nello stesso segmento stilistico.

Tracklist:
01. Будни войны
02. Брест
03. Кто будет первым?!
04. Танк
05. Победа для мёртвых
06. Для тех, кто потерялся на этой войне
07. Эхо
08. Наследие

Line-up:
Andrei Nasekailov – guitar
Pavel Golovnin – bass
Konstantin Terentiev – drums
Pavel Maiboroda – vocals
Eugenia Antsyferova – violin, keys
Aleksander Gasenko – guitar
Roman Nasibov – backing vocals, keys

Poste942 – Long Play

Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Sembra proprio che i suoni hard rock, dai rimandi settantiani o dal retrogusto southern siano la nuova/vecchia frontiera.

Dai gruppi dalla spiccata anima hard blues, a quelli dalle ispirazioni più moderne ed in linea con l’alternative/stoner metal, non passa giorno senza che i suoni scaldati dalla marmitta di un chopper o di un’Harley non raggiungano i padiglioni auricolari del sottoscritto, al quale non pare vero di godere del vecchio ma pur sempre amato hard rock.
Dagli States, alla Scandinavia passando per il nostro paese, scalando le Alpi come Annibale ma, con al posto degli elefanti una motocicletta, si scende verso la pianura transalpina per incontrare i Poste942, un monicker curios, ma un  sound che fa vibrare i pistoni del vostro bicilindrico a suon di rock duro.
Questo primo lavoro sulla lunga distanza intitolato Long Play, per questi cinque metal/rockers transalpini, accomuna hard rock, stoner e groove a manetta senza rinunciare ad atmosfere southern: le verdi colline francesi ai piedi delle Alpi si trasformano così nei caldi deserti americani o nelle paludi dell’estremo territorio della misteriosa Lousiana; lo stile dei Poste942 è più semplice di quanto si possa immaginare ma molto interessante, così come il modo in cui  il gruppo riesce, senza essere dispersivo o approssimativo, ad inserire svariate influenze che tra i brani di Long Play.
Partendo dal metal stonerizzato di Down e Pantera, passando per elettrizzanti tratti grunge rock che ricordano non poco i Nirvana, per giungere allo stoner della Sky Valley ed il southern rock, il tutto viene  ben calibrato dal gruppo francese in questa raccolta di brani che hanno nel singolo Whiskey, nella esuberante vena di 49.3, nella semi ballad desertica Grace e nella rabbiosa Lonely Day i punti salienti di questo piacevole lavoro.
Un album da ascoltare a volume importante, magari quando la voglia di libertà si fa spazio tra le svogliate giornate tutte uguali ed allora, una camicia di flanella, un giubbotto di pelle ed il pieno di benzina nel serbatoio accompagneranno sicuramente l’ascolto di Long Play.

Tracklist
1.Batavia
2.Color of Red
3. Whiskey
4.Devil’s Complaint
5.Punky Booster
6.49.3
7.Grace
8.Pigs in Paradise
9.Lonely Day
10. Psycho Love Part. I
11.Psycho Love Part. II
12.Breathe
13.Le Chantier

Line-up
Sébastien Mathieu – Guitar
Nicolas – Millo – Drums
Ludovic Favro – Bass
Sébastien Usel – Vocais

POSTE 942 – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
75

HumanasH – Reborn From The Ashes

I sei brani mostrano variazioni di atmosfera ed impatto, rimandando appunto all’heavy speed metal ottantiano, ma vengono arricchiti  da un talento tutto italiano per le tematiche oscure ed horror.

Primo lavoro per gli HumanasH, creatura nata dall’oscurità, strettamente legata all’horror metal old school e ai maestri Death SS, pensata dal 1993 ma solo ora realizzata.

La mente dietro a questo interessante progetto è Giovanni Cardellino, qui con lo pseudonimo di John Goldfinch, singer dei doom progsters L’impero Delle Ombre, qui in versione molto più veloce ed heavy.
Goldfinch asseconda la sua fame di heavy metal chiamando a sé una manciata di ottimi musicisti della scena nostrana come il batterista Dario Petrelli, suo compagno nell’Impero Delle Ombre, Nicola Lezzi e Gabriele Muja, rispettivamente bassista e chitarrista dei Ghost Of Mary e Francesco Probo, chitarrista dei Mnemos.
Licenziato dalla Jolly Roger Records, Reborn from the Ashes è un mini album di sei tracce che vede la partecipazione di Steve Sylvester in veste di ospite sull’opener Evil Metal Obsession, a ribadire l’influenza che la leggendaria band ha avuto sulla nascita del progetto.
I sei brani mostrano variazioni di atmosfera ed impatto, rimandando appunto all’heavy speed metal ottantiano, ma vengono arricchiti  da un talento tutto italiano per le tematiche oscure ed horror.
Dimenticate dunque il classico lavoro speed alla tedesca, anche se in Reborn From The Ashes si viaggia spediti (Night Adventure in a Desecrated Church) sul pendolino metallico che compare dal nulla, un treno fantasma che ci accoglie nel suo mondo orrorifico, tra vampiri, chiese sconsacrate e monasteri dove si nasconde Lucifero, tra il saio di monaci maledetti.
La title track è una classica song heavy speed, così come la precedente The Nightmare Begins e la devastante The Liberation Of The Cursed Spirit, mentre la conclusiva The Eternal Darkness è una suggestiva traccia dal taglio horror, nella quale una eterea voce femminile ci accompagna tra i corridoi bui di un maniero abbandonato: le possibilità di ritornare alla luce si fanno sempre più labili man mano che ci addentriamo, ipnotizzati da questa dannata sirena e la band ci lascia al nostro destino mentre le note sfumano.
Per gli amanti dell’horror metal e dell’heavy metal old school, Reborn From the Ashes è un lavoro decisamente da non perdersi.

Tracklist
1.Evil Metal Obsession
2.Night Adventure in a Desecrated Church
3.The Nightmare Begins
4.Reborn from the Ashes
5.The Liberation of the Cursed Spirit
6.Eternal Darkness of Being

Line-up
John Goldfinch – Vocals
Gabriel Goya – Lead and Rhythm Guitar
Francis Probus – Lead and Rhythm Guitar
Nicholas Lestat – Bass
Peruvian – Drums

HUMANASH – Facebook

Jupiterian – Terraforming

Dallo scrigno brulicante di inquietanti forme di vita musicali della Transcending Obscurity, eccoci arrivare questo secondo full length dei brasiliani Jupiterian, interpreti di un maestoso sludge death doom.

Dallo scrigno brulicante di inquietanti forme di vita musicali della Transcending Obscurity, eccoci arrivare questo secondo full length dei brasiliani Jupiterian, interpreti di un maestoso sludge death doom.

Ho notato che sia oggi che in passato questo gruppo paulista ha riscosso pareri decisamente discordanti, e io stesso avevo apprezzato ma senza esaltarmi il death doom offerto dai nostri circa tre anni fa con l’ep di debutto Archaic, ma credo che questo sia il destino chi non si limita ad offrire musica accondiscendente o banale: personalmente ritengo che Terraforming, oltre a costituire un’evoluzione sonora davvero decisa ed importante, sia pressapoco la miglior forma possibile di sludge che si possa offrire di questi tempi perché, se proviamo a prendere una band che interpreta il genere nella maniera più estrema ed incopromissoria possibile, come per esempio i Primitive Man, conferendole una quantità minima ma fondamentale di senso melodico, ecco venirne fuori l’essenza musicale dei Jupiterian.
E’ grazie a questo che l’album non ottiene solo l’effetto di opprimere l’ascoltatore perché, aprendosi a passaggi più fruibili nonostante non venga mai meno un’assoluta pesantezza, riesce ad attrarre irresistibilmente così come farebbe l’enorme massa gravitazionale del maggiore dei pianeti richiamato dal monicker della band.
Se Matriarch e Forefathers sono l’emblema del migliore è più compiuto sludge doom (con annessi accenni di ambient), in Unearthly Glow si fanno largo quelle insperate melodie che che paiono riportare il tutto su un piano più accessibile, e se nella title track lo sperimentatore Maurice De Jong (Gnaw Their Tongues) offre il suo contributo ad un notevole break ambientale/rumoristico, la successiva Us And Them dei Jupiterian non ha davvero nulla in comune con la ben più nota canzone pinkfloydiana, anche se alla fine la chitarra disegna passaggi gradevolmente cristallini, prima che Sol rada al suolo definitivamente quel poco che era rimasto barcollante in posizione verticale, con un riffing dal carico oppressivo difficilmente descrivibile.
A mio avviso la dote migliore dei Jupiterian sta essenzialmente nel loro non accontentarsi di picchiare soltanto, ricordando a noi e a molti dei propri colleghi di genere quanto sia fondamentale variare ed offrire di tanto in tanto agli ascoltatori degli appigli ai quali potersi aggrappare per non essere spazzati via dallo tsunami di riff che la band brasiliana non fa certo mancare.

Tracklist:
1. Matriarch
2. Unearthly Glow
3. Forefathers
4. Terraforming (ft. Maurice de Jong of GNAW THEIR TONGUES)
5. Us and Them
6. Sol

Line up:
V – Voices, Guitars, Percussions, Synths
A – Guitars
R – Bass
G – Drums

JUPITERIAN – Facebook

Dubby Dub – Empty Nation

Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere.

I ferraresi Dubby Dub non sono di primo pelo, e grazie alla loro esperienza riescono a pubblicare un disco di hard rock con molti momenti e stili diversi.

Il gruppo è nato nel 2001 e ha avuto varie pause per i diversi progetti dei suoi componenti, la cui ossatura sono i fratelli Pulga, Mario ed Andrea, già visti e sentiti nel gruppo hardcore H – Strychnine . Nonostante diversi periodi di iato questo disco è il terzo nella carriera del gruppo, il primo per la Buil2Kill Records. La proposta è un hard rock che è maggiormente virato al rock piuttosto che all’hard, e trova decisi riferimenti nella scena inglese anni novanta, anche se ha un tocco di originalità notevole, perché non è per nulla derivativo, ma è piuttosto uno sforzo di cercare qualcosa di diverso e di piacevole sia da sentire che da suonare. Uno dei maggiori pregi di questo disco è la totale assenza di ansia nel cercare di piacere facendo qualcosa che esuli dalle corde di questo gruppo. Empty Nation avrebbe fatto la gioia tantissimi ascoltatori della mai troppo compianta Rock Fm, perché ha un tiro notevole, e dentro c’è tanta Inghilterra, non quella più famosa, ma quella maggiormente indie: sentire i giri di chitarra per credere. In tutto ciò galleggia una dose di grunge che è sempre presente nelle migliori ricette musicali. Insomma un bel disco di rock anni novanta che suona fresco e bello sgargiante, e non lo te lo aspetteresti dalla copertina, che avrebbe meritato qualche sforzo in più, ma questo si può perdonare alla luce del risultato.

Tracklist
1.You & I
2. Spread & multiply
3.Empty nation
4I’ll lose myself
5.Cold issues
6.Out of the shell
7.Grow machines
8.Rainbow
9.Romance
10.About to shine
11.Right now
12.They never last
13.Deny

Line-up
Andrea Pulga – Vox – Guitars
Mauro Pulga – Guitars – Vox
Flavio Tomei Guitars – Vox
Enrico Negri – Drums – Vox

DUBBY DUB – Facebook

URSINNE

Il video di Something Wicked This Way Comes, dall’album Swim With The Leviathan (Transcending Obscurity Records).

Il video di Something Wicked This Way Comes, dall’album Swim With The Leviathan (Transcending Obscurity Records).

Incarnal – Mortuary Cult

Un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.

Death metal vecchia scuola, feroce e senza compromessi, per restare una buona mezzora immersi nelle atmosfere putride ed estreme degli Incarnal e del loro nuovo album, Mortuary Cult.

Nata nel 2010, la band polacca debutta due anni dopo con il primo full length, Where Evil Has Its Beginning, seguito da un ep e dal secondo lavoro licenziato nel 2014 ed intitolato Hexenhammer.
Tre anni dopo i cinque deathsters riaffiorano dagli inferi con Mortuary Cult, un concentrato di death metal oscuro ed abissale, epico a tratti e profondo come la gola di un mostro dimenticato nell’abisso più oscuro dove nascono questi otto inni al death metal: un buon esempio di come la tradizione scandinava possa andare tranquillamente a braccetto con quella americana e fare male, tra Entombed e Morbid Angel, qualche accenno melodico e tanta oscura attitudine.
A brani più ordinari ne spiccano altri davvero interessanti, in un vortice di fetida aria putrefatta che sale verso il suolo: il gruppo alterna così tracce violente e devastanti a mid tempo potenti ed evocativi come la bellissima Wolves Of The God, introdotta da canti gregoriani e tenuta a freno da un affascinante giro di tastiere.
Under The Sign Of Fire segue la strada della traccia precedente, aumenta quel tanto che basta la velocità e forma il cuore nero di questo lavoro, che fa degli Incarnal un gruppo da seguire nel folto panorama estremo.
Ovviamente non mancano i momenti in cui il blackened death metal di tradizione del loro paese compare come un demone in uno specchio, ma il sound di Mortuary Cult rimane legato al death metal old school.

Tracklist
1.Behold the King of Mortuary Cult
2.Night on Bald Mountain
3.In Blood I Bathe
4.Wolves of the God
5.Under the Sign of Fire
6.Cold as the Dead Man’s Skin
7.In Death We Trust
8.Bestial Rising Tide

Line-up
Karol “North” Łapczyński – vocals
Krzysztof Kiecana – guitars
Alek Szymański – guitars
Mikołaj “Total” Kujda – drums
Mateusz “Raven” Szymanek – bassR

INCARNAL – Facebook

Genus Ordinis Dei – Great Olden Dynasty

Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.

La premessa doverosa sulla qualità altissima dei prodotti che escono dal nostro paese è diventata una prassi da ormai qualche anno, rischiando persino che le lodi alla scena rock/metal italiana diventino un qualcosa di scritto e ripetuto all’infinito.

D’altronde davanti a opere come Great Olden Dynasty, secondo lavoro dei Genus Ordinis Dei, non si può che supportare con ancora più convinzione le band di casa nostra, ormai perfettamente in grado di tenere botta ai colleghi stranieri.
La band di Crema, fondata nel 2009 e con un bellissimo esordio alle spalle datato 2013 (The Middle), torna dopo tre anni dall’ep omonimo con questo bellissimo esempio di death metal feroce, epico e maestoso.
Prodotto da Simone Mularoni ai Domination Studio, con Cristina Scabbia dei Lacuna Coil presente come ospite sulla conclusiva Salem, il nuovo lavoro dei Genus Ordinis Dei è un bellissimo esempio di metal estremo che, accompagnato dalle orchestrazioni sempre presenti e non solo usate come intro o outro ai brani, travolge l’ascoltatore con un suono violento e pomposo, vario e dal taglio progressivo nelle ritmiche, diretto e dall’impatto di un carro armato sinfonico.
Nick K, singer dotato di un growl da brividi, prende per mano il sound, valorizzato dalle splendide orchestrazioni create da Tommy Mastermind e dal lavoro ritmico di Steven F.Olda (basso) e Richard Meiz (batteria) e l’album deflagra fin dall’opener The Unleashed per non scendere più sotto il livello d’eccellenza.
Il death metal viene glorificato dai Genus Ordinis Dei, che ne accentuano l’epicità e la magniloquenza con sfavillanti orchestrazioni, atmosfere oscure rese drammatiche dai tasti d’avorio che ci fanno sentire circondati dalla musica.
Dall’ascolto escono prepotentemente la straordinaria bellezza di Morten, brano in crescendo che, da una partenza atmosferica da ballata metal, si trasforma in una portentosa traccia progressiva, e le mille varianti ritmiche ed atmosferiche della conclusiva Greyhouse, traccia che torna al sound caratterizzante l’album dopo la parentesi Salem, canzone più in linea con il death metal dal piglio melodico valorizzato dalla voce di Cristina e da un ottimo chorus.
Great Olden Dynasty è un album intenso ed estremo, che arriva come un fulmine a ciel sereno in questo ultimo scorcio dell’anno, ennesimo colpo di coda di una scena metal nazionale di altissimo livello.

Tracklist
1. The Unleashed
2. You Die In Roma
3. Cold Water
4. The Flemish Obituary
5. Sanctuary Burns
6. Morten
7. ID 13401
8. Halls of Human Delights
9. Salem (featuring Cristina Scabbia)
10.Greyhouse

Line-up
Nick K – vocals & guitars
Tommy Mastermind – guitars & orchestra
Steven F. Olda – bass
Richard Meiz – drums

GENUS ORDINIS DEI – Facebook

Skarlett Riot – Regenerate

Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.

L’apertura mentale nel fare proprie tutte le note dei generi che compongono l’universo musicale non è da tutti, e rimane per i più fortunati il piacere di passare con disinvoltura tra un genere all’altro per non farsi sfuggire album come questo bellissimo Regenerate del quartetto inglese chiamato Skarlett Riot.

Dal 2010 sul mercato con una manciata di lavori minori ed il full length Tear Me Down, uscito nel 2013, la band capitanata dalla singer Skarlett arriva a questo nuovo lavoro dopo il successo dell’ep Sentience e la firma con la label Despotz Records, che licenzia questa nuova raccolta di brani di moderno metal, duro come una roccia ma dall’appeal altissimo, grazie ad un tornado di melodie racchiuse in un songwriting davvero notevole.
Una raccolta di hit quindi, che il quartetto britannico interpreta con piglio metallico valorizzato dalla splendida voce della cantante e grazie ad un sound a tratti devastante nelle ritmiche.
In This Moment e Bullet for My Valentine sono le band di riferimento, dunque il genere è quello più odiato dai metallari duri e puri, ma che trova nuovi adepti tra gli amanti del metal alternativo e chi ama le atmosfere dark e drammatiche, all’ombra di cascate di riff e chorus, un tappeto di ritmiche a tratti forsennate e tanto talento per le melodie.
Quaranta minuti nel vortice metallico creato dalla band, che non abbassa la guardia e spara proiettili di metallo moderno che aprono brecce nel cuore dei fans, portando a conclusione la propria rigenerazione e trasformandosi in una macchina da guerra moderna che non fa prigionieri.
Album da ascoltare tutto d’un fiato, Regenerate vi colpirà a morte e vi renderete conto di esservene innamorati prima di esalare l’ultimo respiro.

Tracklist
1.Break
2.Closer
3.Stand Alone
4.What Lies Beneath
5.Calling
6.Affliction
7.Outcast
8.Paralyzed
9.The Storm
10.Warrior

Line-up
Skarlett – Vocals, Guitars
Danny – Guitars, Backing Vocals
Martin Shepherd – Bass, Backing Vocals
Luke – Drums

SKARLETT RIOT – Facebook

Rabid Dogs – Italian Mysteries

Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza.

Gli abruzzesi Rabid Dogs stanno diventando grandi, spingendosi in territori ancora inesplorati sia per loro che per molti degli ascoltatori. Nati nel 2009 ispirandosi al cinema popolare italiano, e al famoso ventre molle dell’Italia, i nostri sono arrivati con Italian Mysteries al quarto disco, e questo lavoro è la loro fatica più convincente.

I Rabid Dogs fanno un genere unico, un misto di stoner, metal, punk e puntate nel grindcore. Ci sono giri di chitarra che danno pugni in faccia, la batteria che picchia incessante, ma si può trovare anche l’armonica, o qualcosa di southern, e anche tanto altro, infatti ci sono anche momenti che esulano dal metal. Italian Mysteries è una discesa dentro il nostro paese, una spirale di merda e diamanti, dove tutto è apparenza, ma anche il suo contrario è falso. Questo senso carnale, un morso sulla vita, è trasmesso molto bene dai Rabid Dogs, che partiti da territori più pesanti hanno sviluppato un discorso musicale tutto loro, pieno di contenuti e di metallica ricchezza. I Rabid Dogs sono un gruppo che appartiene a quella schiera di band e musicisti come i Southern Drinkstruction, che affrontano il metal con passione ed ironia. Il disco è un concentrato di tante cose, ma soprattutto di durezza e bravura nel rendere certe situazioni che a noi italiani sembrano scontate solo perché le viviamo tutte i giorni, ma che in realtà sono tragicomiche. Rimane nel sottobosco del loro suono una forte attitudine punk hardcore, ed è forse questa la loro spinta in più: il risultato è buono e finalmente divertente, cosa che per un disco di questi tempi non è affatto facile o scontata.

Tracklist
1. Blu Notte
2. King Midas
3. John Philip Forsythe
4. Straight To Jail!
5. Total Clan War
6. The Black Mind
7. The Lodge
8. Alfa 146
9. Milk Of Mother-In-Law
10. What If You’re Right And They’re Wrong
11. Flower Of Bad

Line-up
Doc – Guitar & Vocals;
Blade – Bass & Vocals;
32 – Drums & Vocals

RABID DOGS – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=SVZagHlr6BU

Last Bullet – ’80-69-64 ep

Cinque rocker di Toronto alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere Sex & Rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock.

Provateci voi a stare fermi mentre i Last Bullet suonano il loro hard rock.

Attivo dal 2009, il gruppo canadese torna a scuotere anime, tormentandole con un’overdose di rock’n’roll dopo il primo album, uscito ormai cinque anni fa (Love Lust Illusion) e lo fa con questo ep di sei brani per una ventina di minuti travolgenti, intitolato ’80-69-64.
I cinque rocker di Toronto vanno alla conquista delle vostre serate da sballo con la parola d’ordine che non può non essere sex & rock’n’roll ma, se pensate che la band suoni street/glam anni ottanta, girate i tacchi, perché qui si distrugge tutto con la potenza dell’hard rock moderno tra alternative e dosi massicce di groove, sparato a mille in un contesto rock’n’roll.
Bright Lights è la miccia che si accende, e pericolosamente tramite l’orgiastica Gimme Time corre verso il candelotto di dinamite che esplode alle prime note di Little Miss Filthy.
Bryan Fontez con il suo canto lascivo vi provoca, vi gira attorno come una belva assetata di sangue e poi vi azzanna tra le note di Smoke & Ashes, per poi lasciare la morsa tornare sulla route, accompagnato dalle note di Southern Lips.
Velvet Revolver, Aerosmith, Lynyrd Skynyrd, Buckcherry: questo nomi sono per indurvi a non perdere neanche un minuto di musica di questa bomba hard rock.

Tracklist
01. Sin
02. Gimme Time
03. Bright Lights
04. Southern Lips
05. Smoke & Ashes
06. Little Miss Filthy

Line-up
Bryan Fontez – lead vocals
Brendan Armstrong – lead guitar
Michael Silva – rhythm guitar
Will Shannon – bass
Chriz Galaz – drums

LAST BULLET – Facebook

Circo Boia – Circo Boia

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

I Circo Boia sono un duo che non fa mai quello che ti aspetteresti e, cosa più importante, fanno un rock duro, molto vicino al grunge, guidato dalla splendida voce di Erika Fassari e dal basso di Joey Chiarello.

Il gruppo si divide tra Italia e Usa, dove hanno già fatto due tour di concerti, e il suono è molto vicino a quello a stelle e strisce, con riff potenti e una melodia ben definita che traspare dagli strati di chitarre e batteria. Circo Boia è il debutto del duo, che ha già molto chiaro cosa fare, e che sta andando in una direzione ben definita. Le influenze sono tante e tutte di buona qualità, si va dai Cure al grunge, con una sintesi molto convincente. L’ottima produzione è di Gian Maria Accusani, il deus ex machina di Prozac + e Sick Tamburo, una persona con un orecchio molto fine per ruvide melodie, e qui fa scaturire il meglio dal gruppo, riuscendo ad amalgamare le diverse influenze insieme al gran talento del duo per il grunge, quello spirito melodico e potente che non vuole andare via e continua sottotraccia. Il tiro dei Circo Boia è notevole, sinceramente in Italia è molto difficile sentire dischi musicalmente vari e belli come questo; infatti il loro debutto uscirà anche negli Usa per la Wiener’s Records e sarà molto interessante vedere come sarà accolto.
I generi toccati sono molti, senza però mai perdere una visione d’insieme molto forte ed interessante; il duo di Grosseto è pronto, e il Circo Boia è appena partito

Tracklist
1.Doppler
2.Fight For Love
3.Ye!Ho!
4.She Walks Into The Fire
5.The World Of Tomorrow
6.Lick The Hell
7.Hellride
8.I Think You’re Right
9.Negen
10.Liar

Line-up
Erika Fassari: chitarra, voce
Joey Chiarello: basso, backing vocals

Guest members:
Matteo Maggi: batteria
Gian Maria Accusani: backing vocals, chitarra, synth

CIRCO BOIA – Facebook

DE LA MUERTE

Il lyric video di De La Muerte, dall’album Venganza in uscita a dicembre (Revalve Records).

Il lyric video di De La Muerte, dall’album Venganza in uscita a dicembre (Revalve Records).

Nastyville – Glam Caramel

Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato questi suoni all’attenzione degli ascoltatori.

Si torna a far muovere le natiche a tempo di rock’n’roll stradaiolo con il secondo album dei Nastyville, quintetto piemontese da anni immerso nella scena glam rock dello stivale.

Dopo un primo album licenziato qualche anno fa e un paio di assestamenti nella line up, la band che vede ben saldo sul ponte di comando il batterista Danny Boy (un passato a suonare con gentaglia del calibro di Gilby Clarke e John Corabi), se ne esce tramite l’attivissima label partenopea Volcano Records con questo irresistibile esempio di hard rock glam made in Los Angeles intitolato Glam Caramel.
Con il nuovo entrato MarkEvil Lee dietro al microfono, la band sforna dieci brani assolutamente devoti al genere che contribuì a rendere speciali gli anni ottanta e un paradiso per i rockers il Sunset Boulevard, pur con i piedi ben saldi nel nuovo millennio.
Una produzione scintillante e tanta attitudine fanno di Glam Caramel un buon modo per riassaporare le atmosfere sfrontate, ambigue e divertenti di quello storico periodo che gli amanti del genere rivivono grazie all’underground e alla nascita di molti nuovi gruppi che hanno riportato il genere all’attenzione degli ascoltatori.
Dopo la valanga di suoni alternativi iniziata sul finire del secolo scorso, il ritorno di queste sonorità (non solo per qualche fortunata reunion) è, per assurdo una ventata di freschezza nell’ormai troppo serioso ambiente del rock, quindi muovete le chiappe, stappate la vecchia bottiglia di Jack Daniels e buttatevi nella mischia al suono delle varie Nerd Superfly, Big Band Theory e le altre tracce presenti su Glam Caramel.
La bolgia è frenetica e vi travolgerà, mentre potenti trame su tempi medi si spintonano per un posto al sole con frizzanti partenze dallo spirito rock’n’roll, tra Motley Crue e Warrant, senza dimenticare le nuove leve della scena glam internazionale come Crazy Lixx e Crashdiet.
Lady Boy, Macho Girl e ancora Star Whore e la conclusiva Tha King faranno sparire ogni vostro tabù e vi daranno la possibilità di essere voi stessi: almeno per una cinquantina di irresistibili minuti, lasciatevi andare e godete, it’s only rock’n’roll.

Tracklist
1. Nerd Superfly
2. Big Band Theory
3. Jelly Toy Goes
4. Lady Boy
5. Sert-Control
6. Granny Awards
7. Macho Girl
8. Star Whore
9. Camel Toe
10. Tha King

Line-up
Mark – Voice, Guitar
David – Guitar
Manuel – Guitar
Fabian – Bass Guitar
Danny Boy – Drums

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