Hadal – Painful Shadow

Chi si fosse perso un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di splendide canzoni, a cavallo tra gothic/doom e rock/metal alternativo.

Ci ritroviamo a parlare con una certo ritardo, rispetto alla sua uscita, del secondo full length degli Hadal, Painful Shadow, uscito per la Sliptrick Records nello scorso mese di marzo.

Poco male, visto che la buona musica non va mai in prescrizione e l’occasione per averne una copia ci è stata fornita dalla partecipazione della band triestina al Doom Heart Fest dell’11 novembre, del quale abbiamo reso ampiamente conto nei giorni scorsi.
Intanto va detto che l’interpretazione del doom da parte degli Hadal è piuttosto originale, non tanto per la ricerca di improbabili sperimentazioni, quanto per la riuscita commistione con sonorità riconducibili al miglior rock alternativo, con un occhio di riguardo alla storica scena di Seattle: un qualcosa già fatto ottimamente quest’anno anche dai croati Old Night, ma partendo da una base prossima al doom tradizionale anziché dal gothic/death doom, nelle corde invece della geograficamente vicina band giuliana.
Ciò che ne scaturisce è un lotto di canzoni che stupiscono per freschezza ed orecchiabilità, pur senza apparire mai scontate, tanto che la title track, scelta anche per essere abbinata ad un video, non è neppure il brano in assoluto più fruibile, ma a convincere è lo spessore complessivo di un album che, come c’è stato modo di constatare direttamente, si rivela penetrante anche nella sua riproposizione dal vivo.
Il gruppo triestino ci tiene, del resto, a rimarcare quanto il proprio sound sia frutto della confluenza di vari stili musicali che, uniti in maniera davvero magistrale, vanno a formare il tessuto sonoro di Painful Shadow: grazie a questo, i dieci brani più intro appaiono tutti saldamente legati tra loro nonostante le diverse sfumature conferiscano a ciascuno di essi una decisa identità.
Senza voler sminuire l’ottimo lavoro dei restanti componenti della band, tutti musicisti di grande esperienza ed in quanto tali perfettamente a loro agio in ogni frangente, per la riuscita del lavoro si rvela determinante la prestazione vocale di Alberto Esposito, davvero bravo ed espressivo con il growl ma soprattutto con una voce pulita profonda, versatile e all’altezza della situazione anche in sede live, cosa tutt’altro che scontata (chi ha visto di recente i Paradise Lost dal vivo purtroppo sa a cosa mi riferisco).
A proposito, detto che a livello di influenze gli appena citati maestri di Halifax hanno sicuramente un certo peso, la bravura degli Hadal sta nel non focalizzarsi su un punto di riferimento specifico, così che nel loro sound non è difficile riscontrare dosi sapienti di tutto il meglio che il rock ed il metal dalle venature più cupe e romantiche hanno offerto negli ultimi decenni (Moonspell, Type 0 Negative, Septic Flesh epoca Revolution DNA, ma anche Alice In Chains e Pearl Jam per il versante grunge e tracce di Disturbed ed Alter Bridge per quanto riguarda l’alternative rock/metal).
Insomma, chi si fosse perso (come noi) un disco di tale spessore al momento della sua uscita ha tutto il tempo (e la convenienza) per rimediare, lasciandosi conquistare da una serie di canzoni tra le quali si fa davvero fatica a trovarne una che spicchi con decisione sul resto del lotto: obbligato a scegliere opto, oltre che per la già citata title track, per Slow Violence, traccia molto robusta ma dal chorus intriso di una certa malinconia, per Nocturnal, che fin dal titolo, simile a quello di una dei brani più famosi della band lusitana, mostra graditi riferimenti ai Moonspell, e per Illusion, che fa convivere un lavoro chitarristico dal grande potenziale evocativo con un chorus legittimamente figlio del metal più moderno.
Painful Shadow è un album che ha tutte le caratteristiche per aprirsi ad un pubblico ben più ampio di quello dei soli appassionati di doom, in virtù di una grande freschezza e di una serie di canzoni che si imprimono con un certo agio nella memoria senza che venga mai sacrificata la loro profondità: in sintesi, la definizione di un’opera pressoché priva di punti deboli.

Tracklist:

1. Intro
2. Painful Shadow
3. The Shape of Lies
4. Dying Fall
5. Slow Violence
6. Illusion
7. Vox Arcana
8. Nocturnal
9. Land of Grief
10. Black Flowers
11. White Shade

Line-up
Teo – Bass
Franco – Guitars (lead)
Max – Guitars (rhythm)
Daniele – Drums
Alberto – Vocals

HADAL – Facebook

Old Man Wizard – Innocent Hands/The Blind Prince

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.

Meritano di essere portati all’attenzione dei lettori di MetalEyes gli Old Man Wizard, trio attivo tra San Diego e Los Angeles con il debutto sulla lunga distanza licenziato nel 2013 (Unfavorable, uscito anche nella versione strumentale) e questo singolo che funge da apripista al nuovo album in uscita (Blame It All On Sorcery).

I tre musicisti statunitensi sono protagonisti di un’originale esempio di hard rock progressivo che si nutre di molte sfumature del rock contemporaneo e di metal estremo, pur mantenendo un approccio vintage che li accomuna a tanti nuovi gruppi dal sound che si ispira agli anni settanta.
I due brani (Innocent Hands e The Blind Price) si compongono di umori diversi, ora alternativi ora smaccatamente hard progressivi e dai rimandi alla tradizione, mentre le vocals molto melodiche contrastano con ritmiche pesanti, ma varie grazie al gran lavoro della sezione ritmica.
Prendete i Soundgarden e maltrattateli con dosi massicce di progressive e metal estremo, poi accarezzateli con sfumature rock di estrazione americana ed avrete più o meno un’idea di quello che suonano Andre Beller (voce e basso), Francis Roberts (chitarra e voce) e Kris Calabio (batteria e voce).
Inutile dirvi che la curiosità per il full length in arrivo non manca, quindi occhio alle nostre pagine virtuali.

Tracklist
1.Innocent Hands
2.The Blind Prince

Line-up
Andre Beller – Bass Guitar, Vocals
Francis Roberts – Guitar, Vocals, etc.
Kris Calabio – Drums, Vocals

OLD MAN WIZARD – Facebook

https://youtu.be/8iEOIBilmBg

DEEP AS OCEAN

Il video di “Broken Dreams”dall’album “LOST HOPES | BROKEN MIRRORS”, in uscita a novembre (The Jack Music Records).

Il video di “Broken Dreams”dall’album “LOST HOPES | BROKEN MIRRORS”, in uscita a novembre (The Jack Music Records).

Serenade – Onirica

I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.

Secondo lavoro per i Serenade, altra ottima realtà nel vasto mondo del metal sinfonico e dalle trame gotiche.

Superba voce soprano, tanto metallo aggressivo e dalle ritmiche power, una buona alternanza tra momenti atmosfericamente più pacati e dal taglio gotico, come da copione, e fughe heavy metal fanno di Onirica un’ottima colonna sonora al racconro incentrato sul viaggio nel mondo dei sogni e nelle paure dell’animo umano.
La band veneta è attiva dal 2009, il primo album intitolato Wandering Through Sorrow è ormai vecchio di cinque anni, ma il tempo ha giocato a favore del gruppo e della Revalve Records, vista la buona riuscita di Onirica.
I Serenade accontentano i fans del metal sinfonico e gotico, ma piacerà anche a chi vuole sentire ritmiche potenti, chitarre aggressive e grinta metallica da vendere, il tutto ben orchestrato e perfettamente bilanciato nel sound di questo nuovo lavoro.
Grande voce e carisma sono le principali virtù della singer Claudia, soprano dalla splendida ugola, assecondata da un songwriting mai banale e dalle buone prestazioni dei singoli musicisti; Insomnia apre l’album prima che When Darkness Will Fall arrivi come una perturbazione metallica e Kill Your Pain irrompa con le sue trame power sinfoniche, regalandoci il primo duetto tra la singer e Fabio Dessi degli Arthemis, che si ripeterà sul crescendo di Luceafarul.
I Serenade mantengono sempre un approccio heavy che a tratti sfocia in potenti frustate estreme come in Oceanus, brano mastodontico  preceduto da Hold Me Bank, primo singolo e video tratto dall’album; è invece delicatamente gotica e lasciata al solo piano che accompagna la voce di Claudia la ballad Stormborn, mentre la già citata Luceafarul e il crescendo metallico di Sleeping Dream concludono il nostro viaggio nel mondo dei sogni accompagnati dalla band padovana.
Onirica si rivela un album riuscito e piacevolmente heavy, valorizzato dalle buone prestazioni del gruppo e dalla splendida voce della sua musa: per gli amanti del genere un gioiellino da non perdere.

Tracklist
01.Insomnia
02.When Darkness Will Fall
03.Kill Your Pain
04.Hold Me Back
05.Oceanus
06.Lullaby
07.Stormborn
08.Luceafarul
09.Sleeping Dream

Line-up
Claudia – Vocals
Filippo – Guitars
Alberto – Guitars
Dario – Bass
Leonardo – Drums

SERENADE – Facebook

Talv – Entering a Timeless Winter

Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Entering a Timeless Winter è il primo lavoro a firma Talv, one man band italiana appartenente all’affollata cerchia del black metal atmosferico.

L’interpretazione fornita dal musicista milanese A. presenta in effetti diversi richiami che possono ricondurre al depressive e all’ambient e, fondamentalmente, è dotata di una sua efficacia, con il trascinarsi dolente del sound lungo brani piuttosto lunghi, all’interno dei quali una sottile linea melodica viene sporcata da uno screaming disperato che la canonica produzione lo-fi colloca in un riverberato sottofondo.
Allo stesso tempo, la ripetitività ossessiva a livello di ritmiche e di soluzioni compositive rischia di penalizzare sul lungo termine un lavoro comunque interessante, ma indirizzato ad ascoltatori dalla consolidata propensione per queste sonorità. La più breve cover di Winterreise dei Coldworld di Georg Börner chiude un album che sicuramente esprime in maniera efficace il misantropico sentire dell’autore ma che, nel contempo, mostra come sia necessario anche, da parte sua,  compiere un passo avanti a livello di registrazione, visto che linee melodiche mai banali  (quelle in A Sad Moon Concealed by Pines, su tutte) restano spesso soffocate dall’opprimente incedere del sound nel suo insieme.
Probabilmente si tratta una scelta ben precisa di A. il quale, nonostante un’attività iniziata come Talv solo da pochi anni, ha già all’attivo numerose uscite discografiche, per cui non può essere sicuramente l’esperienza a fargli difetto; è altresì vero che il tutto corrisponde ampiamente all’idea di black metal che sta dietro a questo monicker: a partire dalla copertina, fino ad arrivare all’ultima nota di Entering a Timeless Winter, tutto è pervaso da un’ostinata purezza che si traduce in un’ortodossia compositiva capace di comunicare un senso di gelo ed estraniazione dell’animo umano, al cospetto di una realtà che, mai come al giorno d’oggi, pare scorrerci dinnanzi alla stregua di un interminabile film in bianco e nero.
Entering a Timeless Winter è un lavoro intenso e profondo nel quale i punti di forza e quelli di debolezza si sovrappongono costantemente lasciando, come è normale che sia, l’ultima parola all’ascoltatore.

Tracklist:
01 – Dreaming a Funeral in Another Life
02 – A Sad Moon Concealed by Pines
03 – An Eternal Snowfall Will Come
04 – Sidereal Hypothermia
05 – Winterreise (Coldworld cover)

Line up:
A.

TALV – Facebook

Kroh – Pyres

Sempre fortemente legato al doom classico ma valorizzato da una componente psichedelica che lo accomuna a quello dei gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritta al genere.

Tornano a pochi mesi di distanza dal secondo full length Altars (recensito si queste pagine) i doomsters britannici Kroh, con un nuovo lavoro in formato ep intitolato Pyres.

Niente di nuovo nelle catacombe di Birmingham dove si aggirano la sacerdotessa Oliwia Sobieszek ed i suoi fedeli adepti, anche questi nuovi brani seguono le liturgiche atmosfere sabbathiane già presenti nel precedente lavoro.
Ancora più atmosfericamente sacrale di Altairs, il nuovo album emana un acre odore di morte, mentre le litanie sabbatiche accompagnano riti occulti tra serpi velenose e lame luccicanti in un’atmosfera che si fa a tratti ipnotizzante.
La Sobieszek, da musa affascinate quale è, si aggira tra gli astanti, persi nelle lunghe marce dettate dal lento battere del tempo, quasi fermo, mentre potenti esplosioni metalliche (Rigor Mortis) violentano le ipnotiche danze sacrali che i musicisti del gruppo hanno creato per far danzare la ipnotica singer.
Il basso che pulsa tra le note di Nemertean Girl, il vorticoso incedere della vulcanica Moriah e la potenza stonerizzata della conclusiva Despair Resolve, imprimono al lavoro una forza sorprendente, mentre il gruppo alterna con buona personalità esplosioni metalliche e rituali atmosferici dove tutto si compie.
Sempre fortemente legato al doom classico, ma valorizzato da una componente psichedelica che li accomuna ai gruppi vintage usciti negli ultimi anni, il sound proposto dai Kroh ha una sua forte personalità, ovviamente circoscritto al genere.
Una band che, piano piano, troverà il suo spazio tra i gruppi di culto nel panorama del doom classico odierno.

Tracklist
1.Triumph of Death
2.Rigor Mortis
3.Nemertean Girl
4.Moriah
5.Despair/Resolve

Line-up
Rich Stanton – Drums
Paul Harrington – Guitars
Paul Kenney – Guitars
Oliwia Sobieszek – Vocals
Darren Donovan – Bass

KROH – Facebook

Tyakrah – Wintergedanken

Wintergedanken è a suo modo anomalo, in quanto disco di non facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare.

I Tyakrah provengono da Münster, città natale anche degli ottimi Helrunar, e come loro sono un duo, composto dai misteriosi J.R. e I.XII.

Mai come in questo caso l’artwork ci fornisce un’indizio riferito a quanto ci dobbiamo attendere: l’aspro scenario invernale, infatti, viene trasposto in musica con grande cura e fedeltà, offrendo un’interpretazione del black metal tutto sommato neppure troppo convenzionale e decisamente più aperto a sonorità nordamericane rispetto alle abitudini delle band tedesche.
Così, oltre alla solennità e al glaciale rigore che caratterizzano le uscite black metal in terra germanica, rinveniamo anche quel senso di inquietudine e malinconia che non viene confinato solo alle tre tracce strumentali (Praeludium, Interludium e Postludium) ma trova un suo sfogo nelle notevoli e frequenti incursioni di chitarra solista di I.XII, il quale non si limita al solo tremolo come gran parte dei suoi colleghi ma si lascia andare lunghe ed efficaci progressioni dal tocco più morbido e diluito.
Wintergedanken (anche il titolo dice molto sullo spirito che aleggia sul lavoro) è a suo modo anomalo, in quanto disco non di facilissimo ascolto nonostante una propensione melodica piuttosto spiccata, nel senso che le partiture non appaiono mai banali ma frutto di una ricerca sonora da non sottovalutare: il risultato sono quattro brani di lunghezza media sui sette minuti dotati di una buona profondità e, soprattutto, molto focalizzati sul lato emotivo del sound.
Forse proprio l’utilizzo corposo della chitarra solista potrebbe non essere una buona notizia per i puristi del genere, ma lo è invece per chi vuole provare qualche brivido che non sia provocato solo dalle basse temperature evocate dalla copertina: a tale proposito è interessante notare come l’unico essere vivente, un cervo, sia raffigurato in una dimensione minuscola, quasi a voler rimarcare come tutte le forme di vita (uomo incluso) siano insignificanti di fronte alla maestosità della natura. Non so se effettivamente questo corrisponda all’intento dei Tyakrah, ma mi piace pensare che sia così, anche perché il sound della band tedesca si confà perfettamente a questo tipo di sentire.

Tracklist:
01. Praeludium – Auf kalten Wegen
02. Gefrorne Tränen
03. Wintergedanken
04. Interludium – Eisige Andacht
05. Fährten im Schnee
06. Erstarrende Nacht
07. Postludium – Ende des Weges

Line-up:
J.R. – vocals, drums, lyrics
I.XII – guitars, synths, bass

TYAKRAH – Facebook

Painted Black – Raging Light

I Painted Black dimostrano d’aver raggiunto quella maturità necessaria per mettersi nella nobile scia dei maestri del gothic metal lusitano ed europeo chiamati Moonspell, facendolo però con una buona personalità e soprattutto cercando con successo di sottrarsi ad imbarazzanti paragoni con la band di Ribeiro.

Quando si pubblica un secondo full legth a sette anni di distanza da quello d’esordio è normale attendersi dei cambiamenti, in certi casi anche piuttosto sensibili.

È questo il caso dei portoghesi Painted Black, i quali dopo un album come Cold Comfort, riconducibile al filone gothic death doom, sono approdati ad una forma di rock/metal oscuro che non rinnega affatto le origini ma che sposta decisamente la barra verso lidi più melodici e liquidi; un’evoluzione per certi versi naturale e che trova i suoi potenziali prodromi nell’album d’esordio del progetto Sleeping Pulse, che vedeva all’opera Luís Fazendeiro, chitarrista e compositore principale della band lusitana, avvalersi della voce di Mick Moss per raggiungere vette di lirismo prossime, appunto, a quelle degli Antimatter.
Non stupisce più di tanto, quindi, ritrovare in Raging Light riferimenti a quell’area stilistica che parte dai Katatonia ed arriva fino agli ultimi Anathema, con la band svedese che aleggia sicuramente nei passaggi leggermente più robusti e meno atmosferici e quella inglese, invece, che emerge dai brani più melodici e suadenti, tutto questo senza dimenticare del tutto le radici metal che di tanto in tanto riemergono restando un elemento importante ma non preponderante nell’economia del lavoro.
Il sound dei Painted Black è decisamente elegante, sempre controllato e modellato con sapienza da Fazendeiro e compagni, con Daniel Lucas capace di fornire una buona prestazione vocale sia con voce pulita che in growl.
L’album parte ottimamente con due brani davvero belli come The Raging Light, oscillante tra un’indole intimista e l’antico retaggio gothic doom, e Dead Time, dallo sviluppo simile ma contenente una più decisa accelerazione nella fase centrale, il tutto sempre caratterizzato da un notevole lavoro chitarristico a tessere le opportune trame.
Il resto del lavoro si muove costantemente attraverso queste oscillazioni, mantenendo un’aura malinconica per la quale il colore più indicato nel monicker sarebbe il grigio piuttosto che il nero.
La chiusura è affidata ad una traccia molto lunga come Almagest, vera e propria summa dell’idea musicale dei Painted Black, i quali dimostrano d’aver raggiunto quella maturità necessaria per mettersi nella nobile scia dei maestri del gothic metal lusitano ed europeo chiamati Moonspell, facendolo però con una buona personalità e soprattutto cercando con successo di sottrarsi ad imbarazzanti paragoni con la band di Ribeiro.
Raging Light non rappresenta ancora l’album perfetto per i Painted Black, perché a mio avviso l’emotività che dovrebbe trasmettere un’opera di questo tipo arriva ancora in maniera discontinua, ma per certi versi questo è un bene, in quanto significa che la band portoghese ha nelle proprie corde un potenziale ancora superiore a quello già importante esibito in quest’occasione

Tracklist:
1 – The Raging Light
2 – Dead Time
3 – The Living Receiver
4 – Absolution Denied
5 – Chamber
6 – In The Heart Of The Sun
7 – I Am Providence
8 – Almagest

Line-up:
Daniel Lucas – Vocals
Luís Fazendeiro – Rhythm & Lead Guitars, Clean Guitars, Piano & Synths, Bass on tracks 1,3,5 and 8
Gonçalo Sousa – Lead & Rhythm Guitars

Guests:
Marcelo Aires – Drums
Pedro Mendes – Bass on tracks 2,4,6 and 7
Mick Moss – spoken words on track 3
Amber Moss – spoken words on track 3
Jenny O’Connor – spoken words on track 3

PAINTED BLACK – Facebook

Whiskeycold Winter

Il video del singolo Neptune.

I Whiskeycold Winter, retro/heavy/psych rock band da Napoli, hanno appena realizzato un videoclip per il loro nuovo singolo -“Neptune”- in collaborazione con Marco Adamo (Lee Van Cleef) che si è occupato del videomaking.

Il brano ,rilasciato a Luglio 2017, è stato invece registrato, prodotto e masterizzato da Guido Minervini (Lee Van Cleef) presso La Saletta studio e co-prodotto da Simone Pennucci e Pietro La Tegola.
L’artwork invece è stato realizzato da Laura Zoè.
Con Cosmic Hangover, EP del 2016 si chiude una prima fase della band, incentrata su sonorità più tradizionali.
Il nuovo corso, iniziato con Neptune, vorrebbe introdurre elementi più vicini alla psichedelia, allo stoner e al doom, senza perdere però di vista i riferimenti bluesy/folk/settantiani delle produzioni precedenti.
La band è attualmente in cerca di label/booking agencies/collaborazioni di ogni genere.

LINKS:
Youtube: https://www.youtube.com/channel/UCkdG7-0XflZKFBaelybKeYw/videos
Bandcamp:https://whiskeycoldwinter.bandcamp.com/track/neptune
Facebook: https://www.facebook.com/WhiskeycoldWinter/
Apple music: https://itunes.apple.com/it/artist/whiskeycold-winter/id1096100601?l=en
Amazon: https://www.amazon.com/s/ref=ntt_srch_drd_B01DBO0S94?ie=UTF8&fieldkeywords=Whiskeycold%20Winter&index=digital-music&search-type=ss
Spotify: https://play.spotify.com/artist/2CeelkZpqIIxZJUUtXZABB

Witchery – I Am Legion

In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.

La copertina del nuovo album degli ormai storici Witchery esprime alla perfezione l’atmosfera maligna e pervasa da un’insana impronta black, mai così accentuata, che il nuovo album si porta dietro.

Ad un anno esatto dal ritorno con il già notevole In His Infernal Majesty’s Service, la band torna con il lavoro più malvagio della sua ormai lunga carriera, fatta di alti e bassi ma sempre all’insegna di un blackened thrash metal senza compromessi.
In un’atmosfera di esaltante ed evocativo tributo agli inferi ed al suo signore, ci viene regalata una performance devastante, intrisa di perfida malignità e violentissima, perdendo in parte un po’ di sfumature speed/thrash old school per liberare la bestia insita da sempre nello spartito del gruppo di Linköping.
Gli Witchery più invecchiano più diventano come il buon vino, magari allungato col sangue che da i brani di questo splendido lavoro estremo esce copioso, mentre Legion ci invita al massacro e True North ci offre la prima canzone sopra la media dell’album con un inizio solenne e terrorizzante da infarto.
Si parte a velocità della luce, una luce fioca che crea ombre diaboliche tra le note di Welcome, Night e Of Blackened Wing, fino al masterpiece Amun-Ra, dove Angus Norder sciorina a metà pezzo un growl profondo come l’inferno mentre la coppia Jensen/Rimfält ci incolla al muro con riff e solos dannatamente coinvolgenti.
D’Angelo e Barkensjö sono il solito motore ritmico instancabile, ma in I Am Legion è la putrida atmosfera che si respira tra i solchi dei brani a fare la differenza, come se i cinque musicisti fossero anch’essi demoni e ed allo stesso tempo piccoli pezzi di un puzzle vivente volto a riunirsi per evocare il male assoluto.
Il giro armonico del mid tempo che fa da tappeto a A Faustian Deal e la conclusiva The Alchemist sono gli ultimi botti di un album che conferma il grande ritorno del gruppo svedese, uno dei massimi esponenti del blackened/thrash metal internazionale, già sopra le righe con l’album precedente e qui perfetti e malvagi cantori estremi.

Tracklist
1. Legion
2. True North
3. Welcome, Night
4. Of Blackened Wing
5. Dry Bones
6. Amun-Ra
7. Seraphic Terror
8. A Faustian Deal
9. An Unexpected Guest
10. Great Northern Plague
11. The Alchemist

Line-up
Angus Norder – Vocals
Jensen – Guitar
Rikard Rimfält – Lead guitar
Sharlee D’Angelo – Bass
Chris Barkensjö – Drums

WITCHERY – Facebook

Heir – Au Peuple De l’Abîme

Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.

Abbiamo avuto a che fare con i blacksters francesi Heir, riguardo all’uscita del bellissimo split licenziato dalla Les Acteurs de l’Ombre lo scorso anno, dove i nostri dividevano la scena con Spectrale ed In Cauda Venenum.

Attivo da solo un paio d’anni in quel di Tolosa, il quintetto estremo rilascia il primo album, questo notevole pezzo di granito black/sludge dal titolo Au Peuple De l’Abîme, poco più di mezzora di black metal dai tratti atmosferici accentuati, violentati da chitarre torturate e portate al limite, accelerazioni e più lineari momenti dove le sfumature si fanno intimiste.
Black metal, post rock e sludge al servizio del metal estremo creato da questa giovane band che conferma le buone impressioni suscitate dallo split, con cinque brani medio lunghi nei quali  le caratteristiche peculiari del sound del gruppo sono ben rappresentate.
Un black metal per amanti del genere in versione più moderna, ed imbastardita dall’accoppiamento con generi lontani dalla furia primigenia dei gruppi classici, ma oltremodo stupefacente per le atmosfere estreme create.
Lo chiamerei black metal d’autore, non fosse che quando gli Heir decidono di distruggere lo fanno con una forza spaventosa e con brani d’impatto come Meltem o L’Ame Des Foules.
Un album che conferma le impressioni positive suscitate, quindi consigliato agli amanti di questa frangia del metallo nero.

Tracklist
1.Au Siècle des Siècles
2.L’Heure D’Helios
3.Meltem
4.L’Âme des Foules
5.Cendres

Line-up
F.B – Bass
D.D.A – Drums
L.H – Vocals
M.D – Guitars
M.S – Guitars

HEIR – Facebook

Enrico Sarzi – Drive Through

Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle nei primi anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici.

Buone nuove dalla Burning Minds, questa volta affiancata dalla Street Symphonies con la quale licenzia il primo lavoro solista di Enrico Sarzi, cantante dei rockers Midnight Sun con cui ha registrato due album.

Impegnato come ospite su due opere notevoli come l’album omonimo degli Shining Line e Moonstone Project, il musicista nostrano ha avuto l’occasione di suonare insieme a musicisti storici o autentiche leggende della scena hard rock internazionale come Glenn Hughes, Ian Paice e Robin Beck, esperienze importanti prima che la sua avventura solista diventasse il suo presente musicale.
Accompagnato da un gruppo di musicisti dalla provata esperienza nell’ambiente dell’hard rock, Sarzi ci invita all’ascolto di Drive Through, una raccolta di brani che spazia dal rock americano nato nella piovosa Seattle all’inizio degli anni novanta, fino a toccare lidi più cantautorali ed acustici, prima che l’elettrica torni a ruggire tra lo spartito che si sporca di blues.
Un album sentito, Drive Through, pregno di magiche atmosfere che ci portano tra malinconiche strade secondarie, tra fattorie che il tempo ha dimenticato mentre in noi si fa sempre il ricordo di un brano come Rooster degli Alice in Chains.
Non privo di ottimi inserti di fiati, solos dal taglio rock ed hard rock sempre in bilico tra grunge e hard rock settantiano, l’album vive di questa altalena di umori, mentre Sarzi passa agevolmente da toni cantautorali a parti nelle quali rivive lo spirito del miglior Cantrell (Nothing To Live For, The Repentant, la title track).
Le ballad come detto non mancano e sono tutte valorizzate da atmosfere e sfumature mai banali, piacevolmente intimiste raggiungono, con Strange Freedom a rappresentare il punto più alto, attraversata dal suono di un malinconico sax che lascia spazio all’assolo più bello di tutto l’album.
Drive Through rivisita il rock americano in un paio delle sue migliori vesti e conferma il talento, anche compositivo, di Enrico Sarzi.

Tracklist
01. Shameless
02. Afraid To Be Myself
03. Nothing To Live For
04. S.O.S. To God
05. Strange Freedom
06. The Repentant
07. Inferno
08. Let Me Go
09. Drive Through
10. Sex Perfume
11. Cielo

Line-up
Enrico Sarzi – Vocals, Acoustic Guitars
Cristiano Vicini – Electric Guitars
Marco Nicoli – Bass
Marco Micolo – Keyboards
Alessandro Mori – Drums

Special Guests:
Stefano Avanzi – Sax
Alberto Valli – Piano
Luciana Buttazzo – Vocals

ENRICO SARZI – Facebook

Solfernus – Neoantichrist

I quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti o con accelerazioni repentine, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

I Solfernus sono una band ceca che torna in pista dopo oltre un decennio di stop, guidata da Igor Hubik, attuale chitarrista degli storici Root.

Neoantichrist è un discreto lavoro, che denota venature heavy/thrash in fondo non lontane dal gruppo del grande vecchio della scena Big Boss, e comunque non aderisce in maniera totale ai dettami della scuola scandinava, approdando a una forma meno algida e solenne.
L’album è ben prodotto e suonato da musicisti che dimostrano padronanza del genere, pur senza un filo conduttore specifico e comunque di uno o più brani capaci di colpire in maniera indelebile, ma la sensazione è che comunque i Solfernus abbiano un approccio abbastanza disincantato e, nel complesso altrettanto diretto, senza propensioni sperimentali o modernismi assortiti.
Anche per questo i quaranta minuti di Neoantichrist scorrono via infatti piuttosto fluidi, con brani più catchy e dai chorus maggiormente ficcanti come la title track e Mistresserpent, o con le accelerazioni repentine contenute in Between Two Deaths, lasciando così un buon retrogusto proprio grazie all’assenza di qualsiasi traccia di pretenziosità.

Tracklist:
01. Ignis ~ Dominion
02. Glorifired
03. Mistresserpent
04. Pray For Chaos!
05. That One Night
06. Between Two Deaths
07. Once Upon A Time In The East
08. My Aurorae
09. Neoantichrist
10. Stone In A River

Line-up:
Khaablus – vocals
Igor – guitar, vocals
Paramba – bass
Paul Dread – drums

SOLFERNUS – Facebook

INFESTUS

Il lyric video di “My Mournful Charlotte”, dall’album “Dresses Of Darkness” (Club Inferno Ent.).

Il lyric video di “My Mournful Charlotte”, dall’album “Dresses Of Darkness” (Club Inferno Ent.).

Cryostasium – Starbound

Siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Cryostasium è il progetto solista di Cody Mallet, musicista di Boston decisamente prolifico.

Infatti, in poco meno di una quindicina d’anni di attività con questo monicker, Mallet ha assommato più di trenta uscite tra full length, split album ed ep, il che come sempre in questi casi lascia qualche dubbio sull’effettiva incisività di ciascuna di esse, stante il grande rischio di dispersione di idee.
Diciamo subito che il genere proposto dai Cryostasium è un black sperimentale, ritualistico e fortemente dissonante, il che non sarebbe affatto male se non fosse che lo schema compositivo è sempre piuttosto simile, con l’eccezione dell’incremento ritmico presente in The Eye.
Starbound è un ep indubbiamente coraggioso e anticonvenzionale ma è anche piuttosto difficile da digerire, perché diversamente dal canonico black ambient, la presenza di una base ritmica unita al tipico ronzio in sottofondo e di un vocalizzo lamentoso, riempie ben più del sopportabile i canali uditivi dell’ascoltatore.
In definitiva, siamo al cospetto di un’opera non deprecabile e nemmeno priva di spunti interessanti, ma caratterizzata dalla poca attrattiva, anche nei confronti dei più aperti alla fruizione di soluzioni sperimentali.

Tracklist:
01. Starbound
02. Magnetic
03. Melancholera
04. The Eye
05. Adventurine

Line-up:
Cody Maillet – everything

CRYOSTASIUM – Facebook

Wolfshead – Leaden

I quattro energumeni al comando del sound non concedono tregua, si spostano tra lente marce doom, come se la musica avanzasse con la neve alle ginocchia in mezzo alla tempesta, ed irrequiete frustate hard & heavy.

La Rockshots Records allunga le sue molte braccia e come una piovra stringe tra i suoi tentacoli realtà da molti paesi e di vari generi di cui si compone il mondo metallico.

I Wolfshead li incontriamo tra i mille laghi della natia Finlandia, la storia vuole la nascita del combo ad un concerto dei Pentagram nel 2011 e da quel giorno il quartetto ha prodotto un demo e due ep, per poi arrivare alla firma con la Rockshots e all’uscita di questo pesantissimo pezzo di granito heavy/doom dal titolo Leaden.
Heavy metal old school, appesantita da iniezioni di doom classico alla Pentagram/Candlemass e tante influenze che svariano tra Motorhead e Saint Vitus, Venom e Black Sabbath, incastonate in un sound selvaggio, sporco, cattivo e dannatamente coinvolgente.
Leaden è uno schiacciasassi metallico, un potente e pesantissimo asteroide in caduta libera sulla terra, una rompighiaccio che inesorabile avanza nel Mare del Nord, al suono di liturgie metalliche tra heavy metal e doom.
I quattro energumeni al comando del sound non concedono tregua, si spostano tra lente marce doom, come se la musica avanzasse con la neve alle ginocchia in mezzo alla tempesta, ed irrequiete frustate hard & heavy: ecco allora macigni evocativi ispirati dalla tradizione classica o lentissime agonie prima di cadere nel sonno prima del congelamento e l’inesorabile morte.
When the Stars Are Right risulta il picco compositivo di Leaden, una brano doom monumentale come la bellissima e conclusiva The Hangman, il resto viaggia su mid tempo heavy doom molto ispirati come l’opener Vukodlak e Purifier.
L’anima di Leaden è un sound old school, derivativo quanto si vuole ma tremendamente coinvolgente, almeno per chi ama il doom classico ed i suoni hard & heavy di matrice ottantiana.

Tracklist
1.Vukodlak
2.Children Shouldn’t Play with Dead Things
3.Purifier
4.When the Stars Are Right
5.Division of the Damned
6.Haruspex
7.Winds Over Potter’s Field
8.The Hangman

Line-up
Tero Laine – vocals
Ari Rajaniemi – guitar
Vesa Karppinen – bass
Jussi Risto – drums

WOLFSHEAD – Facebook

The Obsessed – The Obsessed

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obesessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Grandiosa ristampa rimasterizzata del primo disco omonimo dei The Obsessed, uno dei gruppi più influenti nel campo del doom metal e non solo.

Il disco era fuori catalogo da vent’anni circa e la Relapse Records ne fa una ristampa di lusso in diversi formati, ma la vera chicca è la presenza del demo mai pubblicato Concrete Cancer, fondamentale per comprendere la genesi e gli sviluppi futuri del gruppo. Fondati dal dio del doom metal Scott Wino Wenirich nel 1975, gli Obsessed sono stati molto di più di un gruppo pionieristico del doom metal, poiché hanno aperto molte porte per diversi stili musicali, che poi in fondo sono una diversa declinazione del rock pesante e del blues, e lo si può capire ascoltando questo fondamentale disco. Gli Obsessed proseguono un discorso iniziato dai Black Sabbath e lo portano ad un altro livello, fondendo la tradizione americana con un suono pesante e lugubre che più tardi prenderà il nome di doom metal. Chitarre ribassate, riff potenti e sezione ritmica “ossessiva”, ma non è tutto così scontato, poiché il gruppo originario del Maryland ha molte frecce al suo arco e le tira fuori tutti. Ci sono accelerazioni improvvise, momenti nei quali la voce di Wino si erge al di sopra di tutto, e anche cavalcate impetuose, come pure momenti di glacialità assoluta, quasi un moto immoto. The Obsessed è un disco che mostra la strada per fare un metal diverso, certamente influenzato dai suoni dell’epoca, ma ci sono moltissimi elementi rock ed un sottobosco blues non indifferente. Il demo Concrete Cancer ci mostra la genesi di questo suono, è un documento preziosissimo testimoniando quanto questi ragazzi avessero le idee chiare fin dall’inizio. Questo disco farà impazzire chi ama un certo metal, in particolare il doom, mentre chi non conosce questo genere, qui troverà un tesoro da scoprire. Sentire questo capolavoro a distanza di anni rende ancora più manifesta la grandezza di un gruppo che ha aperto e asfaltato la strada per molte band che sarebbero venute dopo, pur mantenendo la continuità con la tradizione precedente. The Obsessed ha una forza incredibile, è come un sabba in una dimensione sconosciuta, è minimale, come sarà minimale l’altra creatura di Wino, i Saint Vitus, ma è ricchissimo ed è davvero una pietra miliare. Presente inoltre un Live At The Bayou molto valido e con una qualità audio al di sopra della media, per capire cosa fosse questa band in concerto.

Tracklist
1 Tombstone Highway
2 The Way She Fly
3 Forever Midnight
4 Ground Out
5 Fear Child
6 Freedom
7 Red Disaster
8 Inner Turmoil
9 River of Soul
10 Concrete Cancer (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
11 Feelingz (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
12 Mental Kingdom (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
13 Hiding Masque (1984 unreleased Concrete Cancer demo cassette)
14 Ground Out – Feelingz (live at The Bayou 4-15-1985)
15 Concrete Cancer (live at The Bayou 4-15-1985)
16 No Blame (live at The Bayou 4-15-1985)
17 Mental Kingdom (live at The Bayou 4-15-1985)
18 Tombstone Highway (live at The Bayou 4-15-1985)
19 Iron and Stone (live at The Bayou 4-15-1985)
20 Rivers of Soul (live at The Bayou 4-15-1985)
21 Sittin on a Grave (live at The Bayou 4-15-1985)
22 Freedom (live at The Bayou 4-15-1985)

Lineup:
Scott “Wino” Weinrich – Guitars, Vocals
Mark Laue – Bass
Ed Gulli – Drums

THE OBSESSED – Facebook

Soyuz Bear – Black Phlegm

Black Phlegm è un album che magari non brillerà per la sua varietà ma esibisce un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Sludge doom di nortevole impatto per l’esordio su lunga distanza dei francesi Soyuz Bear.

Black Phlegm prende le mosse dalle migliori band del settore (oltre alle dichiarate influenze di Eyehategod e Iron Witch, vanno aggiunti anche gli imprescindibili Dopethrone) e, fin dalle prime note della title track, si capisce che il quartetto di Tolosa non ha nessuna intenzione di indulgere in passaggi che non siano contrassegnati da un riffing di pesantezza non comune.
In poco più di mezz’ora i Soyuz Bear vanno avanti senza tentennamenti con il loro incedere pachidermico ma sempre abbastanza diretto, fatta eccezione per il breve episodio rumoristico intitolato S.W.T.V.M. e per la violenta accelerazione impressa a Scrub.
Per il resto, questo nero monolite si abbatte con violenza sull’ascoltatore senza lasciargli scampo: nei brani più rallentati (Swollen in primis) ogni riff è una martellata che inchioda il malcapitato al suolo, ribadendo che Black Phlegm è un album che forse non brilla per la sua varietà, ma esibisce in compenso un impatto oggettivamente devastante in più di un frangente.

Tracklist:
1. Black Phlegm
2. Human Vanity
3. Dying People
4. Scrub
5. S.W.T.V.M.
6. Swollen

Line-up:
Val – Bass
Pierrick – Drums
Yoann – Vocals
Bast – Guitars

SOYUZ BEAR – Facebook

Spectrale – ▲

L’ascolto di quest’album dovrebbe essere obbligato per tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato dagli Spectrale.

Seguendo le varie scene underground, in tutti questi anni abbiamo avuto la fortuna di conoscere non solo band fuori dal comune, ma soprattutto etichette che fanno del portare a conoscenza di più persone possibili grande musica di qualsiasi genere si tratti.

Una di queste è sicuramente la label transalpina Les Acteurs de L’ombre Productions, che si cura di molte realtà estreme della scena del proprio paese con passione ed ottimo fiuto.
E’ così che le opere che l’etichetta ci propone all’attenzione hanno tutte un qualcosa per cui vale la pena soffermarsi all’ascolto, fuori dai soliti cliché e tutte valorizzate da enorme personalità.
Avevamo fatto la conoscenza degli Spectrale, band dal sound prevalentemente acustico, in occasione del bellissimo split in compagnia di altre due realtà dell famiglia Les Acteurs De L’ombre, gli In Cauda Venenum e gli Heir.
Giunge così anche per la creatura di Jeff Grimal il momento di licenziare il primo full length, questo , dal titolo che rispecchia il concept esoterico ed ipnotico della musica del chitarrista francese, misteriosa ed a suo modo estrema.
Credo che non ci sia assolutamente dubbi sulla natura estrema dei brani contenuti sull’album, ovviamente non si parla di sfuriate black o death metal, ma di ricami acustici che si muovono sinuosi tra le corde delle chitarre, creati dalla mente e dalle dita di questi straordinari musicisti che come maghi ci ipnotizzano e portandoci in mondi paralleli, lontano dagli isterismi di una società sempre più malata e vicino il più possibile a quello che ognuno di noi chiama Dio.
Quarantacinque minuti di musica estrema perché va aldilà dei soliti ascolti, ci invita a fermarci e per un po’ viaggiare al di sopra del mero mondo materiale sulle note delle stupende Attraction, la meravigliosa e pink floydiana Magellan e le due parti di Monocerotis suggestivi attimi musicali di questa splendida ed originale opera.
Gli Spectrale vanno oltre, l’ascolto di ▲ dovrebbe essere obbligato a tutti quelli che sostengono di amare la musica, ma sicuramente rimarrà ad esclusiva di pochi, noi comunque ci godiamo questo primo bellissimo rituale acustico donato da Jeff Grimal e soci.

Tracklist
1.Andromede
2.Contract
3.Attraction
4.Landing
5.Magellan
6.Monocerotis Part1
7.Monocerotis Part2
8.▲
9.Retour Sur Terre

Line-up
Jeff Grimal – Guitar
Léo Isnard – Drums,guitar
Xabi Godart – Guitar,noise
Raphael Verguin – Cello

SPECTRALE – Facebook