GENUS ORDINIS DEI

Il video di “Cold Water”, dall’album “Great Olden Dynasty”, in uscita a novembre (Eclipse Records).

Il video di “Cold Water”, dall’album “Great Olden Dynasty”, in uscita a novembre (Eclipse Records).

Mindfeels – XXenty

XXenty continua la missione intrapresa dai Mindfeels e ci regala quasi un’ora di musica delicatamente rock, raffinata ed elegante, mai sopra le righe sotto l’aspetto della grinta e tenuta a freno da una melodia che rifugge la banalità, perfettamente incanalata in un genere che dona emozioni ad ogni passaggio.

I Mindfeels sono un’altra notevole realtà nostrana che si affaccia sulla scena melodica grazie alla Art Of Melody/Burning Minds ed XXenty è il loro secondo lavoro, successore del debutto autoprodotto licenziato sotto il monicker Dejanira e che vedeva al microfono la cantante Raffaella Miani.

Dopo alcuni anni ed alcune importanti novità come un contratto discografico, un nuovo protagonista dietro al microfono, con Davide Gilardino a prendere il posto della Miani, e il cambio di monicker in Mindfeels, la band biellese taglia il traguardo del secondo album, sempre all’insegna di un rock melodico dal sound debitore degli storici Toto e pregno di sfumature West Coast, la principale fonte d’ispirazione.
XXenty continua la missione intrapresa dal gruppo e ci regala quasi un’ora di musica delicatamente rock, raffinata ed elegante, mai sopra le righe sotto l’aspetto della grinta e tenuta a freno da una melodia che rifugge la banalità, perfettamente incanalata in un genere che dona emozioni ad ogni passaggio.
Quando il genere si fa adulto riesce a far sognare e l’ascoltatore si ritrova a viaggiare sullo spartito di brani dall’appeal straordinario come l’opener Don’t Leave Behind, il primo singolo e video Soul Has Gone Away, la superba ed ipnotica Speed, la delicata These Words e Fear, brano da arena rock sorretto da chitarre più arrembanti e un andamento leggermente più ombroso.
La prova dei musicisti è del giusto livello per rendere l’album un’opera imperdibile per gli amanti del rock melodico influenzato dalla scena West Coast e, a conferma di ciò, nella versione in cd compare una nota introduttiva di Kenneth Bremer, caporedattore del noto portale internazionale Blue Desert.

Tracklist
01. Don’t Leave Me Behind
02. Soul Has Gone Away
03. Hidden Treasures
04. The Joker
05. Skyline
06. Speed
07. These Words
08. Fear
09. It’s Not Like Dying
10. Touch The Stone
11. The Number One

Line-up
Davide Gilardino – Lead & Backing Vocals
Luca Carlomagno – Guitars, Keyboards & Violin
Roberto Barazzotto – Bass
Italo Graziana – Drums
Special Guest :
Christian Rossetti – Keyboards

MINDFEELS – Facebook

Binary Creed – A Battle Won

A Battle Won è un ottimo esempio di power metal scandinavo dalle venature progressive con cui i Binary Creed costruiscono un muro di metallo, valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.

Chi di musica vive da qualche decennio sa come, anche nel metal e nelle sue ramificazioni, le mode dettino legge così che una band che fino a pochi anni fa risultava cool e di conseguenza meritevole d’attenzione e di recensioni positive, diventa inutile e criticata nel momento in cui il genere suonato non attira più le attenzioni della massa di ascoltatori soggiogati dai media di turno.

E’ successo con il metal classico o per esempio con il grunge, genere che nel periodo di massimo splendore vedeva le recensioni positive di gruppi al primo ed unico album fare bella mostra di sé, per poi finire nell’animato appena poco tempo dopo, tacciate come band obsolete.
Per il power metal sta succedendo la stessa cosa, essendo stato in questi anni surclassato dalle sinfonie gotiche e metalliche e, a parte i grossi nomi non ,valorizzato come una quindicina d’anni fa.
Eppure di album meritevoli se ne continuano ad incontrare girovagando virtualmente per l’underground, come questo a mio avviso bellissimo A Battle Won, secondo lavoro sulla lunga distanza degli svedesi Binary Creed, quintetto che con il power metal scandinavo dalle venature progressive costruisce un muro di metallo valorizzato da ottime e possenti ritmiche, da una chitarra dallo spirito neoclassico nei solos e da un vocalist che sa come far risplendere le trame create dai suoi compagni.
A Battle Won non si può considerare un capolavoro, ma semmai un gradito ritorno al sound che tanto ha fatto impazzire i fans del genere nella seconda metà degli anni novanta, avendo tutte le virtù richieste, come tenere l’ascoltatore legato alla poltrona con assoli tempestosi ma raffinati, buone melodie e cavalcate che si trasformano in bellissimi mid tempo epici e suggestivi di scuola Dio (A Better Man).
Il resto è un susseguirsi di riff e refrain sicuramente già sentiti ma piacevoli, tra Stratovarius, Pyramaze e quel tocco oscuro tipico del filone power progressivo scandinavo alla Morgana Lefay.
Questo è un album che, se fosse uscito sul finire del secolo scorso. avrebbe detto la sua: purtroppo non sono più quei tempi, ma noi di MetalEyes non ne facciamo un problema, buon ascolto.

Tracklist
01. Servants
02. Lurking in the Shadows
03. In a Time to Come
04. The Fallen King
05. The Ones to Bleed
06. Safer Than Now
07. A Better Man
08. Black Storm
09. These Hands
10. Journey Without End

Line-up
Robert Rasmussen Ahlenius – bass
Peter Widding – drums
Stefan Rådlund – guitars
Peo Olofsson – keyboards
Andreas Stoltz – vocals

BINARY CREED – Facebook

Motherslug – The Electric Dunes Of Titan

I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo loro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza.

I Motherslug sono un gruppo che porta l’ascoltatore davvero lontano, con una proposta musicale fatta di stoner, sludge, ma soprattutto di un groove psichedelico pesante e costante, che continua a macinare eoni sonori.

La base di partenza può essere considerata lo stoner desert, e da lì si parte per un viaggio nello spazio. Il titolo nasce dalla notizia che su Titano le dune hanno una carica elettrica, e il gruppo di Melbourne rende tutto ciò in musica con un’opera maestra, un indicare vie sconosciute. I Motherslug pubblicano uno dei migliori dischi dell’anno nel genere, e i contendenti non sono da poco, ma questo lavoro è veramente un bell’esempio di come si può riuscire a coniugare belle cose e pesantezza. Ci sono pezzi che fluttuano in uno strano etere, altri momenti di durezza monolitica e tanta musica psichedelicamente dura. Questi australiani non hanno paura di sperimentare, e fanno quello che prefersicono, seguendo il loro stile e le loro viziose inclinazioni fino in fondo. Non ci sono cose trite o copiate, qui è tutto originale seguendo un percorso sonoro nato nel 2012 e che progredisce di disco in disco. Troppi dischi di questo genere sono simili fra loro e stereotipati, mentre questo album indica una via da seguire per viaggiare a pieni polmoni. Non c’è fretta, si deve solo calibrare la mente sulle vibrazioni degli Motherslug, e The Electric Dunes Of Titan farà il resto. Difficilmente in questo ambito si sente una tale completezza sonora, le composizioni nascono dalle jam, ma c’è molto di più, ed è tutto da sentire.

Tracklist
1.Electric Dunes of Titan
2.Downriver
3.Followers of the Sun
4.Stoned by the Light
5.Serpents
6.Staring at the Sun
7.Tied to the Mast
8.Cave of the Last God

Line-up
Regan: Guitar
Cyn: Bass
Nick: Drums
Cam: Vocals

MOTHERSLUG – Facebook

Nazghor – Infernal Aphorism

La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.

Tenendo fede alle proprie ormai consolidate abitudini, gli svedesi Nazghor offrono al fans del black metal melodico di matrice svedese il loro annuale full length intitolato Infernal Aphorism.

Al sesto lavoro su lunga distanza in altrettanti anni di attività, i Nazghor si pongono quali ideali continuatori della tradizione del paese delle Tre Corone riguardo a questa derivazione del genere, che prende le mosse dagli imprescindibili Dissection, per arrivare fino ai giorni nostri ai Dark Funeral e ai Watain.
La band di Uppsala conferma quanto di buono fatto in passato, ribadisce l’approdo ad una tendenza maggiormente melodica già evidenziata nel precedente Death’s Withered Chants e, mirabilmente, continua a non deludere le attese, regalando un’altra ora di black inattaccabile per resa sonora, esecuzione e brillantezza compositiva.
Se l’originalità è qualcosa sulla quale, in determinati ambiti musicali, va messa sopra fin da subito una bella pietra (tombale), non si può fare a meno di salutare con favore un album come Infernal Aphorism, vero manifesto di un modo di interpretare il metal estremo in maniera impeccabile, con un brano emblematico quale The Darkness Of Eternity, esaltante nel suo incedere epico e solenne, con una magnifica impronta melodica che si staglia su ritmiche talvolta parossistiche.
Se vogliamo, queste sono le caratteristiche di tutti i brani, ma ciò non significa che il sound sia uniforme e senza variazioni sul tema: se il trademark resta comunque quello ampiamente descritto, troviamo comunque frequenti variazioni ritmiche e persino eleganti passaggi pianistici o tastieristici che, sovente, introducono i brani preparando sapientemente il terreno al deflagrare degli altri strumenti (emblematica in tal senso l’altra perla dell’album, Absence Of Light).
Nonostante i Nazghor si spingano oltre l’ora di durata, il loro Infernal Aphorism scorre via fluido e senza annoiare, facendosi al contrario ricordare per più di un episodio davvero riuscito: inutile dire che per i fans delle band citate quali termini di paragone o ispirazione, l’ascolto di quest’album è quanto meno doveroso.

Tracklist:
1. Opus Profanus
2. Malignant Possession
3. Decretion At Eschaton
4. The Darkness Of Eternity
5. Deathless Serpent
6. Rite Of Repugnant Fury
7. Ephemeral Hunger
8. Spawns Of All Evil
9. Absence Of Light
10. Infernal Aphorism

Line up:
Nekhrid – Vocals
Armageddor – Guitars
Angst – Guitars
Crowlech – Bass
Cosmarul – Drums

NAZGHOR – Facebook

Resistance – Metal Machine

La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Una bomba metallica sta per esplodere sulla scena heavy/power metal mondiale, sulla fiancata porta la scritta Resistance ed è partita da Glendora, California.

La devastante portata dell’esplosione travolgerà una buona fetta dei paesi dove si suona e si ascolta heavy metal classico, forgiato nell’acciaio, duro come un incudine e travolgente come un tornado.
Judas Priest, Primal Fear e Vicious Rumors sono i padrini di questa miscela di otto brani arrembanti e taglienti, dalle ritmiche che alternano il tradizionale impatto priestiano di Painkiller con dosi mortali di power/thrash statunitense, arma in più del sound del gruppo californiano.
La carriera dei Resistance parte all’alba del nuovo millennio, anche se i protagonisti si aggirano nella scena metallica dalla seconda metà degli anni ottanta, con questo terzo full length licenziato dopo un paio di ep ed altre due prove sulla lunga distanza, uscite tra il 2004 ed il 2006 (Lies In Black e Patents Of Control) ed un altro ep uscito un paio di anni fa a rompere un silenzio di undici anni.
Poco male i Res,istance ritornano più grintosi che mai con questo Metal Machine, con guru del calibro di Bill Metoyer e Neil Kernon a dividersi produzione, masterizzazione e mix, ed otto brani incendiari che si alternano nel rimembrare ai metallari della vecchia guardia le scudisciate a suon di heavy metal dei gruppi di un tempo e con un accenno al metal stradaiolo alla W.A.S.P., che esce prepotentemente verso la fine e valorizza brani come Dirty Side Down e Heroes.
La cover del classico Blackout degli Scorpions chiude in bellezza Metal Machine, album da spararsi senza ritegno o da usare come arma di disturbo per il vicino troppo attento ai rumori provenienti dallo stereo piazzato nella vostra stanza.

Tracklist
1. Metal Machine
2. Hail to the Horns
3. Rise and Defend
4. Some Gave All
5. Time Machine
6. Dirty Side Down
7. Heroes
8. Blackout (Scorpions Cover)

Line-up
Robbie Hett – Vocals
Dan Luna – Guitars
Burke Morris – Guitars
Paul Shigo – Bass
Matt Ohnemus – Drums

RESISTANCE – Facebook

Coraxo – Sol

I Coraxo licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra generi sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.

Il metal e le decine di modi in cui si può esprimere si avvia verso il 2018 lasciando in eredità grandi album come questo spettacolare Sol, secondo lavoro sulla lunga distanza dei Coraxo, duo finlandese attivo da qualche anno e con due ep ed il full length Neptune a completare la discografia.

Un sound molto particolare, che unisce svariati generi, in un clima estremo e progressivo, è quello che sentirete dopo aver premuto il tasto play del vostro lettore, entrando in un mondo in cui melodic death metal, progressive ed elettronica vivono in perfetta simbiosi.
Sol è composto da undici tracce che variano per umori ed atmosfere, estremo nel suo mantenere un impatto metallico potente, progressivo nei suoni tastieristici che ricordano il new prog britannico (quindi per rimanere nella penisola scandinava gli immensi Nightingale) e pregno di atmosfere elettroniche che rendono la musica del duo moderna e catchy.
Tomi Toivonen e Ville Vistbacka da Tampere licenziano un piccolo gioiellino metallico, un raccolta di sensazioni e sfumature che portano inevitabilmente verso la perfetta simbiosi tra i generi descritti, sfiorando i capolavori progressivi di Dan Swanö e dei suoi innumerevoli progetti.
I tasti d’avorio sono assolutamente protagonisti, le ritmiche si fanno estreme come il growl che accompagna la voce pulita e a tratti teatrale e declamatoria (Arcturus), mentre tra le note delle splendide Satellite, Retrograde, Revenants, tanto per nominarvene alcune, riecheggiano trent’anni di musica nata e sviluppata soprattutto nelle fredde terre del nord.
Il progressive incontra il death metal melodico e la new wave, e tra i solchi di Sol avrete il piacere di incontrare vecchi amici come Hypocrisy, Arcturus, Edge Of Sanity e Nightingale, con l’elettronica ed un pizzico di sci-fi a trasformare il tutto in un turbinio di spettacolare musica senza confini né tempo.

Tracklist
1.Your Life. Our Future
2.Of Stars Reborn
3.Satellite
4.Helios
5.Retrograde
6.Revenants
7.Ascension
8.Sunlight
9.Sacrifices Made
10.The Chase – In Hiding pt. 1
11.Spearhead

Line-up
Tomi Toivonen – Vocals, Guitars, Keyboards
Ville Vistbacka – Drums

CORAXO – Facebook

Folkstone – Ossidiana

Ossidiana è uno scrigno colmo di gioie e grande musica, per un gruppo che è decisamente una delle cose migliori che abbiamo in Italia, poiché riesce a rendere in musica e nelle parole una grande gamma di sensazioni e cose perse nei tempi andati.

Riesce davvero difficile definire folk metal i Folkstone, perché questo gruppo è molto più.

Il loro sesto album è molto maturo e completo e segna un ulteriore avanzamento nel viaggio che hanno intrapreso i Folkstone. Il gruppo sentiva il bisogno di una nuova fusione tra musica e parole, e l’hanno trovata progredendo ulteriormente, e Ossidiana è un disco di musica completa e di grande sostanza. Nel 2014, in Oltre L’Abisso, i Folkstone fecero una cover di Tex dei Litfiba, e con il gruppo fiorentino di quel tempo condividono quella maniera così efficace di unire immagini e parole, formando una narrazione che trasporta davvero lontano: non sono mai stati un gruppo ovvio e scontato, ma in questo disco raggiungono un livello superiore, mai toccato in Italia. Troppo spesso il folk metal viene bollato come genere vuoto, mentre ascoltando questo disco si capisce la ricchezza di questo linguaggio musicale quando finisce nelle mani giuste. I Folkstone fanno un’epica delle nostre vite, hanno testi profondi ed introspettivi e la musica è splendida, quasi come se ci trovassimo davvero in un’altra era, forse più vicina alla nostra anima. Tutto qui è curato nel minimo particolare, la registrazione a Zurigo ha giovato molto, e si sente un continuo miglioramento del loro livello. L’album è musicalmente molto ricco e tutte le canzoni entrano nel cuore e nella mente, aprendo entrambi ad emozioni notevoli. I Folkstone ci portano in giro per il mondo, abbattendo barriere che non hanno davvero senso, contano solo i sentimenti e qui ce ne sono davvero molti. Ossidiana è uno scrigno colmo di gioie e grande musica, per un gruppo che è decisamente una delle cose migliori che abbiamo in Italia, poiché riesce a rendere in musica e nelle parole una grande gamma di sensazione e cose perse nei tempi andati.

Tracklist
01. Pelle Nera e Rum
02. Scintilla
03. Anna
04. Psicopatia
05. Asia
06. Scacco al Re
07. Mare Dentro
08. E Vado Via
09. Istantanea
10. Supernova
11. Dritto al Petto
12. Sabbia Nera
13. Ossidiana

Line-up
Lorenzo Marchesi: Vocals
Roberta Rota: Pipes, Vocals, Rauschpf
Matteo Frigeni: Pipes, Hurdy Gurdy, Rauschpf
Maurizio Cardullo: Pipes, Woodwinds, Cittern
Andrea Locatelli: Pipes, Percussions, Rauschpf
Federico Maffei: Bass
Luca Bonometti: Guitars
Edoardo Sala: Drums

FOLKSTONE – Facebook

RAIN

Il video di “Black Ford Rising”, dall’album “Spacepirates” (Aural Music).

Il video di “Black Ford Rising”, dall’album “Spacepirates” (Aural Music).

Deep As Ocean – Broken Dreams

La proposta dei Deep As Ocean è un metalcore molto melodico e curato rivolto al pubblico più giovane, con intarsi tecnici al di sopra della media, ma sono anche in grado ben altro se lo volessero.

I Deep As Ocean nascono a Milano nel 2016 per mano dei fratelli Buttò, già nei Generation Fuckstar, e vengono completati da Matteo Bonfanti alla voce (See You Inside), Matteo Acquati al basso (Diamond Breakers) e Manuel Panepinto alla chitarra.

La loro proposta sonora è un metalcore molto melodico e curato rivolto al pubblico più giovane, con intarsi tecnici al di sopra della media, ma sono anche in grado ben altro se lo volessero. Senza andare troppo nel campo dell’ipotetico, questo ep di esordio è veramente ben prodotto e suona molto meglio dei dischi di altri nomi molto più celebrati ed in voga. Il metal qui è più un linguaggio che un genere, e viene usato per fare da contrappeso alla melodia: il risultato è buono, radiofonico e piacerà molto. A mio modesto avviso le critiche a gruppi come questo sono futili, perché questi ragazzi fanno molto bene, con passione e competenza la loro cosa, quindi se non piacciono il mondo musicale è sterminato e ci si deve rivolgere altrove. Essendo un debutto colpisce la loro già ben definita identità musicale e la forza nel portarla avanti. In questo core melodico si affaccia, portato dalle tastiere, qualche elemento dark gotico che potrebbe essere uno sviluppo futuro della loro musica; Broken Dreams resta un lavoro rivolto ad un pubblico ben definito, ma senz’altro dai molti aspetti positivi.

Tracklist
1. FLY OR FALL
2. BROKEN DREAMS
3. WASTED
4. FIGHT FOR SOMETHING
5. DEAD MAN

Line-up
Matteo Bonfanti – Vocals
Alberto Buttò – Guitar
Manuel Panepinto – Guitar
Matteo Acquati – Bass
Riccardo Buttò – Drums

DEEP AS OCEAN – Facebook

Granada – Sincronizado

Un carro armato che sputa rabbia, i Granada targati Sincronizado sono questo, prendere o lasciare, con la lingua madre che rientra nell’attitudine underground del gruppo ed uno sguardo al thrash metal statunitense inebriato dal crossover, in uso a cavallo dei due millenni.

Si torna in Argentina per parlarvi dell’ultima uscita targata Granada, thrash metal band di Buenos Aires già protagonista sulle pagine della nostra webzine un anno fa in occasione dell’uscita del precedente Prisionego.

Licenziato dalla Symbol of Domination Prod., quest’ultimo lavoro non cambia di una virgola la proposta del gruppo, che si aggira per i meandri metallici tra thrash metal e hardcore, con testi di denuncia politica e sociale e un sound che non lascia scampo, offrendo un rabbioso metallo cantato in lingua madre con  qualche passo nel groove, così da rendere ancora più potente l’impatto .
Un carro armato che sputa rabbia, i Granada targati Sincronizado sono questo, prendere o lasciare, con la lingua madre che rientra nell’attitudine underground del gruppo ed uno sguardo al thrash metal statunitense inebriato dal crossover, in uso a cavallo dei due millenni.
Meno panteriano del predecessore, Sincronizado è un terremotante album di thrash metal moderno, dalle ispirazioni punk/hardcore, quindi immaginatevi Nailbomb, Pro Pain e i Machine Head del sottovalutato The Burning Red, miscelati con attitudine e spirito preso in prestito dalla scena hardcore.
Dieci brani ed  altrettante prese di posizione sulle barricate, dieci cariche contro il sistema, atti di denuncia e mitragliate nel fondo schiena, mentre il fumo degli incendi si fa più spesso e le vetrine si infrangono sotto i colpi delle varie Poseso, Sincronizado o La Cosecha.
Per gli amanti del genere i Granada sono una garanzia di sfogo, si schiaccia il tasto play e si parte all’assalto senza se e senza ma.

Tracklist
1.Poseso
2.Sincronizado
3.Mensaje oculto
4.Provocación
5.Solve et Coagula
6.La cosecha
7.La serpiente
8.Almas vendidas
9.Prohibido por la luz
10.Más allá de la muerte

Line-up
Manuel “Manolo” Mauriño – Guitars
Guillermo “Guille” Estevez – Vocals, Guitars
Marcos Edwards – Drums
Matias Brandauer – Bass

GRANADA – Facebook

Dirty Grave – Evil Desire

Evil Desire è un lavoro più che onesto da parte di una band capace comunque di trasmettere buone vibrazioni e che trova il modo di non tediare l’ascoltatore grazie ad un approccio piacevolmente naif.

Full length d’esordio per i paulisti Dirty Grave, band il cui sound deriva in maniera quanto mai esplicita dai giganti del classic doom, partendo dai Black Sabbath per arrivare ai Saint Vitus e, soprattutto, ai Pentagram.

Il gruppo del redivivo Bobby Liebling pare essere, infatti, il principale punto di riferimento di questi musicisti, i quali non si pongono particolari problemi al riguardo, offrendo una prova di sostanza che, probabilmente, non entrerà negli annali del genere ma è ugualmente in grado di lasciare buone sensazioni all’ascoltatore.
Uno dei pregi del trio brasiliano è quello di non risultare monotematico, consentendo alla propia matrice tradizionalmente doom di espandersi verso sfumature diverse, come il blues della cover di Willie Dixon, Evil (Is Going On), l’inprinting hendrixiano della title track, l’hard rock psichedelico di Satan’s Wings, questo tanto per citare solo alcune della canzoni di un album piuttosto scorrevole e che lascia in chiusura la più oscura e minacciosa The Black Cloud Comes.
Psichedelia e blues sono comunque le due componenti che vanno a compenetrarsi con le radici più profonde del doom il che, complice una produzione abbastanza sporca, conferisce all’album quell’aura vintage che indubbiamente si confà a simili coordinate sonore.
Evil Desire è un lavoro più che onesto da parte di una band capace comunque di trasmettere buone vibrazioni e che trova il modo di non tediare l’ascoltatore grazie ad un approccio piacevolmente naif.

Tracklist:
01. Satan’s Wings
02. Until The Day I Die
03. Evil Desire
04. Evil (Is Going On) [Willie Dixon cover]
05. Beyong The Door
06. Remorse
07. You Dead
08. The Black Cloud Comes

Line-up:
Mark Rainbow – vocal, bass
Victor Berg – guitar
Arthur Assis – drums

DIRTY GRAVE – Facebook

Stairs Of Life – The Man In A Glass

Un rock che spazia tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.

Progressive rock moderno e alternativo, ormai non più così originale come qualche anno fa, ma molto suggestivo e drammaticamente dark.

The Man In A Glass è il debutto in formato ep dei nostrani Stairs Of Life, gruppo attivo nella capitale da qualche anno e ora sul mercato grazie alla Sliptrick Records.
Un rock che spazia, dunque, tra vari generi, a tratti sfiorando la musica d’autore, sempre velato di melanconia dark e per questo vicino alle nuove leve della musica progressiva, meno legate al tecnicismo e più aperte a soluzioni emozionali ed intimiste.
Meno metal di quello che ci si poteva aspettare, il sound del gruppo romano si incupisce e, dolcemente intriso di disperata malinconia, porta con sé quel male di vivere e storie al limite raccontate con buona padronanza della materia che nella musica degli Stars Of Life si traduce in atmosfere e sfumature progressivamente tinte di grigio, colore dell’anima di chi usa l’alcol (The Man in the Glass) per sfuggire alla realtà, di chi perde una persona amata (You Are Gone) o chi è costretto ad interpretare un ruolo non suo per affrontare la vita di tutti giorni (The Mask).
La musica della band segue quindi il mood oscuro e melanconico del progressive moderno e dai rimandi alternativi, quindi le ispirazioni del gruppo vanno dai Porcupine Tree agli ultimi Anathema, passando per le classiche influenze pinkfloydiane.
The Man In A Glass è un buon esordio e se il genere è presente nelle vostre corde, vi saprà regalare una ventina di minuti di musica raffinata ed emozionante.

Tracklist
01. Mask
02. The Man In A Glass
03. You Are Gone
04. Our Lady Of Grace

Line-up
Luca Aldisio – Vocals, Acoustic Guitar, Flute
Alessio Erriu – Electric Guitar
Giordano Maselli – Bass, Keyboards, Synth
Fabio Vitiello – Drums

STAIRS OF LIFE – Facebook

We Came As Romans – Cold Like War

Un disco come Cold Like War è diretto ad una tipologia ben precisa di pubblico, e non si può disprezzare solo perché non è vero metal o per altri motivi, ma bisogna contestualizzarlo.

I We Came As Romans sono un gruppo americano fra i più famosi nella galassia metalcore/metal moderno.

Di metal in loro, a dire il vero, se ne può trovare molto poco, ci sono chitarre abbastanza potenti e distorte che contribuiscono a dare un suono al cento per cento a stelle e strisce, in maniera da coniugare una supposta durezza con una grande melodia, creando un suono molto caro agli adolescenti. Il gruppo proviene dal Michigan ed è attivo dal 2009, e tutti i suoi dischi sono stati venduti in maniera abbastanza cospicua anche in tempo di crisi, soprattutto perché rivolti ad un pubblico adolescenziale, che frequenta molto anche i loro concerti. Un disco come Cold Like War è diretto ad una tipologia ben precisa di pubblico, e non si può disprezzare solo perché non è vero metal o per altri motivi, ma bisogna contestualizzarlo. Gruppi di questo tipo sono qualcosa che non è metal, ma inteso nel senso strettamente sonoro. Tutto in questo gruppo è curato fin nel minimo dettaglio, dai momenti maggiormente melodici agli intarsi di elettronica, ai video che hanno un’eccellente regia, tutto sotto controllo insomma. Le canzoni hanno il medesimo schema sonoro, e come detto sopra sono tutte per un pubblico specifico. La Sharptone Records, sussidiaria della Nuclear Blast, continua nella sua opera di diffusione di tutto lo spettro del metalcore e post hardcore, anche se questa non è sicuramente la loro migliore opera nel catalogo, ma commercialmente sarà una vittoria, e magari qualche canzone finirà anche in una colonna sonora di un film per adolescenti.

Tracklist
1. Vultures With Clipped Wings
2. Cold Like War
3. Two Hands
4. Lost in the Moment
5. Foreign Fire
6. Wasted Age
7. Encoder
8. If There’s Something to See (Feat. Eric Vanlerberghe from I Prevail)
9. Promise Me
10. Learning to Survive

WE CAME AS ROMANS – Facebook

Exarsis – New War Order

Una serie di mitragliate senza soluzione di continuità, a tratti davvero notevoli nel loro viaggiare a velocità proibitive senza perdere la bussola di un songwriting sicuramente derivativo, ma assolutamente perfetto se guardiamo solo al genere suonato.

Per i fans del thrash metal old school, unito da una non troppo sottile linea con lo speed, l’ultimo lavoro della thrash metal band greca degli Exarsis è un calcio nel deretano di dimensioni apocalittiche, un massacro metallico veloce come il vento e pesante come un incudine.

Detto questo chiariamo subito che l’opera è il classico album che sarà tanto apprezzato da chi ama il genere, quanto avversato da chi il thrash ignorantissimo della band lo odia come il campanello di casa che suona il giorno della benedizione delle case da parte del parroco del quartiere.
Doppia voce, con quella in falsetto a rimembrare i classici vocalist di una volta che tormentavano i padiglioni auricolari di noi giovani marmotte dell’heavy metal, ritmiche che vanno talmente veloci da uscire di giri come il motorino nelle lunghe discese prima di affrontare la lentissima salita con un minimo di spinta e chitarre che tagliano l’aria come le lamette del rasoio di papà il giorno del taglio del primo pelo sul mento.
New War Order è già il quarto album in sette anni di attività, quasi un records di questi tempi, segno che l’entusiasmo è ai massimi livelli e le idee tante, con la qualità che si assesta sulla sufficienza abbondante, merito di un impatto che scaraventa al muro ed un’attitudine old school che farà la gioia dei metallari con chiodo, jeans e scarpe ginniche d’ordinanza.
Qui il thrash metal è alimentato dall’anima metallica dei gruppi americani, Overkill in testa, con una serie di mitragliate senza soluzione di continuità a tratti davvero notevoli nel loro viaggiare a velocità proibitive senza perdere la bussola di un songwriting sicuramente derivativo, ma assolutamente perfetto se guardiamo solo al genere suonato.
Inutile a mio parere elencare i brani che, come detto, escono a raffica dagli altoparlanti, uno più veloce dell’altro in uno tsunami di note metalliche … thrash rules!

Tracklist
1.Zionism (The Reaping)
2.Twisted Logic
3.The Underground
4.General Guidance
5.Just Buried
6.Chaos Creation
7.Prophet for Profit
8.Combined Disasters
9.HAARP Weapon
10.Human Project

Line-up
Chris Poulos – Bass
Achilleas Kamzolas – Drums
Kostis Foukarakis – Guitars
Nick J. Tragakis – Vocals
Antonis Lambrakis – Guitars

EXARSIS – Facebook

Apotelesma – Timewrought Kings

Timewrought Kings è un lavoro aspro e piuttosto parco di spunti melodici, e nonostante il suo buon livello la sensazione è che gli Apotelesma non abbiano ancora dato per intero quanto sembra essere nelle loro possibilità, sperando che questo non sia davvero il loro ultimo atto.

Timewrought Kings è il primo album degli olandesi Apotelesma ma rischia d’essere anche l’ultimo, visto che subito dopo la sua realizzazione la band ha deciso di sospendere l’attività a tempo indeterminato.

Un peccato, perché questi ragazzi, partiti nel 2012 con il monicker Monuments, con il quale hanno prodotto un ep, paiono padroneggiare con buona disinvoltura la materia death doom e, non a caso, hanno attirato l’attenzione di una label specializzata in tali sonorità come la Solitude. Timewrought Kings è un lavoro aspro e piuttosto parco di spunti melodici, riconducibili a qualche fugace litania chitarristica o nei passaggi che accompagnano la voce pulita, per cui le uniche variazioni sul tema sono quelle ritmiche, sotto forma di momenti più liquidi e rarefatti che si trovano in queste quattro tracce principali (la terza, che dà il titolo all’album, è in realtà un breve episodio strumentale).
Rispetto alla scuola olandese gli Apotelesma hanno attinto qualcosa dagli Officium Triste, soprattutto nelle fasi più rallentate ed evocative, quando l’incedere si fa più dolente, ma della band di Blankenstein non possiedono lo stesso appeal melodico, il che rende l’album decisamente valido ma piuttosto avaro di sprazzi di autentica e dolorosa bellezza.
La tracklist è di valore piuttosto uniforme, con la più rocciosa The Weakest of Men che si fa preferire per la sua organicità unita a diversi ottimi spunti chitarristici, ma il tutto fa ritenere ragionevolmente che gli Apotelesma non abbiano ancora dato per intero quanto sembra essere nelle loro possibilità; a questo punto, non fosse altro che per verificare la fondatezza di questa impressione, non resta che sperare che il periodo di riflessione preso dalla band sia solo un momento di stand-by e non la fine definitiva di un avventura, in fondo, appena iniziata.

Tracklist:
1. Aural Emanations
2. The Weakest of Men
3. Timewrought
4. Our Blooming Essence
5. Remnants

Line-up
Martijn Velberg – Drums
Ruben – Guitars (lead)
Yuri Theuns – Guitars (rhythm), Vocals (backing)
Mitch van Meurs – Vocals (lead)
Dennis Tummers – Bass

APOTELESMA – Facebook

Chaos Moon – Origin of Apparition and Languor into Echoes, Beyond

La Folkvangr Records rimette in circolazione in un unica confezione i due primi full length in formato musicassetta dei Chaos Moon, Origin of Apparition e Languor into Echoes, Beyond, usciti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nel 2007.

La Folkvangr Records rimette in circolazione in un unica confezione i due primi full length in formato musicassetta dei Chaos Moon, Origin of Apparition e Languor into Echoes, Beyond, usciti a pochi mesi di distanza l’uno dall’altro nel 2007.

Sono passati quindi dieci anni ma, ascoltando la prima parte, sembra che il tempo trascorso sia molto di più: Origin of Apparition è infatti un album discreto nel suo muoversi tra il black atmosferico e venature depressive ma viene affossato da una produzione pessima e dalla voce di Alexander Pool, uno strillo che a tratti diviene difficilmente sopportabile.
Vengono così vanificati buoni spunti all’intero di un contesto decisamente minimale, offrendo un risultato poco appetibile ma, per fortuna, il tutto viene risollevato da Languor into Echoes, Beyond, che, ascoltato subito dopo Origin of Apparition, sembra quasi frutto dell’operato di un’altra band.
In effetti, in tal senso non credo sia estraneo alla migliore riuscita dell’album l’affiancamento del mastermind da parte del tastierista e cantante Mark Hunter il quale, senza fare cose spettacolari, offre perlomeno uno screaming in linea con i dettami del genere, gratificando così anche una migliore registrazione. Languor into Echoes, Beyond, peraltro, nonostante la presenta di un musicista dedicato ai tasti d’avorio, in partenza va via molto più diretto e meno atmosferico rispetto al predecessore, risultando nel contempo più compatto, per poi aprirsi a diversi passaggi anche di di matrice ambient, racchiusi in buona parte nella lunghissima Simulacrum of Mirrors, e riacquistando una certa ariosità nelle due tracce conslusive, Hymn to Iniquity e Countless Reverie in Mare.
La progressione di Poole, musicista decisamente prolifico ed impegnato in molti altri progetti, continuerà poi con il buon Resurrection Extract, nel quale le già valide intuizioni presenti in Languor into Echoes, Beyond verranno ulteriormente sviluppate.
Questa operazione resta comunque abbastanza appetibile non solo per gli affezionati al formato cassetta, che sta prendendo nuovamente piede sia per i costi contenuti sia per una resa sonora che si confà soprattutto al metal estremo, ma anche per chi segue con attenzione la scena black d’oltreoceano ed attende il nuovo full length dei Chaos Moon, di imminente uscita.

Tracklist:
Tape 1 – Origin of Apparition
1. Illusions of Dusk and Dawn
2. Aether Aurora
3. Tenebrific
4. Pale Cast of Thought
5. And So Are the Words That Never Made it, I
6. And So Are the Words That Never Made it, II
7. Intro, Timeless Disease
8. Origin of Apparition
9. Outro, Endless Asphyxia

Tape 2 – Languor into Echoes, Beyond
1. De Mortalitate
2. Abstract Tongues
3. Waning
4. Simulacrum of Mirrors
5. The Palterer
6. Hymn to Iniquity
7. Countless Reverie in Mare

Line up:
A.P.
M.H.

CHAOS MOON – Facebook

Ypnos – Beholder

Beholder è un’opera brillante, la cui fluidità ne rende appetibili i contenuti anche per chi non è un abituale fruitore del progmetal.

Gli Ypnos  ci propongono musica progressiva di alto livello con il loro debut album, prodotto con l’aiuto della sempre più utilizzata campagna di crowdfunding e poi licenziato dalla Sliptrick Records.

La band nasce a Bologna intorno al 2010, è composta da cinque ottimi musicisti che sfogano la loro voglia suonare in un metal progressivo che sa tanto di Dream Theater, ma che mantiene una sua personalità, lasciata libera in questi cinquanta minuti abbondanti che vedono nelle varie parti della suite Tyranny il suo cuore pulsante.
Le briglie sono tenute ben salde per non lasciare che le ritmiche dal piglio power possano rompere gli argini di un songwriting che alterna momenti aggressivi e metallici ad altri più atmosfericamente rock; la tecnica esibita è adeguata ai continui cambi di tempo che caratterizzano gran parte del sound dell’album, un concept che ci racconta di quanto le emozioni condizionino le vite degli uomini, argomento che viene sviluppato appunto nella lunga suite centrale formata da sette movimenti.
Tasti d’avorio che ricordano i maestri settantiani in molto passaggi, un grande lavoro ritmico e chitarre sfacciatamente heavy metal: in sintesi la ricetta di Beholder starebbe tutta qua ad un primo ascolto e parrebbe facile da realizzarsi, ma in realtà il tutto per funzionare deve essere reso in maniera perfetta, cosa che avviene fin dall’opener Arachnophobia, e con Tyranny Suite che inizia il suo lungo percorso da The Beginning (Birth of a New Slave), passando per la splendida State Of Grace, la pesante March Of The Tyrants, la semi ballad Reality (e qui sfido chiunque a non riconoscere nel canto del bravissimo Christian Peretto il miglior La Brie) e la conclusiva The Ending, finale in bellezza della lungo concept che però non chiude l’album, lasciando a Northern Star ed alla più intimista e drammatica The Circle, Pt. 1: Grey il compito di scrivere la parola fine su questo ottimo lavoro.
Beholder è un’opera brillante, la cui fluidità ne rende appetibili i contenuti anche per chi non è un abituale fruitore del progmetal.

Tracklist
01. Arachnophobia
02. Tyranny Suite: I. The Beginning (Birth of a New Slave)
03. Tyranny Suite: II. State of Grace
04. Tyranny Suite: III. March of the Tyrants (The Tempest, Pt. 1)
05. Tyranny Suite: IV. Building an Empire (The Tempest, Pt. 2)
06. Tyranny Suite: V. Reality (State of Conscience, Pt. 1)
07. Tyranny Suite: VI. Diary of a Slave (State of Conscience, Pt. 2)
08. Tyranny Suite: VII. The Ending
09. Northern Star
10. The Circle, Pt. 1: Grey

Line-up
Christian Peretto – Vocals
Davide Morisi – Guitars
Valentino Bosi – Keyboards
Marco Govoni – Bass
Giacomo Calabria – Drums

YPNOS – Facebook