Morphosys – The Saw Is Family

La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati, alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

La Witches Brew licenzia questo monolite di death metal brutale ed assolutamente old school intitolato The Saw Is Family, ultimo massacro sonoro dei serial killers tedeschi Morphosys, quartetto attivo dal 2002, con due precedenti full length già editi ed un ep.

Al limite del brutal nel sound, The Saw Is Family entra di diritto nel genere almeno per quanto riguarda attitudine e testi che vanno da deliri gore a violenza tout court.
I Morphosys sono la classica band outsider, gente che martella i padiglioni auricolari con il loro oscuro e pesantissimo metal estremo che varia leggermente tra mastodontici mid tempo ed improvvise e devastanti accelerate, creando il classico muro sonoro senza compromessi ma nulla più.
Non mi si fraintenda: The Saw Is Family risulta un sufficiente album di genere, potente, asfissiante ed oppressivo, tra Morbid Angel, Morgoth e in parte Bolt Thrower, quindi aperture melodiche non registrate, tensione a mille, un’atmosfera che non si scosta da un clima da inferno sulla Terra e buoni spunti nei solos che, in qualche circostanza, riprendono le sfumature classiche con l’azzeccata scelta di alternare mid tempo e velocità parossistiche per non annoiare troppo l’ascoltatore.
La band convince nei mid tempo pesanti come carri armati (The Walking Dead, Fleischeslust), alzando un muro estremo invalicabile e così The Saw Is Family può così allietare le serate tutte sangue e violenza dei deathsters duri e puri.

Tracklist
1. Carniwar
2. The Saw Is Family
3. Torture Chamber
4. The Walking Dead
5. Storm Of Blood
6. Memory Of The Insane
7. Fleischeslust
8. You Shall Bleed
9. Todesengel
10. Corpse Grinder

Line-up
Chris – Vocals/Chainsaw
Marko – Guitar
Jazz – Bass
Alex – Drums

MORPHOSYS – Facebook

Wasted Theory – Defenders Of The Riff 2017 Edition

I Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool.

Ristampa con bonus tracks del secondo disco dei Wasted Theory, ad opera dell’italiana Argonauta Records.

Wasted Theory sono semplicemente uno dei gruppi più divertenti e rumorosi che potrete trovare in giro, e Defenders Of The Riff è un disco completo e da sentire dall’inizio alla fine, possibilmente consumando droghe ed alcool. Il rumore ci salverà, ed in particolare quello di questi americani del Delaware è davvero bello pieno e invita ad un ascolto ripetitivo. Le radici del loro suono sono da ricercare all’indietro nei Kiss e in gruppi come in Thin Lizzy, ovvero rock and roll bastardo, per poi ridiscendere fino a band come High On Fire ed altri, però più duri. I Wasted Theory hanno un suono sudista, che unito ad una fortissima ironia rende molto bello il tutto. Nel loro suono si può adirittura rintracciare qualcosa di blues, ma più che altro nella loro maniera di porsi ed in alcuni giri di chitarra. Il titolo rende benissimo ciò che ascolterete, dato che i riff qui sono tutti validissimi e raggiungono pienamente il loro scopo. Ci sono momenti più veloci, altri più lenti e pesanti, ma ciò che non manca mai è quella sensazione di divertimento e di ascolto di un gruppo che è totalmente in controllo, e che si diverte talmente che straripando lo trasmette al suo pubblico. Certe ripartenze sono degne dei migliori Karma To Burn, ma i Wasted Theory sono di maggior coinvolgimento e comprensione. Southern rock e metal, hard rock, stoner, desert ed un pizzico di heavy metal classico sono solo alcuni degli ingredienti di questo buonissimo moonshine potente ed inebriante. Nel 2016 molti addetti ai lavori hanno incluso questo disco nella loro list di migliori uscite dell’anno, ed in questa ristampa potrete gustare due killer cover di un brano degli Alabama Thunderpussy ed uno dei Nazareth. Lunga vita ai difensori del riff.

Tracklist
1.Get Loud or Get Fucked
2.Black Witch Blues
3.Atomic Bikiniwax
4.AmpliFIRE!
5.Gospel of Infinity
6.Belly Fulla Whiskey
7.Under The Hoof
8….And The Devil Makes Three
9.Throttlecock
10.Odyssey Of The Electric Warlock
11.Rockin’ is Ma Business (ALABAMA THUNDERPUSSY)
12.Changin’ Times (NAZARETH

Line-up
Brendan Burns,
Larry Jackson Jr.
Andrew Petkovic
Rob Michael

WASTED THEORY – Facebook

In Lights – This is How We Exist

This is How We Exist è lo splendido esordio su lunga distanza di una band che, in un futuro, prossimo, potrebbe collocarsi stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Gli In Lights sono un gruppo californiano a forte trazione asiatica, viste le origini di 4/5 dei musicisti coinvolti,
e di questo risente anche il post rock che la band propone essendo intriso di una spiritualità più spiccata rispetto a quella tipica delle culture occidentali.

A livello stilistico i canoni del genere non vengono stravolti e quello che viene offerto dagli In Lights è un sound lieve, melodico e interamente strumentale, il cui elemento di peculiarità è costituito dal violino (suonato da Tianyang Wei ) che qui riveste un ruolo molto importante assieme al lavoro chitarristico di Li He e Bosen Li.
Non ho mai lesinato critiche alla scelta praticata da molte (troppe?) band nell’offrire musica interamente strumentale, ma va detto che ciò spesso coincide con l’esibizione di un sound magari valido ma incapace di reggersi da solo senza l’ausilio delle parti cantate: questo non avviene con gli In Lights, capaci di avvolgere ma anche di colpire con improvvisi affondi melodici anche l’ascoltatore più scettico.
L’opener Forward è una perla musicale che spalanca una strada luminosa lungo la quale questi ragazzi di stanza a San Josè regalano emozioni a profusione, grazie a sonorità cristalline, curat20e e, soprattutto, frutto di un sentire profondo e non di uno sterile manierismo.
Come suggerisce il monicker, la musica degli In Lights è luminosa ma non è certamente scevra di una certa malinconia, espressa particolarmente in un altro gioiello come quello intitolato Memory, che viene poi replicato da Dream, dai toni però ancor più pacati e rarefatti; d’altro canto l’incedere dei singoli brani corrisponde in maniera piuttosto calzante ai rispettivi titoli, il che diviene ancor più un valore aggiunto per un’opera di natura strumentale.
Il mantra Om Namah Shivaya chiude nel migliore dei modi This is How We Exist, splendido esordio su lunga distanza di una band che, pur facendo proprio il vissuto di una cospicua lista di nomi che vanno dai Sigur Ros ai God Is An Astronaut, passando per i per Collapse Under The Empire, esibisce una cifra stilistica sicuramente personale e di qualità inattaccabile: pertanto non ci sarebbe da stupirsi se, in un futuro, prossimo il nome degli In Lights dovesse assurgere stabilmente ai piani più altri del post rock strumentale.

Tracklist:
1.Forward
2.Search
3.Before
4.Memory
5.Dream
6.Spring
7.Om Namah Shivaya

Line-up
Li He – Guitar
Bosen Li – Guitar
Long Jin – Drums
Ted Pederson – Bass
Tianyang Wei – Violin

IN LIGHTS – Facebook

Hellish God – The Evil Emanations

The Evil Emanations è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Nell’underground nazionale vive un mostro demoniaco che avvelena le menti, si contorce ammaliando come un serpente e porta con se il male che i musicisti posseduti dopo il contatto trasformano in satanico e putrido metal estremo.

Non sono poche le realtà estreme che nel genere offrono una qualità molto alta, protagoniste di opere dannate che pur rifacendosi ovviamente al passato godono di una personalità da gruppi di primo piano a livello mondiale: ottimi artisti e musicisti che, da un po’ di anni cominciano a collaborare tra di loro, sorprendendo e lasciando a noi fedeli consumatori di metallo estremo una serie di opere davvero interessanti.
Gli Hellish God, per esempio, sono la creatura diabolica nata dalle menti di due musicisti della scena nostrana come il chitarrista e bassista Michele Di Ioia (tra gli altri, componente dei Burst Bowel), il batterista Luigi Contenti, il vocalist Tya (ex-Antropofagus, Mindful of Pripyat) ed il bassista Stefano Malgaretti.
The Evil Emanations è il loro secondo lavoro, il primo sulla lunga distanza dopo Impure Spiritual Forces licenziato due anni fa, che si presenta come una mezzora di devastante death metal old school di scuola fine millennio.
Troverete di che farvi torturare dal sound proposto in questo album da un gruppo che non ne vuol sapere di melodie o soluzioni più vicine al trend odierno, ma che scarica dieci tremende bordate senza compromessi di puro male in musica.
Il growl di Tya, assistito dalle tremende urla in scream dei suoi compagni, incontra una serie di sferzate estreme, una tempesta di note dal taglio death che si abbatte sulla Terra, mentre i venti che soffiano dall’inferno portano morte e distruzione, a partire dall’intro Kelim Shattering Illumination alla marzialità della conclusiva e terrificante Marching With The Accuser.
In mezzo c’è un armageddon sonoro che si snoda senza soluzione di continuità, nel suo essere estremo ma perfettamente godibile anche grazie al corto minutaggio, all’ottima produzione che valorizza l’ascolto e ovviamente la buona vena compositiva del gruppo.

Tracklist
1. Kelim Shattering Illumination
2. Qlipoth
3. Anti-Cosmic Decree
4. The Hindering Ones
5. Tagimron Is Summoned
6. Burning the Infidel
7. Choronzonic Hellfire
8. Agitator Shall Be Triumphant!
9. I Am Belial
10. Marching with the Accuser

Line-up
Tya – Vocals
Michele Di Ioia – Guitars, Vocals
Luigi Contenti – Drums, Vocals
Stefano Malgaretti – Bass

HELLISH GOD – Facebook

Blaze Of Perdition – Conscious Darkness

Il quarto full length dei Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.

La storia dei Blaze Of Perdition è stata indubbiamente segnata dal tragico incidente stradale che vide coinvolta la band sulle strade austriache nel 2013, causando la morte del bassista Ikaroz e gravi conseguenze al vocalist Sonneillon ed al batterista Vizun.

Dopo simili eventi la vita non può essere più la stessa, nel bene e nel male: diciamo che, musicalmente parlando, il gruppo polacco pare aver acquisito una maggiore consapevolezza e, se questo era già stato palesato nel precedente album, ancor più tale aspetto emerge in questo contesto.
La scelta stessa di proporre un album strutturato su quattro lunghi brani la dice lunga: i Blaze Of Perdition hanno sentito evidentemente la necessità di prendersi maggiore tempo e spazio per sviluppare la propria idea di black metal; questo consente ad un brano magistrale come Ashes Remain di oscillare senza rischi tra le sfuriate in blast beat e passaggi più rarefatti ed oscuri che ricordano, in alcuni momenti, addirittura i Fields of the Nephilim, grazie anche alla profonda timbrica recitativa di Sonneillon.
Se questo episodio è a suo modo emblematico dello spessore odierno della band di Lublino, tutto il resto del lavoro si mantiene su livelli eccelsi per merito di una approccio che è senz’altro conforme ai dettami di base della consolidata scena estrema polacca e che, quale valore aggiunto, vede una naturale propensione melodica pur se racchiusa all’interno di un’atmosfera per lo più plumbea.
L’opener A Glimpse of God apre come meglio non potrebbe le ostilità, facendo intuire fin dalla prima nota di quale spessore sia il livello artistico di questa band, che non spreca un solo secondo in passaggi interlocutori o in altri artifici riempitivi: diciamo solo che Weight of the Shadow è forse il brano che presenta la maggiori dissonanze, le quali restano del tutto funzionali al mantenimento della tensione al suo massimo livello, cosa che viene puntualmente confermata dalla magnifica e conclusiva Detachment Brings Serenity, il cui finale sigla un approccio musicale privo di vincoli ma, nel contempo, anche di divagazioni fine a a sé stesse
Il quarto full length dei  Blaze Of Perdition è un qualcosa che va oltre il concetto puramente estetico di black metal: qui si percepisce in maniera quasi tattile il turbinio di sensazioni che stanno alla base di un lavoro compositivo e lirico stupefacente, per qualità e profondità.
Volendolo incasellare comunque alla voce black metal, Conscious Darkness è con ogni probabilità uno dei candidati al titolo di album dell’anno in questo settore, anche se le trame oscure ed incalzanti che ne pervadono i brani sono del tutto indicate per l’ascolto anche da parte degli appassionati di doom o dark metal.

Tracklist:
1. A Glimpse of God
2. Ashes Remain
3. Weight of the Shadow
4. Detachment Brings Serenity

Line-up
XCIII – Guitars
Sonneillon – Vocals
Vizun – Drums

BLAZE OF PERDITION – Facebook

Spirit Adrift – Curse Of Conception

Non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.

Nati due anni fa come one man band del polistrumentista Nate Garret, poi raggiunto da altri tre musicisti (Jeff Owens, Chase Mason, Marcus Bryant), gli statunitensi Spirit Adrift licenziano il loro secondo lavoro sulla lunga distanza e completano una discografia che vedono la band protagonista anche di un ep ed uno split in appena due anni.

Tanta carne al fuoco non inficia una sufficiente qualità e Curse Of Conception si rivela un altro album di doom metal tradizionale ispirato in parti uguali agli anni settanta come ai sacerdoti metallici emersi nei successivi decenni.
Quindi, oltre ad un’aura a tratti epica, troverete ottimi solos heavy, ritmiche grasse e un andamento mai troppo lento, pesante ma regolato su mid tempo alla Cathedral di Carnival Bizarre.
I Black Sabbath sono assolutamente la fonte di ispirazione del sound del gruppo, così come appunto la band di Lee Dorrian e quelle americane con a capo il duo Pentagram/Trouble, questo in poche parole è quello che ci offre il polistrumentista di Phoenix.
Piuttosto derivativo, dunque, anche se non mancano buoni spunti che fanno dell’album un ascolto da consigliare agli amanti del doom metal tradizionale, che verranno ipnotizzati dal piglio evocativo della voce, un classico nel genere.
L’opener Earthbound e la title track sono le tracce rappresentative di questo album che, con il passare del tempo, perde un po’ d’interesse per una certa ripetitività, forse il difetto più grande che si porta dietro.
Un album di genere per gli amanti del genere niente di più, niente di meno.

Tracklist
1. Earthbound
2. Curse Of Conception
3. To Fly On Broken Wings
4. Starless Age (Enshrined)
5. Graveside Invocation
6. Spectral Savior
7. Wakien
8. Onward, Inward

Line-up
Nate Garrett
Jeff Owens
Chase Mason
Marcus Bryant

SPIRIT ADRIFT – Facebook

Battlesword – Banners Of Destructions

Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare, meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Arrivano con po’ di ritardo all’attenzione di MetalEyes i guerrieri tedeschi Battlesword, band di stanza a Viersen attiva da quasi vent’anni ma poco prolifica.

Questo ottimo lavoro risale appunto a qualche tempo fa, ma merita sicuramente l’attenzione delle epiche truppe di nuovi defenders pronti alla battaglia  a colpi di power/death metal epico e guerresco, un riuscito mix tra il death metal melodico degli Amon Amarth e il power/heavy metal dei gruppi storici della scena classica.
Si diceva della poca prolificità dei Battlesword ed infatti la discografia del gruppo si completa con un paio di demo ed il primo full length, Failing In Triumph, licenziato nell’ormai lontano 2003, poi un silenzio discografico durato quattordici anni, con il solo demo del 2008 a mantenere viva la fiamma per arrivare ad un anno fa e all’uscita di Banners Of Destructions.
Il quintetto tedesco rompe il silenzio Spirit To The Flesh, un mid tempo epicissimo dove il growl è padrone assoluto del campo di battaglia dove il sangue scorre a fiumi: le ritmiche che alternano accelerazioni power a potentissime cavalcate in tempi medi, un gran lavoro delle due asce, imponenti ma dai solos melodici e dal taglio heavy, sono le caratteristiche principali del sound del gruppo, che non fa prigionieri e risulta più che mai diretto.
La title track, Tongues Of Hatred e la devastante Bloodlust Symphony fanno tremare la terra, possenti spallate metalliche e fiere portatrici della bandiera dei Battlesword sul campo, diventato un cimitero al passaggio dei musicisti tedeschi.
Inutile girarci intorno, sono gli Amon Amarth il gruppo che più si avvicina alla proposta dei Battlesword, anche se la band tedesca è più improntata alll’heavy power epico rispetto al death metal melodico dei guerrieri sevedesi.
Banners Of Destruction risulta una gradita sorpresa, tenendo incollati alle cuffie gli ascoltatori dalla prima all’ultima nota senza stancare e meritando la giusta attenzione di chi ama queste sonorità.

Tracklist
1.Spirit to the Flesh
2.The Unnamed Magic
3.Banners of Destruction
4.Grave New World
5.The Silence of Victory
6.Tongues of Hatred
7.Circle of Witches
8.Bloodlust Symphony
9.Left for the Vultures
10.There Will Be Blood
11.Where Demons Awake
12.Enemy Divine

Line-up
Axel Müller – Vocals
Andreas Klingen – Drums
Björn Kunze – Guitars
Ben Bays – Bass
Jürgen Lousberg – Guitars

BATTLESWORD – Facebook

Devlsy – Private Suite

Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di qualità superiore.

Nella continua ed inarrestabile avanzata e crescita del black metal arriva questa seconda opera dei lituani Devlsy , fautori di un post black metal molto interessante.

In realtà si può parlare di opera black metal tout court, anche se l’impostazione è sicuramente diversa rispetto a quella classica. Le chitarre molto ribassate ed un ritmica pulsante ci portano in giro per mondi distorti, dove menti lontane nello spazio hanno rinchiuso le nostre anime, e non è prevista la salvezza. I Devlsy sono un gruppo dalla grande fantasia sonora, ed infatti i signori dell’ATMF, etichetta triestina con un catalogo di gran valore, non hanno perso l’occasione per pubblicare questo disco. Lo scopo di Private Suite è di creare un labirinto sonoro che ci metta in contatto con dimensioni che sono oltre la nostra comprensione, perché dischi come questo non sono mera musica, ma rituali per andare da qualche altra parte. Ancora una volta il black metal è un contenitore incredibile, sorgente che fa scaturire molteplici codici diversissimi fra loro, in grado di far ragionare le menti che lo vogliano. Il distorto universo sonoro dei Devlsy è un qualcosa che va esplorato, sono moltissimi gli angoli molto notevoli, e su tutto aleggia un disegno superiore. Ascoltando Private Suite si capisce che è un disco di caratura superiore, che unisce vari linguaggi musicali in una miscela di alta qualità. Questi lituani fanno piangere e sognare, abbeverandoci alla fonte del nostro eterno dolore, là dove si può solo lenire con la fuga, senza mai curare. Il disegno sonoro dei Devlsy è di gran valore e traccia una traiettoria che crescerà ancora, e già questo è un disco assai notevole. Nella traccia sonora Bring MyWord canta anche un certo Dave Ed dei Neurosis, che non necessitano certo di presentazione.

Tracklist
1.Corridors
2.Hatching Tomb
3.Bring My Word
4.Patient #6
5.Porta Formica
6.Horizon Attached

DEVLSY – Facebook

Sorrowful Land – Where The Sullen Waters Flow

Un ep che conferma il nome Sorrowful Land come un qualcosa che va ben oltre lo status di progetto futuribile, trattandosi di una realtà alla quale si chiede solo di continuare su questa strada anche in futuro.

A distanza di circa un anno Max Molodtsov torna a farsi sentire con il suo progetto solista Sorrowful Land.

Avevo già parlato più che bene del full length d’esordio Of Ruins …, che metteva in mostra qualità sopraffine sia dal punto di vista compositivo che esecutivo, andando anche oltre a quanto di buono già fatto con la sua band principale, i gotici Edenian.
In occasione del lavoro su lunga distanza avevo fatto notare una devozione piuttosto marcata nei confronti degli When Noting Remains (con tanto di imprimatur derivante dalla partecipazione come ospite di Peter Laustsen) e tutto sommato con questo lungo ep intitolato Where The Sullen Waters Flow non sembra che le coordinate siano variate più di tanto e, ci tengo a ribadirlo, questo non è assolutamente da considerare un punto negativo.
Infatti, nei tre lunghi brani che si avvicinano complessivamente alla mezz’ora di durata, il polistrumentista ucraino conferma lo spessore del proprio talento naturale per la composizione di musica struggente e colma di melodia mai stucchevole, grazie ad un lavoro chitarristico elegante e sobrio allo stesso stesso tempo.
Niente da eccepire quindi su questo gradito ritorno in tempi relativamente brevi (per le abitudini in uso nel genere) con un trittico di brani di grande efficacia tra i quali, a mio avviso, spicca l’ultimo, The Night Is Darkening Around Me, nel quale avviene un parziale spostamento verso un sound ancor più legato al suono della chitarra solista, questa volta con Saturnus e Doom Vs. nel mirino.
Ripeto che la citazione dei vari riferimenti non deve essere intesa come un’accusa di derivatività, bensì quale tentativo di fornire un’idea di cosa attendersi a chi si avvicina all’ascolto di questo lavoro, con la certezza che chi ama questo genere musicale l’ultimo dei problemi che si pone è proprio quello dell’originalità, specialmente quando il pathos e l’intensità si mantengono sempre al livello offerto da Where The Sullen Waters Flow.
Un ep che conferma il nome Sorrowful Land come un qualcosa che va ben oltre lo status di progetto futuribile, trattandosi di una realtà alla quale si chiede solo di continuare su questa strada anche in futuro.

Tracklist:
1.As I Behold Them Once Again
2.Where The Sullen Waters Flow
3.The Night Is Darkening Around Me

Line-up
Maks Molodtsov

SORROWFUL LAND – Facebook

Terror Empire – Obscurity Rising

Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Prima o poi tutti tornano, chi deludendo le aspettative, chi cambiando registro musicale e chi confermando le buone impressioni suscitate dal precedente lavoro, come per esempio i thrashers portoghesi Terror Empire, di nuovo in pista con il successore dell’ottimo The Empire Strikes Black.

Obscurity Rising comincia il suo inevitabile massacro da dove aveva lasciato il suo predecessore, quindi per chi conosce la band poco o nulla è cambiato: ottima produzione, grande impatto, potenza e velocità al servizio di un thrash metal debordante tra tradizione e sfumature moderne.
L’album non delude, pur nella sua staticità compositiva rispetto al primo lavoro, ma i Terror Empire questo sanno suonare e lo fanno maledettamente bene, quindi, perché cambiare?
Non vale la pena di perdersi in troppi sofismi in questo senso ed è meglio allora lasciarsi travolgere dalla disarmante potenza delle varie Burn The Flags, Holy Greed e le due bombe atomiche Death Wish e Feast Of The Wretched.
Una quarantina di minuti scarsi bastano al gruppo portoghese per ribadire la propria forza, ringraziando Sepultura e Machine Head, così come i primi Metallica, in qualche passaggio chitarristico, ma il sound è tutto farina del sacco dei Terror Empire e non potrebbe essere altrimenti.

Tracklist
1.Obscurity Rising
2.You’ll Never See Us Coming
3.Burn the Flags
4.Times of War
5.Meaning in Darkness
6.Holy Greed
7.Lust
8.Death Wish
9.Feast of the Wretched
10.Soldiers of Nothing
11.New Dictators

Line-up
Ricardo Martins – vocals
Rui Alexandre – guitar
Nuno Oliveira – guitar
João Dourado – drums
Rui Puga – bass

TERROR EMPIRE – Facebook

La Tredicesima Luna – Il sentiero degli Dei

Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Proprio qualche giorno fa ho avuto occasione di parlare della riedizione dei due seminali lavori che Mortiis pubblicò ad inizio carriera sotto l’egida della Cold Meat Industry.

Infatti, Ånden som Gjorde Opprør e Keiser av en Dimensjon Ukjent sono considerati unanimemente tra le opere che hanno favorito lo sviluppo della forma di ambient definita dungeon synth, che vede tra i suoi più brillanti esponenti in terra italiana il milanese Matteo Brusa.
Con questo suo nuovo progetto denominato La Tredicesima Luna, Brusa sposta il tiro su una forma di ambient che prende le mosse dai precursori del genere (su tutti Brian Eno, con puntate anche sulla Kosmische Musik degli anni ‘70) ma ammantandola di un’aura oscura che, rispetto alla produzione del genio inglese, rimanda soprattutto a un lavoro come Apollo.
In effetti, il tutto viene anche suffragato da un afflato cosmico che pervade la mezz’ora di musica di cui si compone Il Sentiero degli Dei; i due lunghi brani si rivelano così avvolgenti e senz’altro riusciti nella loro funzione evocatrice di scenari probabilmente solo immaginati dai migliori scrittori di fantascienza o da registi visionari come Kubrick: va detto che il senso di pace e di apparente armonia con l’universo viene contrastato da uno sgomento latente, derivante  dall’incapacità della mente umana di circoscrivere ciò che di fatto è illimitato.
Una bellissima prova, ovviamente di fruizione meno immediata rispetto alle opere prodotte da Brusa con il monicker Medhelan, ma con una profondità anche concettuale che sarebbe un vero peccato non cogliere nella sua interezza.

Tracklist:
1.Parte I – Fuochi sotto le stelle / Tra due mondi
2.Parte II – Energie ancestrali / La luce dorata dell’aurora

Line-up:
Matteo Brusa

LA TREDICESIMA LUNA – Facebook

KAYLETH

Il video di “Forgive”, dall’album “Colossus”, in uscita a gennaio (Argonauta Records).

Il video di “Forgive”, dall’album “Colossus”, in uscita a gennaio (Argonauta Records).

Mecalimb – XIII

Pantera, Machine Head, The Haunted e Soilwork confluiscono nel sound dei Mecalimb a creare un cocktail altamente esplosivo e dotato di una forza notevole.

In Norvegia non si suona solo black metal, lo sa bene la Wormholedeath che licenzia XIII, terzo full length dei Mecalimb.

Groove e ritmiche marziali fanno da tappeto sonoro al thrash moderno del quintetto nordico che ci inserisce una serie di riff melodici di stampo death ed il gioco è fatto, o quasi.
XIII è una mezzora abbondante di metal possente e moderno, un album dal sound che opprime con le sue potenti ritmiche ed avvolge con un freddo riffing melodic death.
I Mecalimb giungono a questo lavoro dopo un paio di album ed un ep, precedentemente anticipati dai primi passi in formato demo nel 2006 e 2007; una dozzina d’anni sul mercato portano a questo buon esempio di metal moderno ed estremo, melodico e potente che ci ricorda non pochi eroi passati nei nostri lettori cd da i primi anni novanta in poi.
Il sound che sorride all’America ma suona scandinavo ribadisce la notevole forza che groove metal e death thrash sanno infondere se si alleano come in XIII, non è un caso che nell’album i momenti più intensi sono proprio quelli più ibridi.
Marziali e freddi come una macchina che inesorabile si avvicina senza cambiare velocità, i Mecalimb accelerano improvvisamente per fare scempio dei nostri corpi, questa è la percezione all’ascolto delle varie Forgotten, Headless Existence e della potentissima Leave The Bones.
Pantera, Machine Head, The Haunted e Soilwork confluiscono nel sound dei Mecalimb a creare un cocktail altamente esplosivo e dotato di una forza notevole: XIII vi attacca al muro, vi sbatte al suolo e vi schiaccia senza pietà, provare per credere.

Tracklist
Robert Arntsen – Lead vocals
Ole Olsen – Guitar & backing vocals
Tom Angel – Guitar
Dag Kopperud – Bass & backing vocals
Marius Vedal – Drums

Line-up
1.Headless Existence
2.Blind Men Rules The Earth
3.Forgotten
4.No End
5.Infection
6.Leave The Bones
7.Goodbye To Sanity
8.I See Dead People
9.Jokers & Liars
10.Nothing

MECALIMB – Facebook

Insurrection – Extraction

Extraction continua la missione degli Insurrection: regalare una quarantina di minuti di musica estrema senza fronzoli, diretta, aggressiva e dannatamente coinvolgente, anche se un leggero senso di ripetitività alla lunga si fa spazio nell’ascolto, ma senza creare grossi problemi nel digerire in un colpo solo tutto l’album.

Orde di devastanti truppe battenti bandiera death metal si muovono nell’ underground estremo, che siano dai rimandi old school o delineati da un sound moderno.

I figli e i nipoti dei gruppi, che massacravano senza pietà negli anni d’oro del genere sovrano del metal estremo, continuano la guerra musicale iniziata dai loro predecessori, magari raccogliendo meno rispetto a questi ultimi, ma mantenendo un approccio ed attitudine che di quei tempi sono figli.
Death metal tradizionale o moderno sono due facce di una stessa medaglia unite per non concedere scampo a suon bombardamenti massacranti e violentissimi come Extraction, quarto album dei canadesi Insurrection.
Assolutamente di genere, poco originale, ma ben fatto, il nuovo album del gruppo proveniente dal Quebec si fa ascoltare risultando estremo e violento, melodico e moderno quel tanto che basta per non considerarlo propriamente un lavoro vecchia scuola.
Prodotto benissimo, Extraction continua la missione degli Insurrection: regalare una quarantina di minuti di musica estrema senza fronzoli, diretta, aggressiva e dannatamente coinvolgente, anche se un leggero senso di ripetitività alla lunga si fa spazio nell’ascolto, ma senza creare grossi problemi nel digerire in un colpo solo tutto l’album.

Tracklist
1.System Failure
2.Onward to Extinction
3.Pull the Plug
4.Le Prix à Payer
5.The Eulogy of Hatred
6.Parasite
7.Le pesant d’or
8.Misère Noire
9.Assassins
10.Data Extracted … End Transmission

Line-up
Stef Jomphe – lead vocals
Vince Laprade S. – rythm guitar
Antonin Fuzz – lead guitar
Martin Samson – Bass
Stéphane Desilets – drums

INSURRECTION – Facebook

Minas Morgul – Kult

Un prepotente nuovo ritorno di questa duttile ma sopraffina band tedesca. Nuovi canoni,forse, ma sicuramente vecchia maestria: il loro valore è nuovamente assicurato.

Aspettavamo i Minas Morgul, a 5 anni dall’ultimo album di discreto successo Ära.

L’indomita band tedesca, direttamente dal lato oscuro dell’immaginario di Tolkien, non può far altro che riportarci alla mente uno scenario energico, esplosivo, condito di disprezzo continuo che ha il suo apice nell’album Eisengott, del 2009, forse il loro lavoro più riuscito nonché di grande fortuna presso i fans.
In questo nuovo album, dal titolo Kult, trascorre davvero poco tempo prima di renderci conto di cosa è cambiato nei progetti sonori dei tedeschi. E allora schiacciamo il tasto play ed apriamo la porta alla prima traccia Einleitung , che funge anche da intro per il disco, nella quale sembra di camminare in un corridoio buio che si fa poco a poco meno rassicurante fino a diventare pressante.
Sensazione che sembra essere alleggerita in certi frangenti, come nell’intro di Ein teil von mir , ma l’universo fantasy dei Minas Morgul, pur puntando meno sull’aggressività devastante, stavolta ha più aderenza con la realtà. Questo album trasuda sentimenti di dissacrazione pura al 100%, che spesso sfocia nell’amarezza. Ne scaturisce un sound che raggiunge i suoi scopi senza danneggiare o ammorbidire (anzi, forse rafforzandola) l’immagine che sempre ha contraddistinto questa band.
La frenesia rimane, e così la batteria a tratti sempre infernale, ma l’atmosfera è più sottile e richiede più sensibilità anche al metallaro più apatico e pesante. Il tratto malinconico è aggiunto ad arte dai Minas Morgul, che anche stavolta ci hanno deliziato.

Tracklist
1. Einleitung
2. Kult
3. Ein Tell von mir
4. Abschied
5. Leere
6. Bevor ich gehe
7. Nur eine Kugel
8. Scherben
9. Was bleibt
10. XX

Line-up
13R13: singing
Saule: guitar
Herr Ewald: guitar
Bobby B.: Bass
Berserk: drums
Jen: Keyboards

MINAS MORGUL – Facebook

The Blacktones – The Day We Shut Down The Sun

I The Blackstones tornano con un nuovo album e confermano tutto il bene che si era scritto in passato con questo mastodontico The Day We Shut Down The Sun.

Un paio di anni fa mi presentarono questa band proveniente da Cagliari, un quintetto attivo dal 2011 al debutto con l’album omonimo, roccioso esempio di stoner/hard rock oscuro ed emozionale che, a tratti, veniva attraversato da uno spirito doom che ne faceva un piccolo gioiellino di musica fuori dai soliti schemi.

E’ bastato aspettare il giusto ed ecco che i The Blacktones tornano con un nuovo album e confermano tutto il bene che si era scritto al tempo con questo mastodontico (in tutti i sensi) The Day We Shut Down The Sun.
Qualcosa è inevitabilmente cambiato nel sound del gruppo, che sposta le coordinate verso lo sludge lasciandosi alle spalle la città di Seattle e trasferendosi a New Orleans.
L’album è un viaggio nel quale, ad ogni passo rappresentato dalle carte dei tarocchi, l’uomo perde una delle sue prerogative per arrivare alla fine del percorso ed essere inghiottito dal caos primordiale: tematiche per nulla scontate, dunque, ma anzi dannatamente reali, almeno guardando quello che succede nel mondo ai nostri giorni.
Registrato al V-Studio, mixato da James Pinder al Treehouse Studio e masterizzato da Brad Boatright all’Audiosiege Studio, The Day We Shut Down The Sun è distribuito dall’attivissima Sliptrick Records e ci presenta un macigno doom/sludge metal, con ancora qualche venatura stoner ma intriso di uno stordente rock psichedelico che accompagna questo tragico viaggio a ritroso nella nostra anima.
L’album parte mettendo in evidenza le novità di cui vi abbiamo accennato, The Upside Down e Ghosts sono violenti e rabbiosi brani dove le chitarre sature e la voce colma di rabbia e disperazione portano il sound verso le paludi dove sguazzano Down e Crowbar.
La title track è un capolavoro doom metal così come dovrebbe suonare nel nuovo millennio, dove riemergono in parte gli input che avevano caratterizzato il primo album, mentre Alone Together ha nel break psichedelico il suo valore aggiunto prima di lasciare alle frustate alternative southern metal di I.D.I.O.T.S. il compito di aprirci definitivamente la testa in due.
I The Blackstones sparano le ultime due bombe sludge/alternative metal con Nowhere Man e Broken Dove prima che The Magician e The Fool chiudano un album arrembante e pesantissimo come The Day We Shut Down The Sun, grande prova di questa ottima realtà proveniente da una scena sarda brulicante di talenti.

Tracklist
1.V – The Pope
2.The Upside Down
3.Ghosts
4.IV – The Emperor
5.The Day We Shut Down the Sun
6.Not the End
7.III – The Empress
8.Alone Together
9.I.D.I.O.T.S.
10.II – The Popess
11.Nowhere Man
12.Broken Dove
13.I – The Magician
14.0 – The Fool

Line-up
Aaron Tolu – Voice
Gianni Farci – Bass
Sergio Boi – Guitar
Paolo Mulas – Guitar
Maurizio Mura – Drums

THE BLACKSTONES – Facebook

Cold Cell – Those

Un’opera intensa, gelida carica di odio verso il genere umano dove…the lowliness of man is inviolable.

Band svizzera di Basilea, relativamente conosciuta, i Cold Cell giungono in quattro anni di attività al loro terzo full length e suonano, con sempre maggiore convinzione, un black metal molto dark, atmosferico e moderno.

Sono cinque musicisti che, pur non avendo una grande storia, tranne il batterista attivo nei Schammasch, splendida entità con un suo personale suono, hanno le idee chiare e ci propongono un’opera intensa, ben composta e ben suonata dispiegando un sound gelido, carico di malsane atmosfere e sferzato da taglienti chitarre molto ispirate. Il suono dei Cold Cell evolve in atmosfere plumbee, grigie, rimembranti desolati paesaggi metropolitani derivanti, secondo me, anche da alcuni oscuri aromi darkwave. Le vocals in scream sono molte, decise, cariche di odio e accompagnano perfettamente il suono di piccole perle come la lunga Tainted Thoughts dove toni incompromissori rappresentano la base per una violenta cavalcata piena di furore e ferocia; i brevi momenti in cui le chitarre si calmano sono carichi di tensione e lasciano l’ascoltatore atterrito di fronte a tanta cattiveria. La faccia moderna del black si nutre di concetti, come la perdita della coscienza, la morte della spiritualità, la disumana ferocia dell’ uomo e colpisce in modo profondo con un sound freddo che lacera e taglia con lame gelide ciò che rimane dell’animo umano; un brano disturbante come Sleep of Reason lascia una cupa disperazione e un mondo senza speranza alcuna di redenzione. L’angosciante Drought in the Heart annichilisce con una tangibile disperazione e ci fa apprezzare lo sforzo compositivo di questi musicisti provenienti da una stato che tanto ha dato e dà ancora alla musica estrema.

Tracklist
1. Growing Girth
2. Entity I
3. Seize the Whole
4. Tainted Thoughts
5. Sleep of Reason
6. Entity II
7. Drought in the Heart
8. Heritage

Line-up
In Bass, Vocals (backing), Keyboards
aW Drums
Ath Guitars
S Vocals
W4 Guitars

COLD CELL – Facebook

MONOLITHE

Il video di Coil Shaped Evolutions, dall’album Nebula Septem, in uscita a gennaio (Les Acteurs de L’Ombre Production).

Il video di Coil Shaped Evolutions, dall’album Nebula Septem, in uscita a gennaio (Les Acteurs de L’Ombre Production).