Ursinne – Swimming With The Leviathan

Una tempesta di ritmiche e riffing che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death, con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico.

Un super gruppo estremo nuovo di zecca, anzi un super duo diventato trio con l’entrata in formazione della bassista Sonia “Anubis” Nusselder, un’alleanza Olanda/Svezia/Regno Unito che porta alla guerra musicale con i generali in comando Dave Ingram (Down Among the Dead Men, Echelon, Just Before Dawn, ex Bolt Thrower, Hail Of Bullets e Benediction) e Jonny Pettersson (Ashcloud, Gods Forsaken, Henry Kane, Human Harvest, Just Before Dawn, Pale King, ma la lista sarebbe ancora più lunga).

Ingram ovviamente dà la carica dietro al microfono ed il polistrumentista svedese ci fa sanguinare i timpani suonando come il giorno dell’esplosione della Terra, fanno del debutto degli Ursinne un’imperdibile opera old school per i deathsters che hanno ancora nelle orecchie le opere dei Bolt Thrower come quelle dei primi Entombed; infatti questa pericolosissima alleanza porta inevitabilmente il sound verso la coesione tra il death metal belligerante dello storico gruppo britannico e quello tradizionale, suonato nel nord Europa.
Così nasce Swimming With The Leviathan, sviluppandosi su dodici brani, incluse quattro cover pescate in giro per il circuito rock mondiale (The Osmonds, The Vapors, Queen Of The Stone Age, Siouxie And The Banshees): una tempesta di ritmiche e riff che vanno ad abbracciare le due correnti storiche del death con una più marcata predisposizione per la battaglia musicale insita nel sound del gruppo britannico, mentre il rifferama di stampo swedish death è comunque presente.
Ne è il più fulgide esempio il potentissimo mid tempo di cui è composta Bullet Bitten, apice compositivo di questo mostruoso lavoro, a cui se si vuole trovare un difetto lo si può riscontrare nel numero di cover, comunque all’altezza della situazione.
Ingram è il solito soldato/orco, temibile mercenario al servizio della guerra, Pettersson sa il fatto suo e la drum-machine fa il suo sporco lavoro anche se un più caldo e umano drumming avrebbe sicuramente giovato all’intera opera.
Niente di più, niente di meno, Swimming With The Leviathan farà la gioia dei deathsters orfani dei Bolt Thrower e vogliosi di ascoltare l’ordine di attaccare potente e belluino del generale Ingram.

Tracklist
01. Devil May Care
02. I, Serpentine
03. Bullet Bitten
04. The Chimes of Midnight
05. Crazy Horses (The Osmonds cover)
06. Talons
07. Underworld
08. Turning Japanese (The Vapors cover)
09. Hollow Hearse
10. Something Wicked This Way Comes
11. Monsters in the Parasol (Queens of the Stone Age cover)
12. Spellbound (Siouxsie and the Banshees cover)

Line-up
Dave Ingram – Vocals
Jonny Pettersson – All instruments
Sonia Nusselder – Bass

URSINNE – Facebook

Hornwood Fell – My Body My Time

Il black metal è un genere molto difficile al quale approcciarsi e con il quale stringere amicizia. Una band con potenzialità e voglia di fare, ma che ancora non ha trovato la sua quadratura del cerchio.

Eccoci al terzo album degli Hornwood Fell, My Body My Time. Un duo tutto italiano e molto volenteroso, in continua evoluzione e ricerca della propria identità. È evidente questo percorso nel nuovo lavoro della band, che presenta davvero tutte le caratteristiche della ricerca e del cambiamento.

Se da una parte, dunque, c’è sempre una scintilla di curiosità e novità nell’ascoltare le loro produzioni, si possono trovare anche diversi lati negativi, che inevitabilmente qui non mancano.
Ripartendo da quello che probabilmente, fino ad adesso, è il loro album più riuscito, ovvero Yheri, dove già abbiamo trovato l’alternanza tra growl/scream e clean vocals, qui la band decide di concentrarsi al 100% sulla voce pulita. Scelta sempre azzardata e che richiede molto coraggio all’interno di un genere necessariamente (a volte troppo) elitario e chiuso come il black metal.
Grandi band si erano già cimentate in questo esperimento, su tutti Agalloch o Urfaust, senza dimenticare ovviamente gli immensi Ulver. C’erano riuscite in maniera sopraffina, sapendo portare anche della tiepida brezza in mezzo ai boschi folti, scuri e innevati dello scenario black.
Ascoltando questo album si ha, ahimè, l’idea che questo grintoso duo non sia ancora pronto per una sfida così delicata, infatti la parte vocale dà spesso la sensazione che ci sia un’altra traccia sovrapposta a quella che stiamo ascoltando, come una voce fuori campo. Non si viene a creare, anche per questo importante motivo, quell’atmosfera di agghiacciante solitudine mista ad un elegante e fiero odio che caratterizza il genere.
La parte strumentale ha ottime potenzialità, e lo vediamo per esempio in un pezzo come Passage: anche quella però, manca di un po’ di inventiva, elemento che però questi ragazzi hanno nelle loro corde, come ci hanno mostrato nei loro album precedenti, rispetto ai quali quest’ultimo rappresenta forse una regressione. Ma il cambiamento implica sempre lo smarrimento.

Tracklist
1. The Returned
2. Her Name
3. Dark Cloak
4. Passage
5. Run Through
6. The Livid Body
7. Hidden Land

Line-up
Marco Basili: Vocals, Guitars, bass and Synth
Andrea Basili: Batteria, Backing Vocals and Synth

HORNWOOD FELL – Facebook

Marygold – One Light Year

One Light Year è tutt’altro che un lavoro superfluo o anacronistico e, di conseguenza, le band come i Marygold vanno solo supportate  e ringraziate per la loro impagabile passione ed i brividi che riescono a trasmettere.

La storia dei Marygold parte piuttosto da lontano, dovendo risalire alla metà degli anni novanta per trovarne la prime tracce nelle vesti di cover band dei Marillion eraFish e dei Genesis.

Dopo aver intrapreso la lodevole strada della composizione di brani originali ed aver ottenuto buoni riscontri all’epoca della loro unica uscita su lunga distanza, The Guns of Marygold, datato 2006, la band veronese ha dovuto far fronte agli intralci tipici di chi dalla musica trae gratificazioni di tutti i generi fuorché quelle economiche.
Il ritorno, concretizzatosi un paio d’anni fa e che ha dato quale frutto l’uscita di One Light Year sotto l’egida della Andromeda Relix, si può a buona ragione definire tra l’affascinante e l’anacronistico: infatti, chi ha apprezzato nello scorso secolo tali sonorità dovrebbe trovare di che compiacersi per una loro riproposizione così ortodossa ed efficace ma, d’altro canto, lecitamente molti potrebbero chiedersi se oggi abbia ancora un senso proporre qualcosa che appare così marcatamente legato ad un epopea ben definita temporalmente.
La risposta ovvia a quest’ultima domanda è che comunque la buona musica un suo senso ce l’ha sempre, sia che possa sembrare obsoleta sia che pecchi manifestamente in originalità; a tale proposito ribalto le perplessità sui molti che accorrono a frotte ad ascoltare quella stessa musica riproposta da pur ottime cover band ignorando del tutto, nel contempo, chi invece prova a rinverdirne le gesta con brani di proprio conio.
I Marygold appartengono appunto a quest’ultima categoria e non fanno nulla per nascondere la devozione per i Marillion dei capolavori corrispondenti ai primi tre full length della loro discografia e, conseguentemente, anche quella per i primi Genesis, oltre a riferimenti ad altre importanti band della seconda ondata del prog inglese come gli IQ e i Pendragon.
Le composizioni che fanno parte di One Light Year sono facilmente riconoscibili per le loro trame grazie a un tocco tastieristico e chitarristico inconfondibile e un cantato che si ispira all’accoppiata Gabriel/Fish, con risultati apprezzabili per intensità anche se brillando un po’ meno rispetto alla sezione strumentale.
Il progressive dei Marygold è competente, elegante ed ispirato il giusto per rispedire al mittente qualsiasi obiezione: i sette lunghi brani non cambieranno la storia del genere ma sicuramente sono funzionali a rinsaldarne il peso all’interno della musica contemporanea: perché, diciamolo forte e chiaro, ascoltare queste canzoni nelle quali una chitarra rotheryana regala più di un passaggio da ricordare è un qualcosa che fa bene all’animo e allo spirito di chi quei bei tempi un po’ li rimpiange, non solo per motivi strettamente musicali.
One Light Year si trasforma così in un sempre gradito e ben poco disagevole viaggio a ritroso nel tempo: per quanto mi riguarda, l’ascolto di brani splendidi come Spherax H2O e Without Stalagmite (ne cito due quali esempi ma il discorso lo si può fare indistintamente anche per le altre cinque tracce) si rivela come una sorta di ritorno a casa, dove ad attendermi ci sono i dischi e le musicassette del genere che mi hanno sempre accompagnato fin dall’adolescenza, facendomi scoprire quanto siano irrinunciabili le emozioni che le sette note possono donare.
Ecco elencati i motivi per cui One Light Year non è affatto un lavoro superfluo e perché, piuttosto, le band come i Marygold vadano solo supportate  e ringraziate per la loro impagabile passione ed i brividi che riescono a trasmettere.

Tracklist:
Ants in the Sand
2.15 Years
3.Spherax H2O
4.Travel Notes on Bretagne
5.Without Stalagmite
6.Pain
7.Lord of Time

Line up:
Guido Cavalleri – Voce, Flauto
Massimo Basaglia – Chitarre
Marco Pasquetto – Batteria
Stefano Bigarelli – Tastiere
Baro – Basso

MARYGOLD – Facebook

Glass Mind – Dodecaedro

Progressive metal che, senza bisogno del canto, esprime ugualmente una forte componente emozionale evidenziando l’ottima preparazione tecnica dei musicisti e le tante sfumature che toccano generi diversi, mantenendo il tutto perfettamente amalgamato in un sound che non provoca sbadigli.

Prog metal strumentale di altissimo spessore quello proposto dal quartetto messicano dei Glass Mind, che con Dodecaedro si affacciano in maniera importante sulla scena internazionale, grazie anche all’attivissima Rockshots, label dal roster molto interessante.

E l’album appunto è un’altra ottima opera proposta dall’etichetta italiana, ormai punto di riferimento per il metal classico ed alternativo ed i loro sottogeneri: un progressive metal che, senza bisogno del canto, esprime ugualmente una forte componente emozionale evidenziando l’ottima preparazione tecnica dei musicisti e le tante sfumature che toccano generi diversi, mantenendo il tutto perfettamente amalgamato in un sound che non provoca sbadigli.
E’ molto presente la componente metal nella musica dei Glass Mind, l’impatto è di quelli che fanno tremare i muri anche se a tratti spuntano, tra lo spartito elementi riconducibili alla musica etnica e al jazz.
Un primo lavoro che aveva già ben impressionato (Haunting Regrets del 2011), qualche sporadico singolo, ed ora questa nuova prova sulla lunga distanza che promuove la band di Città del Messico, bravissima a non cadere mai troppo nell’autocompiacimento e donando musica metal nobilitata da espressioni musicali alternative condensate in quaranta emozionanti minuti.
Una dozzina d’anni d’esperienza per la band non sono pochi, anche se la discografia è limitata a soli due full length e fanno di Dodecaedro un lavoro ispirato e dall’ottimo songwriting, così che tra lo spartito delle varie Babel, Fu e la conclusiva title track, troverete la perfetta sintesi del progressive metal di scuola Dream Theater, le ispirazioni che giungono dal mondo della musica etnica e dal jazz e quello delle nuove leve del progressive internazionale più ricercato e moderno.

Tracklist
1. Babel
2. Caliente
3. Fu
4. Húmedo
5. Inside the Whale
6. Frío
7. Detritus
8. Seco
9. Dodecaedro

Line-up
Benjamín Berthier – Guitars
Pablo Berthier – Guitars
Edgar Garduño – Drums
Michel Villamor – Bass

GLASS MIND – Facebook

Helvetestromb – Demonic Excrements Cursed With Life

Un album più che mai ad uso e consumo dei soli amanti del genere, che troveranno di che trastullarsi tra le blasfemie che caratterizzano il verbo malefico degli Helvetestromb.

Questo trio proveniente da Stoccolma si fa chiamare Helvetestromb è composto da tre luciferini personaggi che di metal estremo si nutrono e lo sparano in un delirio ritmico, un massacro diabolico perpetuato in mezzora di metallo incandescente: black metal old school, pregno di attitudine speed/thrash ma pur sempre legato al black di origine scandinava, quello storico, marcio, demoniaco e fuori da ogni compromesso.

Demonic Excrements Cursed With Life non lascia scampo, la sua natura fa tornare alla mente la vecchia scena estrema ed i suoi temibili eroi, attitudine ed impatto fanno dell’album una mazzata black/thrash dove i prigionieri sono torturati senza pietà e la morte è l’unica soluzione per riposare in pace.
Blasfemie varie fanno da contorno al sound che alterna parti veloci a pesanti mid tempo, un’anima punk aleggia sui brani, il cantato risulta uno scream sguaiato e alcolico, mentre Darkthrone e Carpathian Forest si alleano con Venom e Motorhead per avere la meglio sulla moltitudine di indifesi sostenitori del vivere comune.
Un armageddon, un girone dantesco che dall’opener, Tempesta di Merda (A legion of Jesus Christs), proseguendo con l’inno Restless Satan, porta all’inevitabile conclusione, dopo aver assaporato tutto il liquame diabolico che il trio ci riversa addosso, con Morningstar-Whore Crusher.
Un album più che mai ad uso e consumo dei soli amanti del genere, che troveranno di che trastullarsi tra le blasfemie che caratterizzano il verbo malefico degli Helvetestromb.

Tracklist
1.Tempesta di Merda (A legion of Jesus Christs)
2.Restless Satan
3.Skitberget
4.Holy Christian Airstrike
5.The Demon Bell
6.Kloakerna under Hel
7.Bog of Eternal Stench
8.Warmongo
9.Tormentive Retribution
10.Sifting Excrements (Through the Teeth)
11.Morningstar:Whore crusher

Line-up
Anal Desekrator – Guttural Screams ov Hate / Ass-opening Bass
Grym Ejakulator (ov Doom) – 666 Stringed
Chainsaw Überführer (ov Sado-Violations) – Gnawed Leper Bones

HELVETESTROMB – Facebook

Taake – Kong Vinter

Dopo tanti anni l’arte di Hoest, sempre sincera ed appassionata, convince ancora. con un’opera potente e ricca di inventiva.

Puntuale, ogni tre anni, ritorna Hoest, alias Taake , a deliziare i nostri padiglioni auricolari con la sua idea personale di black metal, ora con Kong Winter a livelli più consoni alla qualità dei suoi primi tre dischi veramente fondamentali per comprendere appieno la “second wave”dell’arte nera.

Come al solito, Hoest suona tutti gli strumenti e letteralmente riempie ogni brano con una miriade di riff tesi, simili a rasoiate; le sue idee melodiche sono sempre particolari e nel primo brano Sverdets Vei, potente e veloce, la parte centrale si apre in una parte melodica avvincente ed evocativa che cambia in toto la prospettiva del brano. Le intricate e serrate parti di Intrenger hanno un forte potere ipnotico nella loro ripetitività e danno un tocco molto groove, tipico della ricerca sonora intrapresa dall’artista, che memore delle radici del genere, cerca sempre di innestare un approccio progressivo nel tessuto sonoro dei suoi brani. Il suo non è un black metal atmosferico come è inteso oggi, spesso intriso di suoni post-metal, ma l’atmosfera che riesce a creare rimane gelida, carica come il miglior suono estremo scandinavo; potrà non piacere ai classici ricercatori del vero “true”, ma il sacro fuoco creativo non può non lasciare indifferente chi ricerca un’opera black, ben suonata e colma di inventiva. Hoest è sempre stato un personaggio controverso, un po’ una voce fuori dal coro ma la sua onestà artistica non può essere assolutamente messa in discussione. I primi tre dischi, che consiglio di riascoltare, sono dei veri classici e sono tasselli importanti nella evoluzione dell’arte nera; quest’ultimo album, accompagnata da una cover classica ma affascinante, non raggiunge i livelli qualitativi di quelle opere ma è lo sforzo sincero di un’artista che ha ancora molto da dire. A me il disco è piaciuto molto e consiglio di ascoltare con molta attenzione le cangianti atmosfere dell’ ultimo lungo brano Fra Bjoergegrend mot Glemselen per comprendere fino in fondo la magia dell’arte di Hoest.

Tracklist
1. Sverdets vei
2. Inntrenger
3. Huset i havet
4. Havet i huset
5. Jernhaand
6. Maanebrent
7. Fra bjoergegrend mot glemselen

Line-up
Hoest – All instruments, Vocals

TAAKE – Facebook

Cadaveria – Far Away From Conformity

Bellissima e fondamentale riedizione del secondo full length dei Cadaveria, edita dalla Sleaszy Rider con una nuova veste grafica, rimasterizzato e remixato: Far Away From Conformity ne esce rivitalizzato, confermando la band come una delle più importanti realtà estreme del nostro paese e l’album come un passo importante nello sviluppo del suo sound.

Era l’ormai lontano 2004 quando i Cadaveria diedero alle stampe Far Away From Conformity, secondo full length dopo l’ uscita della vocalist Cadaveria e di Flegias dagli Opera IX.

La band, capitanata dalla storica signora del metal estremo tricolore, ha deciso di riprendere in mano questo bellissimo lavoro per rivestirlo, grazie alla Sleaszy Rider, di una nuova veste grafica, con un booklet di dodici pagine nella versione digipack, e l’uscita di un vinile colorato limitato a 300 copie che vedrà la luce a quattordici anni esatti dalla prima versione (il 18 Gennaio 2018).
Ma le novità non si fermano qui, infatti la band ha completamente remixato e rimasterizzato i brani e, a causa di un contrattempo tecnico, Cadaveria ha inciso ex novo la voce per Blood And Confusion e The Divine Rapture, due delle nove tracce presenti più la cover di Call Me dei Blondie.
Far Away From Conformity esce rivitalizzato dall’operazione, confermando la band come una delle più importanti realtà estreme del nostro paese e l’album come un passo importante nello sviluppo del suo sound.
Molto più thrash oriented rispetto agli ultimi lavori, incentrati su un black metal teatrale e gotico, e più vicino, a mio parere, al sound dei Necrodeath (compagni d’avventura nel recente ottimo split/ep Mondoscuro), l’album meritava una seconda chance, ora che il metal italiano è tenuto in maggiore considerazione rispetto agli anni passati.
E i Cadaveria fanno parte a pieno titolo della storia del metal tricolore e la qualità di questi brani lo confermano in toto: un thrash metal ricamato di un drappo oscuro e maligno, una sfumatura heavy doom che, a tratti, prende in mano il sound trasformando i brani in lunghe e cadenzate marce funebri (Omen Of Delirium e la cover di Call Me lasciano senza fiato) mentre la vocalist è protagonista di una grande prestazione, perfetta sia nelle parti estreme che nelle sofferte parti pulite.
Far Away From Conformity nella sua nuova veste non appare mai datato, anche se negli anni seguire il gruppo ha abbandonato in parte il sound diretto che caratterizza molti dei brani presenti, ma tracce di categoria superiore come Blood And Confusion, Irreverent Elegy o Out Body Experience valgono da soli il prezzo di questa bellissima riedizione.

Tracklist
01 – Blood And Confusion
02 – Eleven Three O Three
03 – Irreverent Elegy
04 – The Divine Rapture
05 – Omen Of Delirium
06 – A Different Way
07 – Call Me
08 – Out Body Experience
09 – Prayer Of Sorrow
10 – Vox Of Anti-Time

Line-up
Cadaveria – vocals
Marçelo Santos – drums
Peter Dayton – bass

CADAVERIA – Facebook

Ozaena – Necronaut

Necronaut è un susseguirsi di assalti sonori, di canzoni sempre interessanti per tutta la loro durata, di buone intuizioni sonore e di grande affiatamento, che si esprime in un disco di notevole cattiveria metallica e di ottime melodie.

Gli Ozaena sono un gruppo che va subito al sodo e, dopo un brano di introduzione, il gruppo romano ci mostra subito quali siano le sue intenzioni, proponendo un groove metal da primi anni duemila, potente e preciso, con belle linee sonore.

Gli Ozaena sono stati fondati nel 2015 dal chitarrista Stefano Bussadori, e dopo qualche cambio si sono assestati nella loro attuale formazione. Dopo un’intensa attività dal vivo hanno pubblicato per la L.A. Riot Survival Records il loro debutto sulla lunga distanza intitolato Beneath The Ocean. Questo secondo disco migliora ulteriormente il loro percorso musicale la cui colonna vertebrale è formata da un suono che ci riporta al primi anni del secolo se non addirittura più indietro, perché oltre al groove metal qui si possono trovare alcune reminiscenze di un tipo di nu metal che si è perso, ovvero quello più pesante e legato al metal, con timbriche vocali che godono comunque della giusta libertà, anche perché il nuovo cantante Valerio Cascone è molto valido. Il disco è di buona qualità e regala momenti eccellenti, di puro godimento metallico, tra cavalcate e saturazioni atmosferiche, perché gli Ozaena sono un gruppo che compone e suona cose al di sopra della media, soprattutto per la personalità che pervade la loro musica e li rende riconoscibili, con questo tiro un po’ vecchia scuola che non ha quasi nessuno al giorno d’oggi. Necronaut è un susseguirsi di assalti sonori, di canzoni sempre interessanti per tutta la loro durata, di buone intuizioni sonore e di grande affiatamento, che si esprime in un disco di notevole cattiveria metallica e di ottime melodie.

Tracklist
01. Phase One
02. From The Hollow
03. Ghost Inside
04. Pale Light
05. Necronaut
06. Second Sight
07. Highest Wall
08. Kneel Down
09. We Are One

Line-up
Valerio Cascone: vocals
Stefano Bussadori: guitars
Eugenio Carreri: bass
Shadi Al Amad: drums

OZAENA – Facebook

Midnite Hellion – Condemned To Hell

Condemned To Hell è un lavoro dal sound devoto all’heavy metal, con un’inclinazione neanche tanto nascosta per il thrash, ovviamente legato alla tradizione e quindi più che mai vecchia scuola.

Portano alta la bandiera dell’heavy metal old school i Midnite Hellion, trio del New Jersey attivo da una manciata d’anni e ora al debutto su lunga distanza tramite Witches Brew con Condemend To Hell.

Un ep del 2012 ed un live erano finora le uniche uscite in casa Midnite Hellion e questo full lenght arriva a confermare la voglia del gruppo di portare l’heavy metal nel mondo (come si legge nelle note di presentazione).
Heavy metal con un’inclinazione neanche tanto nascosta per il thrash, ovviamente legato alla tradizione e quindi più che mai vecchia scuola.
La band non risparmia certo energie e si butta all’attacco dei vostri timpani con i mezzi in uso da Rich Kubik , Mario DiBartolo e Drew Rizzo: ritmiche forsennate, solos taglienti e voce cartavetrata, una produzione in linea con l’atmosfera ottantiana che si respira tra i solchi dell’album ed l’headbanging è servito, tra attimi di metallo arrembante e furioso, qualche accenno ai maestri Slayer e tanta attitudine old school.
Nove brani per mezzora abbondante tra metal modello palla lunga e pedalare e buoni spunti heavy, con crescendo che toccano lidi maideniani (Enter The Nightmare) prima di tuffarsi a capofitto tra il tornado thrash di Black And White o Cross The Line, mentre The Fever strizza l’occhio ai Metallica e la ritmica di The Morrigan non lascia scampo prima dell’inevitabile conclusione con Teenage Bloodsuckin’ Bimbos, canzone dal taglio punk.
Non un brutto lavoro ma nella media del genere, e pertanto consigliato solo agli amanti dell’heavy/thrash old school.

Tracklist
1. Black And White
2. Death Dealer
3. Cross The Line
4. Enter The Nightmare
5. Soldiers Of Hades
6. The Fever
7. Rip It Up
8. The Morrigan
9. Teenage Bloodsuckin’ Bimbos

Line-up
Rich Kubik – Bass Guitar/Vocals
Mario DiBartolo – Guitars
Drew Rizzo – Drums

MIDNITE HELLION – Facebook

Descrizione Breve

Autore
Alberto Centenari

Voto
69

Zgard – Within The Swirl Of Black Vigor

Within The Swirl Of Black Vigor è un album caldamente consigliato agli estimatori del pagan folk black.

Zgard è uno dei molti progetti solisti gestiti da musicisti dalla prolificità superiore alla norma, in quanto tale si può considerare la media di un full length pubblicato per ogni anno di attività, anche se come abbiamo constatato in questi anni c’è chi riesce a produrre musica in maniera ben più compulsiva.

Nello specifico l’ucraino Yaromisl è appunto uno tra quelli che si segnala per la non troppo scontata capacità di coniugare quantità e qualità: il primo incontro con l’operato degli Zgard risale al 2012 con l’uscita di Astral Glow, nel quale veniva esibito un pagan folk black di assoluta sostanza ed oggi li ritroviamo con Within The Swirl Of Black Vigor, che giunge dopo altri due full length, Contemplation e Totem.
Il percorso stilistico di Yaromisl si va a comporre così di un nuovo tassello che mostra anche alcune differenze rispetto al passato, assumendo sembianze maggiormente orientate al pagan pur senza perdere le proprie connotazioni folk: il tutto pare giovare ulteriormente per quanto riguarda la resa finale, in quanto favorisce l’approdo ad un sound che fa proprie le pulsioni derivanti da gradi interpreti del genere come Moonsorrow e Negura Bunget, infondendovi però caratteristiche peculiari delle tradizione musicale ucraina, grazia anche al ricorso a diversi strumenti tradizionali (oltre a quelli a corde, troviamo un particolare flauto denominato sopilka, e la drymba, che è un po’ l’equivalente del nostro scacciapensieri).
Per questo lavoro Yaromisl si fa aiutare dal vocalist Dusk e dal batterista Lycane, andando a formare un trio capace di imprimere ritmo ed intensità ai vari brani; basti sentire a tale proposito una traccia come Confession of Voiceless, dal crescendo furioso e coinvolgente, oppure la “moonsorrowiana” e splendida Where the Stones Drone, per rendersi conto di quanto Within The Swirl Of Black Vigor sia un album imperdibile per gli estimatori del pagan folk black.
Se Astral Glow era già un album interessante ma che mostrava ancora ampi margini di miglioramento, quanto fatto da Yaromisl in questi cinque anni ha reso gli Zgard una tra le migliori realtà del genere, rendendola una credibile alternativa alle grandi band citate quali riferimento.

Tracklist:
1. Dive into the night (intro) [Занурення в ніч]
2. Forgotten [Забутий]
3. Confession of voiceless [Сповідь німого]
4. Frozen space [Замерзлий простір]
5. Where the stones drone [Там де камні гудуть]
6. KoloSlovo [КолоСлово]
7. Cold bonfire [Холодна ватра]
8. Winter lullaby [Колискова зими

Line-up:
Yaromisl – rhythm, solo, bass and acoustic guitar, sopilka, drymba, keyboards, back and clean vocals

Guests:
Dusk – vocals, clean vocals
Lycane – drums

ZGARD – Facebook

Metatrone – Eucharismetal

Tanta melodia fino a sfiorare l’aor, cavalcate power metal pregne di un’epicità insita negli argomenti trattati e progressive metal dal piglio neoclassico, con le tastiere capaci di impressionare positivamente l’ascoltatore: questo è Eucharismetal, bellissimo terzo lavoro dei Metatrone.

Vale la pena tornare indietro nel tempo quel tanto che basta per presentarvi il terzo album dei Metatrone, impressionante band power/progressive metal siciliana, dal concept fortemente religioso tanto da essere annoverata all’interno del christian metal.

Si tratta di una sorta di super gruppo che vede, oltre al tastierista e ideatore del progetto Metatrone, padre Davide Bruno, il cantante degli Ancestral, Jo Lombardo, Dino Fiorenza al basso, Salvo Grasso alla batteria e Stefano Calcagno alla chitarra.
Al terzo album di una discografia iniziata con La Mano Potente nel 2006, seguito da Paradigma nel 2010, i Metatrone presentano un piccolo gioiello metallico, che non deve insospettire per i temi trattati, perché la band, con una tecnica spaventosa e grinta da vendere, attacca al muro con una serie di brani sorprendenti per intensità e livello del songwriting: troviamo così spettacolari melodie, un perfetto uso della doppia voce e un lavoro tastieristico dalle scale neoclassiche degne del miglior Andrè Andersen.
La citazione dei Royal Hunt non è casuale, e  partiamo proprio dalla band danese per introdurvi alle trame musicali di Eucharismetal, titolo che ben evidenzia la volontà dei Metatrone di nobilitare il cristianesimo attraverso la musica metal, cosa che a Davide Bruno e compagni riesce alla perfezione, con un sound intriso di melodia tanto da sfiorare a tratti l’aor, e cavalcate power metal pregne della solennità insita negli argomenti trattati; del resto i musicisti impegnati sono vecchie conoscenze del metal tricolore, quindi l’esperienza è assicurata, e anche grazie ad una produzione vincente l’album entusiasma tanto da far invidia a molte realtà straniere.
Con tutta questa carne al fuoco l’ascolto non lascia scampo e si viene travolti dal piglio aggressivo di brani come Molokai, dalla seguente Beware The Sailor, Latest News From Light, song magnifica con l’intera band sugli scudi, dal gioiellino strumentale Mozart Nightmare, che introduce la seconda parte del cd dove la lingua italiana prende il sopravvento senza far perdere intensità e grinta a tracce melodic/prog/power come Salva L’anima, Una Parte Di Me, Regina Coeli e la conclusiva Lascia Che Sia.
Eucharismetal regala quasi settanta minuti di metal sopra le righe, rivelandosi uno splendido esempio di come nel nostro paese abbondino straordinari talenti.

Tracklist
01. Alef Dalet Mem
02. Molokai
03. Beware the Sailor
04. Wheat and Weeds
05. Latest News from Light
06. In Spirit and Truth
07. Mozart’s Nightmare
08. Keep Running
09. Salva l’Anima
10. Una parte di me
11. Regina Coeli
12. Alef Dalet Mem (Italian Version)
13. Lascia che sia

Line-up
Jo Lombardo – Vocals
Davide Bruno – Keyboards
Stefano Calvagno – Guitars
Dino Fiorenza – Bass
Salvo Grasso – Drums

METATRONE – Facebook

https://youtu.be/66B_QTIX_xg

Gates Of Ishtar – A Bloodred Path

Ottima iniziativa della Century Media che ristampa con un nuovo artwork i tre full length degli svedesi Gates Of Ishtar, tra cui A Bloodred Path, debutto della band licenziato nel 1996.

Era il lontano 1992 quando i Gates Of Ishtar si unirono alle truppe scandinave per conquistare il mondo a colpi di death metal melodico con tre full lenght dal 1996 al 1998 e la popolarità acquisita tra gli amanti del genere, grazie ad un sound che ripercorreva le strade di Dissection e compagnia, quindi la frangia più black del melodic death metal scandinavo.

La band svedese ci riprova oggi, con l’aiuto della Century Media che dà una nuova vita a queste opere estreme di valore assoluto, ad iniziare dal primo bellissimo A Bloodred Path.
Nuovi artwork, una rimasterizzazione che valorizza il lavoro del gruppo e purtroppo una brutta notizia dovuta alla morte del batterista Oskar Karlsson lo scorso anno, sono le novità che porta con sé la band svedese, uno dei più fulgidi esempi di quanta ottima musica metal veniva creata tra le pianure innevate della Scandinavia negli anni novanta.
A Bloodred Path si avvicina senza indugi al sound dei Dissection, senza raggiungere i picchi della band che fu di Jon Nodtveidt, ma lasciando fluire con ottimi risultati tempestose parti black, veloci e furiose come il vento che spazza le bianche distese ghiacciate, assieme a più tecnici momenti death, nei quali la band dimostra un’ottima preparazione e soprattutto un talento naturale per il genere.
Un debutto sorprendente che all’epoca fece felice i più attenti fans del genere, sommersi da decine di uscite che seguivano la strada tracciata dai gruppi più importanti, ora tornato a risplendere sotto una nuova veste consentendo all’ascoltatore di apprezzare ottimi brani come The Silence, Tears e la title track.
La band tornerà ad infuocare i palchi e probabilmente a dare un seguito ai tre passati lavori e, se siete giovani ed avete a cuore la storia del melodic death metal, questa operazione è il modo migliore per fare la conoscenza di un gruppo che non ha niente da invidiare a quelli più famosi.

Tracklist
1.Inanna
2.Where the Winds of Darkness Blow
3.The Silence
4.Tears
5.The Dreaming Glade
6.When Daylight’s Gone
7.Into Seasons of Frost
8.A Bloodred Path
9.I Wanna Be Somebody (W.A.S.P. cover)

Line-up
Mikael Sandorf – Vocals
Andreas Johansson – Guitar
Tomas Jutenfäldt – Guitar
Niclas Svensson – Bass
Oscar Karlsson – Drums

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Vinnie Jonez Band – Nessuna Cortesia All’Uscita

I Vinnie Jonez sono un gruppo fuori dal comune, hanno molti pregi ma uno su tutti è quello di raccontare storie in maniera mirabile ed introspettiva, con una sostanza musicale che è una ottima mistura di rock pesante, stoner e tanto, tanto grunge, sia nel dna che nell’espressione sonora.

Il nome Vinnie Jonez Band già dovrebbe risvegliare qualcosa in chi ama improbabili centrocampisti gallesi, molto più a loro agio a sudare nell’ombra e a mangiare polvere, ma sono questi i nostri eroi preferiti, e questo gruppo musicale di Palestrina lo ha capito perfettamente.

In questo album d’esordio troverete una rara maniera di elaborare rock pesante in lingua italiana, come non si sentiva da tempo. Le coordinate sono da ricercarsi oltreoceano per le modalità, ma come stile è tutto italiano, proveniente da quella scuola che arriva da molto lontano, ma è passata per gruppi come i Ritmo Tribale, i Timoria nella loro età di mezzo e tanti altri, magari misconosciuti. I Vinnie Jonez sono un gruppo fuori dal comune, hanno molti pregi ma uno su tutti è quello di raccontare storie in maniera mirabile ed introspettiva, con una sostanza musicale che è una ottima mistura di rock pesante, stoner e tanto, tanto grunge, sia nel dna che nell’espressione sonora. Non ci stancheremo mai di dire quanto il grunge abbia e stia influenzando un certo tipo di musica e di gruppi, e si potrebbe addirittura affermare che non sia stato mai vivo come ora. La dimostrazione è questo album, Nessuna Cortesia All’Uscita, un piccolo capolavoro di come si possa coniugare musica interessante e grandi testi in italiano. Non c’è nulla di scontato in questo disco, ma una materia che viene fuori a poco a poco, che proviene dalle nostre interiora, e cresce solo se scaviamo dentro. Il rock pesante dei Vinnie Jonez Band è una proposta che mancava nel novero dei gruppi underground italiani, ed è assolutamente da sentire, sia per chi ha amato alla follia gli anni novanta sia per chi ama il rock pesante fatto con classe, e qui ne trovate molta, assieme ad altrettante idee.

Tracklist
01. Polvere
02. Silenzio
03. Vipera
04. Corri
05. Supernulla
06. Idolum
07. Sangue
08. Mi chiamo fuori
09. Nessuna cortesia

Line-up
Gianluca Sacchi – voce e chitarra
Marco Cleva – chitarra
Ludovico Gatti – basso
Andrea Ilardi – batteria

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