EVA CAN’T

Il video di La Ronda Di Ossa, dall’album Gravatum (My Kingdom Music).

Il video di La Ronda Di Ossa, dall’album Gravatum (My Kingdom Music).

Folk-Renaissance tradition lives again in the wonderful “La Ronda Di Ossa”, the new videoclip EVA CAN’T present from their last album “Gravatum”.

It’s a poetic work, where Lucia Palomba who filmed and edited the videoclip, creates at the best the magic and the mystic aura of a macabre dance around a majestic lyrical and musical approach.

Official sites:
– ORDER “Gravatum”: http://smarturl.it/EVACANT – MY KINGDOM MUSIC: www.mykingdommusic.net *
www.facebook.com/mykingdommusic.label
– EVA CAN’T: www.facebook.com/evacantofficial

Coughdust – Worldwrench

Chi è alla ricerca di musica che sia la più pesante ed oppressiva possibile dovrebbe buttare un orecchio a questo secondo full length dei finnici Coughdust.

Worldwrench offre infatti una quarantina di minuti di sonorità distorte, dal peso specifico insostenibile anche per le strutture di una centrale nucleare, con le corde degli strumenti talmente ribassate da andare creare una sorta di rombo sul quale si stagliano le urla belluine del vocalist Murtonen.
La cosa bizzarra è che, nelle note di accompagnamento, si parla anche di stoner rock ma, francamente, qui siamo di fronte ad un death sludge doom nel quali si annidano comunque decisive particelle di groove, elemento fondamentale per rendere ascoltabile quello che sarebbe altrimenti un’impietosa mannaia calata sulle teste degli ascoltatori.
Prendendo quale termine di paragone una band dall’approccio per certi versi simile come i Primituive Man, infatti, notiamo come i Coughdust riescano a sfuggire alla ferocia monolitica esibita dagli statunitensi proprio grazie ad un idea melodica che resta molto sullo sfondo ma è ugualmente presente, quasi fosse un carattere ereditario recessivo.
Parlare dei singoli brani serve a poco, tanto dall’incipit di Serpents of the Earth fino all’ultima nota di Blind, Worldwrench esibisce l’impatto di un meteorite in grado di spostare di qualche grado l’asse di rotazione del pianeta. Basta e avanza se ci si vuole fare molto male …

Tracklist:
1. Serpents of the Earth
2. The Second Principle
3. Gripless
4. Worldwrench
5. Dead Calm
6. Blind

Line-up:
Peltokangas – Bass
Latva – Drums
Murtonen – Vocals
Hartikainen – Drums

COUGHDUST – Facebook

Forgotten Woods – The Curse of Mankind

I Forgotten Woods, nonostante la lenta e numericamente esigua produzione nel corso della loro carriera, non hanno fatto mancare la loro vicinanza a tutti gli amanti del black e del depressive che si rispettino, questa volta con la ristampa del capolavoro The Curse of Mankind.

C’è sempre un sano e più che giustificato timore reverenziale quando si parla dei Forgotten Woods, leggende nel vasto e difficile campo del depressive black metal ma che hanno sempre avuto un’attitudine verso il black vero e proprio, finendo a congiungere magistralmente i due generi, che pure sono già l’uno parte dell’altro.

Cogliamo l’occasione del remaster del secondo dei loro tre album, lo storico The Curse of Mankind, datato 1996, per tornare a parlare della band norvegese, una delle poche ancora rimaste legate alla propria essenza originaria, e che non sente il bisogno di produrre una quantità smisurata di album per soddisfare la sete dei fan, che pure c’è ed è ovviamente legittima. D’altronde, i Forgotten Woods hanno battuto l’ultimo vero e proprio colpo con Race of Cain, nel 2007. Il tempo passa in fretta, si sa, ma non per The Curse of Mankind, che dopo quasi ventidue anni ha ancora una fortissima presa emotiva sui “seguaci” della band.
Proprio per questo, in questa ristampa ogni tratto distintivo a livello musicale è stato lasciato intatto, e gli accorgimenti approntati da Rune Vedda sono pochissimi. Ciò che contava era mandare un messaggio a chi avesse nostalgia dei tempi andati, anche se tutto sono fuorché tali, apparendoci quanto mai attuali.

Tracklist
1. Overmotets Pris
2. My Scars Hold Your Dreams
3. The Starlit Waters I, The Mountain
4. With Swans I’ll Share My Thirst
5. Den Ansiktslose
6. The Velvet Room

Line-up
Olav Berland – Guitars, Drums
Rune Vedaa – Bass, Lyrics
Thomas Torkelsen – Vocals (lead)
Rune Jamne – Vocals (additional)

Deeper Down – The Last Dream Arms

Tra le trame di The Last Dream Arms si torna a respirare l’eleganza tragica e poetica del gothic/doom, con brani che si colorano di un arcobaleno dalle tinte scure che dal nero portano al grigio, creando una spessa coltre di nebbia che nasconde romantici giochi di luci ed ombre.

E’ un piacere notare come, dopo anni di predominio della parte più sinfonica e power del gothic metal, ultimamente si tornino a percorrere le strade tracciate dai gruppi storici che, nei primi anni novanta, presero a spallate il mercato con una serie di oscuri e melanconici lavori che univano atmosfere dark/gothic con la pesantezza del doom/death metal.

Dal Regno Unito ai Paesi Bassi, con qualche passaggio ancora più a nord, ma ancora lontani dal boom dei gruppi scandinavi trainati dal successo dei Nightwish, la scena di allora ha influenzato una moltitudine di band in ogni parte del mondo, tornando in questo periodo con nuove realtà e lavori bellissimi come The Last Dream Arms, debutto dei nostrani Deeper Down (monicker che ricorda l’ep dei My Dying Bride uscito nel 2006).
Il quartetto proveniente da Campobasso arriva a pubblicare il suo primo lavoro dopo qualche anno dalla nascita, alcuni assestamenti nella line up e la firma per Hellbones Records, che licenzia questo intenso tributo alla sposa morente: non c’è niente di male se il gruppo molisano guarda alla band britannica come sua primaria fonte di ispirazione, aggiungendovi l’eterea voce di Elisa e proponendoci sei brani di malinconico gothic metal, mantenendo la presenza della voce maschile, del piano ed del violino che rimembrano le trame dark di Stainthorpe e soci così come, in parte, dei primi Katatonia.
Tra le note di The Last Dream Arms si torna a respirare l’eleganza tragica e poetica del gothic/doom, con brani che si colorano di un arcobaleno dalle tinte scure che dal nero portano al grigio, creando una spessa coltre di nebbia che nasconde romantici giochi di luci ed ombre, mentre The Night Descends ci accompagna sulle vie disseminate atmosfere  soffuse, oppure tormentate dalla potenza sofferta del doom metal in The Time Road e nella title track.
The Persistence Of Memory, strumentale che avvolge l’ascoltatore nelle ombre di Anathema e Katatonia, chiude questo ottimo lavoro consigliato ai fans dei gruppi citati e agli amanti del gothic meno sinfonico e molto più raffinato e sofferto.

Tracklist
1.The Night Descends
2.The Time Road
3.The Last Dream Arms
4.Silence Kills
5.The Game of Shadows
6.The Persistence of Memory

Line-up
Giuseppe – Vocals, electric and acoustic guitar, piano, synt, drums, all music and lyrics
Luca – Rhythm & clean guitar
Alessandro – Violin
Elisa – Vocals
Roberto – Bass

DEEPER DOWN – Facebook

THE SUNBURST

Il video di Phoenix, dall’album Resilience & Captivity in uscita a marzo (Volcano Records & Promotion).

Il video di Phoenix, dall’album Resilience & Captivity in uscita a marzo (Volcano Records & Promotion).

The new THE SUNBURST’s single ‘Phoenix’!
This track is included in the new album “Resilience & Captivity” which will be released on March 2nd through Volcano Records & Promotion.

Videoclip produced by Lucerna Films
www.facebook.com/lucernafilms

Producer: Beppe Platania
Director: Andrea Larosa

Follow the band on
https://www.thesunburstofficial.com/
https://www.facebook.com/thesunburst/

And Volcano Records & Promotion on
https://www.volcanopromotion.com
https://www.facebook.com/volcanopromotion/

Rapture – Paroxysm Of Hatred

Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Death/thrash che sputa puro odio e violenza, con un sound che partendo da una base thrash old school si potenzia di cattiveria death per un risultato annichilente: questo è Paroxysm Of Hatred, nuovo lavoro dei greci Rapture, secondo full length dopo Crimes Against Humanity, uscito nel 2015, ed una manciata di ep.

Il quartetto proveniente dalla capitale ellenica non si risparmia e parte veloce e cattivo come pochi, rifilando una serie di mitragliate per una quarantina di minuti senza soluzione di continuità: questo è un death/thrash vecchia scuola che  molto deve ai primi Slayer, ma che si ricopre di una discreta gloria con questi otto brani spietati e assassini.
Odio, misantropia, orrore, guerra e morte, descritte con l’aiuto di un metal feroce ed aggressivo, suonato bene e prodotto quel tanto che basta per arrivare in fondo all’ascolto senza problemi (una virtù non da poco per il genere).
I Rapture ci sanno fare, interpretano la musica estrema con attitudine e quell’impatto necessario per convincere lungo tutto l’ascolto dell’album che forma, nella sua interezza, un assalto sonoro devastante.
Giovani, ma con una personalità da vecchi demoni, i Rapture ci consegnano un lavoro che non mancherà di soddisfare i thrashers old school appunto di tendenza slayerana e con più di un orecchio alle opere di Possessed, Venom e della parte più estrema del genere nel periodo ottantiano.

Tracklist
1.Thriving on Atrocity
2.Vanishing Innocence
3.Redemption Through Isolation
4.Paroxysm of Hatred: Procreation
5.Misanthropic Outburst
6.Taken by Apathy
7.Quintessence of Lunacy
8.Paroxysm of Hatred: Revelation

Line-up
Stamatis Petrou – Bass
Nikitas Melios – Guitars
Apostolos Papadimitriou – Guitars, Vocals
Giorgos Melios – Drums

RAPTURE – Facebook

Lloth – Athanati

In Athanati, i Lloth antepongono a tutto un’emotività che si percepisce ad ogni nota, nonostante il dolore venga esplicitato tramite un sound robusto e spesso rabbioso, per quanto ammantato senza soluzione di continuità da un afflato melodico in grado di fare la differenza.

La storia dei Lloth è legata a stretto filo con quella delle Astarte, la band con la quale brillò fulgida la stella di Maria Tristessa Kolokouri prima che gli dei dell’Olimpo decidessero di richiamarla al loro cospetto.

Questo è infatti l’iniziale monicker che una delle prime band estreme interamente al femminile utilizzò prima di quello che la fece poi conoscere agli appassionati più attenti: non a caso i Lloth sarebbero dovuti rinascere parallelamente alle Astarte, se non fosse arrivata la malattia a interrompere bruscamente un progetto volto a sviluppare ulteriormente il black death melodico di tipica matrice mediterranea.
In ossequio alla memoria di Maria i riformati Lloth hanno pubblicato lo scorso anno questo Athanati (immortale, in greco) e, guidati dal marito della musicista Nicolas Sic Maiis, sono riusciti a dar vita a cinquanta minuti di musica magnifica, intensa ed emozionante, come spesso accade quando la vis compositiva si nutre delle avversità e del tentativo di elaborare i lutti per trasformare il dolore in una forma artistica dall’impatto dirompente.
Nel fare ammenda per l’aver ascoltato Athanati solo oggi, a sei mesi dalla sua uscita, non posso fare a meno di dire che un lavoro di tale spessore non ha avuto il risalto che avrebbe meritato; davvero strano, visto che il black death melodico costruito dai Lloth è quanto di più trascinante e coinvolgente sia stato dato ascoltare negli ultimi anni, grazie ad una formula che, partendo dalle basi poste da band come Moonspell e, ovviamente, Rotting Christ e Nightfall, ne incrementa la componente epica del sound innestandovi quel senso melodico che è marchio di fabbrica delle band dell’Europa meridionale.
Ma, come sempre, le parole rischiano essere riduttive per un lavoro che non molla mai la presa, baciato com’è da un songwriting eccellente e da un’esecuzione strumentale lineare quanto impeccabile, con il growl profondo di Nicolas Sic Maiis a condurre le danze, aiutato in alcune tracce da numi tutelari della scena metal ellenica come Efthimis Karadimas, in In the Name of Love (Sacrifice), e Sakis Tolis, in Hell (Is a Place on Earth), senza dimenticare i vocalizzi offerti in Tristessa da Androniki Skoula, cantante dei Chaostar di Christos Antoniou.
Athanati offre una serie di brani splendidi, tra i quali si farebbe fatica ad estrarre dal mazzo un potenziale singolo solo per l’imbarazzo della scelta tra la title track (che trae linfa da Alma Mater dei Moonspell), Born Of Sin (per quel che vale la mia preferita) con una melodia chitarristica pressoché indimenticabile, In the Name of Love (Sacrifice), ultima traccia composta da Maria e che nell’interpretazione congiunta di Nicolas ed Efthimis finisce per renderne ancora tangibile la presenza tra di noi, Empitness (e non poteva essere diversamente con il già citato contributo di Sakis) e il conclusivo epico inno intitolato I (Dead Inside).
E se Pan,  Alles in Black e Hell (Is a Place on Earth) sono comunque bellissimi pezzi, che magari restano solo un pizzico meno agganciati alla memoria rispetto a quelli citati, vanno segnalati ancora due episodi importanti nell’economia dell’album per il loro significato intrinseco, come Archos, dedicata al figlio della coppia, dai ritmi più rallentati ed avvolgenti, ed il poetico intermezzo acustico di Tristessa.
Athanati potrà anche difettare in originalità, perché l’influenza di Rotting Christ e Nightfall è percepibile, non solo per l’imprimatur fornito all’album dai rispettivi leader, però la grandezza dei Lloth sta proprio nel far passare questo aspetto in secondo piano, anteponendo a tutto un’emotività che si percepisce ad ogni nota, nonostante il dolore venga esplicitato tramite un sound robusto e spesso rabbioso, per quanto ammantato senza soluzione di continuità da un afflato melodico in grado di fare la differenza.
Questo è un album stupendo, che lascia quale unico interrogativo quello sulla capacità dei Lloth di esprimersi nuovamente in futuro su questi livelli, quando potrebbero essere chiamati a dover comporre un’opera il cui significato non vada, come in questo caso, oltre quello prettamente musicale, anche se mi sento di scommettere sul fatto che Maria continuerà a lungo e con gli stessi esiti a fungere da Musa ispiratrice della band.

Tracklist:
1. Athanati
2. Archos
3. Pan
4. Born in Sin
5. In the Name of Love (Sacrifice)
6. Alles in Black
7. Hell (Is a Place on Earth)
8. Emptiness
9. Tristessa
10. I (Dead Inside)

Line-up:
Panthimis – Bass
Setesh – Guitars
Vaelor – Guitars
Nicolas Sic Maiis – Vocals

Guests:
Foivos Andriopoulos – Drums
Efthimis Karadimas – Vocals (additional) (track 5)
Sakis Tolis – Vocals (additional) (track 7)
Androniki Skoula – Vocals (additional) (track 9)

LLOTH – Facebook

Unshine – Astrala

Misticismo, ricordi di umanità diversa da quella attuale e con ben altre prerogative, ci fanno immergere dentro questo suono, ricercando qualcosa che possiamo far scaturire dal nostro interiore se lo vogliamo e se troviamo il giusto innesco: Astrala è perfetto per questo, oltre che essere un buon disco di metal.

Gli Unshine sono una band gothic metal a voce femminile proveniente dalla terra promessa del metal chiamata Finlandia.

Attivi dal 2000, Astrala è il loro quarto album sulla lunga distanza; gli Unshine possono essere definiti un gruppo gothic metal, ma c’è molto di più nella loro musica: il loro è uno spirito che parte dal gothic ma con una forte componente epica e fa capolino anche un po’ di folk. Gli Unshine fanno musica al cento per cento finlandese, guidati dalla bellissima voce di Susanna Vesilahti che riesce sempre a trovare il registro giusto per tutte le occasioni, in grande armonia con la parte strumentale. Gli Unshine sono un gruppo metal a tutto tondo, con le idee molto chiare e capaci di produrre dischi molto ben definiti e dalla forte personalità. Dentro Astrala ci sono momenti più veloci ed alcuni maggiormente lenti dalla grande epicità. La loro epica è di ricordo e narrazione di una Finlandia altra, diversa da quella attuale, facente parte di un mondo nel quale la magia e la spiritualità hanno un’importanza ben definita. Le storie degli Unshine sono vite di cose, persone ed entità, e la narrazione è giustamente epica anche grazie al sapiente uso delle tastiere che conferiscono un tono superiore alla musica. Gli Unshine non sono un gruppo prolifico, le loro uscite sono giustamente ben centellinate e diamo loro ragione perché la qualità di questi lavori è sempre alta ed appagante. Misticismo, ricordi di umanità diversa da quella attuale e con ben altre prerogative, ci fanno immergere dentro questo suono, ricercando qualcosa che possiamo far scaturire dal nostro interiore se lo vogliamo e se troviamo il giusto innesco: Astrala è perfetto per questo, oltre che essere un buon disco di metal.

Tracklist
01. Birch Of Fornjot
02. Kainun Kuningas
03. Jack’s Feast
04. The Masks Of Enchantment
05. Pan The One
06. Druids Are A-Coming
07. Slow Moving Creatures
08. Visionary’s Last Breath
09. Suo (Kantaa Ruumiit)
10. The Forest

Line-up
Susanna Vesilahti – vocals
Harri Hautala – guitar, synthesizer
Jari Hautala – guitar
Jukka “Stibe” Hantula – drums
Teemu “Teemal” Vähäkangas – bass

UNSHINE – Facebook

Stray Bullets – Shut Up!

L’album ci regala una quarantina di minuti abbondanti intrisi dell’atmosfera sfrontata, irriverente e a tratti malinconica dello street/hard rock.

Ci sono voluti più o meno undici anni prima che i veronesi Stray Bullets riuscissero a licenziare il loro primo album, ma le cose ora sono al loro posto grazie alla collaborazione tra Sneakout Records e Burning Minds Music Group, frangia della grande famiglia Atomic Stuff dedicata all’hard rock melodico e (in questo caso) allo street/glam ottantiano.

Una lunga storia di cambi di line up e i soliti guai che attanagliano molti gruppi ad inizio carriera hanno rallentato l’arrivo sul mercato del quintetto, pronto a conquistare i cuori ribelli dei rockers orfani delle luci e delle notti magiche del Sunset Boulevard con Shut Up! esordio composto da undici brani di street/rock’n’roll adrenalinico.
Prodotto dalla band con la supervisione di Oscar Burato e Stefano Gottardi, mixato e masterizzato negli Atomic Stuff Studio da Oscar Burato, L’album ci regala una quarantina di minuti abbondanti intrisi dell’atmosfera sfrontata, irriverente e a tratti malinconica del genere, con gli Stray Bullets che dimostrano di saperci fare con i punti fermi che hanno fatto la storia del rock a stelle e strisce.
Il riffone di Lost Soul Town dà inizio alle danze, con Ale che dimostra d’essere cantante di razza, e tutto gira a mille tra street rock ed una vena punk rock che lascia all’ascoltatore una piacevole sensazione di attitudine ribelle, almeno fino a One Way, bellissima ballad classic rock.
Che siamo al cospetto di un gruppo dall’alto potenziale lo si evince proprio da questa prova superata con il lentone d’ordinanza, quasi di prassi in album del genere ma non sempre riuscito bene come avviene invece in questo caso.
Da qui in poi si riparte a grande velocità e Shut Up! arriva sparato alla fine senza intoppi e con ancora un paio di brani adrenalinici come Sex Pot e la conclusiva, metallica Crash.
Ottimo debutto quindi, con le ispirazioni e le influenze  tutte riscontrabili nel periodo storico dello street/glam, quindi cari rockers il consiglio è di non perdervi questo lavoro, perché c’è da divertirsi.

Tracklist
01.Lost Soul Town
02.Get On You
03.Hurts
04.Candy
05.One Way Emotion
06.Put Up Or Shut Up
07.Sexpot
08.Be Your Man
09.Rain
10.Blackout
11.Crash

Line-up
Ale – Vocals
Duff – Bass, Backing Vocals
Male – Guitar, Backing Vocals
Nick – Guitar
Zen – Drums, Backing Vocals

STRAY BULLETS – Facebook

NONSUN – Black Snow Desert

Ben dosato ed equilibrato in tutte le sue componenti ed ottimamente eseguito, Black Snow Desert è frutto di un talento compositivo che scongiura il ricorso a soluzioni sonore infinite e prive di alcuno sbocco.

Dopo circa due anni dalla sua prima uscita in autoproduzione, l’album d’esordio dei Nonsun viene pubblicato in formato cd e digitale dalla Cimmerian Shade Recordings ed in vinile dalla Dunk!Records. Per l’occasione riproponiamo la recensione scritta a suo tempo per In Your Eyes, anche perché vale la pena di riportare questo buonissimo lavoro all’attenzione di chi non lo avesse intercettato all’epoca.

Gli ucraini Nonsun di sicuro non si sono posti dei problemi legati alla commercializzazione del loro prodotto, nel momento di comporre l’album: se già il proporre un genere come uno sludge/drone/doom dai tratti sperimentali riduce all’osso il bacino dei potenziali ascoltatori, farlo con un doppio cd per una durata di circa un’ora e mezza equivale all’atto di piantare i chiodi su una bara in cui è stata rinchiusa ogni forma di possibile ammiccamento.
Il bello di tutto questo, però, è che il duo di Lviv riesce a mettere sul piatto un lavoro sicuramente mastodontico ma non pesante, nel senso che, fatta salva la sua natura, si rivela un ascolto impegnativo senza risultare noioso.
Del resto, uno stile musicale di questo tipo, se interpretato senza un minimo di variazioni sul tema, rischia di rimanere troppo indigesto a chiunque: Black Snow Desert non si riduce, quindi, ad una sequela interminabile di sequenze droniche ma offre anche abbondanti porzioni di sludge doom, disturbate e disturbanti quanto basta per attrarre fatalmente l’attenzione. Per assurdo, una lunghezza che potrebbe apparire quasi una forma di autolesionismo,  consente invece ai Nonsun di sviluppare ed esprimere in maniera più congrua quanto hanno da offrire.
Ben dosato ed equilibrato in tutte le sue componenti ed ottimamente eseguito dal polistrumentista Goatooth e dal batterista Alpha, Black Snow Desert è frutto di un talento compositivo che scongiura il ricorso a soluzioni sonore infinite e prive di alcuno sbocco.
Bravi pertanto i Nonsun nell’aggirare questo ostacolo, proponendosi con questo loro esordio su lunga (anzi, lunghissima …) distanza, come qualcosa in più di un semplice surrogato a Sunn O))), Earth e compagnia di sperimentatori.

Tracklist:
1.No Pity for the Beast, No Shelter for the Innocent
2.Ashes of Light, Demons of Justice
3.Peace of Decay, Joy of Collapse
4.Heart’s Heavy Burden
5.Observing the Absurd
6.Rest of Tragedy

Line-up:
Goatooth – guitars
Alpha – drums

NONSUN – Facebook

Thrash 1991: l’inizio di un decennio di crisi

Come cambiano in fretta ed improvvisamente, a volte, le cose. Anche per la musica.

Il 1990 fu per il thrash un anno formidabile, con le uscite di Souls of Black dei Testament, Persistence of Time degli Anthrax, Seasons in the Abyss degli Slayer, The American Way dei Sacred Reich, When the Storm Comes Down dei Flotsam and Jetsam, Can’t Live Without It dei Gang Green, Live Scars dei Dark Angel, In The Red dei CIA (progetto di Glenn Evans, dei Nuclear Assault), The Edge of Sanity degli Hexenhaus, Rust in Peace dei Megadeth, Violent by Nature degli Atrophy, Speak Your Peace dei Cryptic Slaughter, Faded Glory degli Acrophet, Beg to Differ dei Prong, Lights Camera Revolution dei Suicidal Tendencies, Twisted Into Form dei Forbidden, Idolatry dei Devastation, Best of Wishes dei Cro-Mags, Act III dei Death Angel, Vanity/Nemesis dei Celtic Frost, Condemned to Eternity dei Re-Animator, Psychomorphia dei Messiah, For Those Advantage degli Xentrix.

In Germania videro la luce Coma of Souls dei Kreator, Cracked Brain dei Destruction, Better Off Dead dei Sodom, The Meaning of Life dei Tankard, Dances of Death dei Mekong Delta, World Chaos degli Holy Moses, Urm the Mad dei Protector e Parody of Life degli Headhunter. In Canada, gli Annihilator bissarono il già straordinario esordio con Never Neverland.
Il mega-tour mondiale Clash of the Tytans, inoltre, incendiò molti palchi e nulla pareva poter fare presagire una qualunque crisi di sorta. Il genere – per dirla altrimenti – pareva più vitale ed in forma che mai. Oltretutto, diverse band – sia di prima sia di seconda fascia – avevano sensibilmente migliorato le proprie qualità tecniche ed erano maturate non poco, il che lasciava ben sperare in vista del futuro. Eppure, riflusso ed oblio erano dietro l’angolo, come un triste destino e un malaugurato esito ultimo.

Nel 1991 due autentici boom discografici, almeno sul piano delle vendite, furono il black album dei Metallica e Nevermind dei Nirvana. Il primo, pur buono, tradì un genere, una carriera fino ad allora a dir poco ineccepibile e un’intera scena musicale. Il secondo lanciò la nefasta moda dell’alternative e del grunge. Le case discografiche più importanti iniziarono ad interessarsi, quasi solo, di camicie a scacchi e finti depressi.
I gruppi cosiddetti ‘minori’ (ma non sempre per valore artistico) si sciolsero uno dopo l’altro in un clima di crescente e ingiusta indifferenza musicale. I maggiori, come vedremo nel corso di questa inchiesta, dovettero sovente reinventarsi. L’estremo sopravvisse altrove: il black rinacque in Norvegia e terre scandinave, assumendo caratteristiche e tratti peculiari tutto sommato a sé stanti; l’hardcore si trasformò spesso in crossover (altro trend), mentre il grind (che, storicamente, veniva dal crust punk britannico) si uniformò quasi ovunque al death: quest’ultimo, a sua volta, non smise di vivere i suoi anni grandi in Florida ed in generale oltreoceano, ma nel vecchio continente o smussò gli spigoli (pensiamo agli svedesi Entombed, dopo i primi due favolosi LP) o si ammorbidì, con innesti gotici, prog e sinfonici (tre grandi nomi, su tutti: Therion e Dark Tranquillity, per stare sempre in Svezia; Atrocity, se vogliamo spostarci più a sud in terra tedesca).

In effetti, la svolta impressa dai Metallica del 1991, perlomeno nell’immediato, pareva essere senza ritorno (e non solo per i Four Horsemen, che unicamente da Death Magnetic sarebbero ritornati al thrash). Per gli altri loro colleghi, la scelta fu triplice: o sciogliersi (come accadde a tante apprezzate seconde leve statunitensi), o rivolgersi a soluzioni più commerciali, o indurire la proposta.
Dopo il 1991, nulla fu più come prima e si aprì una decade di delusioni ed incertezze. Intendiamoci: l’heavy classico andò anche lui in crisi (solo parzialmente riscattato, da metà anni Novanta in poi, dal power melodico e dal prog-metal). Idem dicasi per il glam, l’epic, il pomp rock e l’AOR, ma per il thrash le cose assunsero una piega forse ancora peggiore e più drammatica.
I Death Angel abbandonarono la partita, così come i Dark Angel di Gene Hoglan, il cui capolavoro, l’indimenticabile Time Does Not Heal, ebbe la sfortuna di uscire proprio nel 1991. I Megadeth, dal canto loro, realizzarono il loro black album con Youthanasia (nel 1995) e chiusero il decennio con il pessimo Risk. Gli Anthrax, con John Bush degli Armored Saint, alla voce, tennero ancora botta con l’ottimo Sound of White Noise (peraltro, molto più industrial), quindi si smarrirono in modo del tutto inatteso (Stomp 442 è tra le autentiche oscenità dei Nineties ed a dirlo non è di certo un purista).

Gli Annihilator modificarono il loro stile, con inflessioni dapprima di ascendenza Dream Theater (Set the World on Fire, 1993) ed in seguito industriali (Remains, 1997). Celtic Frost, Sabbat, Sanctuary e Nasty Savage si separarono, chi temporaneamente e chi per sempre. I Pantera si diedero al groove metal. I Corrosion of Conformity presero la via del southern e dello sludge sperimentale. I Flotsam and Jetsam, tra l’ancora buono Cuatro (1992) e Unnatural Selection (1999), realizzarono due dischi davvero anonimi di piatto e scialbo HM. I Sacred Reich portarono inizialmente avanti il discorso da loro avviato nel 1990, incidendo l’interessante ed originale Independent (1993), che, tuttavia, quasi nessuno allora notò più. E pure per loro la parola fine venne scritta presto.
Con coerenza ed integrità, rimasero in pista Overkill e Metal Church, entrambi dediti nei Novanta a un fecondo e nobile intreccio di retaggio speed-thrash ed elementi di derivazione US metal. Sia gli Overkill, sia i Metal Church, peraltro, furono seguiti quasi soltanto dai fedelissimi e dai defenders di provata intransigenza alle nuove mode. Il techno-thrash mutante non morì (pensiamo ai Voivod e ai Coroner) ma per alcuni esordienti – in Finlandia gli ARG, in Austria i Ravenous – debuttare proprio nel fatidico ’91 fu quanto mai deleterio (ancora oggi infatti sono rimasti nomi di nicchia e di culto, per pochi estimatori).

Esemplare, al riguardo, la parabola dei tedeschi Sieges Even: un fenomenale esordio nel 1988, con il techno-thrash iperconcettuale e cinematico di Lifecycle, quindi il passaggio, guarda caso appunto dal 1991, a un prog metal assai melodico e blandamente jazzato.
Visto che, con i Sieges Even, siamo arrivati a parlare di Germania, vediamo un poco più in dettaglio che cosa accadde nel paese che, dopo gli Stati Uniti, aveva dato di più alla causa del thrash. Dopo il 1991, la scena tedesca subì veramente il colpo. Se da un lato i Kreator cominciarono a sperimentare con intelligenza e coraggio nuovi approcci sonori, di matrice industrial e dark-wave elettronica, ed i Sodom riuscirono a stare sulla breccia sporcando ulteriormente il loro stile, con ruvidi innesti, prima death e poi hardcore punk, moltissimi gruppi – in vero, quasi tutti – che avevano gravitato, attorno a loro, nel ricco panorama thrash germanico scomparvero oppure cambiarono genere, virando verso il power melodico (gli Angel Dust, ad esempio).
I Destruction, da parte loro, rimasero in silenzio per quasi quattro anni, il che già la diceva lunga, circa la loro crisi, e tra il 1994 ed il 1995 pubblicarono due sconcertanti EP, lontanissimi dal genere che li aveva visti tra i grandi protagonisti, convertiti ora ad un groove metal modaiolo e di scarsa qualità. Pessimo fu pure il disco edito nel 1996, dalla Brain Butcher, The Least Successful Human Cannonball: un tradimento bello e buono della antica causa, giustamente e coerentemente rinnegato in seguito dall’act tedesco, tornato a nuova vita a partire dal 1999-2000. Durante i Nineties, in Germania, si persero le tracce di Asgard, Assassin, Brainfever, Darkness, Assorted Heap, Vectom, Deathrow, Despair, Exumer, Grinder, Iron Angel, Living Death, Risk, Vendetta e Violent Force. L’underground speed-thrash pareva scomparso. La rinascita giunse solo, nel 2001, con il ritorno al thrash da parte dei Kreator: il combo di Mille Petrozza, con Violent Revolution, aggiornava, con classe, stile e potenza, l’universo sonoro e anche l’iconografia di Coma of Souls, dando vigore e slancio nuovi a una scena da quel momento in via di resurrezione artistico-musicale.

Il peggio era, ora, alle spalle. Ma ritorniamo al 1991, vero e proprio annus horribilis per il movimento thrash, in particolare per quello della Bay Area di San Francisco.
A conti fatti, i grandi che seppero resistere e ripartire furono coloro che accettarono la sfida, per un verso ammettendo (sia pure a malincuore) che una stagione – durata poi solo otto anni, da Kill ‘Em All e da Show No Mercy all’anno del black album – s’era comunque ormai conclusa e che solamente incattivendo in maniera ulteriore il suono era possibile dar nuova vita e almeno in parte nuovo volto al thrash tradizionale, alzando l’asticella in direzione death e stando così al passo con i tempi, senza però rinnegarsi. E’ quanto fecero i Sadus di Steve Di Giorgio (forse il più grande bassista metal del mondo dopo la scomparsa di Cliff Burton), i Sepultura (non senza flirtare, qua e là, col nu metal più creativo), i Testament (i cui album incisi per la Spitfire non saranno all’altezza dei classici degli anni ’80, ma tuttavia tengono il passo e preparano alla rinascita, anche dell’intero movimento), gli Slayer (i quali, nel 1991, pubblicarono il granitico doppio live A Decade of Aggression, seguito da tutta una serie di album seri, professionali e assolutamente inappuntabili sino ad oggi) e volendo i Demolition Hammer di New York.
Oggi, si sa, il thrash è letteralmente risorto, fra ritorni di vecchi eroi e nuovi promettenti gruppi. Gli Slayer, i Metallica, i Megadeth e gli Anthrax (i così detti Big Four) sono di nuovo in gran spolvero e lo stesso può dirsi di Testament, Death Angel e Annihilator (a dicembre del 2017 apprezzati al Live Club di Trezzo sull’Adda), di Exodus ed Hexx, Laaz Rockit, Prong, Whiplash, Flotsam and Jetsam e dei tedeschi Kreator, Destruction, Sodom, Tankard, Accuser, Protector, Holy Moses, Necronomicon e Paradox. Tutti nuovamente sulle ali della meritata ribalta, non senza una maturità, sia compositiva, sia esecutiva, che è inevitabilmente figlia degli anni e del tempo frattanto trascorso.
Oggi abbondano finalmente le ristampe. La scena italiana è nutritissima e di vivo spessore. Il black-thrash è tornato in auge con Inquisition, Akroterion, Condor, Evil Spirit, Ulvedharr e Bunker 66 (e a breve dovrebbe arrivare l’atteso come-back dei Possessed). Gruppi di culto del passato, oltre a veder finalmente riediti su CD i propri dischi, si sono inoltre ricostituiti, pubblicando nuovi lavori, come nel caso dei californiani Dream Death (non senza consistenti componenti doom) e Detente.

Vi è poi una rinnovata e prolifica scena di nomi nuovi, da seguirsi con la dovuta attenzione: Skeletonwitch, Bonded by Blood, Warbringer, Gama Bomb, Havok, Vektor, Power Trip, Enforcer, Evil Invaders e Ranger in primis. Ma occhio, altresì, a Resistance, Lair of the Minotaur, Without Waves, Black Fast, Revocation e Municipal Waste in America, a Dew-Scented, Disbelief, Grantig, Ravager, Reflection, Repent, Running Death, Septagon, Stormhammer, Valborg, Vulture e Zombie Lake in Germania, ai neozelandesi Stalker, ai russi Hell’s Thrash Horsemen, agli indiani Kryptos, ai finlandesi Ranger, ai polacchi Raging Death, ai brasiliani Woslom, agli ungheresi Ektomorf, agli ellenici Sacral Rage e Chronosphere, agli svizzeri Excruciation (con influenze Killing Joke e post-punk), agli australiani Destroyer 666, Envenomed, Hidden Hintent, Harlott, In Malice’s Wake e soprattutto Meshiaak, agli svedesi Armory e Night Viper, ai danesi Battery ed ai canadesi Droid, Warsenal, Untimely Demise e Arckaic Revolt, senza dimenticare i sempreverdi e inossidabili Onslaught in Inghilterra, sovente in tour e dal catalogo adesso quasi tutto disponibile.
Insomma, la crisi innescatasi nel lontano 1991 è stata positivamente superata. E’ divenuta un ricordo, che sa comunque di storia. Vera e vissuta.

Souldrinker – War Is Coming

War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza.

Se per voi il metal è grinta, energia, chitarre sature ed un buon mix tra tradizione e modernità, allora War is Coming, debutto dei tedeschi Souldrinker, è l’album che vi è mancato per arrivare in fondo al 2017 più cattivi che mai.

Il gruppo, che vede tra le sue fila due musicisti dal lungo passato nella scena metal tedesca come Markus Pohl  e Steffen Theurer, hanno trovato nella leonessa Iris Boanta la singer perfetta per ruggire a suo modo su questa decina di brani dal tiro micidiale.
Ne escono dieci esplosioni metalliche tutta grinta e appeal, con chorus che entrano in testa aprendola come un cocomero, ritmiche grasse e solos graffianti in un delirio metallico davvero niente male.
Immaginate un mix letale tra Pantera e Black Label Society che, con in corpo una bottiglia di scotch di troppo, cominciano a suonare power metal, ed avrete un’idea di quello che vi aspetta nei quaranta minuti abbondanti di War Is Coming.
Album che esprime tutta l’energia del metal, War Is Coming risulta un piacevole ascolto pur senza avere un brano portante, ma esprimendo tutta la propria forza metallica nella sua completezza, facensoci per di più conoscere un’altra eroina (Iris Boanta) dalla grande voce.

Tracklist
1.Let the King Bleed
2.Souldrinker
3.Promised Land
4.To the Tick
5.Take my Pain
6.Like Rain…
7.Raise the Flag
8.Fire Raiser
9.Voices
10.Final Stand

Line-up
Iris Boanta – Vocals
Markus Pohl – Guitar
Chris Rodens – Bass
Steffen Theurer – Drums

SOULDRINKER – Facebook

Waroath / Czarna Trumna / Cthulhu Rites – Black Oath Rites

Uno split album complessivamente valido anche se, presumibilmente, destinato a restare confinato al territorio polacco.

Black Oath Rites è un corposo split album che riunisce ben tre band appartenenti alla scena black metal polacca, Waroath, Czarna Trumna e Cthulhu Rites.

Questa formula sta prendendo sempre più piede rivelandosi, soprattutto per realtà meno note al pubblico, uno strumento di grande utilità per fare conoscere la propria musica offrendo nel contempo all’ascoltatore un prodotto vario e dal minutaggio consistente.
Altra peculiarità dell’uscita e quella di riunire altrettanti demo pubblicati in tempi più o meno recenti dalle tre band, con l’aggiunta di qualche bonus track: il tutto si rivela senz’altro più utile per Waroath (con Merciless Night Evil del 2015) e Czarna Trumna (con Haunted Crypt’s Miasma, dello stesso anno), in quanto entrambe non hanno all’attivo un full length come invece avviene ai Cthulhu Rites, dei quali viene invece riesumato Ku chwale mrocznych eonów, primo passo discografico risalente al 2012.
Anche l’approccio al genere è diverso, con i Waroath allineati su un più fruibile e efficace black dalle contaminazioni speed, i Czarna Trumna con un’interpretazione più vicina si canoni nordici grazie a passaggi avvicinabili al pagan, e i Cthulhu Rites che, in ossequio alla ragione sociale, propongono un sound molto più orrorifico cercando di catturare e restituire il terrore delle letteratura lovecraftiana.
Il livello dello split album, considerando le tre band coinvolte nel loro assieme, non è memorabile anche perché, alla fine, in quest’ora e passa di musica siamo pur sempre di fronte a dei demo, con quel che ne consegue soprattutto a livello di resa sonora.
Per quanto riguarda un’ideale classifica di gradimento, direi che questa corrisponde all’ordine della discesa in campo delle band, dicendo anche che alla luce di una maggiore e più qualificata produzione alle spalle mi sarei atteso di più dai Cthulhu Rites, i quali appaiono i più originali del lotto senza però che ne scaturisca un risultato allo stesso modo apprezzabile, forse anche perché non rispecchia del tutto quella che dovrebbe essere stata la crescita della band con il trascorrere del tempo.
L’iniziativa rimane, come detto, più che valida anche se presumibilmente dovrebbe essere destinata a restare confinata al territorio polacco.

Tracklist:
1. Waroath – Cios Barbarzyńskiego Ostrza (Old Metal Omen)
2. Waroath – Whine of Abandoned Graveyard (Deathstrike from Hell)
3. Waroath – On the Lunar Throne of Damnation
4. Czarna Trumna – W czeluści lochów opętania
5. Czarna Trumna – Obscure Mares of Doom
6. Czarna Trumna – Saatana pisar
7. Cthulhu Rites – Azathoth
8. Cthulhu Rites – Katharsis II
9. Cthulhu Rites – Czarna koza z lasu z tysiącem młodych
10. Cthulhu Rites – Dagon
11. Cthulhu Rites – Katharsis I
12. Cthulhu Rites – Panteon ponurych trzęsawisk
13. Cthulhu Rites – Fearsome Melancholy
14. Cthulhu Rites – Hypnos / Outro

Line-up:
Cthulhu Rites
Maciej “Azazoth” Szewczyk – Guitars
R.F. Ghatanoth – Vocals, Drums
A.D. Nyarlath – Bass

Czarna Trumna
The Dead Grave Ghost – Guitars, Bass
The Old Coffin Spirit – Vocals, Drums

Waroath
Wened – Drums, Vocals
Adrian – Vocals
M. Necromancer – Guitars, Bass

CTHULHU RITES – Fcaebook

Svartanatt – Starry Eagle Eye

Più convinzione nei propri mezzi, un sound che sposa atmosfere drammatiche, le tastiere dal mood profondo e porpora, ed un’altra ottima interpretazione del buon Jani Lehtinen al microfono, fanno del nuovo album un passo deciso verso una qualità artistica superiore.

A distanza di un anno dal buon esordio omonimo, tornano i rockers svedesi Svartanatt con il secondo album licenziato dalla The Sign Records.

Si continua a parlare di rock vintage anche in questo inizio d’anno ed il gruppo nordico, con questo Starry Eagle Eye, si inserisce di prepotenza tra le migliori realtà espresse ultimamente dalla scena scandinava, migliorando sensibilmente il proprio sound rispetto al disco precedente.
Più convinzione nei propri mezzi, un sound che sposa atmosfere drammatiche, le tastiere dal mood profondo e porpora, ed un’altra ottima interpretazione del buon Jani Lehtinen al microfono, fanno del nuovo album un passo deciso verso una qualità artistica superiore.
Parliamo sempre di hard rock a cavallo tra i sessanta ed il decennio successivo, pregno di sfumature blues e psichedeliche e mai sopra le righe per potenza, eppure la band una spinta in più la mette (Duffer) per non far perdere l’attenzione ai rockers dai gusti hard & heavy, ma è con brani  drammatici e carichi di pathos che gli Svartanatt convincono maggiormente.
Wolf Blues e Universe Of sono due perle blues che mescolano Beatles e Deep Purple in un vortice psichedelico, mentre il sound si fa più americano rispetto al passato, lasciando profumi d’asfalto bruciato in Hit Him Down e The Lonesome Ranger.
Più diretto del predecesore, Starry Eagle Eye ha una produzione secca e live e i brani se ne giovano, intrisi di atmosfere da jam, proprio come negli anni d’oro del hard rock blues.
Prodotto negli studi Soundtrade di Emil Drougge, l’album come detto è un notevole passo avanti per la band di Stoccolma, quindi assolutamente consigliato a chi del rock classico non può fare a meno.

Tracklist
1.The Children Of Revival
2.Wrong Side Of Town
3.Starry Eagle Eye
4.Duffer
5.Wolf Blues
6.Hit Him Down
7.Universe Of
8.The Lonesome Ranger
9.Black Heart

Line-up
Jani Lehtinen – Vocals,Guitar
Felix Gåsste – Guitar
Mattias Holmström – Bass
Daniel Heaster – Drums
Martin Borgh – Organ

SVARTANATT – Facebook

DISHARMONY

Il viddeo di Vain Messiah, dall’album The Abyss Noir (Grimm Distribution).

Il viddeo di Vain Messiah, dall’album The Abyss Noir (Grimm Distribution).

A Messiah is sent on earth once again to bring the Message and save mankind from its misleading path. But this time, things are not as they were used to be some 2000 years ago…

Athenian metallers DISHARMONY present their new video “Vain Messiah”, one of the most thrashy and powerful songs ​of their latest album titled “THE ABYSS NOIR” (Grimmdistribution, 2017).

Order the new album “The Abyss Noir” (2018, Grimmdistribution) here:
http://disharmony.bandcamp.com
https://grimmdistribution.bandcamp.com/album/003gd-disharmony-the-abyss-noir-2017
http://www.vinylmonster.gr/index.php?route=product/product&product_id=5310

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CONTACT Disharmony:
disharmony.gr@gmail.com

MUSIC VIDEO INFO
Video by http://www.mixproductions.gr
Director: Mavromoustakos Michail
Director of Photography: Kris Tsiakiris

ACTORS
Christina Thorns (Messiah)
Nikos Miras (Devil)
and a big THANK YOU to all of our friends (the Faceless people)

DEEPER DOWN

Il promo video di The Time Road, dall’album The Last Dream Arms in uscita a febbraio.

Il promo video di The Time Road, dall’album The Last Dream Arms in uscita a febbraio.

I Deeper Down (doom gothic metal band Italiana) annunciano l’uscita del loro primo lavoro “The Last Dream Arms” in digipack a Febbraio,
attualmente disponibile in formato digitale su bandcamp e su i principali store digitali.

Per maggiori info:

https://deeperdown-web.bandcamp.com
https://www.facebook.com/deeperdownweb
https://www.instagram.com/deeperdown.web

Snakeyes – Metal Monster

Gli Snakeyes sono una macchina da guerra e senza pietà scaricano una serie di cannonate che esaltano, sorprendono, distruggono, insomma fanno il bello ed il cattivo tempo per chi ama il metal di stampo classico.

Vi avevamo già parlato degli Snakeyes in occasione dell’uscita del loro debutto sulla lunga distanza, quel Ultimate Sin che aveva raccolto elogi a non finire e non solo da parte nostra.

I quattro cavalieri andalusi tornano ad infiammare i cuori dei defenders con Metal Monster, secondo lavoro che conferma la band come ottima realtà del metal underground dal taglio classico: con un album più power rispetto all’esordio, gli Snakeyes si rivelano una macchina da guerra e senza pietà scaricano una serie di cannonate che esaltano, sorprendono, distruggono, insomma fanno il bello ed il cattivo tempo per chi ama il metal di stampo classico.
Evito come la peste la definizione old school, perché Metal Monster si può sicuramente considerare un album classico, ma assolutamente in grado di dire la sua nel nuovo millennio dall’alto di una produzione cristallina, arrangiamenti al passo coi tempi e un sound pieno e coinvolgente.
Ovviamente il quartetto spagnolo mette sul piatto le sue inevitabili ispirazioni ed influenze, d’altronde il genere è quello che ci ha fatto innamorare e ci accompagna da una vita, quindi non aspettatevi niente che non sia stato ampiamente suonato dai vari Judas Priest, primissimi Helloween ed Iron Maiden.
Con il bomber Cosmin Aionita a giocarsela dietro al microfono con una prestazione d’applausi (Halford, Deris e Scheepers racchiusi nella stessa ugola), la band non può che assecondare il suo asso e rifila una serie di goal che si infilano al centro del cuore dei fans.
Un’ora di metal come fu creato dagli dei, una tracklist che non cede di un centimetro vincendo alla grande la scommessa con una durata importante grazie ad esplosioni metalliche come Into The Unknown, (Point Of) No Return, la devastante title track e il crescendo progressivo della conclusiva Rise Up (The Red Plague)Metal Monster è un album bellissimo e  ci accompagna verso un 2018 che si spera ricco di soddisfazioni per chi ama l’heavy metal classico.

Tracklist
1.Into The Unknown
2.Evolution
3.(Point of) No Return
4.Cyberkiller
5.Metal Monster
6.Edge of The World
7.Sign of Death
8.Facing The Darkness
9.Your Own Shadow
10.Circus of Fools
11.Rise Up (The Red Plague)

Line-up
Cosmin Aionita – Vocals
Jose Pineda – Bass & Guitar
Justi Bala – Guitar
Carlos Delgado – Drums

SNAKEYES – Facebook