IN MOURNING-CLOUDS-ANTARKTIS 6 MAGGIO MONK CLUB ROMA

Dark Veil Productions è orgogliosa di presentare una serata di grande Doom/Death metal nordico. Sonorità estreme e atmosfere sofisticate per la prima volta su un palco romano. Dalle fredde lande di Vansbro, Svezia, gli IN MOURNING, pregevole gruppo melodic death metal nato nel 2000 dalla sinergia fra musicisti di grande livello provenienti da October Tide, Contortion, Majalis, Volturyion e, nella formazione più recente, da Katatonia con l’arrivo di Daniel Liljekvist dopo una militanza di sedici anni nella storica band. Gli In Mourning consegnano un melodic death molto sinfonico di grande impatto musicale, emotivo e spettacolare anche sul palco, dal quale incantano per potenza e scenograficità. A precedere gli headliners i CLOUDS, altra formazione che sempre attinge alle ambientazioni nordiche e fra band di grande pregio in ambito doom/death. Il loro atmospheric/sad doom è di assoluto valore, elegante e ricco di suggestioni e sonorità avvolgenti. Apriranno la serata gli Antarktis, spin-off degli stessi In Mourning, con il loro sludge/post metal concretizzatosi nel per ora unico bellissimo album “ILDLAANTE”.

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EARTHLESS

Il video di ‘Volt Rush’, dall’album “Black Heaven” (Nuclear Blast).

Il video di ‘Volt Rush’, dall’album “Black Heaven” (Nuclear Blast).

Gli EARTHLESS, attualmente impegnati nel tour nordamericano di supporto al nuovo album “Black Heaven”, uscito oggi su Nuclear Blast, presentano il video della canzone ‘Volt Rush’.

Il video, girato nella città natale della band, San Diego, oltre che nelle vicinanze di Oceanside, è stato diretto dall’artista di skateboard/visual BB Bastidas e vede la partecipazione dello skateboarder californiano Taylor Smith, aka T-Spliff.

“Siamo entusiasti di presentarvi il primo vero video degli EARTHLESS, diretto dall’artista BB Bastidas”, dichiara il batterista Mario Rubalcaba. “Siamo stati molto contenti di lavorare con BB perché conosce il nostro background come band e le nostre radici vicine al mondo dello skateboarding. La sua arte è straordinaria e ha anche occhio per i film. Avere ospite Taylor Smith, aka T-Spliff, è poi ancora più bello. È una sorta di figura mitologica di skater, un talento straordinario che decide di sfruttare a sua discrezione”.

“Black Heaven” è il primo disco della band ad avere la maggior parte della canzoni cantate ed è anche il primo realizzato col produttore Dave Catching (EAGLES OF DEATH METAL). Rubalcaba spiega l’impatto che lo Joshua Tree studio ha avuto sulla musica: “Questo album rappresenta un altro ramo dell’albero EARTHLESS. Ho trascorso un sacco di tempo a guardare il cielo stellato mentre registravamo nel deserto di Joshua Tree. È un qualcosa che ha influenzato il titolo e le sensazioni generali del disco. Questo LP esplora maggiormente le nostre radici classic rock, le cose con cui siamo cresciuti. È fantastico vedere il talento lirico e la voce intensa di Isaiah. Anche se suona come un cliché ‘Black Heaven’ va suonato ad alto volume!”.

L’album è nei negozi da oggi e include anche le canzoni ‘Gifted By The Wind’ (https://youtu.be/PAMCQt_2R1I) e ‘Black Heaven’ (https://youtu.be/0QvV3J5buvk).

http://nblast.de/EarthlessBlackHeaven

Gli EARTHLESS saranno in concerto in Europa ad aprile:

03.04. B Kortrijk – Wilde Westen
04.04. UK Bristol – The Fleece
05.04. UK Manchester – Deaf Institute
06.04. UK London – Islington Assembly
07.04. F Paris – Petit Bain
08.04. D Frankfurt – Zoom
10.04. D Munich – Feierwerk (@ Hansa 39)
11.04. D Berlin – Bi Nuu
12.04. S Copenhagen – Pumpehuset
13.04. N Oslo – Blä
14.04. S Gothenburg – Truckstop Alaska (no presales, only doorsales)
16.04. D Hamburg – Molotow
19.04. NL Tilburg – Roadburn
20.04. NL Tilburg – Roadburn
21.04. NL Tilburg – Roadburn

www.earthlessofficial.com
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Junk – Double Soundtrack

Ep di quattro brani, facenti parte di due colonne sonore tratte dai film Blood e Cherokee Creek, per i Junk dell’attore Billy Blair, band che amalgama street rock, post grunge ed alternative metal.

Non è una novità trovare attori anche molto famosi che si cimentano come musicisti rock.

Per lo più gli attori hanno sempre lasciato che i musicisti invadessero il loro mondo, ma oggi le cose sono cambiate e, per una Courtney Love o un Jon Bon Jovi alle prese con il grande schermo, c’è un Billy Blair (Machete, Machete Kills, The Last Stand, Jonah Hex, Sin City) che imbracciata la sei corde si piazza davanti al microfono e dà vita a questo trio hard rock chiamato Junk.
Raggiunto da Benjamin K Bachman (voce e basso) e Brian “Boog Nasty” Klein (batteria), l’attore statunitense si destreggia tra street metal da classifica, grunge ed alternative metal in questi quattro brani che formano l’ep Double Soundtrack, con l’opener Pop Rock Genocide a rappresentare il singolo spacca classifiche, almeno se tornassimo indietro di un ventennio, tra irriverenza street metal, groove alternative e post grunge.
Tutti e quattro i brani fanno parte delle soundtrack di due film: Blood (Like Lightning e Built To Last) e Cherokee Creek (Pop Rock Genocide e The Sasquatch); Double Soundtrack viene distribuito dalla Zombie Shark Records e merita senza dubbio un ascolto.

Tracklist
1.Pop Rock Genocide
2.Like Lightning
3.The Sasquatch
4.Built To Last

Line-up
Billy Blair-Vocals, Guitars,
Benjamin K Bachman-Vocals, Bass
Brian “Boog Nasty” Klein-Drums

JUNK – Facebook

The Rumpled – Ashes And Wishes

Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.

Per una volta lasciamo le terre oscure del metal estremo e le strade bruciate dai pneumatici di macchine nelle quali rimbombano chitarre hard & heavy, per tuffarci nelle verdi valli d’Irlanda con questa band italiana, i The Rumpled.

Il gruppo proveniente da Trento ci invita a ballare sulle note della musica tradizionale dell’isola di smeraldo, in una continua festa, attraversando le valli e i pascoli prima di salpare per un viaggio attraverso l’oceano e portare un po’ di quell’entusiasmo e l’energia tipiche della musica originaria di quelle lande.
Nato nel 2013 e con un ep autoprodotto alle spalle uscito tre anni fa, il gruppo licenzia il suo primo full length, questo irresistibile Ashes and Wishes, raccolta di brani folk/rock che seguono la scia dei nomi storici del genere, con accenni al punk diretto e senza fronzoli in un delirio festaiolo che coinvolge fin dalla prima nota dell’opener Rumpled Time.
Oltre ai The Pogues, le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi del genere con in testa Dropkick Murphys e Flogging Molly, d’altronde una delle virtù principali di questo tipo di musica non è certo l’originalità, ma la capacità di coivolgere e trascinare l’ascoltatore in canti e balli.
Ashes And Wishes è un vero spasso, i brani si alternano uno dopo l’altro con il compito di divertire, ed è così che tra una Jig Of Death, The Ugly Side o Ramblin’ On si arriva a far mattina, storditi dalla birra e sfiniti ma felici per l’energia sprigionata nel saltare avanti e indietro senza soluzione di continuità.
I The Rumpled porteranno l’album in giro per nei principali Festival Celtici di tutta Italia durante l’estate, quindi il consiglio è di non perdervi almeno un’ora e mezza di serenità.

Tracklist
1.Rumpled Time
2.Just Say No!
3.Jig Of Death
4.I Wanna Know
5.The Ugly Side
6.Don’t Follow Me
7.County Clare
8.Bang!
9.Dead Man Runnin’
10.Ramblin’ On
11.Letter To You

Line-up
Marco Andrea Micheli – voce
Davide Butturini – chitarra acustica, chitarra elettrica, cori
Luca Tasin – basso, cori
Patrizia Vaccari – violino
Michele Mazzurana – batteria, cori
Tommaso Zamboni – fisarmonica

THE RUMPLED – Facebook

2018 Folk/Rock 7.50

Gungnir – Ragnarök

Qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene nel quarto d’ora scarso di black epico offerto in questo ep.

I Gungnir sono una band greca votata ad un black metal in linea con l’offerta di qualità normalmente in arrivo dalla penisola ellenica.

Il gruppo è formato da un trio che, fin dal monicker prescelto e dallo stesso titolo del lavoro, dimostra d’avere le idee quanto mai chiare sul tipo di sound da perseguire, ovvero un viking black molto epico ed ispirato: questo ep d’esordio, Ragnarök, è piuttosto breve, con i suoi tre brani più intro ed outro, ma appare abbastanza esaustivo relativamente alla linea stilistica intrapresa dai Gungnir.
Our Swords for Thor, infatti, si snoda in linea con quanto fatto di recente e nel migliore dei modi dai connazionali Lloth, e questo è già di per sé un buon segnale: si tratta di una traccia intensa, epica e melodica alla quale non manca nulla per trascinare l’audience in sede live, e lo stesso si può dire tranquillamente anche per The Wanderer (forse ancora più melodica ed evocativa) e Fenrir (l’episodio più aspro del terzetto).
Del resto qui non si ricerca originalità ma musica capace di far alzare le nostre virtuali spade al cielo, operazione che ai Gungnir riesce senz’altro molto bene in questo quarto d’ora scarso, esibendo i presupposti necessari per ritenere che il tutto possa riuscire anche per l’intera durata di un full length.

Tracklist:
1.Intro
2.Our Swords for Thor
3.The Wanderer
4.Fenrir
5.Outro

Line-up:
Ithonas – Vocals
Jim Havok – Bass, Guitars, Keyboards, Vocals
Yngve – Guitars, Drums, Vocals

GUNGNIR – Facebook


2016:

Vento di Nord-Est: ricordando il prog italiano anni Novanta

Quando ormai la bella storia del new prog inglese degli anni Ottanta andava avviandosi verso il suo malinconico tramonto, gli echi – opportunamente rivisitati – cominciarono ad attecchire anche nel nostro paese.

Tra la fine del decennio e il principio del successivo, alcune coraggiose formazioni, su tutti i Men of Lake (i quali si ispiravano al progressive britannico dei Rare Bird ed al kraut rock dei primi Tangerine Dream) e i Jester’s Joke (dal nome marillioniano, pure loro arruolati dalla francese Musea) iniziarono a muovere i primi passi, dapprima su cassetta. Erano, del resto, gli anni dei demo tapes, e non solo per il metal. I più longevi sarebbero stati i Twenty Four Hours, ancora su Musea, in bilico tra i Pink Floyd di A Saucerful of Secrets ed atmosfere magniloquenti ispirate ai primi King Crimson, con il mellotron sugli scudi. Impossibile è dimenticare poi i fiorentini Nuova Era (lanciati dalla mitica Contempo Records) e lo storico ed ottimo debut inciso dai genovesi Eris Pluvia (Rings of Earthly Light, Musea, 1991), dai quali sono derivati, in seguito, Narrow Pass ed Ancient Veil, oggi ancora sulla breccia, e con ottimi dischi di matrice canterburyana. Da ricordare anche i toscani (di Livorno, per la precisione) Egoband, che, con Trip in the Light of the World (1992), incantarono non solo i fans del new prog alla Marillion, ma anche quelli di sonorità più hard e dark, alla Van der Graaf-Peter Hammill, prima di virare coi lavori susseguenti verso un anonimo r ‘n’ b psichedelico.

Sul finire degli Eighties, uno dei gruppi italiani più promettenti erano senz’altro i Black Jester, nati a Treviso e responsabili d’un entusiasmante hard prog, con magnifici impasti di chitarra e di tastiere, suoni barocchi e la particolarissima voce di Alex ‘The Jester’ D’Este (poi negli Snowblind, una cover band dei Black Sabbath). Dopo un promettente nastro omonimo, nel 1990, i Black Jester firmarono per la WMMS di Peter Wustmann, la label tedesca che – sino alla cessazione delle attività, tra 1996 e 1997 – tanto e bene avrebbe fatto, al fine di promuovere il nuovo progressive italiano. Nel 1993 e nel 1994, rispettivamente, i Black Jester pubblicarono i loro due capolavori: Diary of a Blind Angel e Welcome to the Moonlight Circus, felicemente impregnati di un pomp rock metallizzato, sinfonico e favolistico. Il gruppo si sciolse dopo avere tentato la difficile trasposizione di Dante su disco (The Divine Comedy, 1997). Alcuni dei suoi membri hanno successivamente suonato, con ex componenti delle Orme, nei più intimistici Faveravola (2006) ed, in particolare, nei Moonlight Circus. Questi ultimi hanno rilasciato Outskirts of Reality (2000) e Madness in Mask (2007): a tutti gli effetti, una ripresa e una continuazione, aggiornata al nuovo millennio, di quanto realizzato dai Black Jester nel 1994, assieme al paroliere Loris Furlan, oggi editore musicale, con la sua Lizard Records, presso la quale incidono interessanti artisti nostrani di prog, post rock, avanguardia e jazz rock.

Affini ai Black Jester, per provenienza geografica e genere musicale di appartenenza, erano pure gli Helreid, nati anche loro a fine anni Ottanta. Esordirono solo nel 1997, con lo stupendo Mémoires e, quattro anni più tardi, sempre per la piemontese Underground Symphony, realizzarono Fingerprints of the Gods (il titolo veniva dal classico di archeologia spaziale di Graham Hancock, Impronte degli dèi). Gli Helreid, di cui resta realmente nella memoria Mark the Wizard, sono da pochi anni in pista di nuovo: il disco del ritorno (aggiungendo una ‘h’ alla fine del loro nome) è stato Fragmenta, uscito nel 2012, idealmente in linea con gli esordi, come se il tempo non fosse mai passato.
La breve ma meritata stagione di gloria dei Black Jester, nella prima metà degli anni Novanta, fece altresì da traino per tutta una scena validissima ed in fermento, come quella del Nord- Est italiano di allora. L’epicentro era Treviso, dove tra il 1988 e il 1990 furono attivi gli Spleen (recuperati poi nel 1994 dalla Mellow), da cui sorsero i Marathon. Questi furono di fatto i Rush italiani. Dopo il demo World of Trend (1991), i Marathon si accasarono anche loro presso la WMMS e pubblicarono due strabilianti lavori, di metal-prog, melodico ed iper-tecnico: Impossible Is Possible (1993) e Sublime Dreams (1994), con la collaborazione di alcuni membri dei tedeschi Manner.

Il gruppo però forse più importante – non solo di Treviso e dell’Italia nord-orientale, ma di tutto il new prog italiano – rimangono di certo gli Asgard. Nati nel 1984 e quindi ispirati ai Marillion era-Fish, parteciparono alle compilation Italian Rock Invasion (1987) ed Exposure (1988) e si esibirono spesso in concerto: ancora oggi c’è chi ricorda con misto di emozione e nostalgia la loro suite in due parti The Light Spring, tra l’altro mai messa poi su disco. Dopo anni di concerti e di crescita costante gli Asgard furono il primo gruppo italiano a firmare per la WMMS. Il debutto, Gotterdammerung, vide la luce nel 1991. Fu una vera rivelazione, uno stupendo incrocio di retaggi marillioniani e echi della mitologia germanica in musica, un disco che inaugurava il nuovo decennio del prog italiano ed illuminava una scena, in quei giorni, in espansione davvero pronunciata. L’anno successivo, apparve il mini-CD Esoteric Poem, che, in tutto e per tutto, teneva fede al titolo. Alcuni puristi storsero non poco il naso – lo rammento bene, come rammento quegli anni – per gli inserti dark-ambient (molti allora ragionavano intendendo i generi alla stregua di compartimenti stagni), tuttavia gli Asgard avevano dimostrato, solo e semplicemente, di voler progredire lungo la loro strada. Arcana, apparso nel 1993, trovò il perfetto punto di contatto tra lo stile del primo disco e le atmosfere del secondo, preparando la strada alla svolta. Nel 1993, sempre per la WMMS, uscì Imago Mundi: il sound si era indurito e faceva incontrare le origini neo-prog della band con il prog-metal dei Queensryche e dei Dream Theater, con risultati potenti e sublimi. Lo stesso percorso, sia detto per inciso, dei tedeschi – anche loro su WMMS – Ivanhoe, i quali – specie con Visions and Reality (1994) e Symbols of Time (1995), prima di perdersi nel banale heavy maideniano di Paralized (1997) – si mossero tra Rush e Marillion, Dream Theater e Queensryche. Imago Mundi fu uno dei migliori dischi dell’anno 1993, ma anche il canto del cigno di una stagione. Infatti, tra problemi di line-up e ritardi nell’incidere le canzoni del nuovo album, gli Asgard si arenarono e tornarono sulle scene, per una piccola etichetta, solo sette anni dopo. Per quanto discreto, Drachenblut (2000) soffriva del tentativo in verità un po’ artificioso di riportare in vita lo spirito bucolico dei primissimi Genesis, quando ormai il momento magico era passato e l’occasione per un successo su più larga scala purtroppo perduta. Membri degli Asgard, nel 1994, collaborarono altresì alla realizzazione di quello che resta uno dei migliori dischi di pomp rock anni Novanta (insieme A Blueprint of the World, degli americani Enchant, 1993). Mi riferisco ad Hunting the Fox di Ines, bella e brava tastierista tedesca, accompagnata tra gli altri pure da componenti degli storici progsters Anyone’s Daughter e dei friulani Garden Wall (i soli ancora attivi oggi di quella scena, autori di molteplici eccezionali lavori, fra thrash, dark, prog e elettronica robotica). Quanto ad Ines, dopo quel magico esordio, non seppe più confermarsi: Eastern Dawning (1996) esibì una piatta new age, alla Lanvall, appena innervata da spunti per radio FM e momenti di blando soft prog (alla Rebekka), mentre The Flow (1999) denunciò una crisi d’identità notevole e fin più preoccupante, all’insegna di una insignificante world music, etnica e modaiola. Il quarto lavoro, Slipping Into the Unknown (2002), tentò se non altro di tornare all’hard rock, con ballate acustiche e influenze pop desunte dai (peraltro prescindibilissimi) dischi solisti di Phil Collins e Tony Banks.

Nei primi anni ’90, in Veneto, furono attivi anche i Top Left Corner, di Padova. Anche per loro un demo tape omonimo (1994), e due buonissimi dischi, per la WMMS: Mystery Book (1994) – col suo progressive epico alla Rush-Yes-Asgard – e Nowhere (1996). Sempre dal Nord-Est venivano inoltre i friulani Barrock, autentici maestri del prog sinfonico, guidati dal grande Walter Poles. Tre lavori, oltre alle tante cassette registrate tra il 1983 e il 1988: L’alchimista (inciso nel 1990 e pubblicato in Giappone dalla Moon Witch, l’anno dopo), Oxian (edito dalla olandese SI Music nel 1995) ed infine La strega, licenziato dalla ligure Mellow Records, nel 1999, proprio in conclusione della decade. In Friuli, ad Udine, furono attivi anche i Last Warning, nati nel 1987. Dopo il demo Bloody Dream (1992-1993), incisero per la WMMS il fantastico From the Floor of the Well (1994), a metà strada fra Threshold e Crimson Glory, per poi proseguire su Underground Symphony. Di Udine sono pure gli straordinari Quasar Lux Symphoniae, tra i maggiori e forse sottovalutati gruppi italiani di prog barocco ed orchestrale. Formatisi nel lontano 1976, incisero sempre per la WMMS due capolavori, quali la rock opera Abraham (1994) e il mitologico The Enlightening March of Argonauts (1997). E la loro discografia non si ferma qui.
Affini al vento che soffiava da Nord-Est furono poi i varesini Court, che si fecero notare col demo-tape Live, nel 1992. Il loro And You’ll Follow the Winds (1993) fu un autentico gioiellino hard-folk, che rimpiazzava senza rimpianti le tastiere (virtualmente assenti) con chitarre acustiche e flauto alla Jethro Tull. Fenomenali dal vivo – condivisero il palco fra Italia e Germania con i Black Jester e gli Ivanhoe, nell’estate 1994 – i Court smarrirono purtroppo quasi subito la propria identità: Distances (1997) mise in mostra soltanto un rock annacquato, con momenti di sbadiglio o addirittura irritanti, pochissimo prog e un vago orientamento psichedelico mal metabolizzato. Anche il successivo Frost of Watermelon (2007), ispirato ai Caravan, non lasciò il segno. Da riscoprire comunque il debutto, insieme a quello dei modenesi Lie Tears – i quali, dopo i nastri Hypnotic Mind (1995) e Lost Sand Sad (1997) – pubblicarono per la Underground Symphony A Gate for Another Life (1999), davvero bellissimo nei suoi riusciti intrecci di hard melodico inglese e new prog appena metallizzato.
Oggigiorno, quel mondo e quella scena musicale, che specie nel Nord-Est italiano dei primi anni ’90 vide emergere ottimi gruppi, non esistono più. Restano solo i ricordi. In generale, il new prog – sia inglese, sia europeo ed italiano – pare avere ormai esaurito la sua linfa vitale. Consiglio nondimeno di dare un ascolto a chi, nella nostra penisola, ancora ci crede e realizza CD validi e interessanti. Si ascoltino in particolare i Cage, i riformati CAP, gli Archangel (con Clive Nolan dei Pendragon, alle tastiere, in qualità di ospite), i Sithonia, i Gran Turismo Veloce, gli scoppiettanti Flower Flesh e, soprattutto, i grandissimi Graal, forse i migliori eredi in termini compositivi dei Black Jester, epici e gotici, con il loro hard prog pomposo e fantasy, che – attraverso quattro meravigliosi album – cita e riprende in una maniera originale, creativa e personale, l’eredità perenne di Uriah Heep, Magnum, Rainbow e Dio. Perché la fiamma non si spegne mai.