ATLAS PAIN

Il video di ‘The Lighthouse’, nuovo singolo tratto dall’album ‘What The Oak Left’ (Scarlet Records).

Il video di ‘The Lighthouse’, nuovo singolo tratto dall’album ‘What The Oak Left’ (Scarlet Records).

La Epic/Folk Metal band Atlas Pain ha pubblicato il video di ‘From The Lighthouse’, nuovo singolo tratto dall’album ‘What The Oak Left’, disponibile su Scarlet Records.

Gli Atlas Pain combinano in maniera personale elementi di Extreme, Pagan/Folk e Symphonic Metal con un approccio decisamente “cinematografico”.

‘What The Oak Left’ è stato registrato presso i Media Factory studio di Fabrizio Romani (Skylark) e masterizzato da Mika Jussila (Nightwish, Children Of Bodom) ai Finnvox Studios di Helsinki. Il bellissimo artwork è stato curato da Jan Örkki Yrlund di Darkgrove (Korpiklaani, Manowar).

Lenore S. Fingers – All Things Lost On Earth

Un disco così profondo, intenso e nel contempo delicato, poteva scaturire solo dall’incontro tra il triste disincanto del gothic dark di matrice nordica ed il tepore mediterraneo, capace di sciogliere il ghiaccio trasformandolo in lacrime liberatorie.

Quando, nel 2014, uscì un album come Inner Tales, era apparso subito evidente che ci si trovava di fronte all’epifania di un talento unico e cristallino come quello della giovanissima musicista calabrese Federica “Lenore” Catalano.

Restava solo da confermare quanto di buono già mostrato in quel frangente ed è valsa, così, la pena d’avere atteso diverso tempo prima di poter ascoltare il seguito di quel bellissimo disco: All Things Lost on Earth è un’opera che riconcilia con il gothic contraddistinto da voce femminile chiunque avesse in uggia questo tipo di soluzione.
Già, perché qui non c’è nulla di scontato e pianificato a tavolino, solo una decina di canzoni splendide, interpretate da una cantante dalla voce particolare e personale, aiutata da una band perfetta nel proprio ruolo di robusto e, al contempo, atmosferico supporto.
Nel sound dei Lenore S. Fingers confluisce un’inevitabile serie di influssi provenienti da band differenti, ma aventi quale comune denominatore la capacità di produrre musica intrisa di malinconico trasporto (Novembre, Katatonia, The Gathering era Anneke, su tutte), e da ciò ne scaturisce un sound che produce il risultato tutt’altro che scontato di non assomigliare ad un modello specifico.
All Things Lost On Earth è un lavoro che possiede la forza di resistere ad una tripletta iniziale di brani talmente belli che renderebbe superfluo il prosieguo di qualsiasi altra tracklist: My Name Is Snow è una sorta di intro, con la voce di Federica che si appoggia sul tappeto strumentale creato dall’ospite Anna Murphy (un’altra splendida interprete che fornisce il suo prezioso contributo all’album solo in forma strumentale, attraverso le tastiere ed uno strumento tradizionale come la ghironda), seguita da Lakeview’s Ghost, dal superlativo chorus e con un’accelerazione finale che conduce a Rebirth, brano di struggente bellezza in ogni suo aspetto.
Così Ever After, con il suo incedere più lieve, funge da ideale cuscinetto tra la prima parte dell’album e quella conclusiva, assieme alla più elaborata Luciferines, unica traccia nella quale appaiono parti cantate in italiano, e la “novembrina ” Epitaph.
L’intensa My Schizophreniac Child recupera l’impatto emotivo impercettibilmente scemato nei brani appena citati, conducendo alla sognante Decadence Of Seasons, canzone nella quale Federica regala brividi a profusione, replicati in buona parte nella più ariosa title track, e affidando la chiusura alla breve e più cupa Ascension, finale degno di un disco di enorme valore.
I Lenore S. Fingers hanno perso buona parte di quelle sfumature doom messe in mostra all’esordio, approdando ad un gothic ricco di quel pathos mancante alla maggior parte degli album ascrivibili allo stesso ambito, spesso perfetti dal punto di vista formale ma scontati nelle soluzioni e incapaci di comunicare empaticamente nei confronti dell’ascoltatore; Federica e i suoi compagni ci aprono, invece, le porte di un microcosmo nel quale regna una malinconia soffusa, lontana sia dalla disperazione delle forme più estreme di doom, sia dall’enfasi dai tratti sinfonici del gothic più commerciale: un disco così profondo, intenso e nel contempo delicato, poteva scaturire solo dall’incontro tra il triste disincanto del gothic dark di matrice nordica ed il tepore mediterraneo, capace di sciogliere il ghiaccio trasformandolo in lacrime liberatorie.

Tracklist:
1. My Name Is Snow
2. Lakeview’s Ghost
3. Rebirth
4. Ever After
5. Luciferines
6. Epitaph
7. My Schizophreniac Child
8. Decadence Of Seasons
9. All Things Lost On Earth
10. Ascension

Line-up:
Federica Lenore Catalano: vocals, acoustic guitars, guitar synth
Patrizio Zurzolo: electric guitars, guitar synth
Natale Casile: bass
Gianfranco Logiudice: drums

Special Guest: keyboards, synth and hurdy-gurdy by Anna Murphy

LENORE S.FINGERS – Facebook

Thundermother – Thundermother

Il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.

Filippa Nässil, leader di quella bomba rock’n’roll che di nome fa Thundermother e che un paio di anni fa ci era esplosa tra le mani grazie ai brani che componevano Road Fever, primo fantastico album del gruppo tutto al femminile proveniente dalla Svezia, deve aver faticato non poco prima di uscire da una crisi che ha visto tre quinti del gruppo fare le valigie e partire per altri lidi.

Altre tre ragazze terribili sono state assunte per dare vita a questo secondo album omonimo: la sanguigna cantante Guernica Mancini, la bassista Sara Pettersson e la batterista Emlee Johansson; le Thundermother possono così tornare a farci male con il loro hard rock classico, strutturato su un irresistibile mix di Ac/Dc e rock’n’roll scandinavo.
Diciamolo subito, il clamoroso debutto è solo in parte sfiorato da questi nuovi tredici brani che tanto perdono dell’urgenza e della sfacciataggine rock’n’roll dell’esordio, per un approccio più ragionato, meno scanzonato ed in parte più blues.
Sarà che la Mancini ci delizia con la sua voce che tanto sa di hard rock alcolico, affascinate e ruvida il giusto per spezzare cuori in qualche locale fumoso della Stoccolma rock style, ma Thundermother ci consegna una band cambiata inevitabilmente anche nell’approccio al rock che qui si fa più maturo e scafato.
L’opener Revival ci dà il benvenuto, mentre scorrono i brani di questo lavoro, tra Ac/Dc, accenni blues alla Mother Station e diretti al volto di marca Backyard Babies.
Racing On Mainstreet, il blues che accompagna Fire In The Rain, l’irresistibile Original Sin, i canguri australiani che saltano al ritmo di We Fight For Rock ‘n’ Roll, fanno parte di una raccolta di brani che, se lascia indietro un po’ di quell’entusiasmo contagioso del primo lavoro, supera la prova di un ritorno così sofferto e faticoso.
Tanto di cappello alla Nässil, rocker tripallica che dimostra di non fermarsi davanti alle avversità andando avanti a testa alta per la sua strada… We Fight For Rock ‘n’ Roll.

Tracklist
01. Revival
02. Whatever
03. Survival Song
04. Racing On Mainstreet
05. Fire In The Rain
06. Hanging At My Door
07. Rip Your Heart Out
08. The Original Sin
09. Quitter
10. We Fight For Rock ‘n’ Roll
11. Follow Your Heart
12. Children On The Rampage
13. Won’t Back Down

Line-up
Filippa Nässil – Guitars
Guernica Mancini – Vocals
Sara Pettersson – Bass
Emlee Johansson – Drums

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Insaniam – Ominous Era

I cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.

Leggenda vuole che qualche tempo fa, in un istituto psichiatrico, cinque individui ospiti della struttura furono rinchiusi per diverso tempo lontano da qualsiasi contatto con l’esterno: questo esperimento su menti già di per sé instabili portò ad un fenomeno patologico chiamato Insaniam.

Ora queste mostruose creature provenienti dalla Spagna sono libere di circolare e sfogare tutta la loro depravata pazzia usando il monicker dell’esperimento che li ha trasformati in macchine di tortura e depravazione, ed i risultati sono stati il primo ep licenziato tre anni fa (Neurotic Mental Storm) e, soprattutto, questo debutto sulla lunga distanza, intitolato Ominous Era, composto da undici brani dal sound strutturato su un black metal a tratti melodico, dalle ritmiche che in alcuni casi si avvicinano al thrash moderno e caratterizzato da digressioni progressive.
Detto così sembrerebbe di essere al cospetto di un debutto sopra le righe, ed in parte il giudizio si avvicina a questa affermazione, non fosse per una prolissità che porta inevitabilmente a perdere l’attenzione necessaria per arrivare in fondo all’ascolto.
E’ pur vero che i cinque malati di mente che si nascondono sotto il monicker Insaniam regalano, almeno per i primi quaranta minuti, un metal estremo davvero suggestivo, frenetico, moderno e schizofrenico il giusto per trasformare il proprio sound in un’alchimia tra il black metal ed il thrash progressivo suonato dagli Strapping Young Lad.
Ominous Era è un susseguirsi di cambi di tempo, sferzate black e ripartenze modern thrash da infarto, con lo scream pazzoide che tortura i padiglioni auricolari, vocine alterate provenienti da menti devastate dalla malattia ed atmosfere che inducono ad immaginare la cruenta vita di una casa degli orrori.
La band riserva il meglio alla partenza, con due brani di devastante pazzia come l’opener Disequilibrium e Let The Fever Explode, poi ci si assesta sui canoni descritti fino al capolavoro black/thrash metal Mother Whispers In My Ear.
Come detto, la fatica in seguito si fa sentire e si arriva agli attimi conclusivi di NNN, dalle atmosfere horror, con un leggero fiatone anche se in generale il giudizio sull’album rimane assolutamente positivo.
Consigliato ai fans del black metal più moderno e dalle melodie progressive, Ominus Era risulta un’ottima partenza per il gruppo spagnolo, speriamo solo che non vengano catturati e rinchiusi un’altra volta.

Tracklist
1.Disequilibrium
2.Let the Fever Explode
3.Epidemic Race
4.Primal Fear
5.Chrysalis
6.The Reign of Mist
7.Mother Whispers In My Ear
8.Vermin
9.Moths
10.Flesh That Fuels
11.NNN

Line-up
Neuros – Vocals
Dementh – Guitars
Theryan – Drums
Anxxiet – Guitars
Psycho – Bass

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Owl – Orion Fenix

Orion Fenix va lavorato con una certa pazienza, cercando soddisfazione all’interno di un sound minaccioso e pesante per riuscire infine a rendersi conto della sua oggettiva bontà.

Torna dopo alcuni anni, con un ep composto da un solo lungo brano della durata di circa venti minuti,
il progetto solista denominato Owl di Christian Kolf, vocalist dei Valborg.

Il musicista tedesco, sin dall’inizio del decennio con questo monicker si è reso protagonista di un death doom piuttosto dissonante e sperimentale, con un’ampia componente ambient: Orion Fenix mantiene queste coordinate dimostrando come “il gufo” non intenda derogare dalla strada maestra intrapresa.
Ne viene fuori quindi un lavoro interessante, anche se non per tutti i palati, in quanto privo di decise aperture melodiche, salvo un più arioso frammento finale, o di passaggi comunque in grado di catturare l’attenzione al primo colpo; Orion Fenix va così lavorato con una certa pazienza, cercando soddisfazione all’interno di un sound minaccioso e pesante per riuscire infine a rendersi conto della sua oggettiva bontà, che si svela in maniera definitiva attorno al quindicesimo minuto, quando parte appunto una bella progressione di natura post metal.
L’eterea chiusura di matrice ambient rafforza le sensazioni positive prodotte da un ep che costituisce l’ideale antipasto al già programmato ed imminente full length Nights In Distortion: Kolf conferma d’essere un musicista di vaglia, capace di costruire una proposta sonora solidamente introspettiva anche se, inevitabilmente, di non troppo semplice fruizione.

Tracklist:
1. Orion Fenix

Line-up:
Christian Kolf

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