INSOMNIUM + TRIBULATION – 4 aprile Legend Club, Milano

Reduci da due date di successo a Bari e Bologna il 27 e 28 marzo, la melodic death metal band INSOMNIUM, una delle più importanti realtà del genere, è pronta per suonare a Milano al Legend Club il prossimo mercoledì 4 aprile.

La band è ripartita da metà marzo con la seconda parte del Winter’s Gate European Tour 2018 e sta percorrendo l’intera Europa, portando dal vivo la musica dell’ultimo epico concept album “Winter’s Gate” insieme ai migliori brani del repertorio Insomnium.
Il disco è una lunga suite di 40 minuti che esplora musicalmente una short story scritta dal cantante e bassista della band Niilo Sevanen.

Ma non è finita qui: per tutte le date italiane troviamo come special guest i TRIBULATION. La band svedese è tra le nuove proposte metal più acclamate, in uscita con il nuovo album “Down Below”. In grado di unire black metal, rock seventies, death metal e tanto altro in un melting pot unico.

Uno show da non perdere!

Questi i dettagli:
MERCOLEDI’ 4 APRILE
c/o LEGEND CLUB, viale Enrico Fermi 98, MILANO
Evento FB -> http://bit.ly/2z7cKO3

Biglietto:
In prevendita: 20 € + d.p. -> http://www.mailticket.it/evento/12271
In cassa la sera del concerto -> 23 €

Apertura porte: ore 21.00
Inizio concerti: ore 21.30

www.insomnium.net
www.facebook.com/insomniumofficial

SOUTH OF NO NORTH

Il lyric video di’Klatuu Barada Nikto’, dall’ EP di debutto ‘Stubborn’.

Il lyric video di’Klatuu Barada Nikto’, dall’ EP di debutto ‘Stubborn’.

I Groove Metallers SOUTH OF NO NORTH rivelano il lyric video ufficiale del brano ‘Klatuu Barada Nikto’, dal loro EP di debutto ‘Stubborn’.
Il loro sound è una miscela di groove metal vecchia scuola e influenze sperimentali più moderne, mentre la vena ironica e provocatoria dei loro testi, esprime una dissacrante visione della nostra società.

L’EP ‘Stubborn’ e’ stato pubblicato nel Novembre del 2017 mentre il lyric video di ‘Klatuu Barada Nikto’ è stato prodotto dai South Of No North e da Bob Manetta.

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Cult Of Parthenope Promotion

Email : promotion@cultofparthenope.com
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Will’O’Wisp – Mot

Se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

I liguri Will’O’Wisp sono una tra le molte band la cui attività è iniziata nel secolo scorso e che, dopo una lunga interruzione, ha ritrovato impulso in questo decennio segnalandosi di nuovo all’attenzione delle frange di ascoltatori più attenti alle forme di metal estremo ed obliquo.

La ripartenza, avvenuta nel 2012, ha visto il fondatore Paolo Puppo radunare attorno a sé musicisti di comprovato spessore, a partire da Jacopo Rossi (Nerve, Antropofagus ed attuale spalla compositiva di Mike nei Dark Lunacy) al basso, Oinos (ex-Sadist e Node) alla batteria e alle tastiere, ed Emanuele “Deimos” Biggi (Mortuary Drape) alla voce.
Mot è quindi il terzo full length (dopo Kosmo ed Inusto) pubblicato da questa nuova incarnazione dei Will’o’Wisp, ed il quinto se consideriamo i primi due risalenti rispettivamente al 1997 (Enchiridion) e al 2001 (Unseen): a giudicare dal contenuto del lavoro si può tranquillamente affermare che oggi la band è una delle migliori espressioni in circolazione del death metal dalle sembianze technical/progressive, soprattutto perché l’abilità strumentale dei singoli viene messa al servizio di un songwriting pirotecnico, ma sempre focalizzato sull’imprescindibile forma canzone, unico antidoto al tecnicismo fine a sé stesso.
Gli undici brani contenuti nell’album sono sferzate brevi, violente ed imprevedibili, con l’apporto di “armi” non convenzionali come archi, fiati, percussioni e voci liriche offerte da una lunga serie di ospiti provenienti dalla scena genovese, incluso il più illustre di tutti,Tommy Talamanca, che ha offerto da par suo alcuni pregevoli passaggi di chitarra solista, oltre ad essersi occupato della produzione di Mot presso i suoi Nadir Studios.
E’ proprio grazie a tutto questo che ogni singola traccia possiede una vita propria e risulta funzionale alla riuscita di un album che non conosce punti deboli, regalando una serie di episodi micidiali come Throne of Mekal, Rephaim, Descending to Sheol e Rain of Fire, nei quali la base estrema viene messa costantemente in discussione dalle incursioni degli elementi sopracitati, con l’effetto di rendere il tutto irresistibile anziché frammentario, come si poteva paventare.
Un merito questo, da attribuirsi in toto a questo gruppo di musicisti capace di lasciare il segno con un lavoro snello per durata, ma sferzante e tagliente per effetto: se qualcuno necessitasse di un’opera da esibire quale esempio di death metal “progressivo ” nell’accezione più autentica del termine, Mot ne sarebbe l’ideale e più fedele istantanea.

Tracklist:
1. I Am Pestilence
2. Throne of Mekal
3. The Seven
4. Rephaim
5. Hall of Dead Kings
6. Banquet of Eternity
7. Descending to Sheol
8. Those of the Annihilation
9. Kavod
10. Rain of Fire
11. MLKM

Line-up:
Paolo Puppo – Guitar
Jacopo Rossi – Bass
Oinos – Drums, Keyboards
Deimos – Vocals

Guests:
Elisabetta Boschi – Flute
Micol Picchioni – Harp
Gabriele Boschi – Violin
Tommaso Sansonetti – Timpani
Gigi Magnozzi – Viola
Lorenzo Bergamino – Marimba
Benedetta Torre – Vocals (soprano)
Daniele Barbarossa – Vocals (additional)
Tommy Talamanca – Guitar
Andy Marchini – Bass

WILL’O’WISP – Facebook

Onirism – Falling Moon

Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge le auspicate vette di assoluta eccellenza.

Ritroviamo la one man band francese Onirism, alle prese con il suo black metal atmosferico, con un primo full length dopo l’ep Sun, trattato su queste pagine l’anno scorso.

Rispetto a quell’uscita, che aveva convinto solo in parte, si denota indubbiamente quel progresso auspicato per quanto riguarda i suoni di tastiera, mentre il resto appare sempre di buon livello senza raggiungere però particolari picchi.
Falling Moon è senza dubbio un buon album, nel corso del quale la materia viene trattata in maniera ottimale, ma non raggiunge vette di assoluta eccellenza a mio avviso per alcuni motivi : intanto si manifesta una convivenza un po’ forzata tra un’anima atmosferica ed un altra più spiccatamente sinfonica, con la prima senz’altro più efficace ma con la seconda che, più o meno a metà della tracklist la scalza, lasciando del tutto il proscenio ad un tastierismo piuttosto insistente a discapito di quello  misurato e prossimo al significato del monicker mostrato in precedenza; inoltre, tutto ciò finisce per offrire una sensazione di diffusa leggerezza, o comunque di poca profondità che diviene palpabile man mano che l’album si dipana nella sua ora abbondante di durata.
In sintesi, ritengo che un brano come la title track sia sufficientemente esemplificativo di quello che mi sarebbe piaciuto ascoltare con maggiore continuità dal bravo Vrath in questa occasione ma, visto che Falling Moon è un’opera che lascia aperte diverse soluzioni stilistiche, non è detto che ciò debba necessariamente accadere in futuro.
L’album resta comunque un ascolto pregevole soprattutto per chi apprezza il symphonic black.

Tracklist:
1. Night Sky Above the Desert (intro)
2. See the End of the Worlds
3. Falling Moon
4. Under the Stars
5. I’m Dying Again
6. The Endless Ride of Heavens
7. Summoned by the Astral Side (Interlude)
8. When Titans Awake
9. The Cosmic Whale
10. Meteor Shower (Interlude)
11. The Celestial Calling

Line-up:
Vrath – Everything

ONIRISM – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: THE CRYSTAL FLOWERS

Grazie all’avvio della reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Oggi è il momento dei The Crystal Flowers, ottima band formata da esperti rockers romani.

MC Benvenuto a Overthewall! Ti chiedo immediatamente la genesi della band: come si formano i Crystal Flowers e quali sono le vostre precedenti esperienze musicali?

The Crystal Flowers è fondamentalmente un progetto esistenziale, risultato dei percorsi individuali di quattro “vecchi ragazzi” che, tuttavia, avevano in comune una inquietudine e insoddisfazione per quello che la proposta musicale contemporanea esprimeva in termini di conformismo musicale e commerciale, per certi versi anche nelle “nuove” tendenze. E’ stato quindi naturale convergere in una dimensione intima, privata… direi clandestina, per ricominciare partendo dal desiderio di ciascuno di scongiurare la “deriva professionale” e ritrovare essenzialità e autenticità delle origini. Tra le quattro mura di un seminterrato, come una società segreta…

MC Il vostro album di debutto è un ritorno alle radici del rock degli anni 60/ 70. Ci parli di questo lavoro?

Ritrovare le radici significa ritrovare, e senza compromessi tecnologici, quell’energia, ispirazione e suono definite dal perimetro chitarre basso batteria voce. Non come codice manieristico, ma come via espressiva fatta di analogico e acustico, di valvole e feedback, aliena a qualsiasi forma di contaminazione iperdigitalizzata. Crystallized suona come un vecchio vinile e parla con un sound e una energia che vengono da lontano. Utilizza un linguaggio evocativo (ma non rievocativo) senza tempo e comprensibile a chiunque. Anche i testi voglio raccontare tematiche riconoscibili e identificative, quali il disagio di un sentimento-prigione, la solitudine nell’epoca dei social, la vita come metafora del viaggio, la rabbia dei sopravvissuti nell’epoca dell’omologazione… Ecco, Crystallized è proprio questo: una chiamata a raccolta, un richiamo primordiale ai sopravvissuti…

MC Come mai “ritorno alle origini”? Secondo voi c’è qualcosa che può ancora insegnarci il movimento ribelle e rivoluzionario di quegli anni?

E’ ormai patrimonio comune la certezza che quel laboratorio trasversale (storico, sociale, culturale, artistico, ecc.) che sono stati gli anni tra la fine dei ’60 e l’inizio dei ’70, sia stato anche un big bang di ispirazione delle mille vie intraprese dal rock, nelle sue diverse declinazioni e direzioni. Allora, se di eredità universale dobbiamo parlare, riconosciamo davvero anche quella ingenua ma potente voglia di intraprendere, di sperimentare, di superamento dei limiti e delle convenzioni precostituite. Diventa perfino una necessità, quasi un obbligo, recuperare questa spinta originaria senza la contaminazione del “troppo già detto” della nostra epoca… quella illuminazione, quella visione che solo l’idea originale può generarti. E se perfino uno come Prince, raro esempio di trasversalità musicale, ha alla fine riconosciuto: “la musica deve tornare indietro”, allora forse la direzione dei The Crystal Flowers è quella giusta. Almeno per noi.

MC Qual è l’elemento ideale per la band? Preferite esibirvi dal vivo o vi sentite più a vostro agio in studio di registrazione?

Sicuramente il live è la nostra dimensione: perché il rock è comunicazione “in diretta”, è energia e empatia, è un circuito emozionale che molto ha a che fare con l’amore/odio e tutto ciò che di positivo e vitale passa tra questi due estremi nell’interazione tra persone. Voglio dire, la fase intimistica di clandestinità serve a strutturare il nucleo delle idee, ma le idee vanno poi raccontate, anzi… rappresentate e urlate. Se sono autentiche, allora il circuito nel live si attiva e tutto prende vita.

MC Cosa è previsto nel futuro della band? Puoi darci qualche anticipazione per i nostri ascoltatori?

Nonostante un mercato non esattamente orientato alle nuove proposte e agli inediti, abbiamo vari progetti diversificati che partiranno dalla primavera, e che invitiamo tutti a seguire sulla nostra pagina FB. Ci siamo inoltre ricavati la fama di “incursori e disturbatori” anche in contesti apparentemente innaturali per il rock ma di grande effetto comunicativo, quale ad esempio la nostra presenza come “guest star” alle finali del Cantagiro 2016, la madre storica di tutti gli eventi pop italiani, con considerevole eco e risalto sulla stampa di settore. Sicuramente proseguiremo anche in questa direzione, nella tradizione di ogni spirito ribelle…

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi?

facebook: https://www.facebook.com/thecrystalflowersband/
web: www.thecrystalflowers.com
@ : info@thecrystalflowers.com

Morbosidad – Corona De Epidemia

Brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica fanno di questo lavoro un discreto spaccato di metal estremo dedicato al maligno.

La versione in vinile limitata di questo inno a Satana ed alle sue nefandezze portava una copertina diversa da quella che troverete in bella mostra sul cd contenente il quinto full length di questa realtà death/black metal proveniente dal più marcio sottobosco estremo statunitense.

Corona de Epidemia è un violento attacco satanico, un belligerante inno all’oscuro signore, alla guerra e alla morte suonato dai Morbosidad, quartetto estremo nato nel lontano 1993 in California ed in seguito stabilitosi in Texas: una produzione che tanto sa di vecchia scuola black metal, impatto da tregenda e blasfemie a go go dentro a brani brevissimi e sparati in faccia ai benpensanti con una forza estrema convincente, ma a tratti forzata, e la totale mancanza di una minima apertura melodica, fanno di questo lavoro uno spaccato di metal estremo satanico dedicato al maligno ed in grado di soddisfare la sete di violenza dei suoi servitori.
Mezz’ora basta ed avanza al gruppo statunitense per far inghiottire chiodi arrugginiti sporchi del sangue di Cristo in un delirio death/black metal non molto distante dal genere suonato nell’Europa dell’est.
L’ospite Sodomatic Slaughter dei Beherit, nella traccia di chiusura, è la chicca di Corona De Epidemia, abominevole ed oscuro lavoro che non può non attrarre i fans del metal estremo.

Tracklist
1.Muerte Suicidio
2.Corona de Epidemia
3.Cordero de Cristo
4.Cristo en Desgracia
5.Transtorno Mental
6.Condena y Castigo
7.Difunto
8.Maldición
9.Sepulcro de Cristo
10.Crudeza
11.D.E.P.

Line-up
Tomas Stench – Vocals
Matt Mayhem – Drums
Joe Necro – Guitars, Bass
Ded Ted – Bass

MORBOSIDAD – Facebook

Usurpress – Interregnum

Gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.

Difficile non catalogare come progressive metal il sound di questo bellissimo album, quarto full length degli Usurpress, gruppo svedese attivo dal 2010 ma con una ricca discografia alle spalle.

Difficile, perché ad un primo ascolto l’anima estrema della band di Uppsala esce prepotentemente dai binari progressivi su cui viaggiano le sette tracce che completano Interregnum, mentre soffermandosi un poco si scoprono ispirazioni usate dai musicisti svedesi addirittura riconducibili agli anni settanta.
Registrato e mixato ai Dugout Productions della città finnica, uno studio che ha visto passare band del calibro di In Flames, Soilwork, Behemoth e Dark Funeral, l’album non inventa assolutamente niente, ma si muove nel territorio delle emozioni con la disinvoltura di chi sa come intrattenere gli amanti del progressive metal dal piglio estremo.
E gli Usurpress usano tutte le armi a loro disposizione per cercare di non essere banali, pur riproponendo una formula già scritta in passato a cui aggiungono, appunto, ispirazioni progressive, oscure melodie doom e qualche accenno al melodic death metal.
A Place In The Pantheon è l’inizio che non ti aspetti, con una progressive song quasi interamente strumentale e voci appena sussurrate che accompagnano chi ascolta verso il cuore dell’album, prima con il crescendo oscuro di In Books Without Pages, poi con le due nere perle che valorizzano tutta l’opera: Late in the 11th Hour e Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo) , in tutto diciassette minuti di death metal vario, tra forza estrema e melodie metal/rock che non lasciano sicuramente indifferenti.
Il trio (Stefan Pettersson al microfono, Påhl Sundström alla chitarra e Daniel Ekeroth al basso) viene aiutato in quest’opera dai bravissimi Stefan Hildman (batteria) e da Erik Sundström (tastiere), tutti musicisti dall’ottima tecnica e dal background che sconfina nel jazz e nella fusion, per una formazione di tutto rispetto.
Un altro ottimo lavoro progressivo, orientato verso il doom/death metal old school (Paradise Lost e Mobid Angel) e il progressive rock (Camel, King Crimson), quindi lontano dai deliri post che vanno tanto di moda oggi.

Tracklist
1. A Place in the Pantheon
2. Interregnum
3. In Books Without Pages
4. Late in the 11:th Hour
5. Ships of Black Glass (I: Shards, II: Black Echo)
6. The Iron Gates Are Melting
7. The Vagrant Harlot

Line-up
Daniel Ekeroth – Bass
Påhl Sundström – Guitars
Stefan Pettersson – Vocals

USURPRESS – Facebook

Adam and the Ants – Dirk Wears White Sox

Prima di svoltare verso un pop rock ballabile e più commerciale, Adam Ant e il suo gruppo furono tra i protagonisti della nascente new wave inglese, con un bellissimo e interessante esordio tra punk, dark e sperimentazione.

Nel 1976, il giovanissimo punk londinese Stuart Leslie Goddard assiste al primo concerto dei Sex Pistols, quella sera spalla dei suoi Bazooka Joe, restando grandemente impressionato e dalla musica e dall’immagine provocatoria della creatura di Malcolm MacLaren.

Il ragazzo si ribattezza pertanto Adam Ant e fonda il suo gruppo punk, i B-Sides, che tra il 1977 ed il 1978 diventano Adam and the Ants. Il regista Derek Jarman li riprende, per il suo film Jubilée (per la colonna sonora del quale la band incide, appositamente, due pezzi, prima di registrare due sessions live alla BBC, e di effettuare la prima tournée in Europa). Finalmente, nel 1979, preceduto dal 45 giri Young Parisians, e da altri provini radiofonici, per John Peel, esce, in autunno, il debutto del gruppo sulla lunga distanza. Dirk Wears White Sox vede la luce per la Do It, sussidiaria punk della Decca: undici brani che abbinano alla proverbiale ruvidezza del primo punk britannico strutture già più elaborate (la copertina è bella e molto concettuale, da art rock) che preludono alla migliore new wave. Di fatto, il disco è tra quelli che contribuiscono a definire e codificare il post-punk inglese, screziato di suggestioni gothic-dark e sperimentali, asciutto ed elegante insieme. Colpisce nel segno, in particolare, un tribalismo (ben due sono le batterie) che anticipa di poco i Killing Joke e che riesce incredibilmente a andare a braccetto con un gusto piuttosto raffinato. Questa seconda componente della musica, in vero alquanto creativa e originale per quegli anni, proposta non senza personalità da Adam and the Ants, avrà di lì a breve il sopravvento nei successivi Kings of the Wild Frontier (1980) e Prince Charming (1981), che volano rispettivamente al primo e al secondo posto delle charts nazionali. A quel punto Goddard si decide a proseguire da solo, con il solo e fedelissimo Marco Pirroni alla chitarra quale ospite fisso: Friend or Foe (1982), Strip (1983), Vive lo Rock (1985) e Manners and Physiques (1990) completano, ma con esiti commerciali decrescenti, la parabola dell’artista, che si dà anche – senza troppo successo, pure in questo caso – al cinema. L’autentico verbo di Adam and the Ants è quindi racchiuso in questo LP, seminale e rappresentativo d’una esaltante scena/stagione, ristampato ancora di recente.

Tracklist
– Cartrouble I / II
– Digital Tenderness
– Nine Plan Failed
– Day I Met God
– Tabletalk
– Cleopatra
– Catholic Day
– Never Trust a Man
– Animals and Men
– Family of Noise
– The Idea

Line up
Adam Ant – Vocals / Guitars / Piano
Dave Barbarossa – Drums
Jon Moss – Drums
Andrew Warren – Bass
Matthew Ashman – Guitars / Piano
Marco Pirroni – Guitars / Bass

ADAM ANT – Facebook
Link Youtube

1979 – Do It (ristampa Columbia)