Dogmathica – Start Becoming Nothing

Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Le scene rock/metal underground sviluppatesi nelle nostre isole maggiori sono fucine di realtà che non mancano di regalare soddisfazioni, almeno per chi si lascia affascinare dai suoni del sottobosco tricolore.

Lo scorso anno, per esempio, vi avevamo parlato del bellissimo The Day We Shut Down The Sun del combo sardo chiamato The Blacktones, dal quale provengono Sergio Boi e Gianni Farci, rispettivamente chitarra e basso pure nei Dogmathica, band che ha una storia iniziata nel lontano 2006 ma che affonda le sue radici anni prima, nelle vicende musicali dei L’Ego.
Dopo molte vicissitudini legate principalmente alla line up, la band con Alessandro castellano alle pelli (Acts of Tragedy), Stefano Pilloni al microfono e Matteo Spiga alla chitarra, trova quella stabilità necessaria per rimettersi al lavoro e terminare questo muro di groove/thrash metal chiamato Start Becoming Nothing.
Otto cannonate claustrofobiche e dissonanti esasperano il concetto di groove metal, otto colpi inferti senza pietà, rabbiosi e monolitici, valorizzati da un lavoro ritmico enorme e da un’attitudine senza compromessi, portano al compimento di un’opera a suo modo estrema, dove tutto funziona chirurgicamente.
La band, con un impatto invidiabile, porta a compimento la sua missione conferendo una ai brani quella rabbiosa violenza che è pane del genere, tenendo per le briglie il sound, imprigionato e fatto sfogare con devastanti uragani thrash metal.
Chanel N°0, la title track, Screaming In The Darkness, Hatred, mettono in mostra una band che all’impatto aggiunge quell’esperienza necessaria per usare le proprie capacità tecniche senza finire negli intricati labirinti del genere, mantenendo un tasso di violenza ed impatto altissimo.
Il genere suonato porta inevitabilmente a paragoni con i nomi di punta (Meshuggah, Pantera), ma in Start Becoming Nothing c’è la personalità necessaria per concentrarsi solo su quello che ascolta dopo aver premuto il tasto play.

Tracklist
1.Praghma
2.Chanel N° 0
3.Decadancers
4.Start Becoming Nothing
5.Rise Up
6.Screaming In The Darkness
7.Hatred
8.Burnum

Line-up
Stefano Pilloni – Voice
Sergio Boi – Guitar
Matteo Spiga – Guitar
Gianni Farci – Bass
Alessandro Castellano – Drums

DOGMATHICA – Facebook

Pennywise – Never Gonna Die

I Pennywise sono uno dei gruppi migliori del punk rock, o hardcore melodico qual dir si voglia, e come altre band di una certa età regalano una prova impeccabile e molto ben bilanciata, sicuramente una delle grandi uscite di questi ultimi tempi nel genere.

Venticinquesimo disco nella lunga carriera dei californiani Pennywise e non si vede ancora la fine per questa band, ormai leggendaria.

Never Gonna Die è una chiara dichiarazione di intenti fin dal titolo, ed è un disco potente e che contiene tutto il talento ed il mestiere del gruppo, che riporta sempre sui solchi la carica e la cattiveria che ha dal vivo. Il disco mostra anche lati musicali dei Pennywise che sono meno noti, come una maggiore complessità delle canzoni, e la capacità di cambiare registro musicale più volte all’interno della stessa canzone. Il suono è quello classico dei Pennywise, ma testimonia la loro bravura e soprattutto la loro capacità di fare dischi diversi al contrario di come dicono molti. I Pennywise sono uno dei gruppi migliori del punk rock, o hardcore melodico qual dir si voglia, e come altre band di una certa età regalano una prova impeccabile e molto ben bilanciata, sicuramente una delle grandi uscite di questi ultimi tempi nel genere. Never Gonna Die è pieno di ottime canzoni, possiede uno grande spirito e ha dentro ancora tantissima rabbia. Oltre al desiderio di suonare e di girare per il mondo i Pennywise hanno ancora tantissima rabbia dentro, che è il loro motore primo e lo si può sentire molto bene: le canzoni sono rabbiose anche perché più passano gli anni e più il livello della merda sale. Il gruppo della sud California rappresenta una bella porzione di americani incazzati, che non ci stanno a subire le cose che stanno succedendo, perché l’America non è soltanto la Bible Belt o New York. Molte sono le citazioni dai dischi precedenti dei Pennywise sulla bella copertina. Un viaggio che si preannuncia ancora molto lungo e seminatore di rabbia.

Tracklist
1. Never Gonna Die
2. American Lies
3. Keep Moving On
4. Live While You Can
5. We Set Fire
6. She Said
7. Can’t Be Ignored
8. Goodbye Bad Times
9. Can I Get A Little Hope
10. Won_t Give Up the Fight
11. Can_t Save You Now
12. All The Ways U Can Die
13. Listen
14. Something New

Line-up
Jim Lindberg – vocals
Fletcher Dragge – guitars
Randy Bradbury – bass
Byron McMackin – drums

PENNYWISE – Facebook

Stillborn – Crave For Killing

Crave For Killing è un buon ep per ingannare l’attesa per il prossimo full length, mantenendo intatta la reputazione degli Stillborn come autentica macchina da guerra death/black.

Si torna a parlare dei polacchi Stillborn, demoni di Mielec di cui ci eravamo occupati lo scorso anno in occasione della ristampa da parte dell’attivissima Godz Ov War productions dei primi due demo, usciti a cavallo del nuovo millennio (Mirrormaze & Die in Torment 666).

Gli Stillborn tornano quindi con un ep di cinque brani, questa volta supportati da una produzione più in linea con i tempi e buona per esaltare questa piccola raccolta di inni al male racchiusa sotto il titolo di Crave For Killing.
Come da tradizione il trio luciferino abbatte su di noi tutta la sua malvagità, i brani sono devastanti esempi di death/black metal old school blasfemo e fortemente anti religioso, un abominio estremo supportato da un impatto pesantissimo.
Behemoth in primis, poi tanto black metal old school reso ancora più devastante da iniezioni thrash, fanno di It’s A Sinner e To Be delle vere bombe nere, mentre la conclusiva Staroświeckość we mnie jest, rallenta i ritmi inizialmente creando l’atmosfera giusta per esplodere in un uragano infernale.
Crave For Killing è un buon ep per ingannare l’attesa per il prossimo full length, mantenendo intatta la reputazione degli Stillborn come autentica macchina da guerra death/black.

Tracklist
1.It’s a Sinner
2.To Be
3.Crave for Killing
4.Korowód
5.Staroświeckość we mnie jest

Line-up
Hunger – Bass
Killer – Guitars, Vocals
August – Drums

STILLBORN – Facebook

Collapse Of Light – Each Failing Step

Each Failing Step è un album magnifico, proprio perché si sviluppa in una maniera meno scontata di quanto potrebbe far presagire il connubio tra la voce maschile quella femminile all’interno del doom metal

I Collapse Of Light sono un nuovo riuscito esempio di coalizione tra musicisti provenienti da diverse esperienze e  nazioni, volto a dar vita ad un soggetto autonomo capace di offrire ben più della semplice somma degli addendi.

Se il motore del gruppo è portoghese, una componente peculiarmente nordica viene offerta dalla presenza di Natalie Koskinen, vocalist ben nota all’interno della scena doom in virtù della sua storica militanza negli Shape Of Despair e poi, recentemente, per le sue collaborazioni con i Clouds di Daniel Neagoe.
Da tutto questo ne scaturisce un doom atmosferico che racchiude l’approccio malinconico all’esistenza di due popolazioni molto lontane tra loro per clima e morfologia, ma vicine per quel diffuso sentore malinconico che nei finlandesi si esprime musicalmente con tratti più oscuri e veementi, mentre nei lusitani acquisisce tratti più intimisti che, se vogliamo, sono una diretta emanazione della massima espressione della loro musica popolare che è il fado, parola che come doom equivale all’italiano “destino”(da sentire in tal senso la stupenda The Remains of the Day)
La voce di Natalie è come sempre più suadente che non volta a ricercare virtuosismi, e si completa alla perfezione con il growl di Carlos D’Agua, che fu vocalist in quel bellissimo e sottovalutato lavoro intitolato …One Day Less dei Before The Rain, band nella quale hanno militato, sia pure in tempi diversi, anche gli altri due componenti ufficiali della band, Gonçalo Brito e Carlos Monteiro.
Each Failing Step è un album magnifico, proprio perché si sviluppa in una maniera meno scontata di quanto potrebbe far presagire il connubio tra la voce maschile quella femminile all’interno del doom metal: come detto, il sound presenta tratti per lo più intimisti e solo di rado assume in toto sembianze robuste; quando ciò avviene però, il senso di malinconia si trasforma in qualcosa di tangibilmente doloroso.
A Place to Die apre l’album e ne rappresenta il manifesto, andando toccare lungo i suoi diciassette minuti tutte le sfumature sonore che i Collapse Of Light immettono in una scrittura di rara sensibilità, avvolgendo l’ascoltatore e trasmettendogli le emozioni in maniera più dilatata ma non meno efficace.
I Will Not Return è relativamente più breve e ruvida rispetto allìopener e prelude alla pausa cristallina della già citata The Remains of the Day, prima che il brano di chiusura Leaving the Light Behind, anch’esso non lontano dal quarto dora di durata, spinga il sound su territori moto vicino ai Clouds, esibendo un death doom atmosferico, melodico e davvero toccante.
Voci ottime e un lavoro chitarristico di grande qualità sono elementi che, da soli, non sarebbero sufficienti ad elevare un disco alla soglia dell’eccellenza se non ci fossero capacità di scrittura come quelle esibite dai Collapse Of Light, un progetto che ha avuto una gestazione piuttosto lunga ma che, alla fine, ha portato ad un risultato che ripaga di tutta questa attesa sia i musicisti coinvolti che gli stessi appassionati di doom.

Tracklist:
1. A Place to Die
2. I Will Not Return
3. The Remains of the Day
4. Leaving the Light Behind

Line-up:
Carlos D’Agua – vocals
Natalie Koskinen – vocals
Gonçalo Brito – Guitars
Carlo Monteiro – Guitars

COLLAPSE OF LIGHT – Facebook

5Rand / Enemynside – 5/5 Circus – Scandicci (FI)

Per la prima volta suoneranno sullo stesso palco 5Rand ed Enemynside! Le due band capitoline si esibiranno con le loro performance il prossimo 5 Maggio al Circus di Scandicci (FI)

I 5Rand sono una band che propone un mix di metal con elementi thrash e industrial, con voce growl e clean proposta in entrambe le versioni dalla voce femminile di Julia Elenoir. Hanno pubblicato nel 2017 il loro album di debutto “Sacred/Scared”.

Gli Enemynside sono una band che propongono del thrash old school, a Gennaio 2018 pubblicano il nuovo attesissimo EP “Dead Nation Army” che al momento stanno promuovendo.

Coltsblood – Ascending Into Shimmering Darkness

Chi ama sia il doom, sia il sempreverde formato in vinile, non dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di fare propria l’ultima opera di una band magari finora poco conosciuta ma davvero di notevole spessore, oltre che composta da musicisti dotati di grande sensibilità.

Ascending Into Shimmering Darkness è il secondo full length degli inglesi Coltsblood: l’album è stato pubblicato dalla Candlelight circa un anno fa, ma la riedizione in vinile in uscita in questi giorni a cura della Black Bow ci fornisce l’occasione di rinfrescare la memoria degli appassionati di doom.

Il trio di Liverpool offre uno sludge strettamente imparentato con il funeral che restituisce al meglio il sentimento di vuoto e di sgomento insito nel genere: cinquanta minuti per cinque brani sono la tariffa consueta che le band operanti in questo ambito spesso applicano, quasi sempre con ottimi risultati come accade in questo caso.
Ascending Into Shimmering Darkness è uno splendido lavoro, che ha per di più il pregio di procedere con un crescendo emotivo che vede una partenza più incline allo sludge con la title track (brano peraltro già edito nello split con Horse Latitudes e Ommadon del 2014), per poi giungere alla conclusiva The Final Winter, nella quale a predominare nettamente è una componente funeral esibita con grande intensità.
Il tutto avviene passando per tracce più aspre come Mortal Wound e The Legend of Abhartach e la relativamente più melodica Ever Decreasing Circles, specialmente per l’ottimo lavoro della chitarrista Jem; dal canto suo, il marito John affligge gli ascoltatori con il suo growl, componendo con con il batterista Jay una base ritmica che spicca maggiormente per dinamismo, come detto, nella prima parte del lavoro.
Vale davvero la pena, quindi, di compiere questa “ascesa verso una scintillante oscurità”, e chi ama sia il doom, sia il sempreverde formato in vinile, non dovrebbe farsi sfuggire l’occasione di fare propria l’ultima opera di una band magari finora poco conosciuta ma davvero di notevole spessore, oltre che composta da musicisti dotati di grande sensibilità.

Tracklist:
1. Ascending into Shimmering Darkness
2. Mortal Wound
3. The Legend of Abhartach
4. Ever Decreasing Circles
5. The Final Winter

Line-up:
John – Vocals, Bass
Jem – Guitars
Jay – Drums

COLTSBLOOD – Facebook

Urban Steam – Under Concrete

Colori che sfumano o che luccicano intensi, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in un’alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica e da un songwriting ispiratissimo.

Un’altra ottima realtà nata nella capitale e presentata da Red Cat sono gli Urban Steam, quartetto attivo dal 2012 e protagonista di un metal/rock alternativo dai molti spunti progressivi.

I musicisti si sono ritrovati sotto il monicker Urban Steam dopo varie esperienze in altre band, e Under Concrete risulta il riassunto della loro avventura musicale, un quadro dove ogni dettaglio è perfettamente disegnato su una tela progressiva, con colori che sfumano o luccicano di intenso spessore, tra progressive metal e rock, soul, blues e hard rock moderno in una alternanza senza soluzione di continuità, valorizzata da un’ottima tecnica ed un songwriting ispiratissimo.
Si parte con l’opener Storm e lentamente il motore comincia a carburare, con brani che sono piccoli gioielli di musica senza barriere, moderni nel suono ma attenti alla tradizione, vari nel tenere per il colletto l’ascoltatore con la tensione sprigionata da funamboliche parti progressive, o lasciare che l’emozione prenda il sopravvento, quando il blues ed il soul si insinuano tra i solchi del capolavoro Soul.
La title track è un brano tra Deep Purple e Rush, hard rock che la parte progressiva rende raffinato, mentre Cross The Line e City Lights tornano a far parlare la parte più sanguigna del sound degli Urban Steam, in cui la durezza del blues viene raffinata da un tocco soul per un risultato molto intrigante.
Davvero bravo ed interpretativo il singer Paolo Delle Donne, ma è il gruppo tutto che si presenta al pubblico offrendo una prestazione da manuale, aiutata da una raccolta di brani sopra la media.
Wake Up e la progressivamente metallica Years concludono Under Concrete, album che non lascia dubbi sulle doti di questa ottima band meritevole dell’attenzione di chi alla musica chiede emozioni e qualità, aldilà del genere proposto.

Tracklist
1.Storm
2.They Live
3.Soul
4.Under Concrete
5.Cross The Line
6.City Lights
7.Wake Up
8.Years

Line-up
Paolo Delle Donne – Vocals
Diego Bertocci – Drums
Federico Raimondi – Guitars
Fabrizio Sclano – Bass

URBAN STEAM – Facebook

Tribunale Obhal – Rumore In Aula

Rumore In Aula è buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio.

La Volcano Records si sta sempre più imponendo come etichetta attivissima e dal rooster di alta qualità, senza sbagliare un colpo da quando, poco tempo fa è entrata prepotentemente sul mercato nazionale.

Rock metal e sonorità moderne sono diventati gli abituali generi dai qual la label campana attinge, scoprendo nuove realtà come i marchigiani Tribunale Obhal, quartetto fuori lo scorso anno con l’ep omonimo e ora lanciato nella scena hard rock nazionale con il full length d’esordio intitolato Rumore In Aula, buon esempio di hard rock moderno, ispirato dalla scena a stelle e strisce di fine millennio: groove a manetta, potenza e impatto rock ‘n’roll rendono i brani dei devastanti diretti al corpo, la chitarra soffre e sanguina e la sezione ritmica imprime la giusta forza.  Non lascio fare a te (opener dell’album), i ritmi sincopati di Lei che esplodono in un irresistibile refrain, Quello Che Senti, il singolo Taipaa non lasciano dubbi sulla forza espressiva insita in ogni brano.
Rivolto agli amanti dell’hard rock statunitense nato tra le nebbie di Seattle ed arrivato nel nuovo millennio imponendosi come influenza primaria per i gruppi di rock duro odierni, l’album non faticherà ad imporsi, ricco com’è di impulsi crossover che lo avvicinano ad un buon ibrido tra Alice In Chains e System Of A Down, anche se a mio avviso la lingua inglese avrebbe reso più appetibili i brani e accompagnato meglio il piglio internazionale del sound, ma è solo un dettaglio.

Tracklist
1. Non lascio fare a te
2. Hey Juda
3. Lei
4. Nell’ombra
5. Nuova realtà
6. Quello che senti
7. Seven
8. Taipaa
9. What you gonna take?
10. Tutta la voce che ho

Line-up
Mattia “Labo” Bellocchi – Voce
Francesco Boschini – Basso
Lorenzo D’Addesa – Batteria
Tommaso Golaschi – Chitarra

TRIBUNALE OBHAL – Facebook

https://youtu.be/iHaLbIQ6Fag

2018 Hard Rock 7.40

HAUNTED

Il lyric video di “Waterdawn”, dall’album “Dayburner” in uscita a giugno (Twin Earth Records).

Il lyric video di “Waterdawn”, dall’album “Dayburner” in uscita a giugno (Twin Earth Records).

Dopo aver recentemente annunciato i dettagli del nuovo attesissimo album intitolato “Dayburner” in uscita su Twin Earth Records l’8 giugno 2018, le promesse del doom internazionale HAUNTED presentano oggi il lyric video di “Waterdawn”.

Acquista “Waterdawn” in digitale qui: https://hauntedband.bandcamp.com/track/waterdawn

Il bassista Frank Tudisco commenta: “Credo che WATERDAWN riassuma alla perfezione l’atmosfera predominante che si respira durante l’ascolto dell’intero album. Inoltre è un brano diretto, che giunge al punto senza troppi fronzoli nonostante la sua durata non rispecchi i canoni del singolone da radio. Ogni brano di DAYBURNER rappresenta un momento di un particolare giorno, che brucia e si consuma come un cero, e i cui raggi solari faticano a risplendere. WATERDAWN è l’alba di questo giorno. Il termine in sé non esiste, ma è la paronomasia della parola inglese ‘water down’ che significa ‘diluire’ o ‘il ridurre la forza o l’efficacia di qualcosa’. Noi abbiamo cambiato ‘down’ con ‘dawn’: alba, per l’appunto”.

“Abbiamo affidato la direzione del lyric video a Sandro Di Girolamo (Elevators To The Grateful Sky, Cavernicular), con il quale collaboriamo dall’inizio del nostro progetto”, commenta la cantante Cristina Chimirri. “Anche in questa occasione ci siamo totalmente affidati al suo sentire artistico. Il risultato è un monotono fluire di meduse danzanti tra angoscianti evoluzioni nere d’inchiostro e vegetazione marina, che si prestano straordinariamente alle metafore insite nel brano”.

“Dayburner” sarà disponibile in diversi formati (CD via Twin Earth Records, musicassetta via Graven Earth Records, VINYL/2LP in edizione limitata via DHU Records in autunno). I pre-ordini sono ora attivi:

CD – https://haunteditaly.bandcamp.com/album/dayburner

DIGITALE – https://hauntedband.bandcamp.com/album/dayburner-2018

MUSICASSETTA – http://www.gravenearthrecords.com/product/haunted-dayburner-cassette-preorder

Pre-ordina “Dayburner” e riceverai subito il singolo “Waterdawn”.

Il nuovo capitolo, “Dayburner”, è stato registrato da Carlo Longo al NuevArte Studio di Catania. Il master è stato affidato al celebre Brad Boatright (Sleep, COC, Yob, Obituary e altri) all’Audiosiege Engineering di Portland, Oregon.

Tracklist:
Mourning Sun
Waterdawn
Dayburner
Communion
Orphic
Vespertine
No Connection With Dust
Lunar Grave

Gli HAUNTED portano alta la bandiera del doom con all’attivo l’omonimo album di debutto uscito nel 2016 che ha ricevuto feedback positivi della critica mondiale, consentendo alla band di dividere il palco con artisti quali Goblin di Claudio Simonetti, Candlemass e Hooded Menace oltre che partecipare a importanti festival come l’Into The Void e l’Eindhoven Metal Meeting 2017.

Haunted line-up:
Francesco Bauso – Chitarra
Dario Casabona – Batteria
Cristina Chimirri – Voce
Francesco Orlando – Chitarra
Frank Tudisco – Basso

Maggiori info:
facebook.com/hauntedband666/
hauntedband.bandcamp.com

Kosmogyr – Eviternity

Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Un disco scritto fra due continenti, prodotto viaggiando attraverso i bytes delle connessioni internet, ma dal cuore antico e totalmente black metal.

I componenti del gruppo sono l’americano Ivan Belcic alla voce e alla batteria elettronica e il cinese Xander Cheng alla chitarra ed al basso. I due si sono incontrati a Shangai e hanno deciso di fare un disco assieme, anche se poi Belcic ha lasciato la Cina alla volta della Repubblica Ceca. Ciò non ha impedito ai due di continuare ad elaborare il disco scrivendosi per posta elettronica, usando i vari software di produzione per mandarsi le parti sonore e continuare a progredire con il lavoro. Ne è sicuramente valsa la pena, poiché è un buon disco di black metal che guarda al passato, agli anni novanta del genere, ma ha moltissime contaminazioni, dal prog all’atmospheric, passando per momenti anche quasi ambient. La coppia a distanza funziona, le canzoni sono composte molto bene, hanno una forte componente di malinconia e lasciano un ottimo retrogusto. Forse il rapporto a distanza di questi due musicisti ha permesso alla materia di decantare il giusto tempo necessario per capire e sentire cosa fosse meglio fare. Il cuore dell’opera sono le connessioni che il black metal ha con le profondità del nostro essere, dove i muscoli ed il cuore si fondono con il nero metallo e ne nasce qualcosa di molto vicino alla vita reale. Un buon disco, che nella sua attinenza all’antico corso del black metal guarda decisamente in avanti.

Tracklist
1.Sui Generis
2.The Wane
3.Quiescent
4.Eviternity
5.Frailty
6.Refulgence
7.Iridescent
8.Vision
9.Thalassic Lunacy

Line-up
Xander Cheng
Ivan Belcic

KOSMOGYR – Facebook

Depravity – Evil Upheaval

Un album come Evil Upheaval non lascia spazio a indugi o ripensamenti, volto com’è a spezzare catene e certezze all’insegna di un death corrosivo, brutale e nel contempo molto tecnico.

I gusti cambiano e non sempre si ammorbidiscono con il trascorrere del tempo e dell’età. Quando ero più giovane del death metal mi piacevano molto di più le forme più progressive o, comunque, ricche di soluzioni melodiche, ma al contrario oggi riesco ad ascoltarne solo le espressioni più violente ed asfissianti, in stile Immolation per intenderci.

Chi la pensa più o meno alla stessa maniera troverà in questo full length dei Depravity ciò che cerca:
la band australiana, benché sia al primo passo su lunga distanza, è composta da musicisti dal buon curriculum all’interno di una scena sempre foriera di ottima musica: il risultato è un album come Evil Upheaval che non lascia spazio a indugi o ripensamenti, volto com’è a spezzare catene e certezze all’insegna di un death corrosivo, brutale e nel contempo molto tecnico.
Nessuna pulsione innovativa va ad incrinare la compattezza di un monolite sonoro che, ovviamente, necessità d’essere ascoltato da buoni conoscitori del genere, in grado di difendersi dalla gragnuola di colpi inferti dalla band di Perth.
Ma non è solo violenza quella che troviamo all’interno di Evil Upheaval: ognuno dei componenti della band mette in mostra doti tecniche eccellenti, andando a comporre un lavoro d’insieme che eleva i Depravity tra i migliori interpreti attuali del genere già al primo tentativo.
L’album è una cavalcata perigliosa ed inarrestabile, con tracce esemplari per bellezza ed esecuzione come Insanity Reality, ma è una scelta dettata dall’obbligo di pescare dal mazzo un momento che colpisca più di altri, perché ciò che resta da fare è elogiare la grande competenza della band ed una capacità di scrittura che travalica la brutalità fine a sé stessa, per regalare momenti di vera esaltazione del genere (altro esempio è la conclusiva Vile Defloration).
In un mondo in cui sempre più, ogni giorno, la speranza in un’umanità migliore sembra affogare in un liquido maleodorante di colore marrone, i Depravity non ci danno risposte ma sicuramente uno strumento capace di mantenere vive ed in guardia coscienze a forte rischio di assopimento ed assuefazione.

Tracklist:
1. Manic Onslaught
2. Insanity Reality
3. Repugnant
4. Despondency
5. The Great Divide
6. Victimizer
7. Tormented
8. Evil Upheaval
9. Vile Defloration

Line-up:
Louis Rando – Drums
Lynton Cessford – Guitar
Jamie Kay – Vocals
Ainsley Watkins – Bass
Jarrod Curly – Guitar

Me Vs I – Never Drunk Enough

Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Trio padovano che fa un hardcore che strizza l’occhio allo stoner e ai Raging Speedhorn.

Per i Me Vs I questo è l’ep di debutto ed è un gran bell’inizio. Nei primi minuti dell’ascolto il disco non impressiona più di tanto, ma progredendo nell’ascolto le sensazioni positive aumentano, e con esse la potenza ed il fascino del disco. I Me Vs I fanno un hardcore che non è un hardcore punk puro, ma è molto spurio, essendo contaminato dallo stoner e da un metal moderno che spunta in alcuni momenti. Il risultato è un ep di sette pezzi che ci porta dentro ad una musica veloce e sinuosa, con la peculiarità di essere suonata senza il basso: sinceramente non si sente la mancanza di un simile strumento, anzi forse snaturerebbe il loro suono che va benissimo così. I Me Vs I portano se non qualcosa di nuovo, una sfumatura di un suono che troppe volte è ortodosso e con poche cose da dire, con gruppi che si differenziano poco uno dall’altra. I Me Vs I possono piacere o no, ma fanno qualcosa di molto interessante e diverso, e molto piacevole da sentire. L’hardcore ha tante declinazioni e questa, in Italia e non solo, non si era ancora sentita. Never Drunk Enough si pone come un lavoro che rilascia delle belle endorfine, e piacerà a chi ascolta hardcore punk ed ha un po’ di apertura mentale, perché se si dà una possibilità a questo disco ne verrete ricompensati.

Tracklist
01. MadNess
02. Me Vs. I
03. Places
04. Keep Off The Grass
05. Empty
06. De-Vices
07. Up & Down

Line-up
Matteo Brunoro: Voce
Alberto Baldo: Chitarra
Francesco Baldo: Batteria

ME VS. I – Facebook

Dreamfire – Atlantean Symphony

Opere come queste si possono sicuramente considerare fuori dal tempo, avvicinatevi con cautela se non avete ben in mente di cosa vi troverete di fronte, e crogiolatevi nelle atmosfere e sfumature di Atlantean Symphony se questo tipo di musica è un vostro ascolto abituale.

Questa misteriosa band di cui si conosce pochissimo è un entità strumentale attiva dalla fine del secolo scorso, oltre a questo album ha negli anni riproposto brani con l’aiuto del supporto di video tratti da Star Wars e Games Of Throne, ma ad oggi Atlantean Symphony rimane l’unico album, licenziato in varie versioni dal 2012.

Quest’anno tocca alla Minotauro Records che, dopo la firma con Dreamfire , ristampa l’album rimasterizzandolo completamente, con l’aggiunta di un paio di bonus tracks (una nuova versione di An Epitaph Engraved In Water e una propria versione di  The Rains Of Castamere di Ramin Djawadi) ed una nuova copertina: musica ambient, colonna sonora per epici film dove lunghi viaggi in terre inesplorate o nei misteri dell’universo fungono da immagine per questi quattordici magici brani, difficili da digerire se non si è in confidenza con questo tipo di suoni.
Consigliato dunque a chi maneggia con cura musica ambient, Atlantean Symphony regala visioni mistiche ed epiche, con il suono di tastiere e synth che creano atmosfere epiche e magniloquenti in un contesto fuori da ogni tipo di reminiscenza metal.
Un’ora immersi in un mondo parallelo dove all’orizzonte si intravedono i fuochi della battaglia appena conclusa dominati da un cielo grigio di fuliggine e dal mare che lambisce le rive rosse dal sangue dei guerrieri caduti.
Un modo per vivere una storia solo con la forza della musica che, magicamente, apre il cinematografo della vostra mente e vi trasporta nel mondo di brani come Embraced By The Light Of The Final Dawn o A Reflection Of Rebirth Through The Eye Of Forlorn.
Opere come queste si possono sicuramente considerare fuori dal tempo, avvicinatevi con cautela se non avete ben in mente di cosa vi troverete di fronte, e crogiolatevi nelle atmosfere e sfumature di Atlantean Symphony se questo tipo di musica è un vostro ascolto abituale.

Tracklist
1 – Across The Ageless Ocean
2 – Approaching Atlantean Monoliths
3 – Embraced By The Light Of The Final Dawn
4 – The Opening Of Eternity
5 – A Reflection Of Rebirth Through The Eyes Of The Forlorn
6 – Into The Temple Of The Elements
7 – (Immersion Into) The Azure Mirror Of Infinity
8 – Tears Of The Enlightened
9 – Of Grandeur And Fragility
10 – A Timeless Lamentation Carried Upon The Storm
11 – Through Fire Into Legend
12 – An Epitaph Engraved In Water
13 – The Rains Of Castamere
14 – An Epitaph Engraved In Water MMXVIII

DREAMFIRE – Facebook

Airborn – Lizard Secrets: Part One – Land of the Living

Questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità,

E’ tempo per una nuova uscita targata Airborn, power band tricolore che gli amanti del genere ricorderanno attiva già dalla metà degli anni novanta, periodo che preparò la scena metal ad un ritorno in grande stile delle sonorità classiche, almeno in Europa.

E il gruppo piemontese era lì ad infiammare una scena nazionale che poteva contare su ottimi talenti a discapito di mezzi non ancora al top come in questi anni; questo 2018 in casa Airborn è un anno che potrebbe regalare grandi soddisfazioni, alla luce di questo bellissimo lavoro intitolato Lizard Secrets: Part One – Land of the Living, che va a rimpinguare una discografia di alta qualità.
L’album, come si intuisce, è il primo capitolo di una trilogia e vede all’opera graditi ospiti (Claudio Ravinale dei Disarmonia Mundi, Jan Bertram dei Paragon, Alexis Woodbury degli Instanzia e Marius Danielsen dei Darkest Sins) ma soprattutto tanto power metal melodico, di quello che in arrivo dalla Germania attraversò le Alpi e fece innamorare orde di metal fans, resi piacevolmente schiavi dalle opere di Gamma Ray, Iron Savior e Blind Guardian.
La band, che con Piet Sielck ci ha lavorato ai tempi del debutto Against The World, spara una serie di brani di eccellente power metal melodico, spettacolare nelle ritmiche, straordinario nei cori e nelle linee vocali, talmente perfetto nel suo incedere verso la gloria metallica che lascia senza fiato.
Non esiste un attimo che non si focalizzi nella mente con una semplicità straordinaria, Lizard Secrets non lascia scampo e torna a far rivivere le atmosfere di capolavori come Land Of The Free e mi fermo qui, perché dovrei andare a scomodare anche chi fino a poco tempo fa riposava negli anni ottanta ed è resuscitato grazie ad una reunion che ha fatto la gioia del popolo metallico mondiale.
Dopo la classica intro d’ordinanza si parte sull’ottovolante Airborn e ci si fermerà solo dopo una cinquantina di minuti di melodie classiche suonate a velocità proibitive, oppure rimarcate da mid tempo dove chorus di scuola Gamma Ray fanno alzare pugni al cielo nel salotto di casa, come sicuramente avverrà sotto ai palchi dei live in giro per un’estate che per la band si preannuncia ricca di soddisfazioni.
Who We Are, la title track, Wolf Child, Land of The Living, Defenders Of Planet Earth, ma potrei nominarvele tutte, tanto sicuramente non sbaglierei la scelta tra i brani che compongono questo gioiello metallico da non perdere per nessun motivo.
Nel genere difficile trovare di meglio, anche fuori dai confini nazionali.

Tracklist
01. Immortal Underdogs (intro)
02. Who We Are
03. Lizard Secret
04. We Realize
05. Brace For Impact
06. Wolf Child
07. Here Comes the Claw
08. Land of the Living
09. Meaning of Life
10. Metal Haters
11. Defenders of Planet Earth
12. My Country is the World
13. Cosmic Rebels 2018 (Bonus)

Line-up
Alessio Perardi – Vocals/Guitars
Roberto Capucchio – Guitars
Domenico Buratti – Bass
Roberto Gaia – Drums

AIRBORN – Facebook

GENUS ORDINIS DEI

Il video di ‘You Die in Roma’, dall’album “Great Olden Dynasty”.

Il video di ‘You Die in Roma’, dall’album “Great Olden Dynasty”.

I Genus Ordinis Dei tornano sulla scena ed oggi vi presentano il video della track ‘You Die in Roma’. Le riprese son state fatte al Live Music Club, alle porte di Milano, durante il tour del 2017; la direzione artistica è a cura di Giovanni Bottalico e Diego Alberghini del MelaZstudio. Questo è il terzo video estratto dall’ultimo full-length album Great Olden Dynasty pubblicato via Eclipse Records il 24 Novembre 2017.

“La canzone ‘You Die in Roma’ parla di un gladiatore che entra nell’arena” dice il cantante Nick K. “volevamo descrivere i suoi sentimenti, i suoi pensieri e quello che poteva provare; molti gladiatori venivano strappati alle loro famiglie, erano trattati come oggetti di proprietà e usati per intrattenere il pubblico in situazioni mondane… Abbiamo deciso di mantenere il nome della città in italiano “Roma”, prima di tutto per rimarcare la nostra origine e secondo per onorare la grandezza dell’impero romano e la supremazia di Roma su quello che era il mondo conosciuto all’epoca.” Richard Meiz batterista, a proposito del girato “abbiamo deciso di riprendere il concerto di Milano all’ultimo minuto, dopo esser stati in giro più di quaranta giorni, in Europa / UK, per il Delirium World Tour in apertura ai Lacuna Coil. Eravamo carichissimi ed eccitati di dover suonare davanti a familiari, amici strettissimi e fans in una venue così prestigiosa.”

Tour
17 Giugno, 2018 – Milan (ITALIA) @ Legend Club Milano con i SUFFOCATION & more
15 Luglio, 2018 – Cava Roselle (ITALIA) @ Rock in Park Open Air Grosseto con i STRANA OFFICINA & more

Discografia
Great Olden Dynasty (LP) – 2017
EP 2016 (EP) – 2016
The Middle (album) – 2015

ARGONAUTA FEST FIFTH EDITION – 12 maggio Vercelli

Manca ormai pochissimo al consueto appuntamento annuale con l’Argonauta Fest, che si terrà sabato 12 maggio alle Officine Sonore di Vercelli.

Per festeggiare il quinto anniversario dell’etichetta, il Fest vedrà sul palco come ospite speciale e headliner la carismatica cantante statunitense JEX THOTH, autrice di un sensazionale e sciamanico Doom dai forti connotati ritualistici ed occulti.

A completare la serata tre band della scuderia Argonauta, ognuna delle quali porterà sul palco i brani dei loro ultimissimi lavori: i DI’AUL presentando il loro nuovo album “Nobody’s Heaven” (Stoner Doom Metal dai risvolti apocalittici, non mancano i richiami ai KILLING JOKE!), i RANCHO BIZZARRO fuori in questi giorni con il nuovo EP “Mondo Rancho” (tra KARMA TO BURN e… MC5!) e i SATOR che stanno portando in giro per l’Italia e l’Europa il loro ultimo lavoro “Ordeal” (Sludge Metal ultra abrasivo!).

Vi aspettiamo sabato 12 maggio a partire dalle ore 20, con possibilità di cenare presso il locale!

Prevendite disponibili: https://bit.ly/2HQAQhD
EVENTO: https://www.facebook.com/events/1680174002098272/
INFO: www.argonautarecords.com

Daylight Silence – Threshold Of Time

Il sound sprigionato da questo forzato esilio nello spazio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.

Una nuova band è in arrivo dallo spazio profondo, con la Red Cat ad interagire tra la terra e la navicella spaziale su cui viaggiano i Daylight Silence, quintetto romano al debutto con Threshold Of Time, concept fantascientifico nel quale i nostri sono cinque mercenari in un mondo portato allo stremo da guerre, ribellioni e lotte intestine, fino alla repressione da parte di un governo totalitario.

Il progetto Daylight Silence prevedeva di oltrepassare i limiti di spazio e tempo tramite l’utilizzo di una “cronosfera”: un veicolo in grado di creare un mini buco nero, una singolarità, con la quale spostarsi da un luogo all’altro eludendo la velocità della luce.
Il test, con un equipaggio sacrificabile tra i condannati per vari reati politici e sociali, non andò come previsto e la navicella si perse nello spazio, con l’equipaggio che, senza speranza di tornare sulla terra cominciò a suonare.
E il sound sprigionato da questo forzato esilio è un hard & heavy dal piglio melodico e progressivo, tagliente e graffiante il giusto per non perdere contatti con i fans terrestri del metal old school, nobile nelle sue trame e duro nell’impatto.
Threshold Of Time è il frutto di un sodalizio obbligato, una voce metallica che arriva dallo spazio sotto forma di otto brani di buona fattura, grintosi, ma raffinati quel tanto che basta per concedersi spunti progressivi tra Crimson Glory e Queensryche. in un contesto al passo con i tempi.
Heavy metal dallo spazio per il nuovo millennio, così si potrebbe definire il sound creato per The Power Of Speech, grintosa opener dell’album e splendido biglietto da visita spedito dai Daylight Silence.
L’album mantiene le premesse poste con il primo brano e regala ancora ottime trame tra l note delle varie Dreaming Of Freedom, Making Up my Mind e la conclusiva title track.
Una band interessante e un buon debutto consigliato agli amanti dell’heavy metal progressivo e nobile, fatto di chitarre taglienti e splendide melodie.

Tracklist
1. The Power Of Speech
2.Dreaming Of Freedom
3.Live As One
4.Falling To The Ground
5.Making Up My Mind
6.Someone I Know
7.Sleep
8.Threshold Of Time

Line-up
MR.Wolf – Drums
M.T.Drake – Guitars
Von Braun – Vocals
Doctor X – Bass
El Diablo – Guitars

DAYLIGHT SILENCE – Facebook

Original Sin – Story Of A Broken Heart

Una raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.

Vi presentiamo Story Of A Broken Heart, debutto sulla lunga distanza dei ravennati Original Sin, uscito lo scorso anno in regime di autoproduzione.

Attiva da tre anni, dopo un paio di apparizioni in concorsi canori tra cui il Sanremo Rock, la band prova a conquistare i cuori del rockers con questa raccolta di brani molto interessanti e dalle ottime melodie, neanche troppo nascoste sotto l’armatura formata da un hard & heavy che ha le sue radici negli anni ottanta, melodico ma senza smarrire il suo impatto, potenziato da ritmiche hard rock ed epicità.
Matteo Axis Berti (voce e chitarra), Federico Fede Maioli (chitarra), Manuel Mana Montanari (basso) e Luca Canna Canella (batteria) ci fanno partecipi del loro tributo a queste sonorità e Story Of Broken Heart si presenta come un album vario, passando da brani heavy metal a ballad semi acustiche suonate sui marciapiedi delle strade americane.
Gli States chiamano Londra e Londra risponde con brani che tanto hanno dell’epicità di Dio e del classic rock britannico, mentre l’hard rock melodico si insinua tra lo spartito per donare un tocco raffinato al songwriting di brani piacevoli come l’opener Cry With Me.
Non ci sono cadute di tono, l’album mantiene una buona qualità per tutta la sua durata con le chitarre sugli scudi, protagoniste di gustosi solos dal flavour epico (Fighting For Your Love), con lampi che si disegnano nel cielo alternati alle luci che all’imbrunire illuminano le strade metropolitane (I’m Waiting).
Story Of A Broken Heart è sicuramente una partenza convincente per gli Original Sin, con qualche dettaglio da perfezionare come la produzione e la voce migliorabile nei brani più heavy ed epici.

Tracklist
1.Cry With Me
2.Living Life
3.I’m Still Burnin
4.Mr. Danger
5.Rebellion
6.Fighting for Your Love
7.Story of a Broken Heart
8.For Ever
9.I’m Waiting

Line-up
Matteo Berti – Vocals, Guitars
Federico Maioli – Guitars
Manuel Montanari – Basso
Luca Canella – Drums

ORIGINAL SIN – Facebook

Fister – No Spirit Within

I Fister esibiscono quella che è l’essenza stessa dello sludge, una musica che è l’ideale punto d’incontro tra la rabbia del noise e dell’hardcore e l’immaginario cupo del doom.

I Fister sono esponenti dell’affollata scena sludge doom statunitense: attivi da una decina d’anni hanno già immesso sul mercato una miriade di ep e split album, oltre a quattro full length dei quali l’ultimo è questo No Spirit Within.

Il trio di Saint Louis aveva ulteriormente scaldato motori già sufficientemente rodati con la recente uscita in coppia con i Chrch e, con questo album, conferma ampiamente quanto abbiamo imparato a conoscere in questi anni: lo sludge doom dei Fister è ruvido, sporco e cattivo, ogni parvenza melodica viene bellamente disconosciuta lasciando semmai a sporadici e dissonanti assoli chitarristici il compito di delineare qualcosa che non sia solo un ottundente assalto sonoro.
I Fister sono decisamente meglio quando decidono di rallentare parzialmente i ritmi, facendo sì che i brani assumano una consistenza più densa e ben più minacciosa rispetto a quando viaggiano a velocità più sostenute: emblematico in tal senso è un brano come I Am Kuru, episodio di terrificante potenza che dal vivo immagino possa creare un’onda d’urto degna della deflagrazione di un ordigno.
Per finezze e ricami stilistici meglio rivolgersi altrove: i Fister esibiscono quella che è l’essenza stessa dello sludge, una musica che è l’ideale punto d’incontro tra la rabbia del noise e dell’hardcore e l’immaginario cupo del doom: quando il tutto si traduce in un album come No Spirit Within, per quella fascia di ascoltatori selezionata ma fedele la gratificazione è assicurata.

Tracklist:
1. Frozen Scythe
2. Disgraced Possession
3. Cazador
4. I Am Kuru
5. No Spirit Within
6. Heat Death
7. Star Swallower

Line-up:
Kirk Gatterer – Drums
Marcus Newstead – Vocals (additional), Guitars
Kenny Snarzyk – Vocals (lead), Bass

FISTER – Facebook