DYING AWKWARD ANGEL

Il lyric video di “Maldita Seas”, dall’album “Absence of Light” (Rockshots Records).

Il lyric video di “Maldita Seas”, dall’album “Absence of Light” (Rockshots Records).

Italian death metal tyrants DYING AWKWARD ANGEL have posted a new lyric video “Maldita Seas” in support of their new full length “Absence of Light” out now as of May 25th via Rockshots Records.

Initially formed two decades ago in Turin, Italy, DYING AWKWARD ANGEL are a total testament to the strength and convictions of true metallers. Enduring line-up changes and travails that would have crushed a lesser band, DYING AWKWARD ANGEL refused to die…instead they have thrived!

Inspired by In Flames, At The Gates, Carcass, Dark Tranquillity, in 2013, DYING AWKWARD ANGEL unleashed their debut full length album ‘Waiting For Punishment’, following it in 2016 with a well-received EP entitled ‘Madness Rising’. Now in 2018, the band’s current line up with founding member Edoardo Demuro on guitar, Luca Pellegrino on drums, Lorenzo Asselli on guitars, David Onidaon on bass and Michael Spallieri on vocals release their next full length “Absence of Light”.

Guitarist Edoardo Demuro comments:

“We started with the only goal of destroying everything…Over the years we have been working to achieve a more solid and understandable sound. We have created the very personal Dying Awkward Angel sound…’Absence of Light’ is a new era for us; the first official release, a mature sound, an increased richness of themes, a real powerful new voice on our music. You can see it as the might of God, when it doesn’t give you what you expected. This new chapter of Dying Awkward Angel is heavy, fast, powerful, dark and bright at the same time. We hope to give the fans the same emotions we have when we play! We hope they have a lot of fun!”

“Absence of Light” is available for stream and download on Rockshots.eu here, iTunes, Spotify and all other major online retailers.

Track Listing:
1. Blood of Your Blood (5:39)
2. Death Coach (2:58)
3. Isaiah 53:7 (4:33)
4. Shade (2:54)
5. Dolls (4:50)
6. Sancta Sanctorum (4:19)
7. Absence of Light (1:59)
8. Maldita Seas (4:03)
9. The Dust Devil (3:52)
10. T.U.S.K. (3:42)
11. The Killing Floor (5:47)
Album Length: 44:42

DYING AWKWARD ANGEL is:
Edoardo Demuro (Guitars)
Luca Pellegrino (Drums)
Lorenzo Asselli (Guitars)
Davide Onida (Bass)
Michele Spallieri (Vocals)

For more info:
http://www.Rockshots.eu
http://www.dyingawkwardangel.com
https://www.facebook.com/dyingawkwardangel
https://twitter.com/dyingawkwarda

ENEMYNSIDE

Il lyric video di Buried Past, dall’album “Dead Nation Army.

Il lyric video di Buried Past, dall’album “Dead Nation Army.

I thrashers capitolini ENEMYNSIDE hanno pubblicato un nuovo lyric video per la loro canzone “BURIED PAST”, tratta dall’EP intitolato “Dead Nation Army” uscito lo scorso 23 Gennaio.
Il video creato da Stefano Mastronicola, conferma attraverso il testo e la musica di questa canzone, tutta la potenza di questo quartetto.

Sangue Infetto – Slaughterhouse Corpse Party

Mortal Repulsion e le altre tre devastanti tracce non conoscono compromessi, i ritmi sono allucinanti, e le immagini che ci appaiono all’ascolto di questo manifesto di brutalità sono di un massacro senza soluzione di continuità.

Metal estremo in arrivo da Roma, città che ha una notevole scena brutal e grind core.

Questa volta parliamo di Sangue Infetto, one man band del musicista Michael Massimiliani, creatore di questo abominio in musica nel 2015 e con alle spalle già tre lavori autoprodotti.
Slaughterhouse Corpse Party è il nuovo ep di quattro brani licenziato dalla Hellbones Records: quattro spari brutal/grind, quattro violentissimi episodi che se ancora mostrano qualche pecca per quanto riguarda la produzione, convincono per la brutalità e l’impatto notevoli.
Il musicista capitolino è autore di una sorta di mattanza musicale: Mortal Repulsion e le altre tre devastanti tracce non conoscono compromessi, i ritmi sono allucinanti, e le immagini che ci appaiono all’ascolto di questo manifesto di brutalità sono di un massacro senza soluzione di continuità.
La batteria è un po’ troppo in evidenza rispetto agli altri strumenti, ma è una sorta di Gatling che spara migliaia di cartucce distruggendo tutto davanti a sé,  in un delirio di morte con l’aggiunta di un rantolante e micidiale growl.
Miscreation Of God, Hematophiliac ed Aborted Raw sono putride ferite dalle quali fuoriesce … Sangue Infetto.

Tracklist
1.Mortal Repulsion
2.Miscreation Of God
3.Hematophiliac
4.Aborted Raw

Line-up
Michael Massimiliani – Everything

SANGUE INFETTO – Facebook

Abolishment of Flesh – The Inhuman Condition

Assolutamente senza compromessi, il lavoro segue le coordinate dei gruppi storici del genere, personalizzandolo con una matrice death/black foriera di oscure atmosfere luciferine:  The Inhuman Condition per sua natura è un album che alla lunga perde qualcosa in termini d’attenzione, ma in generale si può certo considerare una prova di un certo impatto.

Debuttano sulla lunga distanza i deathsters texani Abolishment Of Flesh, creatura estrema nata nel 2006 come Abolishment e dal 2008 in giro a far danni con il nuovo monicker.

The Inhuman Condition si muove all’interno del death metal old school, principalmente di stampo americano ma con qualche puntatina nel death/black di provenienza europea, ed il risultato non può che essere un armageddon di suoni maligni e votati alla distruzione.
Il duo americano non le manda certo a dire, parte in quarta, sgomma sui nostri padiglioni auricolari e ci massacra con l’opener Inhuman Anatomy.
Blast beat a velocita della luce, una serie di ritmiche velocissime, due tipi di toni vocali, con il growl a scambiarsi il microfono con uno scream infernale e The Inhuman Condition, con tutto ciò, può sicuramente definirsi un inno a quel mondo estremo fatto di guerra, violenza ed una forte attitudine antireligiosa.
La band non concede il minimo cedimento e va dritto al traguardo distruggendo senza pietà con armi letali come Servitude of Endless Suffering, Lack of EmotionsWake of Depridation, ma è tutto l’album a risultare un massiccio assalto frontale.
Assolutamente senza compromessi, il lavoro segue le coordinate dei gruppi storici del genere, personalizzandolo con una matrice death/black foriera di oscure atmosfere luciferine:  The Inhuman Condition per sua natura è un album che alla lunga perde qualcosa in termini d’attenzione, ma in generale si può certo considerare una prova di un certo impatto.

Tracklist
1.Inhuman Anatomy
2.Reborn Abomination
3.Servitude of Endless Suffering
4.Slaves of Animosity
5.Morbid Imagery
6.Lack of Emotions
7.Weeping for the Decayed
8.Wake of Depridation
9.Mass Execution
10.The Suffering
11.Throne of Deception

Line-up
Ramon Cazares – Guitar, Vocals, Drums
Izaak Chavez – Guitar

ABOLISHMENT OF FLESH – Facebook

Kyterion – Inferno II

Black metal di alto livello in italiano vernacolare del XIII secolo, questa in una frase è l’essenza dei bolognesi Kyterion, ma c’è tantissimo d’altro.

Black metal di alto livello in italiano vernacolare del XIII secolo, questa in una frase è l’essenza dei bolognesi Kyterion, ma c’è tantissimo d’altro. Inferno II è il loro secondo album ed un disco da sentire e risentire.

Il loro black metal è vicino ai classici del metal, ed è fatto per dare il maggior risalto possibile alle parole che si sposano con la musica, appunto non si tratta di u nsieme di pose, o una gara a fare le cose nella maniera più lo fi possibile, bensì un progetto ambizioso che coglie nel segno. L’uso dell’italiano popolare del XII secolo ci fa immergere in un’atmosfera medioevale davvero particolare. Il latino era il linguaggio usato dalle istituzioni mentre questo italiano, non ancora consapevole di essere tale, era la lingua del popolo, sporca ma molto espressiva. Il disco è incentrato sulla prima cantica dell’Inferno dantesco, quella di Cerbero tanto per intenderci. Il risultato è un lavoro molto godibile e potente, dove l’irruenza del black non offusca mai le notevoli linee melodiche. Il quasi perfetto bilanciamento fra melodia e potenza è il segreto di questo gruppo che è fra i migliori della scena black italiana e non solo. Inferno II è un disco che va oltre la musica, esplora usando il black metal e l’antico italiano parti della nostra psiche, sia personale che comune. Come spesso accade per il black, esso riesce là dove tanti generi e opere umane hanno fallito : arrivare in profondità creando un pathos altresì introvabile altrove. I Kyterion, poi, sono un gruppo molto talentuoso e molto particolare, per cui il tutto aumenta di valore, arrivando a toccare punti molto alti. Inferno II è un disco che si fa ascoltare e riascoltare, regalando sempre molta soddisfazione. Sarebbe molto bello che altri gruppi seguissero la strada aperta dai bolognesi, esplorando il magnifico italiano vernacolare antico, perché se si ascolta questo disco si intuiscono le grandissime potenzialità di questo linguaggio.

Tracklist
1.Mal Nati
2.Onde La Rena S’Accendea
3.Dite
4.Pena Molesta
5.Cerbero Il Gran Vermo
6.Cocito
7.Dolenti Ne La Ghiaccia
8.Rabbiosi Falsador
9.Vallon Tondo
10.Li ‘Ndivini
11.Terribile Stipa

KYTERION – Facebook

Cavus – The New Era

Fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.

Secondo full length per questa band finlandese dedita ad un black metal abbastanza canonico nel risultato finale, pur se intriso di diverse pulsioni che oscillano dal black’n’roll (Presence of Existence) a passaggi al limite del grind, almeno per quanto riguarda la velocità impressa alle ritmiche (Killtech).

E’ senz’altro apprezzabile la furia con la quale il gruppo si scaglia nell’arena, fendendo colpi senza porsi troppi problemi se, nella concitazione, vengono lasciate a terra anche vittime innocenti, ma fatta salva la possibilità di ascoltare una quarantina di minuti di musica diretta e senza fronzoli, The New Era non ha le caratteristiche necessarie per diventare qualcosa di meno rumorosamente effimero di quanto non sia un temporale estivo.
L’album non è del tutto deprecabile, sia chiaro, ma ritengo che un lavoro di questo genere possa attrarre solo chi, dal metal estremo, vuole ascoltare più baccano possibile: in tal caso le tracce citate e Calling the Flames, leggermente più articolata, al netto di quanto percepibile da una produzione che certo non aiuta, potrebbero anche risultare gradite.

Tracklist:
1. The New Era
2. Killtech
3. Divine Power
4. I Watch You Die
5. Morphine
6. Calling the Flames
7. The Strength of Hatred
8. Presence of Existence
9. Come to Me Shadows
10. There Will Be Blood

Line up:
A.R.G. – Bass
T.T.T. – Drums
J.K – Guitars
B.P. – Guitars, Vocals
H. – Guitars

CAVUS – Facebook

Death Alley – Superbia

La varietà del songwriting potrebbe far storcere il naso a più di un ascoltatore, ma passate le prime burrasche motorheadiane che portano nuvoloni color cremisi, il sound dei Death Alley si apre all’ascoltatore come un libro aperto e sfogliato dalla rude carezza del vento.

La scena rock/metal olandese, spesso dimenticata a favore di quelle statunitensi e nord europee, ma altrettanto importante, ha sempre regalato gruppi e realtà di un certo spessore specialmente in generi come il metal estremo.

Si osa e molto nei Paesi Bassi parlando di musica, una libertà di espressione che ha portato alla nascita di band originali o comunque coraggiose nel proporre la loro idee di musica rock.
I Death Alley sono una di queste: attivi da circa sei anni e con una discografia che vede, oltre ad una manciata di lavori minori, un album licenziato nel 2015 dal titolo Black Magic Boogieland e la firma con la Century Media, tornano sul mercato con Superbia, lavoro che nel suo essere assolutamente vintage brilla per personalità, con quel tocco di insana originalità che contribuisce ad una innata follia artistica.
D’altronde non è così semplice inglobare in un sound che all’apparenza risulta scarno, poco lavorato e dal mood rituale e fumoso, schegge punk rock, jam psichedeliche e mood progressivo facendone un piccolo scrigno di musica old school ma ben salda nel presente musicale, in questo inizio di millennio.
La band, guidata dal chitarrista Oeds Beydals, ci consegna un album che senza alcuna riverenza amalgama King Crimson e Motorhead, The Stooges e Hawkwind, Mc5 e primi Pink Floyd, passando da brani diretti e garage punk come The Chain o Shake The Coil, a lunghe jam progressive/psichedeliche come l’opener Daemon, Feeding The Lions o la conclusiva The Sewage.
Ovviamente al primo ascolto la varietà del songwriting potrebbe far storcere il naso a più di un ascoltatore, ma passate le prime burrasche motorheadiane che portano nuvoloni color cremisi, il sound dei Death Alley si apre all’ascoltatore come un libro aperto e sfogliato dalla rude carezza del vento.
Abituati ormai da alcuni anni al ritorno di sonorità che credevamo ormai esclusiva di rocker nostalgici, Superbia non può che diventare un punto fermo degli ascolti dei giovani amanti del rock di scuola 60’/70′, mentre la curiosità per dove andrà a parare il sound del gruppo olandese è pari alla sua imprevedibilità.

Tracklist
01. Daemon
02. The Chain
03. Feeding The Lions
04. Headlights In The Dark
05. Shake The Coil
06. Murder Your Dreams
07. Pilgrim
08. The Sewage

Line-up
Douwe Truijens – Lead Vocals
Oeds Beydals – Guitars, Backing Vocals
Sander Bus – Bass
Uno Bruiniusson – Drums

DEATH ALLEY – Facebook

Super Trutux – Trilogia dell’Halibut

Usando l’hardcore melodico i Super Trutux ci portano in profondità dentro i gangli che hanno causato la degenerazione nostra e della società, e ci rendono partecipi del nostro dolore.

La Trilogia dell’Halibut è una raccolta che ri-aggrega in una unica opera i tre video-album Halibut Sociale, Halibut Ambientale e Halibut Individuale, realizzati dai Super Trutux nel periodo tra il 2010 e il 2017.

L’ intenzione dei Super Trutux è quella di concepire un’opera totale, con musica e video che vanno di pari passo dall’atto creativo a quello dell’esposizione. I tre dischi si possono gustare ora nella loro interezza e di seguito, e lo sguardo d’insieme accresce il valore dell’opera. I tre video album formano un corpus unico, un’opera unica nel suo genere ed ambiziosamente proletaria, nel senso che rappresentano un lavoro dal basso che illustra magistralmente meccanismi che regolano le nostre vite e che ci schiacciano ogni giorno. Usando l’hardcore melodico i Super Trutux ci portano in profondità dentro i gangli che hanno causato la degenerazione nostra e della società, e ci rendono partecipi del nostro dolore. La musica potrebbe essere addirittura definita come hardcore melodico progressivo, che mette nella giusta tensione psicologica per andare avanti in questo abisso. Il primo dei tre dischi, Halibut Sociale, descrive come funziona l’economia nel nostro mondo, e qui ci sono i prodromi della distruzione, che è come un circolo vizioso, perché per vivere perpetriamo un capitalismo davvero inumano, che porta poi al secondo disco della serie. Il secondo episodio è l’Halibut Ambientale, seconda tappa della nostra degenerazione, e parla sia dell’abbrutimento ambientale, sia dell’ambiente sociale, che dell’ambiente dentro e fuori da noi. Come nel primo disco la voce narrante, che è giustamente inquietante ed incalzante, ci porta per il labirinto. Il tutto è davvero ben calibrato e con ottimi risvolti, induce a pensare, e pensare fa sempre bene. Arriviamo quindi al terzo ed ultimo atto dell’opera, l’Halibut Individuale. Quest’ultimo è il risultato degli altri due Halibut, ovvero una psicosi generata da una continua esposizione ad un ambiente negativo, che frammenta l’anima e l’essere umano, e lo porta a fratturasi dentro. La Trilogia dell’Halibut è qualcosa di unico, sia per la profondità, sia come riuscita. Non è solo un disco, non è solo un video, è molto altro e va oltre. Si entra nei nervi della società nella quale sopravviviamo e nemmeno sempre. Un disco che spiega più di molti libri la nostra vita, inevitabilmente persa nell’halibut.

Tracklist
01 – Halibut della società del malessere
02 – La società del malessere
03 – Halibut della tecnologia
04 – La tecnologia
05 – Halibut di Adam Smith
06 – Adam Smith
07 – Halibut del monetarismo
08 – Monetarismo
09 – Halibut della fiducia, dell’etica e del decoro
10 – Fiducia, etica e decoro
11 – Halibut della carenza e della scarsità
12 – Carenza e scarsità
13 – Halibut dell’utopia del benessere sociale
14 – Utopia del benessere sociale
15 – Il cerchio aperto
16 – Gli stimoli ambientali devianti
17 – Una idea molto fuorviante
18 – Buddha
19 – L’inverno della fame olandese
20 – La predisposizione
21 – La teoria della fase zero
22 – Il ricordo del proprio passato
23 – Le conseguenze negative dell’ambiente
24 – La metamorfosi
25 – Il cerchio chiuso
26 – L’orlo del precipizio
27 – L’inizio delle emicranie
28 – Il sovraccarico mentale
29 – Il caos nel cervello
30 – Il graduale spegnimento interiore
31 – Il conflitto con l’io
32 – L’insonnia
33 – Il disagio
34 – I tentativi di guarigione
35 – Il fallimento dei tentativi di guarigione
36 – La voce nella testa
37 – L’ossessione
38 – La resa

Line-up
Bennetts: Batteria
Drino: Basso
Folsi: Chitarra

SUPER TRUTUX – Facebook

Leather – II

I fans dei Chastain e dell’heavy metal duro e puro possono avvicinarsi all’opera con la convinzione di ritrovarsi al cospetto di un lavoro che non tradisce, così come Leather, incontrastata regina della foresta metallica aldilà dell’oceano.

La leonessa dell’heavy metal americano e per anni graffiante regina dietro al microfono dei Chastain, è tornata con il secondo lavoro solista dopo quasi trentanni dal precedente Shock Waves, uscito nel 1989.

Leather Leone, accompagnata da una band gagliarda composta dai chitarristi Vinnie Tex e Daemon Ross, dal bassista Thiago Velasquez, e dal batterista Braulio Drumond dà dunque un seguito allo storico debutto, dopo l’ottimo We Bleed Metal , ultimo arrivato in casa Chastain.
Niente di nuovo,  ci mancherebbe altro, II è il classico album in cui la cantante offre il meglio di sé, undici brani di graffiante ed incendiario metallo old school, sostenuto da possenti mid tempo, grandi solos che tuonano note metalliche nel cielo scuro, il tutto per valorizzare la prova al microfono della storica singer americana che anche su questo album da l’impressione di non invecchiare mai.
I fans dei Chastain e dell’heavy metal duro e puro possono avvicinarsi all’opera con la convinzione di ritrovarsi al cospetto di un lavoro che non tradisce, così come Leather, incontrastata regina della foresta metallica aldilà dell’oceano.
Fin dall’opener Juggernaut veniamo quindi travolti da un sound tempestoso, puro heavy metal senza fronzoli, americano fino al midollo, con il quale la vocalist ci tiene stretti in un a morsa d’acciaio grazie alla sua inconfondibile voce e al grande lavoro delle due chitarre.
The Outsider, Black Smoke, la semiballad Annabelle ed American Woman sono i brani più incisivi del nuovo lavoro di Leather, un buon ritorno per la Ronnie James Dio in gonnella, leonessa indomita che ha ispirato più di una generazione di cantanti ed interpreti dell’heavy metal classico.

Tracklist
1. Juggernaut
2. The Outsider
3. Lost At Midnite
4. Black Smoke
5. The One
6. Annabelle
7. Hidden In The Dark
8. Sleep Deep
9. Let Me Kneel
10. American Woman
11. Give Me Reason

Line-up
Leather Leone – Lead Vocals
Vinnie Tex – Lead, Rhythm and Harmony Guitars
Daemon Ross – Lead Guitars
Thiago Velasquez – Bass Guitar
Braulio Drumond – Drums

LEATHER – Facebook

https://youtu.be/y5HbAWfllfg

Skjult – Progenies ov Light

I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

I vichinghi, come ben si sa, erano grandi nonché audaci navigatori e furono con ogni probabilità i primi a giungere sul continente americano, anche se nelle sue propaggini più settentrionali, ben prima di Colombo.

Crto che, ascoltando questo secondo album della one man band cubana Skjult, viene da pensare che possano essersi spinti sino ai Caraibi, visto che il sound offerto in  Progenies ov Light sembra più scandinavo di molti degli stessi gruppi norvegesi e svedesi. Con tale premessa, ovviamente, non ci sono da attendersi soverchie variazioni sul tema ma questo non impedisce al buon Conspirator di pubblicare un lavoro valido pur nella sua rigida ortodossia stilistica.
Fino ad oggi il nome più conosciuto del black metal cubano nel quale ci si era imbattuti era quello di Narbeleth, altro progetto solista dalle propensioni leggermente più atmosferiche, ma indubbiamente la scoperta di questi Skjelt testimonia di una scena che dalle parti dell’Avana è tutt’altro che anomala o pittoresca.
Per trovare la chiave di lettura dell’album è opportuno l’ascolto di un brano emblematico come Summoning the Eternal Black Flames of Death, dove echi degli Emperor di In The Nightside Eclipse sono più che una suggestione.
Progenies ov Light è un lavoro che magari a molti potrà apparire anacronistico, e forse lo sarebbe davvero se provenisse da una nazione nordeuropea: al contrario, l’approccio alla materia in qualche modo “puro” di Conspirator rende l’ascolto un’esperienza gradevolissima per intensità e convinzione.
I brani sono oscuri e incalzanti come da copione, la produzione è tutto quanto serve ad apprezzare al meglio di genere, e pazienza se l’originalità è meno che ai minimi termini: questo disco è un bel tuffo in acque caraibiche che, al suono degli Skjult, si tramutano in quelle gelide dei fiordi norvegesi.

Tracklist:
1. Into the Void
2. Immolation Rites
3. Summoning the Eternal Black Flames of Death
4. Glorious Night
5. Hail Blasphemous Hated (The Lord Is Upon Us)
6. A Crown of Horns
7. Dawn of an Era ov Light
8. Baptized by the Unholy Goat

Line up:
Conspirator

SKJULT – Facebook

At The Gates – To Drink From The Night Itself

Un lavoro molto bello, magari avaro di quella ferocia e violenza che caratterizzava opere estreme divenute storiche come The Red in the Sky Is Ours o lo storico Slaughter Of The Soul, ma maturo e ricco di melodie oscure, tramutate in tre quarti d’ora di melodic death metal dalla classe immortale.

Per le persone che il death metal melodico lo hanno visto nascere e crescere fin dagli albori, il ritorno degli At The Gates diventa un appuntamento aspettato con l’ansia di chi è consapevole della bravura del combo svedese e dell’importanza che ha avuto sullo sviluppo di tali sonorità.

Tomas “Tompa” Lindberg e compagni arrivano al sesto lavoro, pochi in quasi trent’anni di carriera, specialmente se paragonati ai loro colleghi, ma si sa che la band è stata ferma un ventennio ed il ritorno con At War with Reality è targato 2014.
I primi anni novanta sono lontani, un periodo da archiviare nella storia del rock/metal mondiale, mentre i gruppi che formarono una delle scene più importanti che la storia del genere ricordi sono ormai delle icone, guardate con rispetto ed aspettate al varco ogni volta che se ne presenta l’occasione.
Ecco quindi che un nuovo lavoro degli At The Gates, come dei Dark Tranquillity o degli In Flames (tanto per fare un paio di esempi illustri) si tramuta in un gioco a chi la spara più grossa, quasi come se lo scritto fosse più importante della musica.
Tompa e compagni hanno regalato un lavoro molto bello, magari avaro di quella ferocia e violenza che caratterizzava opere estreme divenute storiche come The Red in the Sky Is Ours o lo storico Slaughter Of The Soul, ma maturo e ricco di melodie oscure, tramutate in tre quarti d’ora di melodic death metal dalla classe immortale.
To Drink From the Night Itself dimostra il talento di cui gli At The Gates e le band nate nel nord Europa dispongono e utilizzato per suonare metal estremo ricco di armonie melodiche fuori dal comune; non me ne voglia tutto il resto del mondo metallico, ma questi musicisti continuano a distanza di anni ad alzare l’asticella di un genere che, se ha detto tutto in termini compositivi, lascia al talento il compito di fare la differenza.
E gli At The Gates di talento ne hanno da vendere, distribuito in tutti questi anni con altri monicker, ed ora tornati con una raccolta di brani che fanno da sunto a tutto quanto scritto fin qui se si parla di death metal melodico.
L’inizio è da pelle d’oca, con la malinconica intro che sfocia in un trittico di tracce spettacolari (la title track, A Stare Bound In Stone e Palace Of Lepers), melodie e sfuriate death/thrash incalzano sull’ascoltatore, il lavoro chitarristico è di prim’ordine così come quello ritmico, il growl di Lindberg è inciso sul vangelo del metal estremo e i brani, sull’onda entusiasmante delle prime tracce, risultano perfette nel seguire le regole imposte dal gruppo anni fa.
In conclusione, To Drink From the Night Itself è l’album che ogni fan del death metal melodico avrebbe dovuto attendersi da un gruppo di tale importanza che, senza snaturare il proprio credo stilistico, è ancora oggi dopo trent’anni un punto di riferimento per chiunque ascolti o suoni questo tipo di musica.

Tracklist
01. Der Widerstand
02. To Drink From The Night Itself
03. A Stare Bound In Stone
04. Palace Of Lepers
05. Daggers Of Black Haze
06. The Chasm
07. In Nameless Sleep
08. The Colours Of The Beast
09. A Labyrinth Of Tombs
10. Seas Of Starvation
11. In Death They Shall Burn
12. The Mirror Black

Line-up
Tomas Lindberg – Vocals
Jonas Björler – Bass
Adrian Erlandsson – Drums
Martin Larsson – Guitars
Jonas Stålhammar – Guitars

AT THE GATES – Facebook

Barbarian Prophecies – Origin

Il death sta tornando ad una nuova e vigorosa giovinezza, dopo la crisi di qualche anno fa, ed il merito è senza dubbio dell’underground e di band come i Barbarian Prophecies, outsider di lusso nel panorama internazionale.

Dopo il sontuoso XIII, album licenziato cinque anni fa per la Wormholedeath e l’ep Remains of Existence uscito nel 2015, tornano i deathsters spagnoli Barbarian Prophecies con l’ennesimo mastodontico lavoro all’insegna della vecchia scuola estrema.

Origin non lascia scampo ed entra subito nel vivo, confermando il valore del gruppo galiziano, maestro nel saper riportare le atmosfere guerresche dei maestri Bolt Thrower in un contesto estremo che non manca di blasfemie alla Morbid Angel ed attimi nei quali il sound guarda al Nord Europa come terra di conquista.
Origin è composto da brani medio lunghi dove non mancano passaggi acustici e pacate atmosfere a stemperare una tempesta di suoni estremi:  il growl della vocalist è quanto di più bestiale troverete in giro per la scena death metal e le ritmiche accompagnano chitarre ispiratissime e dai coinvolgenti solos melodici (Path Of The Soul).
Il resto è quanto di più devastante troverete in ambito old school, in un genere che sta tornando ad una nuova e vigorosa giovinezza, dopo la crisi di qualche anno fa, ed il merito è senza dubbio dell’underground e di band come i Barbarian Prophecies, outsider di lusso nel panorama internazionale.
L’album regala preziosi gioielli estremi come Beyond The Threshold e Fourth Dimension, due brani tratti da lavori precedenti (Embrace Of Insanity, dal bellissimo XIII, e Remember The Fallen, title track dell’album uscito nel 2011) a formare un monolitico esempio di death metal battagliero e old school che vi esploderà tra le mani come una vecchia mina antiuomo.

Tracklist
1.Multiple
2.The Visitor
3.Beyond The Threshold
4.Reincarnation
5.Path Of The Soul
6.Architects Of The Unknown
7.Slaves
8.Fourth Dimension
9.KOMM SUBER TOD
10.Primal
11.Embrace Of Insanity XVII
12.Remember The Fallen XVII

Line-up
Óscar Besteiro-Guitar &Vocals
Manuel Riguera -Bass
Julio G. Valladares-Drums
Arnt Bünz-Lead Guitar
Alicia -Vocals
Oscar Insua jumpin’ -Guitars (Guest collaborator)

BARBARIAN PROPHECIES – Facebook

Nereis – Turning Point

Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Da più di dieci anni attivi nella scena underground metallica tricolore, i trentini Nereis giungono al secondo lavoro sulla lunga distanza licenziato da Eclipse Records.

I Black Star (così si chiamavano fino allo scorso anno), dopo qualche problemino di line up, un esordio uscito nel 2012 dal titolo Burnin ‘Game e l’ep From the Ashes di tre anni dopo, hanno avuto la possibilità di suonare live con buona frequenza, mettendo in saccoccia un bel po’ di esperienza che è sicuramente servita per dare alle stampe questo buon lavoro dal titolo Turning Point.
Heavy metal e hard rock progressivo e melodico in un contesto moderno, rivestono la raccolta di brani e testimoniano  di un gruppo convincente nelle sue varie influenze assimilate per benino e sfruttate in toto per creare brani dal forte impatto, ricchi di  tecnica ed attitudine e valorizzati da arrangiamenti che guardano più alla scena moderna che quella classica.
Un buon mix che la bravura dei musicisti valorizza con cambi di tempo e solos che sono rasoiate, impreziosite da chorus di scuola hard rock, melodici ed accattivanti così come la voce del cantante, protagonista di una prova straordinaria.
Turning Point non conosce intoppi, forte di una serie di brani trascinanti che fino alla sesta traccia (Now) sono un susseguirsi di colpa di scena.
Unity, la melodica Ready For War, la super heavy Overdrive saltano da un genere all’ altro, tra hard rock melodico, heavy metal ed alternative fondendo abilmente King’s X, Alter Bridge, Symphony X e Gotthard.
What Is Wrong What Is Right torna alle montagne russe musicali dopo la parentesi One Time Only/The Wave,  ballata spezza ritmo dove ci si riposa prima del finale.
Turning Point è un album vario e moderno ma che mantiene un approccio classico, formato da belle canzoni e suonato al meglio: si può dire quindi che i Nereis hanno superato ogni aspettativa.

Tracklist
1.Unity
2.Ready for War
3.Breaking Bad
4.Overdrive
5.Two Wolves
6.Now
7.One Time Only
8.The wave
9.What is Wrong And What Is Right
10.Induced Extinction
11.Born To Fly
12.We Stand As One

Line-up
Andrea “Andy” Barchiesi – Vocals
Samuel “Sam” Fabrello – Guitar
Mattia “Pex” Pessina – Guitar
Gianluca “Gian” Nadalini – Bass
Davide “Dave” Odorizzi – Drums

NEREIS – Facebook

Mefitica – Vessazione Cronica

La rabbia non tracima, in alcuni casi c’è sempre, basta osservare le nostre vite e ci sono due scelte: ti incazzi e ascolti i Mefitica o pieghi la testa.

La rabbia non tracima, in alcuni casi c’è sempre, basta osservare le nostre vite e ci sono due scelte: ti incazzi e ascolti i Mefitica o pieghi la testa.

I Mefitica mettono la loro rabbia in musica, ed è un bel massacro.
Le coordinate musicali sono quelle del grindcore crust in italiano, cosa di cui abbiamo una delle poche tradizioni di cui andare fieri. Il gruppo della provincia romana, che partorisce sempre un bella rabbia dall’hc al crust passando per l’oi, si è formato con due quarti dei defunti Adirata e con l’aggiunta di un terzo elemento. Con Vessazione Cronica sono alla seconda prova sulla lunga distanza e si pongono fra i gruppi più interessanti nell’ambito crust grind italiano. Nel loro suono la tradizione hc italiana è molto presente, infatti in molti momenti si rimembrano gruppi del passato come i Wretched, brandendo una nera bandiera di ribellione. Musicalmente sono molto variegati e hanno diverse soluzioni sonore, tutte funzionali al loro disegno musicale. Il disagio qui ci viene sbattuto in faccia e Vessazione Cronica è un disco da far sentire a chi spera ancora che la fine non sia stata decisa tempo fa, o che chiusi nella nostra macchina possiamo salvarci dalla falciatrice che c’è là fuori. Più che critica sociale possiamo trovare in questi testi uno squartamento dell’essere umano, dove si recidono certezze mostrandoci per ciò che siamo : merdine piuttosto modeste sul pavimento della storia. Il cantato maschile e femminile, che si alternano, generano un ottimo effetto e si può dire che il disco sia una delle migliori produzioni italiane degli ultimi tempi.

Tracklist
1.Iride di cripta
2.Sangue di latte
3.Ossessione perpetua
4.Vessazione cronica
5.Miasmi
6.Lo spreco
7.Cleptocrazia
8.Il contagio
9.Mefitica
10.Coltan
11.Suicidium
12.Rivivi il male
13.Senza ritorno

Line-up
Antonio Camomilla: Basso & Growl
Ireful Pam : Chitarra e Scream Isterico
Fast Fondi: Batteria & Cori

MEFITICA – Facebook

Sadness – Ames De Marbre

La ristampa di quest’album degli svizzeri Sadness, uscito all’inizio degli anni novanta , da una parte fornisce l’occasione di riscoprire una band che all’epoca ottenne una discreta attenzione in virtù di una cifra stilistica anche coraggiosa, ma dall’altra ci fa constatare amaramente come gran parte dei lavori pubblicati poco meno di trent’anni fa fossero penalizzati da produzioni che impedivano loro di apparire ancora oggi attuali.

Questo, ovviamente, è un problema che riguarda sostanzialmente le opere di seconda fascia, come appunto fu Ames de Marbre,  esordio su lunga distanza per la band elvetica, edito nel 1993 e riproposto oggi grazie al meritorio operato dall’etichetta olandese Vic Records, le cui uscite son appunto perlopiù delle ristampe.
I Sadness proponevano un gothic doom che sembrava però suonato e composto con un approccio vicino al post punk, ricco quindi di buone intuizioni ma, col senno di poi, un po’ farraginoso e dai suoni anche troppo scarni; nonostante l’album conservi il suo fascino vintage, frutto anche di una scrittura mai scontata, della quale offrono una buona testimonianza brani magnifici come Lueurs e Red Script, quello che venticinque anni fa appariva alle nostre orecchie indubbiamente interessante oggi si rivela irrimediabilmente datato .
Pregio e difetto essenziale della band di Sion era quello di muoversi con buona padronanza all’interno del metal dalle tonalità più oscure, attingendo liberamente dal death, dal doom e dal gothic, cospargendo il tutto di una certa teatralità: come contraltare, mancava per forza di cose di quell’amalgama che probabilmente si sarebbe riuscita a trovare se le stesse composizioni fossero state affidate ad un produttore con i mezzi e le competenze odierne.
Tutto questo non significa che Ames de Marbre fosse un’opera trascurabile, anzi, credo fermamente che gli estimatori di certe sonorità potranno gradire non poco questa riedizione, che offre anche la possibilità di ascoltare i due demo pubblicati dai Sadness nel 1991 (Y) e nel 1992 (Eodious), utili più a fini di curiosità che altro, alla luce di una resa sonora ai limiti dell’ascoltabilità; non va dimenticato, però, che in quegli stessi tempi uscivano dischi che, pur con gli stesi mezzi tecnici a disposizione, se riascoltati oggi non sono affatto a rischio di obsolescenza (per esempio, Seredenades o Turn Loose The Swans) e questo è tutto ciò che fa la differenza tra album seminali (quelli citati) ed altri validi ma inevitabilmente destinati a restare confinati nella nicchia delle opere di culto ricordate da un numero esiguo di persone.

Tracklist:
1. Ames de Marbre
2. Lueurs
3. Tristessa
4. Opal Vault
5. Tears of Sorrow
6. Red Script
7. Antofagasta
8. Red Script
9. Eodipus
10. Disease of Life
11. Face of Death
12. Y
13. The Lost Colors
14. Outro

Line up:
Gradel – Drums
Steff – Guitars, Vocals
Chiva – Guitars, Piano
Andy – Bass, Vocals (German)

SADNESS – Facebook

Utburd – The Horrors Untold

Come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera di Lovecraft, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.

Ałtra one man band di provenienza russa, quella denominata Utburd si presenta come portatrice di un black metal atmosferico e dalle venature depressive.

In parte si può di anche essere d’accordo con entrambe le affermazioni, benché tali elementi non siano così evidenti nel corso dell’intero album.
L’operato di Tuor, musicista residente nella zona di Murmansk, sembra piuttosto ricordare quei lavori nei quali emergono semmai sonorità piuttosto dissonanti, senza lasciare spazio a quelle aperture melodiche che sarebbe lecito attendersi viste le premesse.
The Horrors Untold, secondo full length targato Utburd, fin dal titolo fa presagire riferimenti alla letteratura lovecraftiana, cosa puntualmente verificabile da brani come Rise Of Dagon e The Mystery Of Joseph Karven (che i realtà dovrebbe essere Joseph Curwen, protagonista di The Case Of Charles Dexter Ward, ma credo possa trattarsi di uno dei guai della traslitterazione dal cirillico); l’orrore evocato a livello di intenti fatica un po’ ad emergere, in quanto il sound mostra un volto per lo più solenne ed algido, il che non è affatto male di per sé ma paga alla lunga una certa mancanza di picchi qualitativi, forse a causa anche di una produzione che restituisce suoni quasi riverberati.
Alla fine, come per tutti quelli che saccheggiano a livello lirico l’opera del solitario di Providence, non si può non provare un moto di empatia nei confronti di Tuor, ma ciò non basta ad evitare di derubricare l’album alla voce discreto ma non imprescindibile.
La ricerca di un maggiore pathos da riversare nelle composizioni potrebbe rivelarsi la chiave di volta per inchiodare l’ascoltatore alla prossima  occasione; resta comunque la sensazione d’essere al cospetto di un progetto interessante e non banale, che ha solo la necessita di rifinire alcuni aspetti che ne frenano al momento il decollo.

Tracklist:
01. Rise Of Dagon
02. The Mystery Of Joseph Karven
03. Death From Mount Tempest
04. Pikman’s Triumph
05. The Horror Untold
06. He, Who Paint In Red
07. Waiting For Death Is Worse
08. He, Who Paint In Red (Instrumental Demo 2016)

Line up:
Tuor – all instruments and arrangements

UTBURD – Facebook

L’Ora X – Sottovoce

E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.

In ritardo sull’uscita targata 2017, il primo lavoro dei fratelli Mangano (Gabriele e Ilario, degli Yattafunk) merita sicuramente di essere portato all’attenzione dei lettori di MetalEyes dai gusti alternativi.

Sottovoce, infatti,  è un album composto da dieci brani (più la cover di Non é Francesca di Battisti) che formano un concept sull’amore e le sue sfumature, raccontato dal duo tramite un sound che si nutre di quel nu metal che fece sfracelli tra la fine del secolo scorso e l’alba del nuovo millennio, senza perdere di vista l’alternative rock tricolore.
Cantato (benissimo) in lingua madre, Sottovoce vede la partecipazione in studio di Wahoomi Corvi (responsabile degli arrangiamenti), che i lettori conoscono per il suo importantissimo lavoro in tante opere targate Wormholedeath, e Mika Jussila, alle prese con il master ai Finnvox Studios in Finlandia.
L’album mantiene le promesse, in un susseguirsi di atmosfere che vanno dalla rabbia alla malinconia, dalla disperazione alla gaudente felicità che l’amore porta inevitabilmente con sé, e la musica accompagna questo saliscendi emozionale tra esplosioni metalliche, rock e rap.
E’ innegabile il fatto che i fratelli Mangano, con il marchio L’Ora X, siano riusciti ad usare in modo assolutamente perfetto la lingua italiana in un sound dal taglio internazionale, tra rabbiosi growl, sentite parti melodiche e ritmati passaggi rap metal, così da creare un lavoro piacevole, duro, melodico e composto da undici bellissime canzoni.
Difficile trovare brani meritevoli d’attenzione più di altri, Sottovoce va ascoltato nella sua interezza, e se magari può sembrare in ritardo di qualche anno a livello di sound, vi apparirà davvero intenso se godete della musica aldilà delle mode del momento.
Ed allora, tra le trame di Lebbracadabra, Io Ci sarò, Quello Che I Miei Occhi Non vedono e Daimyo troverete splendide note accostabili a Limp Bizkit, Adema, Non Point e Timoria, quindi niente di originale, ma davvero ben fatto.

Tracklist
1.Animae
2.Lebbracadabra
3.Gaius Baltar
4.Non é Francesca
5.Io Ci sarò
6.Quello Che I Miei Occhi Non vedono
7.Sweet Home Roma est
8.Che Sarà Di Noi
9.Daimyo
10.X
11.Sottovoce

Line-up
Gabriele Mangano- Voce, Chitarra, Batteria, Tastiere
Ilario Mangano – Chitarra, Basso

Arrangiamenti: Ilario Mangano, Gabriele Mangano, Wahoomi Corvi

L’ORA X – Facebook

The Chapter – Angels And Demons

Gli otto brani che vanno a comporre il lavoro sono tutti decisamente validi, ognuno equilibrato nel suo oscillare tra un’anima più pesantemente metallica e quella più malinconica e gotica.

I portoghesi The Chapter sono una delle non poche band formatesi nello scorso decennio che, dopo un’uscita d’assaggio, hanno atteso molto tempo prima di dare alla luce un primo full length.

La band di Lisbona prova ad inserirsi nel filone gothic dark, immettendo nel proprio sound la robustezza del doom, e lo fa con un buon risultato tenendo fede alla consolidata traduzione lusitana che prende vita dai Moonspell ma passa anche da nomi meno famosi ma ugualmente rilevanti come Heavenwood, Painted Black e A Dream Of Poe.
Il vocalist Pedro Rodrigues si disimpegna ottimamente piazzando nelle parti più ruvide un pregevole growl, mentre le clean ricordano quelle di Jonas Renkse dei Katatonia e anche certe aperture melodiche riportano al periodo (secondo me) d’oro di Tonight’s Decision e Discouraged Ones.
Se poi aggiungiamo che, quando il sound si sposta su lidi gothic doom, il piacevole riferimento a tratti sembrano diventare i migliori Evereve, il quadro che si presenta è quello di una band che cerca di trovare soluzioni in qualche modo meno prevedibili, proprio in quanto pare attingere da fonti meno scontate rispetto a quanto fatti da altri gruppi.
Gli otto brani che vanno a comporre il lavoro sono tutti decisamente validi, ognuno equilibrato nel suo oscillare tra un’anima più pesantemente metallica e quella più malinconica e gotica: sicuramente le due canzoni iniziali, la title track dalle molte sfaccettature e Shattered Emotions, più rarefatta e vicina al melodic death doom d’autore, squarciano il velo sul potenziale dei The Chapter, il cui operato si rivela convincente e sempre intriso di un buon grado di emotività, sia quando sono i Moonspell a fungere da faro (Aenima Vipera) sia sempre i Katatonia (For A Ghost, To Live For) proprio per la bravura della band di Setubal nello svincolarsi da un’interpretazione calligrafica inserendo frequenti variazioni di ritmo.
Una bella prova che ha la sola controindicazione di un connubio tra monicker (The Chapter) e titolo dell’album (Angels And Demons) che, dalla ricerca su Google, restituisce praticamente solo informazioni sul best seller di Dan Brown o sul film che ne fu tratto, e questo non giova certo ad una divulgazione efficace delle informazioni riguardanti la band; quando è però la musica a parlare, i lusitani mettono sul piatto una padronanza del genere non scontata, tale da far presupporre e sperare che questo sia solo il nuovo inizio un di un percorso musicale ripartito con il piede giusto.

Tracklist:
1. Angels And Demons
2. Shattered Emotions
3. Aenima Vipera
4. For a Ghost
5. This Scar
6. To Live For
7. The Past is Dead
8. The Librarian

Line up:
Eurico Mealha – Bass
João Gomes – Guitar
Pedro Almeida – Guitar
Pedro Antunes – Drums
Pedro Rodrigues – Vocals

Guests:
Micaela Cardoso – Vocals

THE CHAPTER – Facebook

PAOLA PELLEGRINI LEXROCK

Il video di Lovely Man, dall’album Lady To Rock (Red Cat).

Il video di Lovely Man, dall’album Lady To Rock (Red Cat).

“LOVELY MAN”, il nuovo video di PAOLA PELLEGRINI LEXROCK , presentato in anteprima sulla home page di metal.it, è disponibile ora su YouTube:

“Paola Pellegrini è forse una delle donne più complesse e carismatiche che la nostra nazione possa vantare in ambito musicale”. MetalWave

“Un album corposo e bello da ascoltare complice anche la bella voce di Paola che riesce a dare il giusto equilibrio a questo album che merita davvero di essere ascoltato.”. Soundsgoodwebzine

“This is one hell of a cool release.” Battlehelm-UK

“SURELY INTERESTING LISTENING TO THIS ITALIAN JOB…WELL DONE”. Hardrockheavymetal-UK

CONTATTI ARTISTA:
SITO: www.lexrock.it
FACEBOOK: https://www.facebook.com/paolapellegrinilexrock
TWITTER: https://twitter.com/PaolaLexrock?s=07
INSTAGRAM: https://www.instagram.com/paola_pellegrini_lexrock/
YOUTUBE: https://www.youtube.com/user/LexrockLexrockwww.redcatpromotion.com

Mata – Atam

Non è musica facile e non lo vuole essere, ma è davvero affascinante e colpisce nel segno, traccia dopo traccia, andando a pescare il meglio del vero underground italiano, e rielaborandolo in maniera del tutto nuova ed originale, come un big bang di morte e cellule sporche.

Maschere, rumore, ansia, facendo cadere il velo delle nostre piccole incertezze. Siamo certi che sia meglio raccontare che tutto è tranquillo e dobbiamo pensare positivo e restare sereni?

Non sarebbe forse meglio liberare il rumore e sbattere la testa contro il muro della nostra quotidiana e continua marcia di avvicinamento alla morte? I Mata ci offrono come sonici Morpheus una pillola blu o rossa, sta a noi scegliere. Se scegliete di ascoltare Atam allora aspettatevi di tutto, non-musica, noise saturante, frasi molto precise come automi in Westworld, una poetica da megalopoli del 2300. Dalla provincia italiana arrivano questi alieni musicali che fanno un qualcosa che spazza via il mainstream ma soprattutto il finto alternativo. Non ci sono pose o stilemi, ma dittatura del rumore e orgasmi di macchine e strumenti, ultimi rantoli e vagiti delle future bestie. Non è musica facile e non lo vuole essere, ma è davvero affascinante e colpisce nel segno, traccia dopo traccia, andando a pescare il meglio del vero underground italiano, e rielaborandolo in maniera del tutto nuova ed originale, come un big bang di morte e cellule sporche. Il cantato in italiano è un valore aggiunto per una visione musicale che è di valore, e che soprattutto non vuole essere la solita zona di comfort anche quando si proclama alternativa. Qui ci sono aggressioni sonore ed imboscate sonore, ruggiti di demoni maledetti e poesie di chimica bellezza. I Mata sono un progetto parallelo dei Nevroshockingiochi, e hanno fatto questo lavoro concepito in quattro movimenti musicali di catarsi e merda in faccia. Non si sente spesso un qualcosa di così forte e nemmeno di così strutturato, che passa dal glitch all’idm, dal noise all’ambient.
Benvenuti nel nostro futuro, siete pregati di non staccare la siringa dal braccio.

Tracklist
Zero Uno – Movimento Uno
Zero Due – Movimento Due
Zero Tre – Movimento Tre
Zero Quattro – Movimento Quattro

Line-up
Massimo Marini
Mauro Mezzabotta
Emanuele Sagripanti
Alessandro Bracalente

MATA – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=HMLTiat_Tyw

Descrizione Breve