Demon Head – The Resistance

Tra il profumo dell’incenso ai piedi di altari innalzati all’occult rock, tornano i danesi Demon Head, gruppo di Diabolic Rock (come amano definirsi) con questo 7′ composto da due soli brani, The Resistance e River Of Mars.

Tra il profumo dell’incenso ai piedi di altari innalzati all’occult rock, tornano i danesi Demon Head, gruppo di Diabolic Rock (come amano definirsi) con questo 7′ composto da due soli brani, The Resistance e River Of Mars.

Per chi non conoscesse ancora questa band del panorama doom nord europeo, i Demon Head sono attivi da sei anni e, oltre a Thunder On The Fields, full length licenziato lo scorso anno, hanno in cascina il primo album Ride the Wilderness uscito nel 2015 ed una manciata di lavori minori tra demo e split.
I due brani che troverete su questo ep non si discostano da quanto ascoltato sul precedente album, quindi siamo ancora su coordinate doom rock anni settanta pervase da profumi ipnotici e rituali diabolici.
Un sound che trova nella voce morrisoniana del vocalist M.F.L. e nella struttura da jam dei brani il suo maggior pregio, aspetto questo più accentuato nella title track, mentre l’atmosfera di Rivers Of Mars è maggiormente diretta e sabbathiana.
The Resistance è un ep che nulla aggiunge e nulla toglie al gruppo danese, un classico lavoro di transizione aspettando un nuovo diabolico full length.

Tracklist
1.The Resistence
2.Rivers Of Mars

Line-up
J.W. – Drums
M.S.F. – Bass
B.G.N. – Guitar
T.G.N. – Guitar
M.F.L. – Vocals

DEMON HEAD – Facebook

Mammoth Weed Wizard Bastard/Slomatics- Totems

Un’uscita che riunisce due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Unito.

Ad avvalorare la teoria secondo la quale gli split album sono sovente molto di più rispetto ad una semplice operazione discografica volta a mettere assieme due o più band, talvolta estranee l’una dall’altra per stile o status, al fine di ottimizzare tempi e spazi, eccoci a contemplare questa uscita che accoppia due tra le migliori realtà sludge doom provenienti dal Regno Uunito.

Certo, neppure Mammoth Weed Wizard Bastard e Slomatics possono definirsi band del tutto simili, visto il diverso approccio alla materia, ma sicuramente qui non vengono meno contiguità stilistica e comunione d’intenti.
I gallesi Mammoth Weed Wizard Bastard sono di formazione più recente e il loro doom psichedelico è fortemente caratterizzato dalla voce di Jessica Ball, la quale dona un tocco a tratti liturgico al sound della band. I due lunghi brani sono decisamente esaustivi rispetto alle caratteristiche di un’interpretazione davvero peculiare, con The Master and His Emissary che possiede un intrigante incipit elettronico volto ad introdurre, dopo alcuni minuti, le sonorità relativamente più canoniche del doom.
Si cambia facciata e con gli Slomatics in teoria il tutto si normalizza, anche se uno sludge doom come quello offerto dal trio nord irlandese non può essere certo considerato ordinario; qui però, fin da Ancient Architects, si capisce che il sound si appoggia meno sulle suggestioni vocali per volgersi in maniera più decisa all’impatto provocato da riff di enorme presa e potenza, mentre la voce del drummer Marty nella seconda traccia assume sembianze più consone ad una psichedelia che emerge insidiosa dalla spessa fanghiglia sonora.
In entrambi i casi, le interpretazioni delle band evidenziano come tali sonorità, quando vengono maneggiate da band britanniche, assumono toni ben diversi rispetto a ciò che avviene oltreoceano, alla luce di soluzioni relativamente più ricercate e un po’ meno truci.
Totems è, in definitiva, uno split album di una qualità non comune, tale da spingermi a consigliare agli appassionati del genere di non farselo sfuggire per alcun motivo.

Tracklist:
A
1. (Mammoth Weed Wizard Bastard) The Master and His Emissary
2: (Mammoth Weed Wizard Bastard) Eagduru

B
1: (Slomatics) Ancient Architects
2: (Slomatics) Silver Ships Into The Future
3: (Slomatics) Master’s Descent

Line-up:
Mammoth Weed Wizard Bastard
Jessica Ball – Bass, Vocals
James ‘Carrat’ Carrington – Drums
Wez Leon – Guitars, Effects
Paul Michael ‘Dave’ Davies – Guitars, Effects

Slomatics
Chris – Guitars
David – Guitars
Marty – Drums, Vocals

MAMMOTH WEED WIZARD BASTARD – Facebook

SLOMATICS – Facebook

Burn The Priest – Legion: XX

Legion: XX non è assolutamente un’operazione dettata dalla sete di soldi, ma è un tentativo riuscitissimo di dare una nuova accezione ad un suono che non è mai morto e che scorre sempre sotterraneo.

Album devastante di cover da parte dei Burn The Priest, ovvero i Lamb Of God con il loro primo nome scelto quando si formarono nel lontano inverno del 1994, quattro anni dopo che si erano conosciuti, escluso il cantante Randy Blithe, alla Virginia Commonwealth University.

In seguito assumeranno il monicker di Lamb Of God, facendo la storia del metal. Qui i nostri vanno alle radici del loro suono, mostrandoci le passioni musicali e la bravura nell’interpretarle, spaziando dal groove metal all’hardcore, arricchendo e rendendo migliore, ed in alcuni casi non era affatto facile, le canzoni che hanno scelto. Ad esempio un pezzo che rende benissimo l’intento del disco è Kerosene dei Big Black, che anche grazie al video di Zev Deans è un po’ il manifesto dell’intera operazione. Il video si ispira al film punk Suburbia ed è la perfetta descrizione di cosa voglia dire vivere nei sobborghi e nella provincia, solo che a sentire certa musica poi ti escono i Burn The Priest e, quindi i Lamb Of God, che non è affatto un brutto risultato. Il disco che ci propongono i Burn The Priest è molto bello e farà la gioia di quei non pochi a cui manca quel suono tra hardcore, noise e metal che tante gioie aveva regalato negli anni novanta e duemila, ma non disperate, qui ne avrete a piene mani. Ovviamente il talento e la caratura superiore dei Burn The Priest fanno la differenza e le cover acquistano vita propria, basti pensare al primo pezzo, Inherit The Earth degli Accused, qui in una versione killer, o a One Voice degli Agnostic Front ancora più veloce cattiva ed incazzata. Album come questo appaiono ogni tanto nel mare standard della musica attuale, e sono calci e pugni. Legion: XX non è assolutamente un’operazione dettata dalla sete di soldi, ma è un tentativo riuscitissimo di dare una nuova accezione ad un suono che non è mai morto e che scorre sempre sotterraneo. E questo disco conferma che gruppo immenso siano i Lamb Of God, incredibili ad ogni latitudine. Se comprate il vinile, la bonus track è In The Meantime degli Helmet, e non dico altro. I Lamb Of God saranno in tour con gli Slayer nel loro giro di addio, con altri gruppi, tanto per completare il massacro.

Tracklist
01. Inherit The Earth (originally performed by THE ACCUSED)
02. Honey Bucket (originally performed by MELVINS)
03. Kerosene (originally performed by BIG BLACK)
04. Kill Yourself (originally performed by S.O.D.)
05. I Against I (originally performed by BAD BRAINS)
06. Axis Rot (originally performed by SLIANG LAOS)
07. Jesus Built My Hotrod (originally performed by MINISTRY)
08. One Voice (originally performed by AGNOSTIC FRONT)
09. Dine Alone (originally performed by QUICKSAND)
10. We Gotta Know (originally performed by CRO-MAGS)
Bonus Track (LP only!):
11. In The Meantime (originally performed by HELMET)

BURN THE PRIEST – Facebook

Angelus Apatrida – Cabaret De La Guillotine

Uno dei migliori dischi thrash metal usciti nell’anno solare si intitola Cabaret De La Guillotine, ultimo lavoro di questa macchina da guerra chiamata Angelus Apatrida, band che ha passato i dieci anni d’attività già da un po’ e che, in un crescendo di opere sempre più convincenti, arriva a pubblicare questo piccolo capolavoro di thrash metal che di questi tempi viene frettolosamente chiamato old school, ma che non è altro che heavy metal sparato da un cannone.

Uno dei migliori dischi thrash metal usciti nell’anno solare si intitola Cabaret De La Guillotine, ultimo lavoro di questa macchina da guerra chiamata Angelus Apatrida, band che ha passato i dieci anni d’attività già da un po’ e che, in un crescendo di opere sempre più convincenti, arriva a pubblicare questo piccolo capolavoro di thrash metal che di questi tempi viene frettolosamente chiamato old school, ma che non è altro che heavy metal sparato da un cannone: veloce melodico e tremendamente esaltante.

Siamo giunti al sesto album nell’arco di una dozzina d’anni, una discografia consistente di questi tempi, segno che il gruppo di musica in testa ne ha eccome, assolutamente metallica nel senso più puro del termine, il che tradotto vuol dire cavalcate in crescendo, accelerazioni fulminanti, chorus e refrain melodici, massima potenza e talento smisurato nel non perdere mai la bussola, mantenendo l’approccio e l’impatto senza perdere nulla in appeal.
Il quartetto iberico punta su un vocalist che riassume nella sua prestazione il concetto di cantante di genere come Guillermo Izquierdo, ruvido, melodico ed interpretativo, anche ottimo chitarrista, pezzo di un muro tirato su a mattoni metallici insieme a José J. Izquierdo al basso, Víctor Valera alle pelli e David G. Álvarez altro demonio alla chitarra.
Cabaret De La Guillotine non inventa nulla, è più semplicemente un gran bel disco di thrash metal dove ci si rincorre tra le strade battute da Testament, Death Angel e Overkill, ci si perde in vie dove si incontrano Iron Maiden e Megadeth, in un’apocalisse di spettacolari sali e scendi sull’ottovolante del genere.
Non mancano accenni più moderni, solo per chiarire che siamo nel nuovo millennio e che di teste la ghigliottina ne ha tagliate tante, ma sono attimi, perché il sound corre veloce verso la gloria in tutta la sua natura classica, sostenuta da brani spettacolari come Betrayed, The Hum, One Of Us, The Die Is Cast (che nel chorus ricorda i migliori Rage) e la conclusiva Martyrs Of Chicago.
In poche parole Cabaret De La Guillotine è un album eccezionale, picco qualitativo degli Angelus Apatrida e pretendente al trono di disco dell’anno per quanto riguarda il thrash metal classico.

Tracklist
01. Sharpen The Guillotine
02. Betrayed
03. Ministry Of God
04. The Hum
05. Downfall Of The Nation
06. One Of Us
07. The Die Is Cast
08. Witching Hour
09. Farewell
10. Martyrs Of Chicago

Line-up
Guillermo Izquierdo –Vocals & Lead/Rhythm Guitars
David G. Álvarez – Lead & Rhythm Guitars
José J. Izquierdo – Bass Guitar
Víctor Valera – Drums

ANGELUS APATRIDA – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL: ELEGY OF MADNESS

L’intervista di Mirella con gli Elegy Of Madness, ottima band italiana dedita al symphonic metal, qui rappresentata dalla vocalist Anja.

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni mercoledì alle 21.30 ed ogni domenica alle 22.00 su www.energywebradio.it.
Questa volta è il turno degli Elegy Of Madness, ottima band italiana dedita al symphonic metal, qui rappresentata dalla vocalist Anja.

MC Siamo qui con Anja, la voce straordinaria degli Elegy Of Madness! Tu entri a far parte della band in giovanissima età. Com’è stato il tuo approccio iniziale con la band e com’è continuato questo tuo percorso formativo all’interno di essa?

Faccio parte degli Elegy of Madness ormai da 12 anni. Ho iniziato questo percorso da minorenne senza esperienza ma con tanta voglia di fare e adesso riconosco che soprattutto grazie a loro ho iniziato a studiare seriamente e a fare di questo mondo la mia vita.

MC Come si svolge il vostro processo compositivo? Ci sono delle tematiche ricorrenti nei vostri brani o vi affidate all’ispirazione del momento?

La composizione si svolge in questo modo: partendo da una melodia vocale, da un riff di chitarra o da una parte orchestrale si comincia a costruire il brano che viene poi ‘completato’ dagli altri musicisti della band. Per quanto riguarda i testi, molto spesso sono il frutto di un’ispirazione del momento ma in New Era abbiamo voluto fare anche dei riferimenti filosofici (come la caverna di Platone), legati alla necessità di ragionare e di ribellarsi nei confronti di una società che tende sempre più a renderci ignoranti, depressi e spersonalizzati.

MC New Era è il vostro terzo album pubblicato nel 2017 e che avete supportato con un importante Tour che vi ha portato anche all’estero. Pensi che abbia pienamente confermato le vostre aspettative?

Il tour all’estero è stato ed è una delle nostre esperienze più belle. Stiamo in un certo senso raccogliendo i frutti del nostro lavoro perché finalmente abbiamo di fronte un pubblico attento, partecipe e fedele.

MC In cosa pensi che gli Elegy of Madness si differenzino dalle altre band Symphonic Metal e perchè?

Gli Elegy of Madness hanno un proprio carattere musicale che è il frutto di diverse esperienze d’ascolto e di vita. Componiamo mettendo in gioco noi stessi ed è per questo che non riusciremmo ad essere la copia di un’altra band.

MC Venerdì 25 Maggio vi esibirete sul palco del Metal Queens Burning Night, il festival dedicato alle voci femminili del metal organizzato da Raffaella ed Haron dei Wolfsinger e arrivato già alla quinta edizione e, posso confermarlo in prima persona, organizzato nei minimi particolari. Secondo te, eventi di questa portata sono ancora troppo pochi in Italia?

Penso che l’ascoltatore italiano vada educato all’ascolto di musica inedita, e non parlo necessariamente di rock o metal. Festival e concerti dovrebbero essere all’ordine del giorno ma bisogna dire che qualcosa sta cambiando grazie all’impegno di persone come Raffaella o Haron che lavorano con dedizione per realizzare eventi del genere.

MC Quali sono i progetti futuri della band . State lavorando a qualcosa di nuovo?

Stiamo promuovendo New Era in Italia e in Europa e continueremo a farlo per i prossimi mesi. Intanto all’ispirazione non si comanda quindi continuiamo a comporre!

MC Quali sono i contatti sul web per i nostri ascoltatori?

I contatti sono: www.elegyofmadness.com e https://www.facebook.com/elegyofmadness/

Inferi – Revenant

Revenant è un lavoro che farà la gioia dei fans del death/black melodico, e mostra un gruppo dalla tecnica invidiabile ma che non perde mai le briglie del songwriting e, anche per questo, meritevole di un plauso.

Un oscuro ed impietoso vento estremo si abbatte su di noi: la tempesta nasconde, tra le sue nubi minacciose, demoni che porteranno morte e distruzione non con la forza del brutal death metal, ma con la tecnica invidiabile al servizio di un tornado musicale come il nuovo lavoro degli statunitensi Inferi, band originaria di Nashville/Tennessee, cittadina famosa per ben altri suoni.

Gli Inferi letteralmente si aprono e spunta Revenant un lavoro di metal estremo, tecnicissimo, progressivo, oscuro e melodico, un death/black dotato di una forza sovrumana per impatto ed atmosfere.
Siamo arrivati al quarto album per la band statunitense, in una discografia iniziata nel 2007 con l’uscita di Divinity In War e proseguita con The End of an Era, un paio di anni dop,o e The Path of Apotheosis licenziato nel 2014, ma la furia tempestosa sommata ad una buona intuitività per le melodie non è scomparsa e Revenant risulta così un lavoro riuscito e a tratti travolgente.
Quasi un’ora sotto la tempesta di note estreme che gli Inferi ci fanno cadere addosso, dall’alto tasso tecnico ma con una forma canzone che non lascia spazio all’ego dei musicisti ma sfrutta le loro capacità, per regalare un buon compromesso tra intricati passaggi tecnico/progressivi e bombardamenti a tappeto di death/black metal melodico.
Revenant è composto da nove brani medio lunghi e vari il giusto per tenere sempre viva la voglia di continuare l’ascolto fino alla fine, lasciando che le atmosfere cangianti siano dettate dal cambio di tonalità del canto che rimane estremo, passando dal growl allo scream e duettando sopra ad un tappeto di metal estremo veloce e cattivo, nel quale  le chitarre donano ghirigori melodici in tracce come Condemned Assailant, Through the Depths (con James Malone degli Arsis in veste di ospite), la magnifica Thy Menacing Gaze, attraversata da suggestive parti di tastiere, e la conclusiva Behold the Bearer of Light, che vede come ospite Trevor Strnad dei The Black Dahlia Murder.
Revenant è un lavoro che farà la gioia dei fans del death/black melodico, e mostra un gruppo dalla tecnica invidiabile ma che non perde mai le briglie del songwriting e, anche per questo, meritevole di un plauso.

Tracklist
1.Within the Dead Horizon
2.Condemned Assailant
3.A Beckoning Thrall
4.Through the Depths
5.Enraged and Drowning Sullen
6.Thy Menacing Gaze
7.Malevolent Sanction
8.Smolder in the Ash
9.Behold the Bearer of Light

Line-up
Malcolm Pugh – Guitars
Mike Low – Guitars
Joel Schwallier – Bass
Spencer Moore – Drums
Sam Schneider – Vocals

INFERI – Facebook

ECNEPHIAS

Il music video della canzone inedita Malavita – La Setta del Vulcano Nero.

Il music video della canzone inedita Malavita – La Setta del Vulcano Nero.

This is the new song about neapolitan criminality

MALAVITA – LA SETTA DEL VULCANO NERO – a new single – unreleased rare song

Sense Of Fear – As the Ages Passing By…

As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Oscurità e potenza, una forza sprigionata da un’onda d’urto power/thrash di notevole impatto in pieno rispetto della tradizione metallica, tra scuola europea e statunitense.

Questo in poche parole risulta As the Ages Passing By…, debutto su lunga distanza dei Sense Of Fear, quintetto attivo da anni come Holy Prophecy e dal 2013 a procurar battaglia con il nuovo monicker.
Un solo ep omonimo a precedere questa lunga mazzata che, se riesce a tratti ad esaltare con duetti chitarristici di scuola maideniana, ritmiche power ed atmosfere alla Iced Earth, lascia qualcosina a causa della prolissità, ma sono dettagli perché l’album come detto non manca di inorgoglire i defenders cresciuti a pane e heavy/power metal.
Album old school ma dalla produzione moderna (l’album è stato registrato ai Valve Studio da Stratos “Strutter” Karagiannidis in Grecia, per poi essere mixato e masterizzato in Germania da R.D. Liapakis e C. Schmid), As the Ages Passing By… è un mastodontico pezzo di granito metallico, i brani sono strutturati su potentissime ritmiche ed atmosfere oscure e drammatiche care alla band di Jon Schaffer, le chitarre svolgono un lavoro di coppia assai riuscito e la voce teatrale e drammatica ricorda quella dei vocalist di scuola americana, potenti e molto interpretativi.
Bellissima Slaughter Of Innocence, la traccia che più riassume il credo musicale del gruppo greco, seguita dall’inno metallico Agent Of Steel e dalla super ballatona The Song Of A Nightingale.
La title track chiude il lavoro con i suoi nove minuti di cavalcata in crescendo, confermando la buona vena del gruppo, anche se qualche brano verso il finale non brilla come nel corso dell’inizio pirotecnico dell’album.
As the Ages Passing By… è un buon album di metal classico, i riferimenti partono dagli Iron Maiden fino ad abbracciare il sound di scuola statunitense, con Iced Earth e Sanctuary padrini indiscussi del sound dei Sense Of Fear.

Tracklist
1.Molten Core
2.Slaughter of Innocence
3.Black Hole
4.Angel of Steel
5.The Song of a Nightingale
6.Torture Of Mind
7.Lord Of The World
8.Unbreached Walls
9.Sense Of Fear
10.As the Ages Passing By, Time Still Runs Against Us

Line-up
Ilias Kytidis – Vocals
Giannis Kikis – Guitar
Themis Iakovidis – Guitar
Dimitris Gkatziaris – Bass
Markos Kikis – Drums

SENSE OF FEAR – Facebook

Labyrinthus Noctis – Opting For The Quasi-Steady State Cosmology

Il gruppo milanese fa un disco che commuove e che, come accadeva in alcuni concept prog degli anni settanta, porta l’ascoltatore lontanissimo, ponendo la maggiore distanza possibile fra lui e la Terra, luogo di eterno dolore.

Disco esoterico di gothic prog metal, una magia per ricordarci che non apparteniamo a questa terra, e che questa terra non è la nostra casa, ma siamo fatti per andare oltre, molto oltre, forse verso Marte che è il protagonista di questa terza prova dei milanesi Labyrinthus Noctis, un gruppo che difficilmente sbaglia un disco.

La novità più grossa è l’entrata in formazione della dotatissima cantante Ivy che porta la band ad un livello superiore. Il disco è un viaggio esoterico oltre il nostro pianeta ospitante, verso il pianeta rosso, e ovviamente ciò vale anche per ciò che sta dentro di noi. Il concept è diviso in tre diversi movimenti, e tutti assieme concorrono a descrivere un viaggio cosmico verso e dentro Marte. Quest’ultimo pianeta è una delle mete più anelate dalla razza umana, una delle ultime Thule, un confine anche angusto per le dimensioni dell’universo, ma un passo enorme e forse impossibile per noi umani. Il gruppo milanese ha sempre fuso nel suo stile musicale diversi generi con grande sapienza e gusto, ma qui si supera. Opting For The Quasi-Steady State Cosmology è un disco di gothic prog doom, uno spartito terrestre per musica celestiale, e l’andamento è praticamente cinematografico, come se la musica descrivesse i fotogrammi di un film inquietante ed inquieto, dove tutto si muove, e il moderno si sfasa per copulare con l’estremamente antico, in una fusione che genera diversi multiversi, descritti mirabilmente dai Labyrinthus Noctis. Il gruppo milanese fa un disco che commuove e che, come accadeva in alcuni concept prog degli anni settanta, porta l’ascoltatore lontanissimo, ponendo la maggiore distanza possibile fra lui e la Terra, luogo di eterno dolore. Un gran bel disco che assicura tanti ascolti e molti sospiri di cuore. Il disco si conclude con la cover di Padre Davvero di Mia Martini, una canzone che parla davvero al cuore, che si lega a Marte e che qui è interpretata magistralmente.

Tracklist
Chapter One: DISCUSSION AND CONTROVERSIES IN THE LIGHT OF FURTHER X-RAY
OBSERVATIONS
1. Reaching The Last Scattering Surface
2. Cygnus X-1 (con Chiara Tricarico alla voce)
3. Melancholia
4. Negentropy
Chapter Two: DARK ENERGY EQUATION-OF-STATE (EOS) AND ITS APPLICATIONS
5. Lament Of Melusine
6. Linear A
7. Kosmonaut Vladimir Komarov
8. Amborella Trichopoda
Chapter Three : FROM HYPERSPACE TO MULTI MESSENGER ASTRONOMY
9. Noctis Labyrinthus
10. Hydrocarbon Lakes
11. Kiss The Scorpion, or The Ballad Of Lilith And Mars
12. Wings Of Honneamise
13. Padre Davvero

Line-up
Moreno: Guitars
Ark: Keyboards, Theremin, Effects
Aeb: Drums
Sin: Bass, Backing Vocals
Ivy: Lead Vocals

LABYRINTHUS NOCTIS – Facebook

Haunted – Dayburner

Un sound pesantissimo accompagna la cantante nel buio di un giorno mai iniziato: gli strumenti, drogati e stonati, creano un moloch sonoro che avanza inesorabile, mentre litanie oscure, lunghe e magnetiche sono la colonna sonora della morte ancora prima di nascere della luce.

L’alba, l’inizio di un nuovo giorno ci illude che la luce spazzerà via il buio, mentre tutto torna nell’oscurità e in un attimo siamo avvolti dal nero profondo che, come un’anima dannata, passeggia senza meta tra l’inferno e il purgatorio.

Dayburner, mastodontico secondo lavoro dei doomsters catanesi Haunted, da un attimo prende ispirazione per il suo lungo incedere, risultando un monolito heavy/doom di inumana bellezza.
L’esordio omonimo licenziato due anni fa aveva lasciato ottime impressioni sul gruppo siciliano, ora assolutamente confermata da questa ora abbondante di litanie doom psichedeliche, un lavoro dalla mole enorme, una marcia lenta e liturgica nel corso della quale siamo presi per mano dalla sempre più ipnotica Cristina Chimirri.
Licenziato dalla Twin Earth Records e registrato da Carlo Longo al NuevArte Studio di Catania, Dayburner è stato affidato a Brad Boatright (Sleep, COC, Yob, Obituary e altri) all’Audiosiege Engineering di Portland per il mastering, mentre l’inquietante e misterioso artwork è opera di un’artista irlandese, Deborah Sheedy.
Lavoro dal taglio internazionale dunque, un passo in avanti portentoso e coraggioso per la band siciliana, sempre più immersa in quell’heavy doom che richiama Orange Goblin ed Electric Wizard, ma che ha le sue radici negli anni settanta, tra hard rock e psichedelia.
Un sound pesantissimo accompagna la cantante nel buio di un giorno mai iniziato: gli strumenti, drogati e stonati, creano un moloch sonoro che avanza inesorabile, mentre litanie oscure, lunghe e magnetiche sono la colonna sonora della morte ancora prima di nascere della luce.
Otto brani per quasi settanta minuti di musica fanno capire quanto splendidamente ostico sia questo album e quanta affascinante materia musicale ci sia da comprendere tra le magiche e potenti trame di brani come Mourning Sun, Orphic e Vespertine, le ultime due cuore aperto e grondante sangue nero di questo enorme lavoro.
Gli Haunted sono una delle massime espressioni dell’heavy/doom odierno nate sul nostro territorio, interpreti maturi ed assolutamente personali nel portare avanti una proposta così difficile, in un mondo che fagocita a tempo di record qualsiasi forma d’arte.

Tracklist
01.Mourning Sun
02.Waterdawn
03.Dayburner
04.Communion
05.Orphic
06.Vespertine
07.No Connection With Dust
08.Lunar Grave

Line-up
Francesco Bauso – Guitars
Dario Casabona – Drums
Cristina Chimirri – Vocals
Francesco Orlando – Guitars
Frank Tudisco – Bass

HAUNTED – Facebook

HYPNOTHETICALL

Il video di “Where All The Trees Bend”, dall’album Synchreality (Revalve Records).

Il video di “Where All The Trees Bend”, dall’album Synchreality (Revalve Records).

The modern progster Hypnotheticall have released the video Live for the song “Where All The Trees Bend”, from the last album Synchreality released via Revalve Records.

“Synchreality” is available now on CD/DIGITAL at: http://player.believe.fr/v2/3614979678152

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Amorphis – Queen Of Time

Queen Of Time è l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Gli Amorphis appartengono a quel novero di gruppi che godono di uno status collocabile a metà strada tra il mainstream e l’underground, trattandosi di una band dalla storia lunga che, magari, non raccoglie consensi oceanici ma comunque in grado di attrarre un numero importante di appassionati, sovente anche al di fuori degli abituali fruitori del metal.

Quello della band finlandese è ormai un trademark consolidato, qualcosa che per qualcuno potrà anche apparire ripetitivo ma che, alla luce della qualità media dei dischi pubblicati, alla fine riduce tutti questi discorsi a semplice aria fritta.
Indubbiamente l’ingresso di un cantante versatile come Tomi Joutsen, a partire da Eclipse nel 2006, ha contribuito a stabilizzare il sound in un death melodico dai richiami epici e folk, perfettamente oliato e incapace di deludere.
Ad ogni buon conto, anche per cercare di tacitare i critici per partito preso, gli Amorphis con questo loro ultimo Queen Of Time hanno provato con un certo successo ad inserire qualche elemento nuovo nel loro sound, pur senza stravolgerlo: ne consegue, così, un lavoro vario nel quale troviamo parti di sax, aperture corali e sinfoniche, duetti con voci femminili, il tutto all’interno di brani che, in diversi chorus, rimandano ai fasti di Eclipse e Silent Waters.
Varietà nella continuità è, quindi, ciò che in sintesi propone il gruppo finnico, il quale, recuperato lo storico bassista Olli Pekka Laine (di recente protagonista anche con i suoi Barren Earth) mantiene un assetto consolidato che consente di sfornare a getto continuo riff e chorus trascinanti, di presa immediata ma non banali, sintomatici di una classe superiore alla media.
Ne scaturiscono dieci brani intensi ed orecchiabili, ruvidi e melodici nel contempo, e interpretati da uno Joutsen ineccepibile (nella speciale classifica combinata clean vocals/growl, oggi Tomi è superato forse dal solo Jon Aldarà), con il supporto di una band precisa come un orologio svizzero e gratificata da un sound di rara pulizia.
Posto che ai campioni del calcio non chiediamo di segnare solo di tacco e in rovesciata, o a quelli del ciclismo di fare le salite su una ruota, così da quelli della nostra musica mi pare lecito che si esigano solo belle canzoni e questo compito essenziale, ma certo non banale, viene assolto al meglio dagli Amorphis, in virtù di una tracklist di rara solidità, priva di punti deboli e con almeno quattro brani meravigliosi: l’opener The Bee, a suo modo un classico, Daughter of Hate, dal refrain indimenticabile all’interno di una struttura piuttosto cangiante, la superhit Amongst Stars, con il duetto tra Joutsen e la divina Anneke van Giersbergen, e la conclusiva Pyres on the Coast, traccia che non è affatto tipica per gli Amorphis, in quanto va ad intrecciare modernismi a pulsioni sinfoniche senza mai smarrire la bussola.
Concludo facendo notare che non è così scontato trovare band capaci di fornite simili prove di efficienza alla quattordicesima prova su lunga distanza, all’interno di una discografia pressoché priva di passi falsi (forse il solo Far From The Sun appare, a posteriori, più debole degli altri lavori): questo splendido Queen Of Time è, quindi, l’ideale suggello di una carriera che si sta approssimando ai trent’anni, per un gruppo la cui spinta propulsiva sembra ancora ben lungi dall’essersi esaurita.

Tracklist:
1. The Bee
2. Message in the Amber
3. Daughter of Hate
4. The Golden Elk
5. Wrong Direction
6. Heart of the Giant
7. We Accursed
8. Grain of Sand
9. Amongst Stars
10. Pyres on the Coast

Line-up:
Tomi Joutsen – Vocals
Esa Holopainen – Guitar
Tomi Koivusaari – Guitar
Olli-Pekka Laine – Bass
Santeri Kallio – Keyboards
Jan Rechberger – Drums

AMORPHIS – Facebook

Crossing Eternity – The Rising World

Un power metal molto classico con l’aspirazione di ricercare nuove sonorità.

I Crossing Eternity ci presentano The Rising World, primo lavoro per il trio multietnico che fa faville e ci dimostra che l’esperienza conta moltissimo nel loro sound.

Loro non sono affatto giovani, quindi di esperienza ne hanno anche un bel po’. Questo primo disco, composto da 13 tracce uscirà il prossimo 15 giugno sotto l’etichetta Rockshots Records (che ha lavorato con Dark Tranquillity, Lordi, Tristania, Venom e Vision Divine, tanto per citarne alcuni). Due delle tracce sono già disponibili per l’ascolto perché sono state rilasciate come singoli in due date separate.
Il sound non è di certo particolarmente innovativo, in generale le composizioni si attengono ad un power metal abbastanza old-style a cui vengono fatte delle piccole aggiunte, ma senza stravolgere nulla. Per la maggior parte si tratta di svariati strumenti percussivi che si sovrappongono alla sezione ritmica principale. Curiosa la scelta di inserire in due brani addirittura dei timpani. Il brano che li caratterizza di più è probabilmente l’omonimo Crossing Eternity, mentre il più discostato dal genere principale è certamente Kingdome Come, che prende tratti molto più folk metal. Anche i testi rispecchiano alla perfezione il genere suonato.
Ma i Crossing Eternity dopotutto piacciono. Certo, essere un trio è degno di nota, dato che il power prevede generalmente una formazione di 5 o 6 elementi (in alcuni casi anche 7). È chiaro che i suoni sono molto buoni, specialmente per un primo disco: ci auguriamo che il loro misticismo si possa rafforzare e che il tentativo di studiare nuove sonorità da inserire nel genere abbia successo.

Tracklist
1. Crossing Eternity
2. Ghost Of A Storm
3. Sand In The Sky
4. High above the crown
5. Kingdome Come
6. Embrace Your Voices
7. Journey To The End Of Dreams
8. Winter Poem
9. Haunted
10. Dreams Fall
11. Angles Cry, Rainbows Hide
12. Spirit Of The Forest
13. War Of Gods

Line-up
Berti Barbera – Vocal/Percussion intruments
Manu Savu – Guitar/ Bass/ Keyboards
Uffe Tilman – Drums

CROSSING ETERNITY – Facebook

BASTIAN

Il video di ‘It’s Just A Lie’, dall’album Grimorio in uscitsa a luglio (Sliptrick Records).

Il video di ‘It’s Just A Lie’, dall’album Grimorio in uscitsa a luglio (Sliptrick Records).

Bastian – It’s Just A Lie [Official Video]
Taken from the album: Grimorio | 2018
Videomaker: Skyline Services (Siracusa)
Actors: Sebastiano Conti, Roberta Fontana

Italian rock group Bastian are back with their first material from the forthcoming album Grimorio, released via Sliptrick Records on July 31st. The official video is for the track It’s Just A Lie which addresses one of the dark themes to be found across the heavy, hard, Black Sabbath (Ozzy era) inspired songs.

Here’s what leader Sebastiano Conti had to say about It’s Just A Lie; “The song speaks of the countless sentences that the church inflicted in the Middle Ages on women accused of witchcraft (torture, burnings, etc.). All a colossal lie that precisely from the title to the song. The women were only guilty of venerating the pagan rites of mother earth, of nature, of rain. This was all contained in a cauldron of superstition, religion and ignorance that persecuted thousands and thousands of innocent victims.”

Bastian are:
Sebastiano Conti – Guitar | Nicklas Sonne – Vocals | James Lomenzo – Bass | Federico Paulovich – Drum

+Mrome+ – Noetic Collision On The Roof Of Hell

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.

Benchè sia il loro full length d’esordio, si capisce fin dalla prima nota di questo Noetic Collision On The Roof Of Hell che gli +Mrome+ sono musicisti in possesso di solide basi che provengono da un attività iniziata addirittura alla fine del secolo corso (infatti, l’unica uscita precedente con questo monicker raccoglie tracce demo edite tra il ’97 ed il ’99).

Il duo polacco mette in scena un album che sembra un sorta di bignami di gran parte del metal estremo e non, ricco com’è di brani dalle sfumature differenti ma, magicamente, tutti assolutamente coerenti e funzionali alla resa finale del lavoro.
Death, thrash, black, a tratti anche sludge, vanno a confluire in una tracklist che convince proprio perché, nonostante la sensibile differenza di fondo che si può riscontrare tra un brano e l’altro, utilizza un collante formidabile come la capacità di scrittura e una tecnica solida e al servizio di una forma canzone sempre ben delineata.
Infatti, Noetic Collision On The Roof Of Hell non è il classico lavoro sperimentale con il quale musicisti estrosi saltabeccano senza preavviso da una genere all’altro spiazzando anche l’ascoltatore più scafato: le varie pulsioni stilistiche confluiscono normalmente all’interno dei singoli brani senza che questo vada a frammentare il risultato d’insieme, così le sfuriate thrash hardcore di Locust Follows Words hanno lo stesso diritto di cittadinanza dello sludge di Piss & Laugh o del death di Colors, e convivono al meglio con la cover di How the Gods Kill di Danzig.
Ecco, una delle cartine di tornasole della creatività di una band è il metodo utilizzato per coverizzare brani altrui: la maggior parte esegue una versione piuttosto aderente all’originale accelerandola o rallentandola, indurendola o conferendo comunque un qualcosa attinente allo stile musicale praticato; i +Mrome+, invece, stravolgono una delle brani simbolo del nerboruto statunitense facendolo diventare una traccia completamente nuova e differente, mantenendo di fatto il solo testo e, sia pure sufficientemente deviato, il riff che segue il chorus.
Credo che tutto questo basti per incuriosire il giusto chi ha voglia di scoprire nuovi nomi, e il passo successivo è quello di fare una capatina sulla pagina bandcamp dei +Mrome+ per farsi un’idea della loro proposta, che risulta sufficientemente originale pur senza ricorrere a sperimentalismi cervellotici.

Tracklist:
1.Colors
2.Crush the Moon
3.Migration Cult
4.How the Gods Kill (Danzig cover)
5.Trust
6.Generation Anthem
7.Piss & Laugh
8.Locust Follows Word
9.Magister Figurae Morte
10.The Arsonist

Line-up:
Key V – vocals, guitars
P – drums

Jester Beast – The Lost Tapes of… Poetical Freakscream

Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Viene riproposto in una nuova veste e migliorato in modo sensibile nella produzione un album storico della scena thrash metal tricolore: si tratta di Poetical Freakscream dei piemontesi Jester Beast, gruppo che all’epoca dell’uscita (1991) formava insieme a Broken Glazz, Gow e Negazione la punta dell’iceberg della scena metallica piemontese, allora una delle più attive nello stivale.

Nati addirittura nella prima metà degli anni ottanta, i Jester Beast purtroppo, dopo il primo demo Destroy After Use, licenziato nel 1988 e questo unico full lenght, si fermò fino al 2012, anno di uscita dell’ep The Infinite Jest.
La F.O.A.D. Records si prende carico di pubblicare questa nuova edizione dello storico lavoro, una mastodontica opera che vede, oltre a Poetical Freakscream nella più potente versione pre-mix, an che The Lost Tapes of… Poetical Freakscream, che riserva un bonus cd con il demo Destroy After Use ed una manciata di brani live risalenti al 1988.
Capitanati dal chitarrista C.C. Muz, i Jester Beast mostrarono a tutti d’essere un gruppo dall’impatto unico e dotato di un’ottima tecnica, ma penalizzato da un mixaggio approssimativo e incompleto che fece di Poetical Freakscream un’opera riuscita a metà, per fortuna oggi ascoltabile in una veste più consona alla qualità della musica proposta.
Il sound poggiava le sue basi sul thrash furioso degli Slayer (specialmente nel primo demo) e su quello più elaborato dei Voivod (tanto che Michael “Away” Langevin, batterista della formazione canadese, curò in seguito artwork e logo sull’ep The Infinite Jest) ma attraversato da un’attitudine hardcore: il tutto rese i Jester Beast una delle realtà più importanti dell’allora scena underground.
Un’opera imperdibile per riscoprire o riascoltare al meglio di quanto offerto dall’odierna tecnologia uno dei gruppi storici nati nel nostro paese, leggendari testimoni di un’epoca importantissima per lo sviluppo delle sonorità estreme nel nostro paese.

Tracklist
1.Freak Channel 9
2.Illogical Theocracy
3.Jester Day
4.Claustrophobic Autogamic
5.Swan Ain’t Die
6.Poetical Freakscream
7.Mother
8.D.A.U.
9.Unidentified Body

“Destroy Ater Use” – Demo 1988
10.Mother
11.Destroy After Use
12.Hypnotized
13.Clustrophobic Autogamic
14.Outro

Live in Treviso, 16/04/1988
15.Hypnotized
16.Psychopathic
17.Dream Over Dream
18.Labyrinth
19.Suck My Powerful Dick
20.Still Born

Line-up
STEO ZAPP – Vocals
CC MUZ – Guitar
ROBY VITARI – Drums
PIETRO “DURACELL” GRASSILLI – Bass

JESTER BEAST – Facebook

Satori Junk – The Golden Dwarf

Il lavoro denota un notevole miglioramento rispetto al già valido primo disco del 2015, perché qui siamo proprio su un altro livello, con i Satori Junk che mostrano una maggiore consapevolezza dei loro mezzi proponendo una formula arricchita.

Seconda prova sulla lunga distanza per i Satori Junk, gruppo milanese di doom psichedelico e stoner, i quali con questo lavoro si migliorano non poco, proponendosi come uno dei gruppi italiani più interessanti nell’ambito.

Fin dalla bellissima intro recitata si intuisce che sarà una lunga discesa verso gli abissi che abbiamo creato e che culliamo nelle nostre teste. Partendo dallo stile che hanno sempre portato avanti, ovvero musica pesante con tastiere aliene, i Satori Junk rendono maggiormente pesante il loro suono e anche più acido, per lunghe cavalcate sotto piogge sporche, corse sotto relitti di imperi troppo grandi per cadere, e ancora attraverso volti sfigurati da nuove droghe. Quando poi spunta il theremin, la magia dei Satori Junk è ormai compiuta e siete catturati, così ascolterete il disco più e più volte, perché ha un fascino magnetico e maledetto, come tutte le cose veramente belle e gustose. Le canzoni sono tutte di ampio respiro e si fanno apprezzare per la loro tenebrosità ed acidità. Ciò che fa risaltare i Satori Junk rispetto agli altri gruppi è questa commistione di tastiere quasi space rock con un suono corrosivamente lento, in una miscela difficilmente rintracciabile in altri lidi. Come detto tutto il lavoro denota un notevole miglioramento rispetto al già valido primo disco del 2015, perché qui siamo proprio su un altro livello, con i Satori Junk che mostrano una maggiore consapevolezza dei loro mezzi proponendo una formula arricchita. Chiude il disco un’incendiaria e acidissima cover di Light My Fire dei Doors, ma il vero godimento è prima.

Tracklist
1.Intro
2.All Gods Die
3.Cosmic Prison
4.Blood Red Shrine
5.Death Dog
6.The Golden Dwarf
7.Light My Fire (The Doors cover)

Line-up
Luke Von Fuzz – Vocals, Synth, Keys, Theremin, Flute
Chris – Guitars, Analog Synth, Sequencer
Lory Grinder – Bass
Max – Drums

SATORI JUNK – Facebook

Fractal Gates – The Light That Shines

Ospiti importanti come Jari Lindholm (Enshine, ex-Slumber, ex-Atoma) e Ben Ellis (Scar Symmetry) e il lavoro di Swanö, impegnato nella masterizzazione e nel missaggio, non fanno che valorizzare un album già di per sé ottimo sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello di risultare un album melodic death metal dalla denominazione di origine controllata.

The Light That Shines è il nuovo album dei transalpini Fractal Gates, band attiva da una decina d’anni  che, sotto la supervisione del guru svedese Dan Swanö,  licenzia questo bellissimo esempio di death metal melodico che vi farà tornare al tempo in cui il genere consegnava le sue opere più riuscite.

Il sound moderno, ma che non ha nulla a che fare con la frangia “americana” guidata dagli ultimi In Flames e Soilwork, una produzione di livello assoluto, tappeti tastieristici che seguono il mood sci-fi del disco senza compromettere l’attitudine tradizionale del genere ed un ottimo songwriting, fanno di The Light That Shines un lavoro imperdibile, straordinariamente melodico, affascinante e ricco di suggestive atmosfere space.
Ospiti importanti come Jari Lindholm (il vocalist della band transalpina, Sébastien Pierre, è suo partner negli Enshine) e Ben Ellis (Scar Symmetry), e il lavoro di Swanö, impegnato nella masterizzazione e nel missaggio, non fanno che valorizzare un album già di per sé ottimo sotto tutti gli aspetti, non ultimo quello di risultare un album melodic death metal dalla denominazione di origine controllata.
Qualche inevitabile riferimento ai primi In Flames ed ai tanti progetti di Swanö (specialmente nell’uso di qualche stop & go e del suono dei tasti d’avorio) conferiscono ai brani un appeal davvero notevole, e la tracklist riserva uno serie di piccoli gioielli death metal, nei quali la melodia, oltre che negli arrangiamenti, vive nei solos tornando come una volta a far parlare di metal classico riferendosi all’approccio solistico della chitarra.
Breath Of Life (con quel riff che tanto sa di Edge Of Sanity), Infinity, la progressiva Faceless e la straordinaria Reborn, sono i brani più rappresentativi di un album che non uscirà tanto facilmente dai lettori degli amanti del melodic death metal, qui riportato su ottimi livelli dalla band francese.

Tracklist
01. Visions X
02. Breath of Life
03. Chasing the Line
04. Infinity
05. Bound by Time
06. Dreams Apart
07. Visions XI
08. Faceless
09. Arise
10. Reborn
11. The Light That Shines

Line-up
Stéphane Peudupin – Guitars and composition
Sébastien Pierre – Vocals, keyboards and composition
Arnaud Hoarau – Guitar
Antoine Verdier – Bass
Jeremy Briquet – Drums

FRACTAL GATES – Facebook

Grave Lines – Fed into the Nihilist Engine

Quando la produzione è in mano al mastermind degli Esoteric, Greg Chandler, bisogna prestare parecchia attenzione e non lasciarsi sfuggire l’arte che ne deriva.Un’ora di suoni doom, sludge, darkwave plumbei, oscuri e meritevoli di entrare nella nostra carne e nel nostro cervello.

Quando la produzione è in mano al mastermind degli Esoteric, Greg Chandler, bisogna prestare parecchia attenzione e non lasciarsi sfuggire l’arte che ne deriva.

Anche in questo caso è cosi perché i Grave Lines, quartetto londinese di recente costituzione che nel 2016 ha esordito con Welcome To Nothing, meravigliano con un’opera possente, intensa, abbastanza personale e decisamente pesante. I quattro musicisti provengono tutti da realtà underground britanniche (alcune come Dead Witches, Centurion’s Ghost, Throne) e per l’etichetta New Heavy Sounds, che ci ha fatto conoscere i meravigliosi Mammoth Weed Wizard Bastard, ci regalano un’ora di suoni doom, sludge, darkwave plumbei, oscuri meritevoli della nostra massima attenzione. L’idea di alternare brani lunghi con brani più brevi non è chiaramente la più originale ma crea un’atmosfera intossicante, tesissima e indomabile. L’opener Failed Skin (14 minuti) inquadra il loro suono su coordinate lente, scandite dalla voce decisa di Jake Harding che, per certi toni, può rammentare Michael Gira (Loss/Betrayal), mentre le chitarre lentamente creano il brano che sale, cresce, imponente, maestoso, epico intrecciando tempeste sonore aggrovigliate su tormenti interiori in cerca di uno spiraglio di luce. Siamo solo all’inizio ma le sensazioni sono quelle giuste, la band sembra già matura e conscia del proprio potenziale; i musicisti esplorano la negatività insita nelle nostre relazioni personali e ogni nota è carica di tensione spasmodica come in Silent Salt, dove l’effetto ipnotico indotto dalla reiterazione chitarristica mostra il lento cammino di un io rabbioso incatenato ma voglioso di ribellarsi. Gli artisti riescono, anche all’interno di un genere monolitico, a variare le atmosfere aggrappandosi ad aromi darkwave molto pronunciati, le linee di synth di Loathe/Displace (mi ricordano, ma probabilmente non è voluto, alcune linee di Eyeless in Gaza) disegnano atmosfere stranianti particolari, suggestive, mentre le vocals sono disturbanti nella loro tersa esposizione. La ritmica tribale di The Greae aggiunge altra “darkness” e introspezione, condotta su note di basso insistenti che introducono lentamente le distorte melodie chitarristiche, mentre, dopo la breve parentesi di Guilt/Regret, il tutto si suggella con gli undici minuti di The Nihilist Engin, dove la devozione a certi suoni di matrice Neurosis viene fuori in tutta la sua imponenza, conducendoci per mano verso abissali territori heavy progressive. Una grande sorpresa, grande musica e grandi sensazioni.

Tracklist
1. Failed Skin
2. Shame/Retreat
3. Self Mutilation by Fire and Stone
4. Loss/Betrayal
5. Silent Salt
6. Loathe/Displace
7. The Greae
8. Guilt/Regret
9. The Nihilist Engine

Line-up
Julia Owen – drums,backing vocals,synth,keys
Stgr’n Matt – bass,backing vocals,acoustic guitar
Oliver Irongiant – guitars
Jake Harding – vocals,lyrics

GRAVE LINES – Facebook

Kickstarter Ritual – Ready To Take A Ride

Scendiamo dalla motocicletta giusto il tempo per rifornirci di carburante e birra, per poi ripartire verso la ribelle libertà che i Kickstarter Ritual evocano ad ogni passaggio di questo ottimo lavoro, imperdibile se vi considerate dei veri rocker.

Alla scena hard rock tricolore si aggiungono i piacentini Kickstarter Ritual, terzetto al debutto con Ready To Take A Ride, uscito in digitale lo scorso anno ed ora anche in formato fisico per Atomc Stuff.

Il gruppo nasce quattro anni fa e all’attivo ha l’ep Black Mama, licenziato nel 2014: nel frattempo qualche cambio in corsa nella line up porta la band ad oggi, con un buon album come Ready To Take A Ride ed una formazione che vede Gaby al basso (Houston!, Neverland, Lilygun, Scorpion Tailor), Juliusz alla chitarra (Hollywood Pornostar) e Fortu alla batteria e voce (Nasty Love, Houston!, Evil Eye Lodge).
Easy Rider: all’ascolto dell’album le immagini del famoso film di Dennis Hopper ci passano davanti come se i brani di Ready To Take A Ride fossero la sua naturale colonna sonora, infatti il sound dei Kickstarter Ritual risulta un urgente e scarno hard rock, colmo di blues, punk e psichedelia, rock desertico che oggi si chiama stoner ma che negli anni sessanta e settanta era semplicemente rock, di quello che gli Steppenwolf ci costruirono un’intera carriera con Born To Be Wild.
E allora allacciatevi il casco, dopo aver indossato il giubbotto di pelle, lisciatevi i basettoni e partite on the road con Cooperate e i brani che compongono questo album fuori dal tempo e a suo modo originale nel non cavalcare l’onda del rock vintage di moda in questo periodo, ma andando indietro di qualche anno ancora.
Poi sono passati cinquant’anni e allora ecco che tra le note di psichedelico rock’n’roll di Too Old, The Man On The Hawling Machine e The Cities Are Burning (With Rock’n’Roll), spuntano inevitabilmente tracce di Monster Magnet, The Hellacopters e Gluecifer.
Scendiamo dalla motocicletta giusto il tempo per rifornirci di carburante e birra, per poi ripartire verso la ribelle libertà che i Kickstarter Ritual evocano ad ogni passaggio di questo ottimo lavoro, imperdibile se vi considerate dei veri rocker.

Tracklist
1.Cooperate
2.Messin Around
3.Too Old
4.Dirty Old Town
5.Nanananana
6.The Man On The Hawlin’ Machine
7.Get It On
8.Hazy Days
9.The Cities Are Burning (Whit Rock’ N ’Roll)
10.Kiss My Gun
11.Ready To Take A Ride

Line-up
Gaby – Bass, B.vocals
Juliusz – Gutars, B.vocals
Fortu – Vocals, Drums

KICKSTARTER RITUAL – Facebook