Masquera Di Ferro – Stalactites

Elegante in molti passaggi, il metal dei Masquera Di Ferro unisce e concentra in una formula vincente heavy metal, dark/gothic e hard rock melodico, così da risultare piacevole ed estremamente fluido per tutta la sua durata.

Tra death metal classico, metal estremo moderno, black metal e thrash, la Wormholedeath ogni tanto piazza una band ed un album dai suoni più classici ribadendo la sua ottima varietà di proposte in ogni campo del metal e non solo.

Era successo lo scorso anno con gli svizzeri Invisible Mirror, autori dell’ottimo On The Edge Of Tomorrow, mentre quest’anno tocca ai greci Masquera Di Ferro, monicker che ricorda un romanzo di Alexandre Dumas (Il Visconte di Bragelonne, terzo libro sulla saga dei moschettieri) e gli scritti di Voltaire.
Stalactites è un opera che nella sua ora di durata regala momenti di heavy metal pervaso da atmosfere dark, intenso, sempre accompagnato da sfumature malinconiche e strutturato su mid tempo e crescendo in cui il quintetto incastra melodie su melodie.
Il cantato è interpretativo e profondo, melodicamente gotico, fuori dai contesti del cantante heavy metal, ma assolutamente in grado di regalare al sound il giusto accompagnamento vocale per valorizzare le atmosfere dei brani.
Elegante in molti passaggi, il metal dei Masquera Di Ferro unisce e concentra in una formula vincente heavy metal, dark/gothic e hard rock melodico, così da risultare piacevole ed estremamente fluido per tutta la sua durata.
L’opener Brinicle, Human Code, l’accoppiata centrale Sentenced To Life, Sirens, l’epica Spartacus e l’hard rock su cui si basa la title track sono i brani più riusciti di un album brillante e melodico senza penalizzare quella potenza metal che non mancherà di accontentare le truppe di appassionati dai gusti più raffinati.

Tracklist
1.Intro
2.Brinicle
3.Stalactites
4.Human code
5.Persona
6.Sentenced to Life
7.Spartacus
8.Sirens
9.Enough
10.Whiskey Roads
11.What Shall I Die For

Line-up
Tasos Psilovasilopoulos – Vocals
Fanis Badas – Guitar
Kostas Birbutsakis – Guitar
PanosThoidis – Drums
Teo Karalis – Bass

MASQUERA DI FERRO – Facebook

Gateway – Boundless Torture

Il funeral death doom offerto dal musicista fiammingo è rumoroso, cupo e ovattato, parco di barlumi di luce o pulsioni misericordiose, e tiene fede a quanto promesso dal titolo.

Boundless Torture è il nuovo lavoro dei Gateway, progetto death doom del musicista belga Robin van Oyen .

Non si tratta però di un nuovo full length, dopo il notevole Scriptures of Grief del 2016, bensì di un breve ep nel corso del quale comunque Van Ojen non lesina la sua tipica interpretazione soffocante del genere.
Il funeral death doom offerto dal musicista fiammingo è rumoroso, cupo e ovattato, parco di barlumi di luce o pulsioni misericordiose, e tiene fede a quanto promesso dal titolo.
Sono note di basso che paiono rimbalzare nel centro della Terra per poi cercare inutilmente uno sbocco attraverso una qualche fenditura sulla superficie , quelle che delineano la title track , ma se ci si aspettano aperture di qualsiasi genere si cade presto in errore, dato che Famished Below continua e prosegue dove era terminata la traccia precedente
L’opera di demolizione targata Gateway prosegue con la brevissima sfuriata Iron Storms, per poi riprendere e finalizzare l’annientamento psico fisico dell’ascoltatore con i dieci minuti di Odyssey of the Bereaved.
Se si ha un uggia il mondo e tutti gli esseri che contribuiscono a renderlo un luogo ancor peggiore di quanto già sia, Boundless Torture è un ascolto consigliato a volumi non convenzionali, immaginando di infliggere tutta la sofferenza che viene evocata a chiunque se lo meriti ed ottenere quell’effetto catartico che, se non può restituire il sorriso e l’ormai del tutto smarrito amore per il prossimo, contribuisce quanto meno a schiarirsi le idee e a squarciare diversi veli che filtrano la realtà.

Tracklist:
1. Boundless Torture
2. Famished Below
3. Iron Storms
4. Odyssey of the Bereaved

Line-up:
Robin van Oyen – Everything

GATEWAY – Facebook

ANCIENT OAK CONSORT

Il video di Eternal Clash, dall’album Hate War Love (Revalve Records).

Il video di Eternal Clash, dall’album Hate War Love (Revalve Records).

La prog rock band Ancient Oak Consort, in occasione dell’uscita del nuovo album Hate War Love via Revalve Records rilascia il secondo videoclip del brano Eternal Clash, interpretato da Giulia Stefani (Ravenscry).

Ascolta l’intero album su Spotify: https://spoti.fi/2Iw3ntJ
http://www.revalverecords.com/ancientoakconsort.html
https://www.facebook.com/Ancient-Oak-Consort-692226317645854/
https://www.facebook.com/revalverecords/

Reverorum Ib Malacht – Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble

I Reverorum Ib Malacht destrutturano il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.

Parlare di black metal cattolico potrebbe sembrare una contraddizione in termini, viste le finalità della nascita del genere e le modalità con cui esso si è sviluppato negli anni.

Del resto, la stessa frangia cristiana rinvenibile in ambiti rock e metal si muove in una direzione opposta rispetto a movimenti musicali nati con connotazioni ribellistiche e, in quanto tali, teoricamente estranei agli schemi rigidi imposti da una religione.
Gli svedesi Reverorum Ib Malacht costituiscono quindi un’anomalia piuttosto marcata, ancor di più se si pensa che l’operazione non si compie con il semplice rimpiazzo delle tematiche sataniste /pagane all’interno di una struttura musicale canonica: in realtà qui si va ben oltre, trattandosi di un’evoluzione sonora che porta il black a fondersi con sperimentalismi di scuola Cold Meat Industry, per un risultato finale inquietante e spiazzante assieme.
Il sound cupo e soffocante in fondo fa pensare ad una religione il cui fulcro risiede nell’espiazione e nella sofferenza rispetto alla misericordia e alla pace, come sarebbe normale ed auspicabile, rispetto a qualcosa di ultraterreno.
Misterium fidei, quindi. Chi la fede non ce l’ha può comunque apprezzare il tentativo di questi musicisti, invero coraggiosi, di destrutturare il black metal rendendolo un coacervo di suoni minacciosi, con linee strumentali, rumori di fondo e urla sconnesse che si sovrappongono e si fondono quasi senza soluzione di continuità, valicando sovente il sottile confine tra la sperimentazione e la cacofonia.
Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, per tutta questa serie di motivi, è un lavoro rivolto a pochi eletti i quali, al netto delle finalità della band, potranno trovare diversi motivi di interesse purché adusi ad un impatto non convenzionale.
L’unico brano contenente un linea melodica intelligibile è (Natten inuti) en tagg som sticke, che di fatto chiude il lavoro prima dell’outro: una piccola parentesi di respiro la cui collocazione potrebbe avere un significato, difficilmente rinvenibile all’interno di un concetto musicale decisamente criptico, per cui, in ossequio al credo promulgato da Im Ra Distare Summum Soveris Seris Vas innoble, ogni ascoltatore deve accettarlo come un dogma, senza discuterlo né provare ad comprenderlo fino ad esserne compenetrato.
Di per sé il lavoro è affascinante dal punto di vista strettamente musicale, mentre probabilmente sono troppo vecchio o non abbastanza acuto per riuscire a coglierne le reali finalità.

Tracklist:
1. Intro
2. Where Escapism Ends
3. Incompatible Molokh
4. Cloud of Unknowing
5. E va um da
6. Etia si omnes, ego non
7. Skin Without Skin
8. (Natten inuti) en tagg som sticke
9. Outro

Line-up:
Karl Hieronymus Emil Lundin
Karl Axel Mikael Mårtensson

REVERORUM IB MALACHT – Facebook

Bodies On Everest – A National Day Of Mourning

un frutto sanguinolento ed ipnotizzante che respingerà al primo ascolto, non piacerà decisamente al secondo, lascerà perplessi al terzo, e che al quarto diverrà un qualcosa di cui non si potrà fare più a meno, simile ad un veleno mortalmente lento ed assuefacente.

Talvolta la musica cessa d’avere la forma che conosciamo e che in qualche modo ci rassicura, per quanto possa essere pesante in ambito metal, per assumere sembianze che difficilmente possono essere definibili o quanto meno descritte con dovizia di particolari.

Sono sempre più i dischi sottoposti alla nostra attenzione che sono collocabili nel calderone ambient, ma anche qui le differenze possono essere davvero sensibili perché si può trovare la raccolta di note delicate, atte a descrivere od auspicare una ritrovata armonia con l’universo e, in primis, con noi stessi, oppure, come in quest’opera dei Bodies On Everest, il rumore di fondo di ciò che accade su un pianeta che, probabilmente, ha esaurito la propria capacità di contenere un’umanità che ha pochissima voglia di condivisione.
Sono diverse miliardi di isole quelle che si muovono lungo i continenti e le nazioni, esseri che vivono in comunità ma soli come i corpi che periodicamente vengono restituiti dai ghiacci eterni sulle pendici della montagna più alta del mondo, come richiama il monicker di questa notevole band inglese.
A National Day Of Mourning è un’opera che riscrive ed espande i confini dello sludge, provando ad indurre terrore invece che anestetizzare con un andamento penoso e strascinato: l’operazione riesce al meglio perché , nonostante i Bodies On Everest non facciano nulla per risultare accessibili, l’opera tiene realmente avvinghiati facendoci sentire attori protagonisti di un thriller/horror all’interno del quale si viene sballottati tra scenari di violenza, ora fisica ora psicologica, ora individuale ora di massa, il tutto inserito all’interno di sonorità varie e distinguibili nonostante la loro forte propensione sperimentale.
Il giro di basso della seconda metà di Tally Of Sevens continua a pulsare nelle orecchia anche qualche ora dopo aver terminato l’ascolto, e questo è uno degli agganci per così dire normali in un lavoro che di normale ha quasi nulla: psichedelia, drone, sludge, ambient, elettronica, il tutto viene frullato assieme a qualche residua forma di vita, offrendo un frutto sanguinolento ed ipnotizzante che respingerà al primo ascolto, non piacerà decisamente al secondo, lascerà perplessi al terzo, e che al quarto diverrà un qualcosa di cui non si potrà fare più a meno, simile ad un veleno mortalmente lento ed assuefacente.

Tracklist:
1.unreleaseddeathvideo.flac
2.Tally Of Sevens
3.Gold Fangs In Enemy Territory
4.Shotgun Or Sidearm
5.Suspicious Canoe
6.Who Killed Yale Gracey?

Line-up:
Baynes – Bass, Electronics, Vocals
Wàrs – Bass, Electronics, Vocals
Gold – Drums, Electronics, Vocals

BODIES ON EVEREST – Facebook

Society’s Plague – Call To The Void

Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questo gruppo, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico.

La storia degli americani Society’s Plague è una narrazione di tenacia e di amore per il metal, come tanti gruppi che vanno avanti spinti dall’amore per la musica in mezzo a tante difficoltà.

Nati nel 2007 in quel di Lexington, nel Kentucky, questi ragazzi hanno un sound moderno tra metalcore e metal più epico, con una forte melodia e composizioni molto buone. Questo disco è il secondo episodio sulla lunga distanza nella loro discografia ed è stato totalmente autoprodotto, e in seguito il gruppo si è accasato presso l’Eclipse Records che non si è lasciata scappare questo disco, che oltre che essere valido, è un ponte fra passato e presente e futuro del metal, soprattutto di quello americano. Infatti il suono di Call To The Void è adatto ad essere mandato in onda dalle radio americane di rock duro, cosa che qui in Europa ci manca. I ragazzi del Kentucky sono molto connotati nella loro personalità musicale e riescono a fare sempre ottime cose anche grazie all’intervento delle tastiere, che hanno una parte importante nel loro suono, e che insieme agli altri strumenti rendono un buon amalgama. La seconda prova del gruppo non era scontata, poiché il gruppo ne viene da una pausa dal 2013 al 2015, per poi tornare con un concerto sold out nella loro città. Sarebbe stato davvero un peccato perdere per strada questa band, che fa una miscela interessante di metal moderno e metal maggiormente epico. Un disco che offre spunti molto interessanti, è solido e possiede elementi originali.

Tracklist
1. Ashes For Air
2. Whispers
3. Distant Waves (feat. Bjorn “Speed” Strid)
4. The Fall
5. Broken By Design
6. Paramnesia
7. Fear Is Failure
8. Abomination (feat. Michael Smith)
9. 1:01
10. Rise Of The Eidolon

Line-up
Matt Newton – Vocals
Joe Royer – Guitar
Roger Clem – Guitar
James Doyle (JD) – Drums
Aaron Sheffield – Bass

SOCIETY’S PLAGUE – Facebook

Serpico – Rock Tattoo

Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.

I Serpico sono una hard rock band finlandese attiva da una dozzina d’anni e con un paio di lavori alle spalle (l’ep Bad Commercial uscito nel 2011 e l’album di debutto Shallow Mistress licenziato tre anni dopo).

Dopo l’uscita di un paio di singoli e nulla più, il 2018 è l’anno del ritorno al full length con Rock Tattoo, album che unisce hard rock settantiano e rock’n’roll tra Scandinavia e Los Angeles.
Il quintetto finnico nulla aggiunge e nulla toglie al genere: la band ci prova, a volte ci riesce, altre meno, ma i brani non esplodono come dovrebbero trascinandosi per oltre cinquanta minuti senza che si accenda la miccia sopra al candelotto di dinamite.
Rock Tattoo non è un brutto lavoro, l’attitudine da parte del gruppo c’è, manca però l’impatto che rimane confinato in brani che sanno di Thin Lizzy, come di Motley Crue, in un sodalizio che non esprime tutte le sue potenzialità tra classic e street rock.
Eppure qualche chorus azzeccato non manca (No Confusion, Ain’t Better To Live), ma il sound dai rimandi punk rock risulta scarno e poco curato negli arrangiamenti.
I riff che imprimono qualche accelerata rimangono confinati a qualche brano, mentre il piede comincia a battere al ritmo dell’adrenalinica Lightning Thunder Baby, troppo poco per andare oltre una sufficienza conquistata al fotofinish.
Peccato, perché la passione per il genere è tanta nei Serpico, ma deve essere ancora veicolata nel migliore dei modi; noi aspettiamo fiduciosi.

Tracklist
1. Rock Tattoo
2. Shout
3. Irish Roots
4. A.O.F.
5. No Confusion
6. This is What I Am
7. Half Step
8. July
9. Ain’t Better To Leave
10. Lightning Thunder Baby
11. Ex-Serpico
12. Let It Burn

Line-up
Kalle Vee Dour – Lead vocals
Snake – Lead guitar
Eddy – Guitar
Andy Motörfager – Bass
Jani Serpico – Drums

SERPICO – Facebook

Paola Pellegrini Lex Rock – Lady To Rock

Paola Pellegrini ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.

Torna la Suzi Quatro o, se preferite, la Joan Jett del rock tricolore, con un nuovo lavoro licenziato questa volta dalla Red Cat ed intitolato Lady To Rock.

Paola Pellegrini, cantante, chitarrista, avvocato e scrittrice, con il monicker Paola Pellegrini Lex Rock torna sul luogo del delitto, imbraccia la sua chitarra e con l’aiuto di Franco Licausi al basso e Simone Morettin alla batteria smuove montagne con il suo terremotante rock’n’roll.
La musicista toscana ci regala mezz’ora abbondante di sano rock’n’roll, dieci schiaffi in pieno volto energici e con quell’urgenza punk che ne ha sempre contraddistinto il sound, confermando le sue capacità nel saper trovare la giusta formula per convincere con quei semplici quattro accordi che hanno fatto storia.
Divertente, ma allo stesso tempo maturo, Lady To Rock non fa prigionieri, ci rivolta come calzini, travolti dall’energia sprigionata da brani d’impatto immediato e dai refrain facilmente memorizzabili, come l’opener No Half Way e Lovely Man, coppia di canzoni che apre l’album all’insegna dell’energia.
Avuta Mai è l’unica traccia cantata in italiano, segnata da un mid tempo e da un’atmosfera ombrosa, mentre il seguito di Lady To Rock alterna song dirette e dal piglio punk rock ai ritmi cadenzati di Cut The Chains e Wild Shot.
Paola è una tigre, morde, graffia, gioca con noi, prede da confondere prima di azzannarle con il suo rock d’assalto che tanto sa delle eroine accennate ad inizio articolo, ma che vive di una personalità spiccata e di una sound travolgente.
Con il suo ottimo ritorno, Paola Pellegrini si conferma come una delle più credibili interpreti del rock’n’roll made in Italy: assolutamente da non perdere se capita dalle vostre parti in versione live, perché se tanto mi da tanto c’è da divertirsi.

Tracklist
1.No Half Way
2.Lovely Man
3.Avuta Mai
4.Cut The Chains
5.Endless Begin
6.Wild Shot
7.Making Love Forever
8.What I Like
9.You Better Believe
10.All My Love Has Gone

Line-up
Paola Pellegrini – Voice, Guitars
Franco Licausi – Bass
Simone Morettin – Drums

PAOLA PELLEGRINI LEX ROCK – Facebook

DEMETRA SINE DIE

Il video di “Lament”, dall’album “Post Glacial Rebound”, in uscita a Giugno (Third I Rex).

Il video di “Lament”, dall’album “Post Glacial Rebound”, in uscita a Giugno (Third I Rex).

A seguito dell’anteprima mondiale tramite la statunitense NO CLEAN SINGER, gli Italiani DEMETRA SINE DIE condividono ora a livello mondiale “Lament”!
Estratto dal nuovo disco “Post Glacial Rebound”, in uscita il 24 di Giugno tramite Third I Rex, i DEMETRA SINE DIE son finalmente tornati!

The band’s third full-length album, marks a further development and deeper move into psychedelic, post fueled, sludge driven hallucinations.

“.. ‘Post Glacial Rebound’ is a deep black space.. our inner space.. made of memories, emotions, pain, and joy, where we have found comfort and refuge. We hope you can feel the same.”

Demetra Sine Die is:
Adriano Magliocco, bass, synths
Marcello Fattore, drums
Marco Paddeu, vocals, guitars, Korg MS20

Recorded, mixed and mastered by Emanuele Cioncoloni at El Fish Recording Studio (Genova) between 2016 and 2017 – www.elfish.it

Artwork and layout by Anna Levitska.

ME VS. I

Il video di “Empty”, dall’album “Never Drunk Enough”.

Il video di “Empty”, dall’album “Never Drunk Enough”.

“Empty” è il nome del nuovo singolo dei Me vs. I tratto dal debut album della band “Never Drunk Enough”!

L’album è uscito lo scorso 6 aprile, completamente autoprodotto dalla band, un mix letale di hardcore, stoner e marciume totale.

“Sentirsi isolato in un mondo così pieno, resta comunque una contrapposizione”

Ricordiamo i dettagli del nuovo album.

“Never Drunk Enough” è stato registrato e mixato da Daniele Ferretto, mentre l’artwork è a cura di Pietro Braga.

Tracklist:
01. MadNess
02. Me Vs. I
03. Places
04. Keep Off The Grass
05. Empty
06. De-Vices
07. Up & Down

Line-Up:
Matteo Brunoro: Voce
Alberto Baldo: Chitarra
Francesco Baldo: Batteria

“Never Drunk Enough” è disponibile su tutti gli store digitali -> http://hyperurl.co/MeVsINeverDrunk

Facebook: https://www.facebook.com/mevsiband
Instagram: https://www.instagram.com/mevsiband

Ruach Raah – Under The Insignia Of Baphomet

Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

A partire dal titolo passando per la musica, questo disco dei portoghesi Ruach Raah è un piccolo gioiello di metallo nero e di lodi al nero signore.

Under The Insignia Of Baphomet è il secondo disco nella carriera dei lusitani, uno dei nomi migliori della scena più originale d’Europa insieme a quella francese. La cifra stilistica è quella del black metal d’assalto, rauco, veloce e cattivo. A differenza di altri gruppi portoghesi la produzione è buona, e la fedeltà è abbastanza buona, anche perché la potenza del gruppo ne avrebbe altrimenti risentito. Il disco è una chicca per chi ama il black metal che si avvicina al war metal, il tutto fatto con parecchia ortodossia e amore per il male. Il black che possiamo ascoltare qui è fatto molto bene e con grande passione, non si inventa nulla e non si ha nemmeno intenzione di essere creativi, perché non ve n’è bisogno, e si va molto al concreto. Cattiveria e velocità fanno ascoltare in qualche passaggio un accenno allo speed metal, non puro ma quello che piace e che mette in radio Fenriz dei Darkthrone. La scena portoghese alla quale appartengono i Ruach Raah ha varie declinazioni, ma quello che impressiona è la sua grande qualità, praticamente ogni disco di black metal che da dieci anni esce dalla Lusitania è assolutamente da sentire, e questo Under The Insignia Of Baphomet ne è un ottimo esempio. Chitarre veloci e distorte, basso a bestia, cantato che gratta le gole infernali e batteria dritta come la caccia infernale, ed è quasi tutto ciò che si chiede ad un gran disco di black metal.

Tracklist
1.Under the Insignia of Baphomet
2.Hang Humanity Upside Down
3.Commander of Rats
4.Hammering Down Their faces
5.A Ira do Lucifer
6.Scythe Militia
7.Funeral Fumes
8.Bodysnatchers
9.Lord of the Crypt

Last Resistance – A World Painted Grey

Un EP all’insegna del decadentismo, che crea sensazioni angoscianti senza mancare di potenza.

Secondo lavoro per i Last Resistance, il gruppo di Brindisi fondato nel 2013 che si presenta al pubblico come una band Metalcore e che porta alla luce questo A World Painted Grey, un EP composto da 4 tracce che di certo non delude le aspettative dell’ascoltatore. La potenza non manca, la sostanza nemmeno.

A differenza di Last Resistance (l’EP pubblicato alla fine del 2014), la band si lascia trasportare verso un metalcore probabilmente più adatto ai temi trattati nei testi. Nonostante siano molto chiari i riferimenti a gruppi come Drowning Pool e Killswitch Engage, il sound porta con sé anche moltissimi elementi del ben più cupo melodic death metal: in svariati momenti si possono sentire melodie decadenti, che richiamano le sonorità tipiche di gruppi come Solution 45 e In Mourning e non mancano i momenti oscuri, che creano ansia e senso di distruzione nell’ascoltatore.
Un EP carico di anguste emozioni decadentiste che richiamano inesorabilmente i poeti maledetti della Belle Époque francese, quando la società portava alla ricerca dell’individualismo, dell’egoismo e dell’alibi per non affrontare una realtà grigia e senza stimoli.
D’altronde la tematica dell’album è proprio la distruzione della società, causata dagli stupidi comportamenti umani che l’hanno portata alla deriva e con cui ci si deve trovare a fare i conti. Tutto l’EP è curato nei minimi dettagli, persino la copertina rappresenta la situazione che viene poi espressa nei testi: il fronte rappresenta una città grigia ed anonima mentre il retro ne rappresenta la sua vera faccia, in rovina ed ormai irrecuperabile.
I Last Resistance insomma convincono e lasciano poco spazio a commenti negativi. Ci auguriamo che possano tornare presto sulla scena con un album completo che ci racconti il nefasto futuro che la società odierna ci riserva.

Tracklist
1. Karma Violence
2. Misfortune
3. Point of No Return
4. Enslaved

Line-up
Vito Mingolla – Voce
Lorenzo Valentino – Chitarra
Luca Greco – Chitarra
Andrea Caiulo – Basso
Mino Mingolla – Batteria

LAST RESISTANCE – Facebook

Dystersol – The Fifth Age Of Man

The Fifth Age Of Man è il secondo album degli austriaci Dystersol, primo per la Wormholedeath, un esempio riuscito e coinvolgente di melodic death metal sinfonico ed epico.

The Fifth Age Of Man è il secondo lavoro degli austriaci Dystersol, il primo sotto le grinfie della Wormholedeath, label  che di sonorità estreme se ne intende non poco.

L’album è il successore del debutto autoprodotto uscito quattro anni fa, intitolato Welcome the Dark Sun.
Il sound prodotto dal quintetto viene descritto come modern metal, ed in parte qualche sfumatura moderna affiora tra le trame orchestrali ricamate dal combo, ma dall’ascolto affiorano ispirazioni melodic/thrash su un tappetto di arrangiamenti epico/sinfonici.
Il cantato cattivissimo e le ritmiche sostenute ne fanno un macigno estremo, valorizzato da cascate di melodie e mid tempo alternati ad accelerazioni tipiche del genere.
La musica segue il concept basato sulla mitologia greca, ne consegue un’atmosfera epica che pervade tutto l’album fin dalla title track, posta come opener e che mostra fin da subito il potenziale dei Dystersol.
I brani si susseguono, violenti ed oscuri, le sinfonie su cui si poggia il sound del gruppo creano oscure atmosfere, le chitarre affrontano l’età del ferro come armi per uccidere in un’atmosfera apocalittica, e si inseguono tra riff e solos di estrazione death/thrash, mentre lo scream feroce richiama il death metal melodico di scuola scandinava (Children Of Bodom).
Bal Sagoth, Nightfall e la citata band finlandese sono sicuramente gruppi che hanno ispirato la band austriaca, che ci mette del suo in quanto a songwriting, così da tenere l’ascoltatore incollato alle cuffie, rapito da una track list che non conosce pause.
The Fifth Age Of Man è un ottimo lavoro, magari non originalissimo ma che nella sua interezza cattura e coinvolge,  e direi che non è affatto poco.

Tracklist
01.Fifth Age of Man
02.Life amongst the Ruins
03.Down to Nothing
04.End of the Fall
05.Winterking
06.Tragedy of the gifted Ones
07.Night of the Hunter
08.Children of the Wasteland
09.Beyond Blood
10.Olimpia
11.Comforting the Soulless
12.PsychoPath
13.Danse Macabre
14.End Game

Line-up
Lue – Vocals/Synths
Matthias – Bass, Vocals
Gernot – Drums, Backgound-Vocals
Lukas – Guitar
Gerhard – Guitar

DYSTERSOL – Facebook

Iron Harvest – Iron Harvest

Metal estremo, dissonanze ed intricate progressioni, di questo si compone l’omonimo album degli Iron Harvest, da maneggiare con cura prima di finire soffocati dalla tela che vi si stringerà intorno al collo.

Difficile parlarvi di album dissonanti questo degli Iron Harvest, quintetto proveniente da Utrecht, che arriva al debutto sulla lunga distanza dopo un demo vecchio di ormai quattro anni.

Questo album omonimo ci presenta una band dal sound progressivo, inglobato in un metal estremo di natura old school, nervoso ed intricato come la ragnatela di un ragno impazzito.
Un lavoro ritmico allucinante in un crescendo di contro tempo e cambi repentini, fanno da tappeto a chitarre che sanguinano riff estremi tra il death e lo sludge, mentre il growl si inerpica su per questa montagna di note.
Mezzora trattati male da un sound che non lascia nulla alla melodia, a tratti avvicinandosi pericolosamente al grind, in un delirio di difficile assimilazione.
I musicisti sanno suonare e si sente a più riprese, ma è tangibile da parte del quintetto la voglia di andare oltre, in un’esperienza d’ascolto senza compromessi, tra death, grind, progressive e sludge.
Tra le intricate trame della sua ragnatela, veniamo imprigionati dal letale aracnide e da brani come The Holy Mountain e Make A Change… Fuck Yourself.
Metal estremo, dissonanze ed intricate progressioni, di questo si compone l’omonimo album degli Iron Harvest, da maneggiare con cura prima di finire soffocati dalla tela che vi si stringerà intorno al collo.

Tracklist
1.Enter the Void
2.May the Earth Open Up and Consume My Body
3.The Holy Mountain
4.The Perfect Storm
5.Make a Change… Fuck Yourself
6.The Beast I Worship
7.Rave Like It’s the Third World
8.Rape the World
9.A Hound-and-Horny Look of Evil

Line-up
Rev. Screamin’ K – Vocals
Michiel van der Werff – Guitar
Ruben Schmidt – Guitar
Matthias Ruijgrok – Bass
David Schermann – Drums

IRON HARVEST – Facebook

Verikalpa – Taistelutahto

I Verikalpa sfornano un lavoro convincente nel quale si sopperisce ampiamente alla derivatività con il giusto grado di intensità, non facendo rimpiangere le opere dei più illustri connazionali.

Dopo il boom ottenuto qualche anno fa con l’esplosione di band come Finntroll e Korpiklaani, il folk metal finlandese è parzialmente rientrato nei ranghi e questo è in parte un bene, anche perché un genere di questo tipo, non lasciando molto spazio a variazioni sul tema, portava ad una moltiplicazione degli epigoni abbassando inevitabilmente la qualità media dell’offerta.

Bene hanno fatto, in tal senso, i Verikalpa ad attendere il momento più opportuno per dare alla luce il primo full length, proprio mentre le band guida sono silenti a livello di nuovo materiale da qualche tempo.
Taistelutahto è, per forza di cose, un lavoro che non aggiunge nulla ad un filone musicale del quale è già stato detto tutto o quasi e al quale si richiede, sostanzialmente, divertimento e ritmi indiavolati ad accompagnare solenni bevute e balli sfrenati.
I Verikalpa, dall’alto della buona esperienza comunque già maturata sui palchi nel corso di un decennio di attività, sfornano un lavoro convincente nel quale si sopperisce ampiamente alla derivatività con il giusto grado di intensità, non facendo rimpiangere le opere dei più illustri connazionali.
Un brano come la conclusiva Rautatammi dimostra, poi, che se i nostri volessero osare anche qualcosa di più avrebbero i numeri per andare oltre un’efficace riproposizione del già sentito, cosa che, come detto, quando si suona l’alcoolico folk metal di matrice finnica non deve essere necessariamente considerata un peccato.

Tracklist:
01. Viimiseen asti
02. Tyrmä
03. Neidonryöstäjä
04. Kuoppajaiset
05. Pahan Laulu
06. Verijuhula
07. Taistelutahto
08. Viinapiru
09. Kuoleman Suo
10. Rautatammi

Line-up:
Jani Ikonen – Vocals
Sami Knuutinen – Bass
Jussi Sauvola – Keys
Jussi Heikkilä – Guitars
Janne Niva – Guitars
Aleksi Heiskanen – Drums

VERIKALPA – Facebook

URBAN STEAM: presentazione live di “Under Concrete” il 1° Giugno!

UNDER CONCRETE, primo full length per la band romana Urban Steam, è in uscita VENERDì 18 MAGGIO in tutti i negozi e nei più importanti store digitali mondiali, per Red Cat Records.
Qui il teaser dell’album:
https://www.youtube.com/watch?v=k6ZTDV4530I

La band presenterà inoltre i nuovi brani live VENERDì 1° GIUGNO al Let it Beer a Roma
Qui i dettagli dell’evento:
https://www.facebook.com/events/980889575400914/

Sammal – Suuliekki

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Psichedelia condita con funghi allucinogeni, rock anni settanta con venature prog per un risultato di altissimo livello.

Con una musica così poco importa il fatto che cantino in finlandese, perché va benissimo ugualmente . I Sammal pubblicano su Svart Records il loro terzo disco, ed è stata una gestazione lunga, ma da come si può ascoltare ne è assolutamente valsa la pena. La musica di questi finnici è molto ricca e cresce spontaneamente come in una lunga jam, dove i limiti ed i generi vengono abbattuti, e tutto nasce, muore e si ricrea continuamente. Suuliekki è un groove contunuo, un respiro musicale ininterrotto fatto da musicisti di grande talento per una psych prog di grande effetto, dove nulla è lasciato a casa, studiando a fondo la composizione di ogni canzone, smussando e perfezionando in maniera continua. I Sammal ricevono una grande influenza dagli anni settanta, ma oltre ad essere originali riescono anche ad innovare questo suono, soprattutto nel mischiare vari strumenti e diverse situazioni. Ci sono assoli alla Pink Floyd, momenti di psych latinoamericana come nel primo Santana, intarsi totalmente rock anni settanta e su tutto ciò c’è la firma stilistica di un gruppo come i Sammal che raramente sbaglia una canzone. Il disco è davvero godibile e di effetto, e va ascoltato dall’inizio alla fine, ma si può anche scegliere una traccia e soffermarsi su di essa a lungo, dato che sono tutte molto ricche. Suuliekki ha diverse anime, che possono vivere di luce propria ma anche compenetrarsi molto bene, per un risultato finale davvero buono.

Tracklist
1.Intro
2.Suuliekki
3.Lukitut päivät, kiitävät yöt
4.Ylistys ja kumarrus
5.Pinnalle kaltevalle
6.Vitutuksen valtameri
7.Maailman surullisin suomalainen
8.Herran pelko
9.Samettimetsä

Line-up
Jura
Janu
Tuomas
Lasse
Juhani

SAMMAL – Facebook

Fallen – ást

Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Torna nuovamente a farsi sentire Fallen, ovvero il musicista toscano Lorenzo Bracaloni, con la sua musica ambient di limpida qualità.

Come già scritto in occasione dell’ultima opera intitolata No Love Is Sorrow, il flusso musicale continua a trarre linfa dagli insegnamenti settantiani del caposcuola Brian Eno e di tutti i numerosi discepoli di uno dei maggiori compositori contemporanei.
L’ambient, nelle mani di Lorenzo, riprende la sua forma originaria, ovvero quella di musica che trovava la sua naturale collocazione nell’accompagnamento di installazioni visive, quindi ben lontana dalle forme droniche e disturbanti che, pur validissime, si rivelano alla fine più impattanti e meno neutre, andando un po’ in contrasto con le finalità iniziali immaginate dal maestro britannico.
ást non è però solo carezzevole e la sua bellezza risiede in una ricerca di suoni non sempre convenzionali, capaci di increspare splendidamente il placido moto ondoso, come avviene in ást III, o con un impatto melodico più definito ed accentuato, come nella magnifica ást V.
E’ anche vero che, in presenza di una continuità compositiva, la proposta di Bracaloni si fa sempre più ricca e composita, colma di sfumature che si possono cogliere, sotto forma di voci e rumori opportunamente processati che non appaiono mai fuori luogo, in quanto facenti parte di una quotidianità dalla quale Fallen non vuole farci evadere ma, semmai, spingerci ad apprezzarne gli aspetti più puri; anche le più piccole cose, persino quelle apparentemente insignificanti, grazie all’ást (amore in islandese) divengono tasselli utili a completare un quadro esistenziale.
Fallen veicola sentimenti che, valutati con i parametri della modernità, appartengono a tempi in cui la semplicità era una virtù e non sinonimo di banalità o di sciatteria: anche per questo ást è un’opera preziosa, da cullare e coltivare con la stessa cura ed attenzione che il musicista ha riversato nel comporla, rendendola una testimonianza musicale fulgida e a suo modo rara.

Tracklist:
1. ást I
2. ást II
3. ást III
4. ást IV
5. ást V
6. ást VI
7. ást VII
8. ást VIII

Line-up:
Fallen

FALLEN – Facebook

Novareign – Legends

I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

E’ forse iniziata una nuova era per il power metal, le battaglie non si vincono più trascinati dalle note degli eroi tedeschi o scandinavi, ormai tramontati o fermi a ricreare vecchie atmosfere.

Le nuove leve non guardano più con occhi luccicanti la seconda generazione di band che a metà degli anni novanta fecero tornare in auge i suoni classici, specialmente nella vecchia Europa, dal power teutonico dei Gamma Ray, al progressive power metal dei Symphony X, dall’epico incedere delle opere a tema storico dei grave Digger, all’eleganza compositiva dei fenomenali Angra di sua maestà Andrè Matos.
Qualche anno dopo, passato il momento d’oro, si affacciarono sul mercato band come gli inglesi Dragonforce di Hernan Li, band di maestri dello strumento che portarono all’esasperazione virtuosismo e velocità, con cascate di solos al limite dello shred.
E sono proprio i Dragonforce la band che più ha ispirato la creazione del primo lavoro dei Novareign, gruppo in arrivo dagli States che, con Legends, cerca di rubare cuori tra le fila dei defenders, ancora in un angolo a leccarsi le ferite dopo la scorpacciata di ottimi lavori usciti qualche hanno fa e che solo la reunion degli Helloween e il conseguente tour ha in parte lenito.
Legends mette la prima, accenna una sgommata e per un’ora abbondante travolge tra cascate di note e ritmiche alla velocità della luce, tra power metal diretto e scale progressive tecnicamente scintillanti.
Il problema di questo lavoro è lo stesso dei tanti album dei Dragonforce: alla lunga i brani sembrano tutti uguali, partono, si mettono sulla corsia di sorpasso e ci rimangono non scendendo di velocità, come in un virtuale viaggio lungo una strada che per centinaia di chilometri è assolutamente dritta e ci contorna dello stesso paesaggio.
I Novareign sono bravissimi, l’album è prodotto alla perfezione, David Marquez ha una bellissima voce, ma Legends rimane un lavoro dedicato ai fans del tecnicismo esasperato portato in un contesto power/prog: tanta tecnica e pochissime emozioni, peccato.

Tracklist
1.Call On the Storm
2.Mace of A Fist
3.Beyond the Cold
4.Heavy Heart
5.Skyline
6.To Wander the Stars
7.The Builder
8.Black As the Dead of Night
9.Legends

Line-up
David Marquez – Vocals
Danny Nobel – Guitars
Balmore Lemus – Guitars
Moises Galvez – Bass
Paul Contreras – Drums

NOVAREIGN – Facebook