KYTERION

Il lyric video di “Onde La Rena s’Accendea”, dall’album “Inferno II”.

Il lyric video di “Onde La Rena s’Accendea”, dall’album “Inferno II”.

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I black metallers Kyterion rivelano il lyric video ufficiale del singolo “Onde La Rena s’Accendea”, dal loro secondo album “Inferno II”.

Incentrato sulla prima cantica dell’eterno poema “La Divina Commedia” di Dante Alighieri e con i testi in Italiano Vernacolare del XIII secolo, il sound furioso e diabolico dei Kyterion ricorda leggende del black metal quali Watain e Necrophobic.

Il brano “Onde La Rena s’Accendea” parla dell’ingresso nel III girone del VII Cerchio dell’Inferno, dove sono puniti i violenti contro Dio.

“Questo è una landa desolata dove non cresce alcuna pianta ed è attorniato dalla selva dei suicidi come una dolorosa corona. Il suolo è formato da una spessa sabbia, su cui le anime dannate giacciono in modo diverso: alcune sono sdraiate supine (bestemmiatori), altre siedono raccolte, (usurai) altre ancora camminano senza posa (sodomiti). Queste ultime sono più numerose di quelle sdraiate, le quali tuttavia sono più facili al lamento. Su tutto il sabbione cade una pioggia di larghe falde infuocate, simili a fiocchi di neve che cadono senza essere sospinti dal vento. Le fiammelle surriscaldano la sabbia che, arroventata, tormenta le anime che tentano continuamente di scacciare da sé il fuoco agitando le mani…”

“Inferno II” è uscito il 4 Maggio 2018 per Subsound Records.

Ordina “Inferno II” qui : http://goo.gl/xCwR5U

L’album è stato registrato presso i Medoosa Studio di Bologna, mentre mixing e mastering sono stati realizzati da Giuseppe Orlando presso The Outer Sound Studio (Stormlord, Necrodeath, Novembre) di Roma.

Cover Artwork Design ad opera di Gustavo Sazes.

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Otehi – Garden Of God

Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro.

Gli Otehi sono un gruppo romano che parte dallo stoner per andare molto lontano. Il loro suono è un lento e possente incedere di suggestioni sciamaniche messe in musica, come un nativo che ti prende per mano dopo aver mangiato un peyote.

Garden Of God è una mostra di delizie, e i cinque pezzi che fanno parte del disco sono tutte ottime composizioni, si prendono il tempo che devono per arrivare a destinazione, ma in realtà la destinazione non ce l’hanno, perché è il viaggio l’importante, il vero scopo del tutto. Esplorare attraverso il suono, la psichedelia arriva e si maschera, cambiando i contorni di ciò che pensavamo sicuro, cambia il gioco rendendolo più vero. Gli Otehi sono un gruppo che si differenzia per la sua impronta personale, per fare un desert stoner connotato e strutturato molto bene nel quale ogni nota ha la sua importanza, ed è una scala verso il cielo. Nato nel 2011, questo trio ha sempre portato avanti con convinzione un certo tipo di discorso musicale, riuscendo a trovare una via personale e potente. Ascoltando Garden Of God si capisce che la musica pesante può benissimo sposare la psichedelia, un matrimonio alchemico che cambia la composizione chimica di chi lo ascolta e di chi lo suona. Garden Of God non è un disco da fruire velocemente, quanto un qualcosa da godere e da lasciare che ti cada dentro ascolto dopo ascolto, perché non è musica comune fatta per intrattenere, ma comunica qualcosa agli abissi che ci portiamo dentro. Fare musica da meditare per un gruppo stoner è un gran bel obiettivo e questi ragazzi lo hanno centrato in pieno.

Tracklist
1.Sabbath
2.Naked God
3.The Great Cold
4.Verbena
5.Purified
6.Esbath

Line-up
Domenico Canino – Guitar, Effects, Voice & Tribal Instruments
Maciej Wild Mikolajczyk – Bass, Voice, Effects & Tribal Instruments
Corrado Battistoni – Drums, Percussions

OTEHI – Facebook

Dite – The Hollow Connection

Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un’altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Un rock alternativo che si colora di pastelli progressivi, un quadro musicale quanto mai vario tra impulsi elettrici moderni e cambi umorali in un sound che guarda anche al passato senza perdere un briciolo di quella naturale propensione al rock del nuovo millennio che i Dite esprimono ad ogni nota di The Hollow Connection, il loro primo lavoro sulla lunga distanza.

I Dite sono sono un quartetto di musicisti originari della provincia di Belluno con esperienze in altre band con le quali si sono confrontati con generi diversi come il folk metal, l’alternative rock e il prog metal, ed unite le forze hanno dato vita al gruppo nel 2014 con l’intento di unire le loro esperienze ed ispirazioni in un unico sound.
Il loro primo ep, An Explanation, viene riproposto in nuova veste all’interno di questo nuovo lavoro: The Hollow Connection, registrato ai Nadir Studio di Tommy Talamanca, leader storico dei Sadist, in quel di Genova, risulta un’ora abbondante di rock emozionante, tecnico e fuori per lunghi tratti dai soliti schemi predefiniti che ormai incatenano la musica moderna.
I Dite fin da subito cercano una loro strada, anche se molte delle atmosfere di questo album possono portare alla mente i Tool, magari con toni meno introspettivi e più aperti a soluzioni ed emozioni delicatamente rock.
Ma i parallelismi con band più famose finiscono quando la band con maturità ci confonde piacevolmente, tra parti marcatamente pop, coinvolgenti armonie semiacustiche o elettriche sfumature alternative e post rock.
Cambiano le immagini e i colori con cui i Dite giocano con lo spartito, mettendo a disposizione dell’ascoltatore non solo un bagaglio tecnico di tutto rispetto, ma la bellissima ed emozionante voce di Mattia Fistarol.
L’album ha nelle prime tracce più spinta ed urgenza espressiva (il singolo In Pills, Leap Of Faith) per poi deliziarci con un rock progressivo d’autore e concedere almeno due brani capolavoro: Selling A Friend e God’s Bowl, dove Fistarol duetta con una splendida voce femminile.
In Sharp Eye  un canto estremo sottolinea il ritorno ad un sound più energico, sempre in bilico tra post rock e progressive e, con l’anima bagnata dalla pioggia di Seattle, ci lascia alla conclusiva e strumentale title track.
Lavoro che sprigiona emozioni ad ogni passaggio, The Hollow Connection ci consegna una band notevole ed un sound maturo ed ispirato, un altro piccolo gioiello musicale battente bandiera tricolore.

Tracklist
1.In Pills
2.Leap Of Faith
3.Fill This Page
4.If So
5.Selling A Friend
6.Normal Being
7.God’s Bowl
8.About Chance
9.Scars Of Light
10.Venus
11.Sharp Eyes
12.The Hollow Connection

Line-up
Mattia Fistarol – Vocals, Guitars
Filippo Viel – Guitars
Simone Giovinazzo – Bass
Emil Bortoluzzi – Drums

DITE – Facebook

GATES OF DOOM

Il lyric video di “Forvm Ivlii”, dall’album omonimo.

Il lyric video di “Forvm Ivlii”, dall’album omonimo.

http://goo.gl/pj5Xf1

Il nuovo Ep degli Epic Death Metalles GATES OF DOOM, intitolato “Forvm Ivlii”, è ora disponibile tramite lo store ufficiale della band.

Gates of Doom – “Forvm Ivlii” | 6 panels digipack – digital
Ordina qui : http://goo.gl/H4JpqL

Di seguito i formati disponibili :

– Bundle “Forvm Ivlii” T-shirt + EP + digital
– “Forvm Ivlii” EP 6 panels digipack + digital
– T-shirt “Forvm Ivlii” (sizes XL-L-M-S) + digital

Il sound della band friulana è fortemente influenzato da leggende del death svedese quali Amon Amarth ed Insomnium, unendo al loro melodic death metal suggestive sonorità epic.

Il concept sul quale si sviluppa “Forvm Ivlii” è incentrato sulla fondazione della regione del Friuli, la terra nativa della band, in epoca romana.

“Forvm Ivlii” tracklist :

1. Forvm Ivlii
2. Under the grey Mountains
3. Limes

Registrato, mixato e masterizzato da Davide Zago.
Artwork realizzato da Giulio Candussio e colorato da Pierfrancesco Briaud.

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Kazah – Feed Your Beast

All’unisono i musicisti ungheresi si scagliano contro l’ascoltatore e lo affrontano a forza di colpi inferti da riff pesantissimi, otto pugni nello stomaco, otto aggressioni sonore che non fanno prigionieri sotto l’aspetto dell’impatto e dell’attitudine.

I Kazah arrivano dall’Ungheria, sono un quintetto nato nel 2014 e suonano hardcore, potenziato da riff di moderno metallo pesantissimo: il loro esordio si chiama Feed Your Beast, licenziato dalla nostrana Ghost Label Record alla fine dello scorso anno.

Niente di nuovo, ma sicuramente d’impatto questo album, composto da otto bombe sonore cariche di groove, dalla durata medio lunga che rende il quadro generale leggermente prolisso.
Il resto lo fanno una predisposizione per ritmiche panteriane, sfumature estreme di scuola Meshuggah ed una cascata di violenza sonora ben calibrata, con la tensione che sale a livelli pericolosissimi già dall’opener Puppets e non scende fino all’ultima nota della conclusiva XIS.
Nel mezzo partenze devastanti di scuola hardcore, si alternano a monoliti metallici, fuori dai soliti schemi core tanto cari ai giovani fans del genere e più in linea con il sound dei gruppi citati.
All’unisono i musicisti ungheresi si scagliano contro l’ascoltatore e lo affrontano a forza di colpi inferti da riff pesantissimi, otto pugni nello stomaco, otto aggressioni sonore che non fanno prigionieri sotto l’aspetto dell’impatto e dell’attitudine.
Un buon esordio, con ancora qualche dettaglio da perfezionare ma sicuramente in grado di soddisfare gli amanti del metal estremo di scuola moderna e hardcore.

Tracklist
01. Puppets
02. Never Look Back
03. Straight Ahead
04. Before I Die
05. Modern Slave
06. Another Me
07. Hope And The Truth
08. XIS

Line-up
Bodnár Péter – Vocal
Szabácsik István – Guitar ( Cort guitars endorser )
Adamcsik Zsolt – Guitar ( Cort guitars endorser )
Stephen Ollak – Bass
Németi Zsolt – Drums – ( Bigstick and Diril Cymbals endorser )

KAZAH – Facebook

Void Of Silence – The Sky Over

The Sky Over è uno degli album più commoventi ascoltati nell’ultimo decennio e regala quasi un’ora di musica dalla bellezza abbacinante.

Il ritorno dei Void Of Silence, otto anni dopo l’ultimo full length The Grave of Civilization, non può che rappresentare un evento per tutti gli appassionati di doom che attendevano da diversi anni un nuovo album della band romana.

Chi aveva già iniziato a disperare al riguardo ha ottenuto segnali confortanti alcuni mesi fa con l’uscita dei Towards Atlantis Lights, sorta di supergruppo che vedeva all’opera Ivan Zara assieme ad altri illustri esponenti della scena funeral/death doom internazionale, come Kostas Panagiotou e Riccardo Veronese.
Ed è cosi che, come auspicato, la consolidata partnership tra il chitarrista e Riccardo Conforti ha offerto un nuovo funereo lavoro che eguaglia (e a tratti supera anche) per intensità un album celebrato come Human Anthitesis.
Luca Soi (ex-Arcana Coelestia) alla voce, infatti, si rivela il valore aggiunto fondamentale per rendere ancor più evocativo il sound dei Void Of Silence che, forse come mai in passato, trova sfogo in brani intrisi di un afflato melodico dolente ed atmosferico.
Il lungo e inarrestabile crescendo emotivo di The Void Beyond è una prima testimonianza di lacerante struggimento emotivo, nella quale il vocalist raggiunge vette di lirismo incredibili a suggellare le magnifiche intuizioni strumentali di Zara e Conforti.
Fondamentalmente il disco vive di tre momenti chiave corrispondenti ad altrettanti brani di durata superiore al quarto d’ora: la già citata traccia d’apertura e le altre due gemme intitolate The Sky Over e Farthest Shores
La prima rappresenta il momento melodico più alto del lavoro, grazie ad un Ivan Zara che inanella assoli di dolente e cristallina bellezza, mentre la seconda rimane sulle stesse coordinate di evocativa solennità, ideale colonna sonora di un concept dedicato a tutti quei personaggi che, perennemente in bilico su quella sottile linea di confine che divide l’eroismo dall’incoscienza, sfidarono nel primo novecento i ghiacci artici con spedizioni audaci e spesso risoltesi in maniera tragica.
Ecco perché il sound dei Void Of Silence appare più angosciante che drammatico, e non è difficile, immergendosi nell’ascolto di queste note, visualizzare per esempio il tenace peregrinare sul pack alla ricerca di una via di salvezza da parte dei componenti della spedizione di S.A Andrée, ingegnere svedese promotore di un visionario tentativo di sorvolare il Polo Nord a bordo di un’instabile mongolfiera.
The Sky Over è uno degli album più commoventi ascoltati nell’ultimo decennio in ambito doom (anche se poi di fronte ad opere di tale spessore le etichette lasciano il tempo che trovano): prodotto ed eseguito in maniera superba, il lavoro offre quasi un’ora di musica dalla bellezza abbacinante, come lo era la luce che gli esploratori dispersi nelle distese artiche si trovavano sempre dinnanzi sulla linea dell’orizzonte; non a caso è appunto lo splendido strumentale intitolato White Light Horizon a suggellare un’esperienza d’ascolto indimenticabile ed imperdibile.

Tracklist:
1. The Void Beyond
2. Abeona (or Quietly Gone in a Hiatus)
3. The Sky Over
4. Adeona (or Surfaced as Resonant Thoughts)
5. Farthest Shores
6. White Light Horizon

Line-up:
Luca Soi – Vocals
Riccardo Conforti – Drums, Keyboards, Samples
Ivan Zara – Guitars, Bass

VOID OF SILENCE – Facebook

DECAYED – Of Fire and Evil

Dodicesimo album dei capostipiti del Black Metal Lusitano. Un album maturo, completo, da avere assolutamente.

Sinceramente, quando nel 1992 ricevetti per posta il demo Thus Revealed dei portoghesi Decayed, autodefinitisi band black metal, nutrivo forti dubbi, non fosse altro per la loro provenienza.

Il 26 febbraio del lontano 1992 uscì, quello che per molti (e per il sottoscritto) fu il vero, primo, unico Manifesto del Black Metal, ossia A Blaze In The Northern Sky di Fenriz & Co. Il glaciale inizio, da dove tutto cominciò. Il Nero, Freddo ed Oscuro lato del Metal. La trasposizione del tutto musicale, fino ad allora conosciuto. Lo stravolgimento dei canoni fondamentali della musica. Suono estremo, per me, per pochi e per nessun altro. Misogina declinazione musicale, ove tutto era permesso, perché l’IO musicale era tutto…gli altri, il nulla. Vivo solitario, in terre dimenticate, di inverni precoci, di freddo glaciale, di oscuro male che incarna l’essenza della mia esistenza, della mia Terra, nordica, desolata, ove l’inverno stesso dura dodici mesi, ove il sole non brilla mai, né alto nel cielo, né nei nostri cuori. Immaginate ora lo stupore (ma soprattutto la reticenza) nell’affrontare un prodotto proveniente dal Portogallo, più precisamente da Parede/Cascais, vicino a Lisbona! Nel nostro (e nel mio, del tempo) immaginario, terra di sole, di calde estati e di miti inverni…Invece, dovetti ricredermi: al primo approccio, ricevetti una sferzata lungo la schiena. Rabbrividii all’ascolto di brani come Last Sleep e Awakened By Hate, minuti di intenso ipotermico libido musicale: era l’aprile del 1992, ma il demo era uscito già a gennaio, ossia un mese prima dell’uscita del Capolavoro! Da quel giorno, i Decayed – sempre fedelissimi al loro stile – ne hanno fatta di strada. Longevi come pochi altri (nati nel 1990 come Decay), oggi, questi “non più ragazzini” ci propongono Of Fire And Evil (ovviamente non d’amore e altre storie…). Partiamo subito con Firestorm (dopo un Intro da brividi – Winds from Hell), vera tempesta di fuoco; violento attacco sonoro senza compromessi, in stile Marduk, senza respiro. The Schyte Of Death incalza, con i suoi riff alternati a mid-tempo sempre ben amalgamati, in un botta e risposta che coinvolgerebbe anche l’headbanger più pigro a sbattere la testa, sino a quasi svenire. La successiva A Blood Moon è in pieno stile black nordico; ritmato da chitarre “zanzarose” e riffs monotoni e ripetitivi: l’essenza del black che, come spesso accade nell’album, i nostri non disdegnano di arricchire con – seppur brevi – assoli di lead. Spesso i pezzi vengono introdotti da un parlato brevissimo, che pare introduca sempre l’ascoltatore alla prossima avventura musicale, quasi una presentazione live al prossimo pezzo in divenire, ma che in realtà accrescono l’ansia per il nuovo ascolto. Dopo un altro ottimo assaggio di tradizionale black con Across The Sea e una pausa con i funerei arpeggi di Prelude To The Carnage, arriva (appunto) Blaphemous Carnage. Un pezzo che – soprattutto nel chorus –sembra uscito da Seven Churches; thrash black di cupo, satanico rovente inferno sonoro. Tsunami di note con l’immediata God Is Dead! titolo che non lascia dubbi, testo che illumina sugli intenti della band, note che uccidono  nostri padiglioni auricolari. La successiva track (The Skull Of Akator) ci trasporta direttamente ad El Dorado, o meglio conosciuta come Akator , ossia the lost city of gold, il vero capolavoro black metal di tutto l’album (e la mia preferita), tinta di epico mistero Inca. La successiva Alvorecer De Almas Perdidas (uscita anche come singolo e video ufficiale) è un pezzo travolgente, un misto di rabbia e furia, dove lo scream di Vulturius, da il meglio di sé, urlando sopra ad un susseguirsi di cambi tempo e ad un inseguirsi di chitarra-basso-batteria, tra tempi black, crust ed accelerazioni quasi alle soglie del grind. L’album termina con la title track, non una vera e propria canzone, ma una marcia funebre che, dopo un’oscura ma sensuale voce di donna che ripete Of Fire And Evil, quasi a convincerci che il Lato Sinistro del Sentiero sia quello giusto da percorrere, veniamo precipitati direttamente nei meandri dell’Inferno con Lui (il Diavolo) che ci ipnotizza, ci ottenebra la mente, in un sottofondo di funereo, terrificante terrore.
Vero, non siamo nel Finnmark norvegese ma, vi assicuro, anche questo viaggio in Portogallo raffredderà anche i cuori e gli animi più caldi.

Tracklist
1.Winds from Hell… Intro
2.FireStorm
3.The Scythe of Death
4.A Blood Moon
5.Across the Sea
6.Prelude to the Carnage
7.Blasphemous Carnage
8.God Is Dead!
9.The Skull of Akator
10.Alvorecer De Almas Perdidas
11.Of Fire and Evil

Line-up
José Afonso – Guitars, Vocals
Vulturius – Vocals, Bass
Gabriele Giuseppe Rachello – Drums

DECAYED – Facebook

Funeral Sun – The Dragging

The Dragging è un ep che ci consegna una band dall’enorme potenziale e che, mantenendo un simile standard qualitativo, potrebbe rendersi in un prossimo futuro protagonista di un full length dirompente.

Ottimo esordio, per quanto breve, di questo terzetto spagnolo chiamato Funeral Sun, autore di un doom tradizionale che sconfina spesso e volentieri in atmosfere vicine al grunge riconducibili, per intensità ed enfasi interpretativa, a certi bravo di Soundgarden e Alice In Chains.

Questo avviene in particolare nel primo e più lungo del due brani, Let Them Bleed, anche grazie alla notevole prova al microfono del chitarrista Javier Gálvez; l’accostamento a certi nomi non deve apparire campato per aria perché su una ben solida base doom è proprio la matrice alternativa ad offrire il valore aggiunto, come conferma anche la successiva title track, specialmente nella sua parte iniziale.
The Dragging è un ep che ci consegna una band dall’enorme potenziale e che, mantenendo un simile standard qualitativo, potrebbe rendersi in un prossimo futuro protagonista di un full length dirompente.

Tracklist:
1. Let Them Bleed
2. The Dragging

Line up:
M. González – Bass
Javier Gálvez – Guitars, Vocals
Xanpe – Drums

FUNERAL SUN – Facebook

HUNGRYHEART

Il video di “The Only One”, dall’album Hungryheart (Tanzan Records).

Il video di “The Only One”, dall’album Hungryheart (Tanzan Records).

Per festeggiare i 10 anni dalla pubblicazione del loro primo album gli Hungryheart assieme alla loro etichetta Tanzan Music hanno recentemente pubblicato una nuova versione del loro disco d’esordio arrichita da un restyling completo dell’artwork e dalla presenza di due bonus track registrate nella primavera 2018 per questa occasione speciale.

Una di queste due tracce è “The Only One”, brano rivisitato in chiave acustica che è diventato protagonista del nuovo videoclip della band.

Il video realizzato in collaborazione con Tokio Studio è ambientato nella sala di ripresa dello studio di registrazione di Tanzan Music, dove il brano stesso è stato registrato.

La scelta della location e del riprendere la band in questa veste non è assolutamente casuale, infatti sia il video che la registrazione audio vogliono trasmettere il feeling delle performance live degli Hungryheart, apprezzate dai fans del Melodic Rock di tutta Europa.

In questo caso caso viene dato un assaggio del sound acustico del gruppo; ma all’ interno della ristampa si può anche asoltare le attuali sonorità elettriche della band con il brano “River of Soul”, anch’esso rivisitato e registrato nuovamente in una freschissima e moderna versione.

TRACKLIST:
01 ROCK CITY
02 STEALING THE NIGHT
03 RIVER OF SOUL
04 HANG ON TO ME
05 THE ONLY ONE
06 INNOCENT TEARS
07 SHADOWS
08 HARD LOVIN’ WOMAN
09 BREATH AWAY
10 IT TAKES TWO
11 GINA
12 RIVER OF SOUL (2018 REVISITED)
13 THE ONLY ONE (2018 ACOUSTIC VERSION)

www.hungryheartofficial.com

www.facebook.com/hungryheartband

LINE UP:
Mario Percudani: Guitar/Vocals
Josh Zighetti: Vocals
Paolo Botteschi: Drums
Stefano “Skool” Scola: Bass

Data d’uscita: 01/06/2018

Genere Melodic Hard Rock

Label: Tanzan Music

NOTE:
All songs written by Mario Percudani except: #02 / #03 / #08 / #12 by Mario Percudani / Giuseppe Zighetti #11 by M. Bolton / B. Halligan Jr. / K. Diamond
Tracks #01 – #11 recorded & mixed by Daniele Mandelli and Alberto Callegari at Elfo Studio, produced and arranged by Hungryheart
Tracks #12 / #13 recorded & mixed by Daniele Mandelli and Mario Percudani at Tanzan Music Studio, produced by Mario Percudani. Executive producer: Tanzan Music
All tracks re-mastered by Daniele Mandelli at Tanzan Music Studio. All songs published by Tanzan Music Ed. Musicali s.r.l. (SUISA – Switzerland) except “Gina”.

Godless Enthropia – Tetracyclic Dominion

Tetracyclic Dominion è un esaustivo manifesto di metal estremo maturo, tecnico e progressivo, tra tradizione e modernità, con devastanti parti estreme in cui non mancano i classici cambi di tempo e ragnatele strumentali di scuola americana che si trasformano in passaggi atmosferici vicini al post rock.

Il metal estremo è un universo musicale dove se ci si perde si possono trovare creature affascinanti, molte delle quali legate alla tradizione, altre che viaggiano in territori progressivi e molte che sperimentano soluzione avanguardistiche o moderne, contaminandolo o restando fedeli alle linee tracciate dai vari generi.

Il death metal per esempio è tra i generi estremi quello che più ha subito trasformazioni e continua ancora oggi dopo decenni ad allargare i propri confini anche se negli ultimi anni il sound vecchia scuola ha ritrovato il consenso dei fans.
I Godless Enthropia sono una death metal band tricolore, fondata a Torino nel 2012 dopo lo scioglimento dei Beyond the Unholy Truth, debuttano con il primo full length dopo aver dato alle stampe un ep (Dystopian Metaphors) ed un singolo tra il 2013 e l’anno dopo.
Sistemata la line up dopo un paio di avvicendamenti, la band piemontese arriva a pubblicare Tetracyclic Dominion con l’aiuto della Symbol of Domination Prod. in collaborazione con Hecatombe Records, primo lavoro sulla lunga distanza che non mancherà di soddisfare gli amanti del metal estremo di matrice death metal, ma aperto a varie soluzioni stilistiche.
La band, che dal lato prettamente tecnico sa il fatto suo, imprime al sound una marcia in più soprattutto a livello compositivo e l’album così si presenta come un mastodontico lavoro della durata di un’ora al cui interno, oltre a meraviglie tecniche, troverete una serie di ispirazioni unite in un suono personale e dall’impatto di un carro armato.
Technical death metal, influenze old school, groove e progressive ispirano questa raccolta di brani che si rifanno alle band nobili del death metal estremo seppure, come scritto, con una propria personale visione d’insieme.
Tetracyclic Dominion è un esaustivo manifesto di metal estremo maturo, tecnico e progressivo, tra tradizione e modernità, con devastanti parti estreme in cui non mancano i classici cambi di tempo e ragnatele strumentali di scuola americana che si trasformano in passaggi atmosferici vicini al post rock (Solecism).
Mother Of Cain, la progressiva Erase, Delete, Annihilate o la devastante e brutale Cause of Disease (Sprouts of New Hate) sono parte della stessa anima musicale, sedotta dalla geniale interpretazione del genere da parte dei musicisti nostrani.
Senza fare paragoni scomodi vi invito all’ascolto di questo ottimo esempio di death metal che non trova barriere o confini delimitati, lasciando che i suoi creatori sfoghino tutta la loro ispirazione e tecnica e ci travolge con un’ora di musica estrema sopra la media.

Tracklist
1.Al-Qalyah
2.Mother of Cain
3.Into the Asylum
4.Witch Burning Princess
5.Unpredictable Dementia (Mechanical Disease)
6.Erase, Delete, Annihilate
7.Dysphemic Phænomenons
8.Third Eye, Cauterized
9.Solecism I
10.Cause of Disease (Sprouts of New Hate)
11.Palace of Fornication
12.Adynaton
13.Solecism II
14.The Heights of Eidos (Mother of Cain Part II)

Line-up
Davide Ponzetto – Vocals
Wael Ben Halima – Lead and rhythm guitars
Simone Cavalera – Lead and rhythm guitars
Claudio Colla – Bass guitar
Simone Cottura – Drums

GODLESSS ENTHROPIA – Facebook

Vendetta Red – Quinceañera

Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.

Dopo l’esplosione del rock dalle camicie di flanella e talenti buttati via tra eroina e crisi esistenziali, Seattle ha continuato a sfornare musicisti, magari non più sotto i riflettori come negli ultimi anni del nuovo millennio, ma pur sempre fautori di un modo di fare rock che è diventato un marchio di fabbrica.

I Vendetta Red sono di Seattle, esordirono addirittura nel 1998, anno che aveva già visto affievolirsi il fermento generato da Nirvana & company e si leccava le ferite con chi cercava fortuna cavalcando un destriero ormai zoppo (Nickelback e il cosiddetto post grunge).
Quattro album nei primi cinque anni del nuovo millennio, un paio di ep e lo split targato 2005 che decretava la fine della band, almeno fino al 2010 e all’annuncio di una reunion live avvenuta al Corazon di Seattle, prima di riprendere i lavori e tornare dopo un paio di singoli con questo Quinceañera, album che ne decreta ufficialmente la rinascita anche e soprattutto qualitativamente parlando.
Un lavoro vario, maturo, un viaggio nel rock dell’ultimo trentennio nel quale ogni brano ha una sua ispirazione e linea guida, tra alternative, rock, elettronica, grunge, post rock e si potrebbe andare avanti elencando un’infinità di band e sottogeneri che appaiono e scompaiono tra le trame di Quinceañera.
Oggi i Vendetta Red sono Zach Davidson, Leif Andersen, Jonah Bergman e Burke Thomas, e sono tornati con un lavoro bellissimo, una raccolta di brani alternative rock come piace chiamarlo a molti, che spazia tra Beatles e Jane’s Addiction, Screaming Trees e Smiths, con un tocco di pazzia punk rock alla Iggy Pop e la bellezza intrinseca di un Marc Bolan ipnotico e psichedelico.
Non conosce passo incerto questo lavoro, ci ammalia con la sua verve cangiante, la sua alternanza di colori vivaci e la sua totale anarchia compositiva, mentre oggi la pioggia è cessata e a Seattle splende il sole.

Tracklist
1.Swim
2.Wild and Dangerous
3.The Dreamers
4.Encantado
5.Where There’s a Will, There’s a Pinche Guey
6.West of Birmingham
7.Deceiver
8.The Unending War
9.No Way Out
10.Acquiesce
11.Til You Have Forgiven Me
12.The Circle

Line-up
Zach Davidson – lead vocals, guitars, piano, organ
Leif Andersen – lead guitar, lap steel, mandolin, violin, keyboards, programming, synthesizers
Jonah Bergman – bass
Burke Thomas – drums, percussion

VENDETTA RED – Facebook

Overkill – Live In Overhausen

Gli Overkill propongono il fantastico show alla Turbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope.

Che gli Overkill siano ancora una perfetta macchina da guerra lo dimostra l’ultimo lavoro, quel The Grinding Wheel licenziato dalla band lo scorso anno e che ci proponeva infatti il duo Bobby “Blitz” Ellsworth e D.D Verni ancora in splendida forma.

Con Live In Overhausen, gli Overkill tornano indietro di un paio d’anni, proponendo il fantastico show allaTurbinhalle 2, dove furono riproposti due degli album che hanno caratterizzato la carriera del gruppo statunitense, il primo Feel The Fire e lo storico Horrorscope, uscito nel 1991 e che, prima dell’esplosione dei suoni alternativi e la crisi del thrash metal, divenne il lavoro più famoso della band.
Ovviamente Live In Overhausen è un tripudio, con gli Overkill che, specialmente dal vivo, non fanno prigionieri ed una scaletta ad incendiare i thrashers tedeschi, prima con i brani di Horrorscope e di seguito con la track list del primo lavoro.
Sono passati solo un paio d’anni, quindi immaginiamo che “Blitz” e compagni non abbiano perso la carica che li contraddistingue in questo live, quasi due ore di fila a suonare thrash metal con l’energia di un gruppo di giovincelli e l’esperienza di chi il genere lo mastica da una vita, con una coerenza che ne fa uno dei nomi più rispettati della scena mondiale.
Da Coma, brano d’apertura di Horrorscope, questo live è un viaggio a ritroso nel mondo Overkill, grazie a due degli album più rappresentativi e i fans accorsi sentono l’atmosfera dell’evento, interagendo alle tante sollecitazioni del gruppo, impegnato in una performance tellurica e nel pieno rispetto della loro fama.
Molti i brani che la band non suonava più da anni, anche per assecondare una discografia ragguardevole (Live Young Die Free, Second Son, Blood And Iron e Kill At Command) e che d’incanto tornano ad infiammare i presenti, come se gli anni non fossero mai passati e il chiodo sulle spalle dei fans odorasse ancora di pelle nuova.
L’opera viene licenziata dalla Nuclear Blast nelle versioni Blu Ray e doppio cd, DVd e doppio cd ed in vinile; il live nella versione visiva è inframezzato da immagini storiche dei protagonisti, ed interventi di chi all’epoca recensì i due lavori, in una sorta di live/documentario.
Un’uscita che dimostra come gli Overkill siano ancora una garanzia, anche e soprattutto su un palco, la fotografia di un evento che per i thrashers è davvero imperdibile.

Tracklist
1.Coma
2.Infectious
3.Blood Money
4.Thanx For Nothin’
5.Bare Bones
6. Horrorscope
7.New Machine
8.Frankenstein
9.Live Young Die Free
10.Nice Day – for a Funeral
11.Soulitude
12 Raise The Dead
13.Rotten To The Core
14.There’s No Tomorrow
15.Second Son
16.Hammerhead
17.Feel The Fire
18.Blood and Iron
19.Kill at Command
20.Overkill
21.Fuck You

Line-up
Bobby “Blitz” Ellsworth – Vocals
D.D. Verni – Bass
Dave Linsk – Lead Guitar
Derek Tailer – Rhythm Guitar
Jason Bittner – Drums

OVERKILL – Facebook

HEAVEN

Il music video di Sacred Blood.

Il music video di Sacred Blood.

Brazilian band HEAVEN: Choir Metal, that mixes the tender sounds of a classic choir to the pressure of heavy metal, has just released a music video for its first original single, entitled Sacred Blood. The video can now be seen on the band’s YouTube channel:

The song has many influences from power metal and classical music, with references to the Two-Voice Invention in B flat major (BWV 785), by Johan Sebastian Bach. The lyrics are based on baroque themes and describe, without religious associations, a ritual of fertility and prosperity present in many different cultures, which refers to the blood and sacrifice coming from the continuity of life.

The music video shows behind-the-scenes footage from the recording sessions, which happened between April and May 2018 on Whatafolk-Studio (São Paulo, Brazil), and bridges the public to the day-by-day work of the band members.

ABOUT HEAVEN: Choir Metal
With 7 vocalists and 5 instrumentalists, HEAVEN is a metal band from São Paulo, Brazil, founded by conductor and singer Rafael Leoni and drummer Rômulo Zanco at the end of 2017. The band is currently working on new compositions that permeate many variations of heavy metal, as well as scheduling live concerts and presentations.

Alexandre Cardoso – Tenor
João Prioli – Barítono / Gutural
Luciana Silversong – Soprano
Luis Fonseca – Tenor
Matheus Macêdo – Contrabaixo
Matheus Manente – Guitarras / Barítono
Marcela Estelië – Soprano
Rafael Leoni – Baixo / Barítono
Rômulo Zanco – Bateria
Tilsa Isadora – Mezzo-Soprano
Tony Filho – Guitarras
Toshi Ossada – Piano e Teclados

Contact for concerts, interviews and press: press@heavenchoirmetal.com

Akhenaten – Golden Serpent God

Rispetto a tre anni fa la proposta della band del Colorado sembra anche meglio focalizzata ed efficace: gli intarsi etnici appaiono curati nei minimi particolari ed ogni brano possiede una propria peculiarità che in alcuni casi si esplicita in maniera fragorosa.

Nuovo lavoro pure gli Akhenaten dei fratelli Houseman, band impostasi negli ultimi anni come credibile interprete del metal estremo immerso nell’immaginario egizio.

Come già detto in occasione della precedente uscita titolo, l’abilità del duo statunitense risiede nel saper amalgamare al meglio il sound di matrice black/death con la strumentazione tradizionale.
E se, in effetti, il primo nome che viene in mente quando si parla di certe sonorità sono i Nile, va anche detto che il sound degli degli Akhenaten è molto meno brutale ma, allo stesso tempo, anche meno dicotomico nel suo alternare le due anime che lo vanno a comporre.
Rispetto a tre anni fa la proposta della band del Colorado sembra anche meglio focalizzata ed efficace: gli intarsi etnici appaiono curati nei minimi particolari ed ogni brano possiede una propria peculiarità che in alcuni casi si esplicita in maniera fragorosa, come in episodi magnifici quali Dragon of the Primordial Sea, Erishkigal: Kingdom of Death e la title track Golden Serpent God, picchi qualitativi nei tre quarti d’ora di di black death etnici che a mio avviso teme pochi rivali, rivelandosi anche superiore a quello di band operanti in ambiti analoghi ma di ben più riconosciuta fama.

Tracklist:
1. Amulets of Smoke and Fire
2. Dragon of the Primordial Sea
3. Throne of Shamash
4. Through the Stargate
5. Erishkigal: Kingdom of Death
6. Pazuzu: Harbinger of Darkness
7. Akashic Field: Enter Arcana Catacombs
8. God of Creation
9. Sweat of the Sun
10. Apophis: The Serpent of Rebirth
11. Golden Serpent God

Line up:
Jerred Houseman – All instruments
Wyatt Houseman – Vocals

AKHENATEN – Facebook

While My City Burns – Prone To Self Destruction

Prone To Self Destruction è un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere.

Le vie del metal moderno sono infinite ed arrivano fino all’estremo nord, in Islanda, dove ad attenderci per devastare in nostri padiglioni auricolari ci sono i While My City Burns, quintetto di Reykjavík che propone un buon esempio di metalcore.

La band, attiva dal 2013, debutta per Wormholedeath con Prone To Self Destruction, un vulcano che erutta metallo potente, moderno e vario, contaminato da inserti elettronici e sferzate hardcore.
Ottimo l’uso delle voci, e devastante l’approccio con la sezione ritmica che martella senza pietà, ed un’atmosfera “nervosa” come una fiera tenuta a fatica tra le briglie.
L’album è quindi il classico lavoro di genere, ma con qualche buona idea che lo distingue dalle solite uscite: i brani si snodano rabbiosi con la melodia sempre presente e di matrice post hardcore, alternandosi a muri di watt.
Un’urgenza che si esprime tramite un sound estremo, sorprendente se si pensa alla provenienza del gruppo, che più che natio di quelle epiche e fredde terre pare essersi formato tra le strade di una qualche metropoli statunitense.
Prone To Self Destruction risulta così un macigno metalcore valorizzato dall’uso della melodia in buona quantità, con i brani che si susseguono senza grandi scossoni ma neppure senza cadute, mantenendo l’ascolto interessante e consigliato agli amanti del genere: le ispirazioni sono quelle classiche dei gruppi di punta, senza che ciò renda i While My City Burns poco personali o mere fotocopie.

Tracklist
1.Intro
2.New beginnings
3.Alligator char
4.Monument
5.Dear dad
6.Stranger things
7.You know who you are
8.Heartbreaker
9.Wolves are among us
10.Vivens mortua
11.Where do we go from here
12.Best of me – Bonus Track
13.Out of my mind – Bonus Track

Line-up
Gauti Hreinsson – Vocals
Alexander Glói Pétursson – Guitar ,Vocals
Úlfar Alexander Úlfarsson – Guitar
Kristófer Berg Sturluson Paraiso – Bass
Guðjón Trausti Skúlason – Drums

WHILE MY CITY BURNS – Facebook

Madball – For The Cause

Dopo tanti anni, dischi, guai e storie di fratellanza, i Madball con For The Cause producono uno dei dischi migliori della loro discografia.

Tornano i detentori a vita della cintura di campioni di New York hardcore, i Madball, nati come progetto parallelo degli Agnostic Front (il cantante Freddy Cricien è il fratello minore di Roger Miret) nella seconda metà degli anni ottanta, in un periodo di gran fermento per la scena newyorchese.

Dopo tanti anni, dischi, guai e storie di fratellanza, i Madball con For The Cause producono uno dei dischi migliori della loro discografia. Chiunque li ami sa cosa aspettarsi, ma è proprio ciò che si vuole da loro, musica veloce, hardcore da cantare sudati ed abbracciati sotto ad un palco. In nuce nel loro suono è sempre stato presente il seme di altri generi, come l’hip hop, infatti l’hardcore newyorchese è stato fondamentale in ciò, con i Biohazard migliore esempio di questo ibrido sonoro. Come il titolo di una canzone di questo disco, i Madball sono Old Fashioned, vecchia scuola che però parla e dialoga con i giovani, e questo disco suona davvero fresco e veloce. Da qualche anno i Madball stanno vivendo una seconda giovinezza, sono sempre più amati e For The Cause è la testimonianza sonora di questo momento di grazia. Per chi pensa che l’hardcore sia solo violenza, si vada a vedere un concerto dei Madball o senta questo disco, ci sono più valori che in tanti proclami o pose. Certamente gli anni passano e nessuno, né loro né noi, ha più vent’anni ma se l’età fa fare dischi così, i Madball saranno ancora lì nei prossimi venti anni. Hardcore, amicizia, birra e la strada, i Madball hanno un’identità ben definita, newyorchesi ed ispanici, hardcore con venature oi e rap. Es Tu Vida è il pezzo in castigliano che rende omaggio alle loro radici e fa pensare che un disco in questa lingua sarebbe bellissimo.
Per la causa i Madball ci sono sempre.

Tracklist
1. Smile Now Pay Later
2. Rev Up
3. Freight Train
4. Tempest
5. Old Fashioned
6. Evil Ways feat. Ice T
7. Lone Wolf
8. Damaged Goods
9. The Fog feat. Tim Timebomb
10. Es Tu Vida
11. For You
12. For The Cause
13. Confessions

Line-up
Freddy Cricien: Vocals
Hoya Roc: Bass
Mike Justian: Drums

MADBALL – Facebook

Witchkiss – The Austere Curtains Of Your Eyes

L’atmosfera è la cosa più importante, e gli Witchkiss con il loro suono e la voce femminile riescono a creare una sorta di sospensione spazio temporale che fa stare bene l’ascoltatore, nonostante si viaggi nelle tenebre.

I Witchkiss vengono da Beacon nella valle dell’Hudson, stato di New York, e sono fra le sorprese sonore di questi ultimi tempi.

Il trio propone uno sludge doom lento e possente, come un incedere di demoni che non lasciano scampo alla loro preda. Questo debutto ha impiegato molto tempo per vedere la luce, ma ne è valsa totalmente la pena. Il disco ha una profondità ed una fisicità davvero eccezionali. Si passa da un lenta e devastante pesantezza, a momenti acustici vicini al neofolk, sempre tenendo fede al verbo metallico. I Witchkiss riescono a creare un insieme sonoro davvero profondo e adatto a quel pubblico musicale che chiede molto alla musica che ascolta. Il gruppo è stato fondato da Scott Prater e dalla sua compagna nella vita e qui batterista Amber Burns, ai quali si è aggiunto al basso Anthony Di Blasi, con l’intento di fare qualcosa di pesante ed importante, riuscendoci perfettamente. Il disco ha diversi livelli di ascolto, dato che si snoda su piani differenti. L’atmosfera è la cosa più importante, con il loro suono e la voce femminile riescono a creare una sorta di sospensione spazio temporale che fa stare bene l’ascoltatore, nonostante si viaggi nelle tenebre. Potrebbe sembrare un qualcosa come gli Yob meno statici ma al contempo maggiormente doom. Sicuramente questo disco non è un prodotto comune ma riesce ad arrivare dove pochi arrivano, e garantisce una moltitudine di ascolti. I Witchkiss pubblicano un debutto  notevole, a cui prestare molta attenzione ma soprattutto da ascoltare.

Tracklist
1.A Crippling Wind
2.Blind Faith
3.Death Knell
4.Spirits of the Dirt
5.Seer
6.A Harrowing Solace

Line-up
Amber Burns
Scott Prater
Anthony DiBlasi

WITCHKISS – Facebook

GOODBYE, KINGS

Il video di Targa Florio, 1906, dall’album Musicolepsia Live (Argonauta).

Il video di Targa Florio, 1906, dall’album Musicolepsia Live (Argonauta).

I post rockers GOODBYE, KINGS pubblicano il nuovo video estratto dal loro recentissimo live set “Musicolepsia Live”. L’intero lavoro è disponibile a questo indirizzo:
https://argonautarecords.bandcamp.com/album/musicolepsia-live

“Musicolepsia Live” è stato registrato presso Musicolepsia di Melegnano (MI) nel Dicembre 2017, mixato e masterizzato dalla band stessa, ed è da intendersi come regalo per tutti coloro che hanno supportato la band durante questi primi cinque anni di attività.

INFO: www.argonautarecords.comwww.facebook.com/goodbyekings/

Armonite – And The Stars Above

Affascinante progetto che troverete sicuramente tra le uscite prog, ma che in realtà di progressive classico ha solo la musicalità totale della propria proposta.

Gli Armonite sono nati per volontà di due musicisti classici residenti a Pavia nel 1996, (Paolo Fosso e Jacopo Bigi): il primo lavoro si intitola Inuit, uscito nel 2000, prima di una lunga pausa ed il ritorno con il secondo lavoro, The Sun Is New Each Day, licenziato nel tre anni fa e che vede la band completarsi con Colin Edwin al basso (Porcupine Tree) e Jasper Barendregt alla batteria.
And The Stars Above è dunque il nuovo lavoro, un’opera interamente strumentale se si esclude l’intervento della splendide voci delle cantanti Diletta Fosso e Maria Chiara Montagnari, a rendere elegante e raffinata l’atmosfera di brani come l’opener The March Of The Stars, Ghosts o Clouds Collide.
Dotati ovviamente di una tecnica strumentale di altissimo livello, gli Armonite danno vita a questo viaggio nella musica classica supportata dalla una sezione ritmica rock, con violino elettrico e tastiere protagonisti indiscussi dello spartito, anche se i cambi di tempo ritmici non mancano nei brani più spinti (Blue Curaçao, What’s The Rush?).
Ne esce un lavoro piacevole, sicuramente originale nel suo andamento, che evita confronti con altre realtà per cercare una sua strada, trovando probabilmente più estimatori nel mondo della musica progressiva, abituati alle digressioni classiche delle band storiche del progressive rock (E.L.P.).
And The Stars Above conferma il talento e la bontà della proposta dei musicisti e compositori nostrani: un’opera a suo modo interessante che coniuga ancora una volta musica classica e rock, due mondi molto più vicini di quanto si possa pensare.

Tracklist
1.The March Of The Stars
2.Next Ride
3.District Red
4.Plaza De España
5.Clouds Collide
6.Blue Curaçao
7.By Heart
8.Freaks
9.By The Waters Of Babylon
10.The Usual Drink
11.What’s The Rush?
12.Ghosts

Bonus Track
13.A Playful Day (for Strings Quartet)
14.The Fire Dancer (for Piano Solo)

Line-up
Paolo Fosso – Piano, Keyboards
Jacopo Bigi – Violin

Alberto Fiorani,Colin Edwin, Giacomo Lampugnani, Gianmarco Straniero – Bass
Corrado Bertonazzi, Emiliano Cava,Jasper Barendregt – Drums
Diletta Fosso, Maria Chiara Montagnari – Vocals

ARMONITE – Facebook

Skinned – Shadow Syndicate

Shadow Syndicate risulta un lavoro ben fatto, violento ma attento alla parte melodica, prodotto e suonato quanto basta per giocarsela alla pari con le uscite dei nomi più famosi della scena estrema tradizionale.

Band con più di vent’anni di attività alle spalle, i deathsters statunitensi Skinned tornano con un nuovo lavoro, licenziato dalla XenoKorp e prodotto da Dave Otero (Cattle Decapitation, Cephalic Carnage …).

Shadow Syndicate è il quinto lavoro del gruppo proveniente dal Colorado, fino al 2005 avaro di lavori sulla lunga distanza: un album brutale, oscuro e feroce, valorizzato da suggestivi inserti melodici in un contesto violentissimo.
Ottime le parti vocali, divise tra un growl profondo di stampo brutal ed uno scream diabolico, devastanti le parti dove la band carica a testa bassa, potentissimi i mid tempo, tonanti pezzi di granito estremi.
Wings Of Virulence apre l’album consegnandoci una death metal song dal piglio terrificante ed oscuro in cui gli inserti di pianoforte accentuano la natura dark del sound.
Il resto è un massacro senza soluzione di continuità, dove le melodie hanno non poca importanza ma sempre in un contesto brutale nel quale le chitarre edificano muri altissimi di riff e solos, e le ritmiche dettano tempi scanditi nel mondo che vede il dominio di un  Nuovo Ordine Mondiale , in un delirio di teorie cospirazioniste e misteri irrisolti a danno dell’umanità.
Shadow Syndicate risulta un lavoro ben fatto, violento ma attento alla parte melodica, prodotto e suonato quanto basta per giocarsela alla pari con le uscite dei nomi più famosi della scena estrema tradizionale.

Line-up
1.Wings of Virulence
2.As their Bodies Fall
3.Mental Deconstruction
4.We Are the End
5.Black Rain
6.Shadow Syndicate
7.Hollowed Earth
8.Led to the Trains
9.Angel’s Haarp
10.In the Mist of Dawn

SKINNED – Facebook