TOO LEFT 2 BE RIGHT

Il video di ‘Shopping Bag’, dall’album S.O.S. Mall (Sliptrick Records).

Il video di ‘Shopping Bag’, dall’album S.O.S. Mall (Sliptrick Records).

TOO LEFT 2 BE RIGHT Release New Official Video For ‘Shopping Bag’
k Records).Too Left 2 Be Right – Shopping Bag [Official Video]
Taken from the album: S.O.S. Mall | 2016

Italian alternative crossover group Too Left 2 Be Right have released a new official video taken from their 2016 album S.O.S. Mall. The track is called Shopping Bag and here’s how the band describe it; “The video depicts the band playing in a room and the legs of a young woman walking. Due to the meaning of the song, some connections with consumerism and new forms of communications are shown. There’s a lot of mobile phones hanging from the ceiling of the room while the band is playing. Mobile phones also appear in the post production graphics of the video. The girl walking through the streets of a city, on the beach and going into fashion shops, ends up walking into the room where the band is supposed to play. But the band isn’t there anymore and a surprising truth about the girl is finally revealed.”

S.O.S. Mall | Released May 20th, 2016 on Sliptrick Records

Too Left 2 Be Right are:
PieX – Vocals/Sampler | Fabrizio Sclano – Guitar | Marco Termine – Bass | Mauro Borioni – Drums

Construct Of Lethe – Exiler

Consigliato agli amanti del death metal tecnico, Exiler è l’album esemplare di una band da seguire e da annoverare nei gruppi migliori del genere.

Construct Of Lethe è la creatura estrema creata dal chitarrista e bassista Tony Petrocelly, ex Dead Syndicate ed un’altra manciata di band, dal 2010 attivo con questa oscura meraviglia death metal, tecnicamente fuori categoria tanto da essere considerata una technical death metal band, ma che a ben sentire regala molto di più che tecnica fine a se stessa.

Un full length già edito un paio di anni fa (Corpsegod) ed un ep (The Grand Machination ) erano finora quello che Petrocelly e compagni (Dave Schmidt alla voce, Patrick Bonvin alla chitarra solista e Kevin Paradis alla batteria) avevano lasciato ai posteri prima che un macigno sonoro dal titolo Exiler arrivasse a rimettere in gioco il terzetto statunitense nell’underground estremo.
E’ un death metal progressivo e suonato splendidamente, oscuro e colmo di cambi di tempo e dissonanze, quello che troviamo nel nuovo lavoro dei Construct Of Lethe, musicisti di valore assoluto che oltre a giocare con la tecnica imprimono ai brani un feeling pazzesco.
I Morbid Angel di Covenant, i Death e gli Immolatiion sono i punti di riferimento, e riff su riff, cambi di tempo, ritmi e solos al limite dell’umano caratterizzano brani non facilissimi da assimilare ma perfetti nel loro estremismo sonoro, il che rende l’album, fin dalle prime battute dell’iniziale Rot Of Augury,  un’altalena impazzita.
Rallentamenti doom potenziano Soubirous, valorizzata da un solo classico che strappa le carni: la chitarra soffre e lancia urla disarmanti e disperate, mentre la sezione ritmica comanda le operazioni, rallentando e accelerando capricciosa ed estrema.
A Testimony Of Ruin Terraces Of Purgation sono brani di pura violenza controllata, oscura e chirurgica, davvero impressionanti per potenza d’impatto.
Consigliato agli amanti del death metal tecnico, Exiler è l’album esemplare di una band da seguire e da annoverare nei gruppi migliori del genere.

Tracklist
1.Rot of Augury
2.A Testimony of Ruin
3.The Clot
4.Soubirous
5.Fugue State
6.Terraces of Purgation
7.Fester in Hesychasm

Line-up
Dave Schmidt – Vocals
Tony Petrocelly – Guitars, Bass
Patrick Bonvin – Lead Guitar
Kevin Paradis – Drums

CONSTRUCT OF LETHE – Facebook

Crushing The Deceiver – Crushing The Deceiver

Il primo omonimo album del quartetto di matrice cristiana non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola.

La Roxx records, label statunitense attiva nel proporre band di ogni genere che abbiano quale comune denominatore la religione cristiana, dopo i Californiani Deliverance ci presentano i Crushing The Deceiver, quartetto di Clovis, con il loro thrash metal possente e che sfiora in molte occasioni il death.

Il primo omonimo album del quartetto non mancherà di scaldare gli animi ai death/thrashers vecchia scuola: Grant Mohler. che si occupa della parte vocale, Johnny Rios alle chitarre, con Ryan Morrow al basso e Trent Allen alla batteria, sono partiti per una missione non facile, quella di avvicinare più persone possibili a Dio attraverso il metal estremo.
Se ci riusciranno lo vedremo più avanti, l’importante è la musica e allora iniziamo col dire che Crushing The Deceiver è un album riuscito, almeno per chi è avvezzo a queste sonorità.
La band, aiutata da una manciata di musicisti della scena cristiana come Michael Phillips (Join The Dead, Deliverance), Greg Minier (The Crucified, Applehead) e Shawn Beaty (Dogwood) non le manda certo a dire e rifila una serie di diretti in pieno volto, per una mezzora di thrash metal tripallico e duro come l’acciaio.
La voce, che a tratti sfiora  un growl di stampo death, tende a risultare leggermente forzata, ma è un dettaglio perchè la macchina gira a dovere e la band rende grazia al signore con devastanti bombe metalliche come The Light Inside Me, In God’s Hand e Forever Free.
La furia si placa con la conclusiva Gabriel’s Song, brano acustico che accende la luce divina su questo primo omonimo lavoro dei Crushing The Deceiver.

Tracklist
1. An Angels Armor
2. The Light Inside Me
3. Guide The Way To You
4. In God’s Hands
5. Pushing Back Hell
6. Crushing The Deceiver
7. Born Again
8. Forever Free
9. Gabriel’s Song

Line-up
Grant Mohler – Vocals
Johnny Rios – Guitars
Ryan Morrow – Bass
Trent Allen – Drums

CRUSHING THE DECEIVER – Facebook

ΚΕΝΌΣ – Inner Rituals

Inner Rituals sorprende con le sue sonorità disturbanti, lontane da ogni freddo tecnicismo ma capaci, piuttosto, di lasciare chi ascolta in uno stato di perenne sospensione.

Piuttosto particolare questo album d’esordio dei francesi ΚΕΝΌΣ, di fatto progetto solista di K, coadiuvato comunque in alcuni altri aspetti (basso, missaggio e registrazione) da Maelstrom.

Inner Rituals e è un lavoro che, ad un primo ascolto, può lasciare perplessi, perché sembra d’essere al cospetto di un lavoro imperfetto che potrebbe far derubricare il tutto ad un prodotto trascurabile e, quindi, accantonabile senza rimpianti; invece, insistendo, diviene evidente come il tutto sia funzionale alla creazione di un’atmosfera generale capace di restituire quel senso vuoto e straniamento che il musicista transalpino vuole evocare fin dal monicker e dal titolo dell’album.
Le dissonanze portate alle estreme conseguenze divengono allora familiari e Inner Rituals acquista il potere di rendere tutto il mondo circostante molto meno limpido e luminoso, grazie ad un black doom che attinge sia ai suoni tipicamente obliqui provenienti dalla terra di Francia sia, nel contempo, da un’ortodossia strumentale che proviene dai primordi del genere in Scandinavia.
E’ probabile che, per i motivi esposti nelle righe iniziali, a molti questo lavoro possa apparire un qualcosa di non troppo riuscito o addirittura di approssimativo, ma è bene ricordare come le finalità del black metal, in tutte le sue manifestazioni, risiedono nell’evocazione di tutto quanto occupa uno spazio nelle retrovie della psiche e dell’indole umana, e che necessità di una piccola scintilla per sviluppare un’esplicita esibizione di misantropico disagio.
E tutto questo non lo si ottiene sicuramente tramite un freddo tecnicismo ma, semmai, grazie a sonorità disturbanti e capaci di lasciare chi ascolta in uno stato di perenne sospensione.
E’ per questo che Inner Rituals si rivela una piacevole sorpresa, riguardo alla quale, volendo imputare qualcosa al bravo K, si può lamentare solo una durata ridotta ed il fatto che la tracklist offre i suoi momenti migliori all’inizio (Snakes ed Atlantis) scemando leggermente nella sua intensità nella sua fase discendente.
Ripeto, questo lavoro targato ΚΕΝΌΣ va ascoltato con pazienza, nonché con mente ed orecchie ben aperte.

Tracklist:
1- Snakes
2-Atlantis
3-Dust
4-Sinborn
5-Shackles
6-Light

Line up:
K : composition, all instruments except bass, vocals
Maelstrom : Bass, mixing and mastering

ΚΕΝΌΣ – Facebook

NEREIS

Il video di Overdrive, dall’album Turning Point (Eclipse Records).

Il video di Overdrive, dall’album Turning Point (Eclipse Records).

Nhttps://www.youtube.com/watch?v=fxKgPLlWnwI

NEREIS have revealed a new single and video for their song ‘Overdrive’. This is the third video from their upcoming full-length album entitled Turning Point due out on June 8, 2018 via Eclipse Records. The video features carefully choreographed fight scenes directed by Maurizio Del Piccolo. Watch the video at this location, and hear the single via Spotify or Apple Music today!

“Overdrive is a testament to the saying ‘What doesn’t kill you makes you stronger’”, says lead guitarist Sam Fabrello. “The young boxer and his much stronger opponent symbolize the challenges that life puts in front of us. Sometimes they seem impossible to win however we learn how to overcome our limits, opening new possibilities”. Singer Andrea Baschiesi continues, “I was wandering around the set, speaking with the actors: their make up looked so real that I thought they had actually been involved into a fight for real! The make up artist (Giulia Marighetti) did an excellent job!”

Turning Point features twelve hard-rocking songs that take the listener on an all-out aural adventure, ranging from blistering alternative metal to mellow power-rock, and everything in between. The album was produced by Mauro Andreolli at das Ende der Dinge. The band has also released music videos for their previous two singles, ‘Breaking Bad’, and ‘Two Wolves’.

Pre-order the full album on iTunes, Amazon, Google Play, or CD, and stream the singles via Spotify, Apple Music, Deezer, Pandora, iHeart Radio, and more at http://eclp.se/rtrnn
For more information on Nereis, please visit them on Facebook, Twitter, or Eclipse Records.

Nereis Discography
Turning Point (LP) – 2018
From the Ashes (EP) – 2014
Burnin’ Game (demo) – 2012

Nereis Lineup
Andrea Barchiesi (lead vocals), Mattia Pessina (guitar), Samuel Fabrello (guitar), Gianluca Nadalini (bass), Davide Odorizzi (drums)

Sign Of The Jackal – Breaking The Spell

Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione della band.

Nel recupero della tradizione metal/rock che sta avvenendo in questi anni, non manca certo l’heavy metal di scuola ottantiana ed in particolare quella che univa la musica pesante con tematiche horror, prese in prestito da libri e film e di cui in Italia eravamo e siamo ancora oggi maestri.

Inutile menzionare i Death SS, band che più di ogni altra ha marchiato con il fuoco dell’inferno la musica metal tricolore, mentre nel sottobosco ad alimentare la fiamma luciferina si ergono realtà interessantissime.
Il talento dei gruppi nostrani, oltre che nella musica in sé, è sempre stato l’apparire più credibili di altri e non si smentiscono neppure a questa regola i Sign Of The Jackal, gruppo trentino che dell’horror heavy metal ne ha fatto il suo blasfemo credo.
Con la strega Laura “Demon’s Queen” al microfono ed un paio di lavori alle spalle (l’ep The Beyond del 2011 e Mark Of The Beast, album licenziato nel 2013), il quintetto ci regala un altra notte insonne con il timore che gli artigli di Freddy Krueger ci afferrino l’anima o la piccola Regan si svegli dal torpore gelido in cui è piombata da quando il demone l’ha posseduta.
Quello dei Sign Of The Jackal è heavy metal tagliente e perfettamente in grado di far rivivere il periodo d’oro, tra N.W.O.B.H.M. e hard & heavy, melodico ma sempre tenuto a livello altissimo di tensione grazie alla graffiante prestazione dei nostri, tra citazioni musicali che vanno dai Maiden, agli Scorpions (Terror At The Metropol) senza ovviamente dimenticare Steve Sylvester e tutto quello che ha insegnato in materia.
Grande partenza con le keys che intonano il tema portante de L’esorcista e che ci danno il benvenuto in Breaking The Spell, poi la batteria accende la miccia e Night Curse ci investe con la sua carica heavy metal, un vero sballo per gli amanti del suono metallico duro e puro.
Non c’è un brano sotto tono o un assolo che non faccia venir voglia di imbracciare la scopa e scimmiottare inarrivabili guitars hero, in un’atmosfera horror metal trascinante ed irresistibile (Class of 1999, Heavy Rocker, Nightmare ma potrei citarle tutte).
In conclusione, Breaking The Spell risulta un gioiellino metallico, ed i Sign Of The Jackal un’autentica sorpresa nel vasto panorama underground italico.

Tracklist
Side A
1.Regan
2.Night Curse
3.Class of 1999
4.Mark of the Beast
5.Heavy Rocker

Side B
6.Nightmare
7.Terror at the Metropol
8.Beyond the Door
9.Headbangers

Line-up
Laura “Demon’s Queen”- Vocals
Bob Harlock666 – Lead & Rhythm Guitars
Max – Rhythm & Lead Guitars
Nick “DevilDrunk” – Bass
Corra “Hellblazer”- Drums

SIGN OF THE JACKAL – Facebook

Heptaedium – The Great Herald Of Misery

The Great Herald Of Misery e un’opera di buona caratura ma se non si ha familiarità con il djent/glitch più estremo si può rivelare di digestione piuttosto complicata.

Quarto lavoro a distanza piuttosto ravvicinata dal precedente per gli Heptaedium, creatura del musicista francese Florent Lambert, il quale si occupa di tutta la parte strumentale lasciando l’onere della parte cantata a Mickaël Ratinaud

La materia sonora di cui si compone The Great Herald Of Misery è un djent che lascia ben pochi spazi a variazioni sul tema, puntando su un impatto rabbioso e privo per lo più di aperture melodiche. Anche nei momenti più rilassati infatti, non vengono mai meno le vocals abrasive di Ratinaud, facendo sì che, alla fine, il disco assuma una sua sembianza monolitica, apprezzabile ma solo se assunta in dosi ragionevoli.
L’idea di metal tecnico propugnata da Lambert si abbatte impietosa sulle nostre orecchie e, inevitabilmente, a lungo andare una certa ripetitività degli schemi può seriamente rischiare di tediare chi il genere non ce la l’ha nelle proprie corde.
Il musicista parigino sa fare molto bene anche altro, come dimostra l’ambient evoluta di Trapped In A Gravitational Abyss e, mai come in questo caso, le pulsioni sperimentali si rivelano fondamentali per offrire un minimo di respiro e di alternativa ad un sound micidiale quanto tetragono.
The Great Herald Of Misery e un’opera di buona caratura ma, come detto, se non si ha familiarità con il djent/glitch più estremo si può rivelare di digestione piuttosto complicata.

Tracklist:
1. Now 2. Watch Me Break The Neck Of The Hypocrites 3. Spill Torrents Of Carcass On The Ground And Piss On Them 4. Till The Seventh Snake Eat Their Empty Shell 5. I’m A Symmetric Mass Of Hate 6. Trapped In A Gravitational Abyss 7. I’m The Great Herald Of Misery

Tracklist:
1.Now
2.Watch Me Break The Neck Of The Hypocrites
3.Spill Torrents Of Carcass On The Ground And Piss On Them
4.Till The Seventh Snake Eat Their Empty Shell
5.I’m A Symmetric Mass Of Hat
6.Trapped In A Gravitational Abyss
7.I’m The Great Herald Of Misery

Line up:
Florent Lambert: All instruments, music
Mickaël Ratinaud: Vocals

HEPTAEDIUM – Facebook

2018

Order Ov Riven Cathedrals – Göbekli Tepe

Fin dalle prime battute, l’universo e lo spazio profondo sono i territori in cui si muove il sound del duo italiano, che atterra nell’antico Egitto come in uno stargate musicale che ricorda non poco i capolavori degli statunitensi Mechina, insieme ai Nile i due gruppi che più si avvicinano al dirompente e devastante tsunami estremo creato dagli Order Ov Riven Cathedrals.

Di questa band si sa poco o nulla, quindi siamo ancora una volta alle prese con un misantropico progetto estremo, formato da due individui riconoscibili come 12, alle prese con tutti gli strumenti, ed En Sabar Nur, al microfono e responsabile in toto dei testi incentrati su tematiche affascinanti come l’antico Egitto, la storia della Mesopotamia e lo studio dell’astronomia.

Göbekli Tepe è il secondo album, licenziato a distanza di un anno dal precedente The Discontinuity’s Interlude, un mastodontico lavoro incentrato su un death metal ferocissimo, tecnico ed epicizzato da opprimenti parti orchestrali che formano, con il growl brutale del singer, un terrificante e apocalittico pezzo di granito metallico.
Fin dalle prime battute, l’universo e lo spazio profondo sono i territori in cui si muove il sound del duo italiano, che atterra nell’antico Egitto come in uno stargate musicale che ricorda non poco i capolavori degli statunitensi Mechina, insieme ai Nile i due gruppi che più si avvicinano al dirompente e devastante tsunami estremo creato dagli Order Ov Riven Cathedrals.
Worship Ov Abduction, From Neptune Towards Assyria, Revelation Ov A Neutron Swarm passano da atmosfere di epico metallo oscuro di stampo death dall’aura spaziale a sfumature orientali, in un contesto estremo ed orchestrale da brividi, formando all’unisono un’opera coinvolgente, valorizzata da sinfonie dove le voci di dee si sovrappongono come sirene, al devastante turbinio di note che formano l’opera.
Invocation Ov The Kavod è l’ultima perduta sinfonia estrema prima che l’outro 29.9792458 Hymns To Complete Disintegration concluda questo mirabolante viaggio tra lo spazio sconosciuto e le antiche civiltà di un passato remoto che rivive nella musica degli order Order Ov Riven Cathedrals e, forse, su altri lontanissimi pianeti.

Tracklist
1.Heretica Speedlight 299.792458
2.Worship Ov Abduction
3.Adoration Ov The Spherical Trigonometry
4.Wrath Of A Photon God
5.From Neptune Towers Assyria
6.Glorification Ov The Divine Fallout
7.Revelation Ov A Neutron Swarm
8.The Fury Algorithm
9.Invocation Ov The Kavod
10.29.9792458 Hymns To Complete Disintegration

Line-up
12 – All Instruments
En Sabar Nur – Vocals, Lyrics

Hangarvain – Roots And Returns

Roots And Returns segna un cambio di direzione, lasciando le strade dell’alternative rock del bellissimo Freaks e riavvicinandosi in qualche modo al magnifico Best Ride Horse, continuando a recuperare suoni, ispirazioni ed atmosfere del rock americano classico ed inglobando nel sound elementi riconducibili al southern rock, al blues e soprattutto al rhythm and blues.

Alessandro Liccardo e Sergio Toledo Mosca hanno alzato la saracinesca dietro la quale la loro cinquecento riposava da un paio d’anni, hanno ricaricato la batteria, gonfiato le gomme, lubrificato per bene il motore e sono pronti per tornare a viaggiare in lungo ed in largo per lo stivale e non solo, accompagnati da Francesco Sacco e Mirkko De Maio, fida sezione ritmica di quella macchina rock’n’roll chiamata Hangarvain.

I musicisti napoletani nel frattempo hanno riversato le loro energie in progetti importanti come la Volcano Records & Promotions, label che in poco tempo è diventata un punto di riferimento per il rock underground tricolore e per la quale esce questo nuovo lavoro di sei brani (cinque inediti più la cover di I Heard It Through The Grapevine di Marvin Gaye) che rappresenta una sorta di nuovo inizio per una delle realtà più importanti nate nella nostra penisola per quanto riguarda il genere.
Roots And Returns segna un cambio di direzione, lasciando le strade dell’alternative rock del bellissimo Freaks e riavvicinandosi in qualche modo al magnifico Best Ride Horse, ma a pochi metri la cinquecento scala marcia e passa oltre, andando a recuperare suoni, ispirazioni ed atmosfere del rock americano classico ed inglobando nel sound elementi riconducibili al southern rock, al blues e soprattutto al rhythm and blues.
Il riff che funge da miccia al candelotto rock’n’roll che farà esplodere la title track è quanto di più southern troverete in giro, richiamando i Lynyrd Skynyrd di God & Guns: un inizio che sorprende ed esalta, a cui fa seguito il mid tempo Apple Body, con l’anima blues che si impossessa delle dita di un Liccardo in forma smagliante alla sei corde.
Si può sicuramente considerare un lavoro di transizione questo Roots And Returns, ma è indubbio che l’approccio più classico alle composizioni renda ulteriormente personale il sound dei “nuovi” Hangarvain, splendidi interpreti del rock americano con l’irresistibile refrain di Love Is Calling Out e Give Me An Answer.
The River travolge con un ritmo hard blues forsennato, il chorus in sede live farà più vittime dell’influenza e gli Hangarvain in questa sede tornano per un attimo all’appeal del precedente lavoro.
La già citata cover chiude questo album con un groove micidiale e la piccola automobile è ormai sulla strada, tornata libera di portare i quattro musicisti nostrani ovunque si faccia del rock sanguigno, irriverente e maledettamente sporcato di rhythm and blues: bentornati Hangarvain.

Tracklist
1. Roots And Returns
2. Apple Body
3. Love Is Calling Out
4. Give Me An Answer
5. The River
6. I Head It Through The Grapevine

Line-up
Sergio Toledo Mosca – Lead Vocals
Alessandro Liccardo – Guitars, Backing Vocals
Francesco Sacco – Bass
Mirkko De Maio – Drums

HANGARVAIN – Facebook

Hertz Kankarok – Make Madder Music

Hertz Kankarok conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili.

Dopo un ep sorprendente come Livores, datato 2015, ritorna Hertz Kankarok con la sua proposta trasversale, inquieta e lontana dalla banalità.

Il musicista siciliano conferma e rafforza le impressioni destate in occasione dell’esordio, offrendo con questo nuovo ep intitolato Make Madder Music un’altra mezz’ora abbondante di sonorità fresche e imprevedibili, in quanto anche quando può sembrare che siano le ritmiche nervose del djent a prendere il sopravvento, in realtà troviamo sempre una linea melodica ben definita a guidarci nel labirinto musicale ideato da Hertz Kankarok, il quale, come nel precedente lavoro, si dedica esclusivamente ad una versatile interpretazione vocale lasciano ad Andrea Cavallaro (nei primi tre brani) e a Dario Laletta (nel quarto) l’onere di occuparsi dell’intera parte strumentale e degli arrangiamenti.
Per quanto anomali, questi connubi funzionano a meraviglia e questo nuovo ep si dimostra l’ulteriore sviluppo di un sound che era già apparso ampiamente evoluto in Livores: forse nel complesso la struttura dei brani è leggermente più arcigna, ma i cambi di scenario, talvolta repentini, che fanno approdare il sound su lidi molto più ariosi ed atmosferici, avvengono sempre con magistrale fluidità.
Nei quattro brani che vanno a comporre questo ep non c’è un solo momento di stasi, con i suoni che si rivelano ottimali sia quando al proscenio salgono riff secchi e taglienti sia quando il tutto assume connotati più melodici od evocativi.
Del resto, ascoltando più volte Make Madder Music, mi sono reso conto di quanto sia complesso provare a descrivere i brani, anche per la difficoltà oggettiva nell’individuare un termine di paragone o di ispirazione ben definita: volendo esemplificare al massimo, nel corso del lavoro di volta in volta si manifestano richiami che vanno  da Meshuggah a King Crimson, dai Nevermore ai Tiamat, dai Nine Inch Nails per giungere perfino ai Devil Doll, ma sono citazioni del tutto soggettive e che i,n quanto tali lasciano il tempo che trovano. Ma la cosa che maggiormente conta è il consuntivo finale, rappresentato in questo caso da un lavoro che convince e, in più di un passaggio, entusiasma, passando dalle nervose ruvidezze di una Cargo Cult alla stupefacente solennità del capolavoro Who Is Next, e con le irrequiete Deceive Yourself! e The Great Whirlpool (la cui seconda metà rappresenta la chiusura ideale per qualsiasi disco) a mostrare la capacità di cambiare veste in maniera vorticosa senza soluzione di continuità come i migliori dei trasformisti.
Hertz Kankarok per lavoro ha viaggiato molto ed ha vissuto in diversi paesi, anche extraeuropei: questa sua indole cosmopolita influisce nel suo percorso compositivo non tanto in maniera diretta, perché nella sua musica le pulsioni etniche appaiono ma non in maniera preponderante, quanto nella naturalezza con la quale i vari impulsi vengono assimilati e poi trasformati in sonorità che, pur non offrendo uno stabile punto di riferimento, non appaiono mai dispersive od ancor peggio ridondanti.
Tutto questo consente di affermare, senza tema di smentita, che questo musicista atipico è stato nuovamente in grado di offrire, a distanza di qualche anno, un’ulteriore testimonianza di una sound innovativo e progressivo nel senso più autentico del termine, con il decisivo valore aggiunto di una scrittura ficcante e sempre ben lontana da una sterile esibizione di tecnica, nonostante la possibilità di avvalersi di due compagni d’avventura di eccezionale bravura come Cavallaro e Laletta.
Resta solo da ottenere, per Hertz Kankarok, la consacrazione a questi livelli con un full length, auspicabilmente con l’aiuto decisivo di una label capace di promuoverne a dovere la musica.

Tracklist:
1. Deceive Yourself!
2. Cargo Cult
3. Who Is Next?
4. The Great Whirlpool

Line-up:
Hertz Kankarok – Vocals
Andrea Cavallaro – Guitars, bass, Synths on 1.2.3.
Dario Laletta – Guitars, bass, Synths on 4.

HERTZ KANKAROK – Facebook

Ghost – Prequelle

I Ghost sono gli Abba dei tempi moderni, fanno musica teatrale o teatro musicale, sono la quintessenza del pop di qualità, proprio come i connazionali lo furono anni fa.

I Ghost sono gli Abba dei tempi moderni, fanno musica teatrale o teatro musicale. Sono la quintessenza del pop, proprio come i connazionali lo furono anni fa.

Sgombriamo subito il campo dalla voce che è sempre girata fin dal loro primo disco, ovvero che siano i nuovi Mercyful Fate: con i danesi non hanno da spartire e lo si può benissimo ascoltare qui. La strada intrapresa è quella che abbiamo sentito in Meliora, rock pop con connotazioni molto a stelle e strisce; rispetto ai lavori passati Prequelle ha un respiro operistico, perché ci sono anche pezzi strumentali che danno un valore diverso al tutto. Le canzoni catturano molto bene l’attenzione dell’ascoltatore, e come nei dischi passati quasi tutti i pezzi sono delle potenziali hit. Una recensione dei Ghost non è fatta per convincere chi non li ama, perché essi rimarranno fermi sulle loro posizioni, ma è uno sprone ad ascoltarli senza preconcetti. L’aura satanica rimane, ma è più che altro un colpo di teatro, anche se i testi sono interessanti come sempre e trattano dell’uomo e della sua vita carnale e spirituale, di una parabola che non si esaurisce in terra, ma è un qualcosa che supera la nostra vita. Un’altra peculiarità molto importante dei Ghost è il riuscire a dare un sapore ottocentesco, un tocco di feuilleton ad un rock pop che si ispira molto alle atmosfere dell’ultimo ottocento e del primo novecento. Le capacità compositive del gruppo svedese crescono disco dopo disco, e dove non arriva l’ispirazione c’è il mestiere ad aiutarli. Una delle novità è qualche composizione dal sapore prog, soprattutto grazie al gran lavoro delle tastiere, come in Miasma, una piccola suite di poco più di cinque minuti che ci mostra un lato nascosto del pianeta Ghost, e che potrebbe avere sviluppi molto interessanti, anche perché nell’ultima parte del pezzo parte un assolo di sassofono davvero sorprendente e molto adeguato. Alcuni ritornelli possono essere considerati troppo radiofonici, ma questo è pop di alta qualità ed è musica che non può essere criptica, ma deve raggiungere le persone; non scordiamoci che, a parte forse il primo album, i Ghost scrivono musica per essere suonata dal vivo. Prequelle è un lavoro più profondo di Meliora, possiede la solita forza del gruppo svedese, ma anche sostanziali novità, e cosa più importante, è un lavoro di grande qualità.

Tracklist
1. Ashes
2. Rats
3. Faith
4. See The Light
5. Miasma
6. Dance Macabre
7. Pro Memoria
8. Witch Image
9. Helvetesfönster
10. Life Eternal

GHOST – Facebook

PACINO

Il video di “Out Of The Cage”, dall’album “Fallen America” (Sneakout Records / Burning Minds Music).

Il video di “Out Of The Cage”, dall’album “Fallen America” (Sneakout Records / Burning Minds Music).

Sneakout Records & Burning Minds Music Group sono lieti di annunciare che il video di “Out Of The Cage”, primo singolo estratto dal debut album degli alternative rocker Pacino, “Fallen America”, è ora online.

“Fallen America” è previsto per il rilascio il prossimo 1 Giugno 2018 via Sneakout Records / Burning Minds Music Group.

Ordina la tua copia ora: https://www.rocktemple.it/shop/4089/Pacino-Fallen%20America-

“Fallen America” tracklist:
01. Fallen America
02. Lately
03. Lifestyle
04. Desert Trip
05. Out Of The Cage
06. Iknusa
07. The Misanthrope
08. Under My Feet

Line-up:
Mattia Briggi: Voce
Francesco Bozzato: Chitarra
Bruno Zocca: Tastiere, Synth
Douglas D’Este: Batteria

Web/Social Links:
https://www.facebook.com/pacinoband

https://www.facebook.com/sneakoutrecords

https://www.burningmindsgroup.com/sneakout

Cardiac Arrest – A Parallel Dimensions Of Despair

Sempre coerente con una proposta classica, il gruppo di Adam Scott, unico superstite della formazione originale, è una band che se non regala grosse sorprese, sicuramente non delude le attese degli amanti del death metal vecchia scuola di ispirazione americana, ed il nuovo album in questo senso è una sicurezza.

I Cardiac Arrest, pur rimanendo in secondo piano rispetto alle band storiche del death metal statunitense, possono essere considerati ormai come dei veterani della scena estrema dai rimandi old school, essendo attivi dal lontano 1997 e con una discografia numericamente importante.

A Parallel Dimensions Of Despair infatti è il sesto full length nella lunga storia del gruppo di Chicago, che si somma ad un buon numero di lavori minori, dal 2004 (anno di uscita dell’ep Heart Stopping Death Rot) ai giorni nostri.
Sempre coerente con una proposta classica, il gruppo di Adam Scott, unico superstite della formazione originale, è una band che se non regala grosse sorprese, sicuramente non delude le attese degli amanti del death metal vecchia scuola di ispirazione americana, ed il nuovo album in questo senso è una sicurezza.
Cliché ben in mostra, soluzioni tradizionali e struttura dei brani che appoggia le sue basi su un approccio che più puramente di genere non si può, offrono agli ascoltatori un altro ennesimo e pesantissimo lavoro, tutto cuore e violenza.
La band passa con disinvoltura da mid tempo monumentali a devastanti ripartenze, in un’atmosfera di pesante metallo di morte, classico e pregno di quelle sfumature che celano odori ammuffiti di tombe spalancate e terra smossa.
Tre sono i brani per cui vale la pena procurarsi questo lavoro: When Murder Is Justified, mid tempo potente che avvicina il sound ai suoni doom, raggiunti dalla monumentale This Dark Domain e la conclusiva Voices From The Tomb che con i suoi otto minuti mostra tutti i lati del sound dei Cardiac Arrest, passando da passaggi velocissimi a rallentamenti catacombali.
Un buon lavoro di genere che accontenterà i fans del gruppo, non riuscirà probabilmente a conquistarne di nuovi, ma credo che al gruppo di Chicago importi poco.

Tracklist
1.Immoral And Absurd
2.Become The Pain
3.Unforgiving….Unrelenting
4.When The Teeth Sink In
5.When Murder Is Justified
6.Drudge Demon
7.Rotting Creator
8.It Takes Form
9.This Dark Domain
10.Professional Victim
11.Voices From The Tomb

Line-up
Adam Scott – Vocals, Guitars
Dave Holland – Bass, Vocals
Tom Knizner – Guitars, Vocals
Nick Gallichio – Drums

CARDIAC ARREST – Facebook

OGNI DOMENICA ALLE 22, ALL’INTERNO DI OVERTHEWALL

Nel corso del programma condotto da Mirella su EnergyRadio, avremo uno spazio di qualche minuto nel corso del quale porteremo in evidenza i migliori dischi da noi recensiti nel corso della settimana. Qui è disponibile la versione testuale dell’ultima puntata.

Riproponiamo questa rubrica con la quale noi di Metaleyes porremo alla vostra attenzione alcuni tra i dischi dei quali abbiamo parlato nel corso della settimana.

La settimana scorsa non siamo andati in onda dato che la nostra speaker preferita è stata impegnata nelle vesti di presentatrice del Metal Queen’s Burning Night, quindi sono molti i lavori degni di menzione accumulatisi in questi 15 giorni, per cui li porterò alla vostra attenzione con una rapida carrellata.
Cominciamo con il ritorno di due nomi pesanti provenienti dal nord europa, sto parlando degli At The Gates con To Drink From The Night Itself, e degli Amorphis con Queen Of Time, due opere convincenti per band che non hanno bisogno di presentazioni e che dimostrano come il passare degli anni non ne abbia affievolito l’impatto; c’è senz’altro chi non sarà d’accordo sostenendo che questi dischi non sono all’altezza delle loro opere più datate ma, attenzione, se si guarda sempre indietro non si vede dove si appoggiano i piedi mentre si cammina e in più si rischia un fastidioso torcicollo …
Sempre in ambito melodic death va segnalato l’ottimo The Light That Shines dei francesi Fractal Gates, mentre chi ama il thrash non dovrebbe farsi sfuggire l’ultimo lavoro degli spagnoli Angelus Apatrida, Cabaret De La Guillotine e infine, per chi si ritiene orfano dei migliori Nightwish, è doveroso l’ascolto del full length d’esordio dei bulgari Metalwings, For All Beyond.
Voliamo nella nostra ingovernabile penisola segnalando, in ambito heavy/power metal, i Chronosfear con l’album omonimo e i Nereis con Turning Point; per le sonorità più estreme, black metal nello specifico, emergono i Kyterion con Inferno II e gli storici Abhor con Occulta Religio.
Per quanto riguarda sonorità più moderne e nervose ecco poi il metalcore dei Last Resistance con A World Painted Grey ed il postmetal degli Sterpaglie con Pellicano del Deserto.
L’angolo del doom contiene un’altra band italiana, i siciliani Haunted, autori del magnifico Dayburner, gli inglesi Grave Lines con Fed Into The Nihilist Engine e gli statunitensi Chrch con Light Will Consume Us All, entrambi interpreti del miglior sludge. Chiudo segnalando un album decisamente ostico ma a mio avviso di enorme valore come quello degli inglesi Bodies On Everest , i quali con A National Day Of Mourning offrono un inquietante spaccato della cupa realtà che ci circonda con un terrificante mix di psichedelia ,drone, sludge, ambient ed elettronica.

EnergyRadio

Hekate – Totentanz

Un lavoro che mantiene un tasso qualitativo bel al di sopra della media, con il suo picco in un episodio magnifico come Lost And Broken, brano emblematico di una capacità di scrittura da parte degli Hekate che sicuramente non è stata corrotta dal tempo.

Hekate è uno dei nomi che gode di maggiore considerazione all’interno della scena neofolk tedesca, in virtù di una carriera iniziata nei primi anni novanta seppure non ricchissima di uscite.

Peraltro, ascoltando questo ultimo lavoro intitolato Totentanz, l’inserimento in questo filone musicale appare calzante soprattutto nella parte iniziale, in coincidenza con i brani cantati da Axel Menz, il quale conferisce al tutto un’aura solenne sia nei brani in inglese che in quelli in lingua madre.
Nella seconda metà dell’opera entra in scena invece la voce di Susanne Grosche, vocalist bravissima ed espressiva ma che, inevitabilmente, fa venire meno quell’alone algido e marziale che è da sempre la parte che più mi affascina in tale ambito.
Al di là del gusto personale, il lavoro non soffre però di evidenti cali qualitativi grazie a brani che brillano per pulizia esecutiva e ricerca di soluzioni sempre evolute.
Certamente il lungo rituale intitolato Embrace The Light si discosta parecchio dal minimalismo della successiva Desire e, tenendo conto dei già citati brani cantati da Menz, questa apparente disomogeneità può essere l’unica pecca, sia pure minima, in un’opera che sicuramente non delude dall’alto dell’esperienza dei musicisti coinvolti, anche se il progressivo spostarsi del sound verso pulsioni più sperimentali impedisce a Totentanz di raggiungere quell’eccellenza alla quale sembrava destinato dopo i primi tre quattro brani.
Il tutto va ricondotto comunque al mantenimento di un tasso qualitativo bel al di sopra della media, in un lavoro che trova il suo picco in un episodio magnifico come Lost And Broken, brano emblematico delle capacità di scrittura da parte degli Hekate che sicuramente non è stata corrotta dal tempo.

Tracklist:
01. The Old King
02. Lost And Broken
03. Mondnacht
04. Luzifer Morgenstern
05. Ascension Day
06. Totentanz
07. Spring Of Life
08. Embrace The Light
09. Desire
10. Am Meere

Line-up:
Axel Menz
Susanne Grosche

HEKATE – Facebook

Coroner – Punishment For Decadence

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Questa volta tocca alla Century Media riproporre sul mercato uno dei capisaldi del thrash europeo, Punishment For Decadence dei Coroner, a distanza di trent’anni dalla prima uscita nell’anno metallico 1988.

Il trio svizzero non ha bisogno di presentazioni, almeno per chi il genere lo mastica da un po’, un trio di infallibili musicisti con a capo Tommy T. Baron, chitarrista mostruoso e anima del gruppo nato a Zurigo nel 1983 e che in carriera ha scritto una manciata di capolavori di thrash metal tecnico e progressivo tra i quali Punishment For Decadence è il secondo lavoro.
La discografia dei “Voivod” svizzeri si ferma nel 1993, ma bastano cinque anni ed altri tre album (No More Color, Mental Vortex e Grin) per entrare nella leggenda del metal estremo.
Punishment For Decadence viene licenziato dunque nel 1988 dalla Noise Records, label che si prenderà carico in seguito delle uscite più importanti del metal suonato nel centro Europa, e nella formazione, oltre al già citato chitarrista troviamo Ron Royce (voce, basso) e Marquis Marky (batteria).
L’album èuna scheggia impazzita di thrash metal ultra tecnico, veloce e progressivo, la voce cartavetrata di Royce si scaglia su una serie di cavalcate dove la doppia cassa impera e la chitarra è splendida protagonista di intrecci armonici che faranno scuola e straordinari solos che impazzano su brani a tratti esaltanti.
L’anima progressiva del terzetto svizzero si fa largo tra la tempesta di metallo che si abbatte sull’ascoltatore con i primi due brani, Aborted e Masked Jackal.
Arc-Lite è uno strumentale magnifico, una prova di tecnica spaventosa da parte dei tre musicisti, mentre l’album continua a regalare perle estreme come Skeleton On Your Shoulder e la devastante The New Breed, con Tommy T. Baron che esce dai canoni del genere per regalare solos dall’impostazione shred.
Primo capolavoro di questa straordinaria band, Punishment For Decadence testimonia la bravura, non solo strumentale, dei Coroner, replicata con gli album successivi, ma queste sono altre storie metalliche.

Tracklist
1. Intro
2. Absorbed
3. Masked Jackal
4. Arc-Lite
5. Skeleton on Your Shoulder
6. Sudden Fall
7. Shadow of a Lost Dream
8. The New Breed
9. Voyage to Eternity
10. Purple Haze

Line-up
Ron Royce – Vocals, Bass
Tommy T. Baron – Guitars
Marquis Marky – Drums

CORONER – Facebook

My Haven My Cage – Sweet Black Path

Sweet Black Path è il nuovo album della one man band italiana chiamata My Haven My Cage, un ottimo esempio di thrash/death vecchia scuola contaminato dalla musica popolare spagnola e normanna, creando interessanti e particolari atmosfere tra irruenza ed epici momenti folk.

Uscito lo scorso anno ed arrivato a MetalEyes solo oggi, Sweet Black Path è il secondo album della one man band siciliana My Haven My Cage.

Il musicista Mauro Cardillo ha dato vita alla sua creatura qualche anno fa, con il primo lavoro intitolato The Woods Are Burning del 2016, che viene dunque seguito da queste nuove otto tracce che, se lasciano ancora per strada qualcosa per quanto riguarda la produzione, offrono non poco a livello artistico, il sound infatti si basa su di un thrash/death con affascinanti inserti di musica folk normanna e spagnola.
Ovviamente il mastermind sa il fatto suo, sia tecnicamente che a livello compositivo, e già dall’opener Abyss I Am l’impressione di essere al cospetto di un album interessante e a suo modo originale è forte.
Immigrant Song e Delirium mostrano che la strada compositiva intrapresa dai My Haven My Cage è quella giusta: passaggi heavy/thrash vengono impreziositi da lunghe parti strumentali in cui atmosfere folk ricamano momenti di musica totale, la voce cartavetrata ed in linea con il genere viene accompagnata da linee corali dal flavour epico, mentre Hope viene introdotta da una suggestiva atmosfera semiacustica prima che la furia estrema riprenda il sopravvento.
Lamb Of God (Aleppo) è un brano che segue strade progressive, così come la folk/thrash/prog/death Werther Dies, traccia che lascia spazio alla conclusiva title track, che suggella un lavoro molto intenso.
Da migliorare sicuramente la produzione che rimane a mio avviso il tallone d’Achille di questo nuovo lavoro firmato My Haven My Cage, gradita sorpresa ed ulteriore gioiellino dall’underground tricolore.

Tracklist
1.Abyss I am
2.Immigrant Song
3.Delirium
4.Hope
5.Peaceful
6.Lamb of God (Aleppo)
7.Werther Dies
8.Sweet Black Path

Line-up
Mauro Cardillo – All Instruments

MY HAVEN MY CAGE – Facebook

Blood Tsunami – Grave Condition

Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.

Tornano i thrashers norvegesi Blood Tsunami, quartetto originario di Oslo in giro a far danni da ormai quattordici anni.

Grave Condition è il quarto full length per la band di Peter Michael Kolstad Vegem e soci, un’altra scorribanda metallica all’insegna della velocità e del metal anni ottanta rivisto in chiave Blood Tsunami.
Una produzione che mette in evidenza tutti gli strumenti, un ottimo songwriting, impatto ed attitudine a livelli esponenziali, sono le caratteristiche principali di una band e di un lavoro che nel genere si può sicuramente considerare un piccolo gioiello.
Il sound dei Blood Tsunami rispecchia perfettamente il monicker: un’ondata anomala di sangue che si riversa sull’ascoltatore senza soluzione di continuità, tra ritmiche forsennate e chitarre che sputano veleno.
Le canzoni ci sono e Grave Condition non perde un grammo della sua ferocia, mentre la mezz’ora di durata risulta perfetta e scivola via tra chorus e ripartenze devastanti, dall’opener e singolo Poison Tongue, passando per The Collapse e In The Dungeon Of The Rats e la conclusiva Steel Meets Steel, violentissima thrash black song e degna conclusione dell’album.
I riferimenti sono i primi Slayer e Kreator in un contesto ben piantato nel nuovo millennio: il genere, suonato a questi livelli, ha ancora molto da dire.

Tracklist
1. Poison Tongue
2. The Allegory Of The Cave
3. The Collapse
2. The Allegory Of The Cave
5. The Acid King
6. The Cruel Leading The Fool
7. In The Dungeon Of The Rats
8. For Faen i Hælvete!
9. Steel Meets Steel

Line-up
Peter Michael Kolstad Vegem – Guitar and vocals
Carl Thomas Morales Janfalk – Bass
Bård G. Eithun – Drums
Kristoffer “Dor” Sørensen – Guitar

BLOOD TSUNAMI – Facebook