Valyria – Into The Dying Of Time

Into The Dying Of Time risulta una buona partenza per la band canadese, arrivata sul mercato underground metallico con leggero ritardo rispetto all’inizio attività ma finalmente pronta a soddisfare le voglie musicali dei fans di Children Of Bodom, Stratovarius, Kalmah e Wintersun.

Nuova realtà dedita ai suoni power metal contaminato con il melodic death in arrivo dal Canada.

Loro sono i Valyria e debuttano con Into the Dying of Time, album che segue un ep ed un singolo anche se la band è attiva da quasi dieci anni.
Con riferimenti che vanno dai gruppi storici del power metal fino agli dei del metal estremo melodico, ovviamente di estrazione scandinava, la formula dei Valyria è semplice, abusata, ma sempre convincente, almeno per chi di queste sonorità si nutre.
Atmosfere classiche ed estreme danno vita ad un album potente, melodico ed epico, con synth e tastiere protagoniste (come nei brasiliani D.A.M.), anche se le progressioni sonore sono limitate a qualche cambio di tempo, con i Valyria che preferiscono correre verso la gloria metallica senza fermarsi.
Cori, voce pulita e growl, doppia cassa a manetta e solos dallo spirito neoclassico fanno il resto, con Of Sky And Sea a risultare il brano top di questo lavoro, seguito a ruota dalla splendida The Crossing.
Come scritto la formula è ben nota, ma i Valyria sanno intrattenere con un buon songwriting per una mezz’ora di metallo spumeggiante.
Into The Dying Of Time risulta quindi una buona partenza per la band canadese, arrivata sul mercato underground metallico con leggero ritardo rispetto all’inizio attività ma finalmente pronta a soddisfare le voglie musicali dei fans di Children Of Bodom, Stratovarius, Kalmah e Wintersun.

Tracklist
1.The Final Empire
2.Steel Inquisition
3.Tome of Shattered Vessels
4.Of Sky and Sea
5.The Crossing
6.Floating World
7.Into the Dying of Time

Line-up
Cam Dakus – Bass, Vocals
Mitchell Stykalo – Drums, Vocals
Andrew Traynor – Guitars, Vocals
Jeremy Puffer – Guitars, Vocals

VALYRIA – Facebook

THIS VOID INSIDE

Il video di Memories’ Dust, dall’album My Second Birth/My Only Death (Agoge Records).

Il video di Memories’ Dust, dall’album My Second Birth/My Only Death (Agoge Records).

Dopo un’attesa di quasi due anni è finalmente uscito “My Second Birth/My Only Death” nuovo lavoro della band gothic rock This Void Inside, accompagnato dal lyric video di “Memories’ Dust” (videomaker: Stefano Mastronicola)!

L’album, prodotto da Agoge Records, è disponibile in tutto il mondo in distribuzione digitale; il CD fisico uscirà in autunno 2018 (preorder: rome@agogerecords.com).

I This Void Inside si formano come one man band nel 2003 da un’idea di Dave Shadow (ex frontman dei gothsters My Sixth Shadow), intenzionato a sperimentare nuovi suoni e concetti compositivi, per poi diventare all’inizio del 2008 una band a tutti gli effetti; registrano il loro primo full lenght promo CD di dodici canzoni: “Dust”, prodotto da Dave Shadow, che si occupa anche del mixing, mastering e della composizione di tutti i brani con le uniche eccezioni di Send Me A Sign e Wish che nascono dalla collaborazione con Victor Love (Dope Stars Inc., My Sixth Shadow).

L’album verrà pubblicato in una tiratura limitata di sole 300 copie, e la band inizia a suonare live supportando anche importanti band del panorama gothic.

Nel Maggio 2008 i This Void Inside firmano con la label DECADANCE RECORDS (Latexxx Teens, Pulcher Femina, Siva Six) che lavora per una re-issue del debut album arricchendolo di un nuovo layout e art work; la versione 2.0 di “Dust” viene pubblicata nell’ ottobre 2008.

Nel 2016, dopo un lungo periodo di silenzio, la band ricomincia a lavorare su del nuovo materiale con una line up rinnovata: i chitarristi Frank Marrelli e Alberto Sempreboni e il batterista Simone Gerbasi si uniscono ai membri originari Dave Shadow e alla bassista Saji Connor; a novembre esce il nuovo singolo “Losing My Angel”.

Nel 2018 i This Void Inside firmano con la label AGOGE RECORDS.

La band è orgogliosa di comunicare che Max Aguzzi (DragonhammeR) e Diego Reali (ex DGM, Hevidence) hanno partecipato come ospiti in un brano dell’album.

THIS VOID INSIDE: https://www.facebook.com/thisvoidinsideofficial/

AGOGE RECORDS: http://www.agogerecords.com

Guests on “Meteora”: Max Aguzzi (Dragonhammer), Diego Reali (Evidence, ex DGM)

THIS VOID INSIDE – “My Second Birth/My Only Death

TRACKLIST:
1 – My Second Birth/My Only Death (intro)

2 – Betrayer MMXVIII

3 – Relegate My Past

4 – Memories’ Dust

5 – Trapped In A Daze

6 – Here I Am

7 – Another Fucking Love Song

8 – Losing My Angel

9 – Meteora

10 – Ocean Of Tears

11 – All I Want Is U

12 – Break Those Chains

13 – The Artist And The Muse (bonus track)

14 – Downtrodden (bouns track)

Oubliette – The Passage

Secondo album dopo 4 anni di silenzi, eccezion fatta per due singoli, usciti unicamente in digitale per questo combo americano fautore di un ottimo melodic black metal: The Passage vi coinvolgerà e vi appassionerà dalla prima all’ultima nota.

Non tragga in inganno il nome francese Oubliette (termine che identifica un tipo di prigione medioevale, caratterizzata da un’unica apertura a botola, posta sul soffitto); qui siamo di fronte ad un combo americano, più precisamente del Tennessee, capitanato dalla coppia (nel senso stretto del termine) Emily (vocals) e Mike (lead guitar) Low.

In The Passage, album uscito a giugno per l’americana The Artisan Era (già famosa per essere l’etichetta di ottime band quali A Loathing Requiem, Inferi e soprattutto i grandissimi prog deathmetallers Augury) signore e signora Low ci propongono un ottimo black metal melodico, ricco di atmosfera e di avvolgenti umidi climi autunnali.
Imponente e maestosa l’opening track, A Pale Innocence, breve momento strumentale costruito su una base ritmica solida e un robusto drumming che, silenziato quasi improvvisamente da un bellissimo arpeggio di chitarre, ci introduce a The Curse. E allora facciamo subito la conoscenza di Miss Low. Uno scream potente, quasi maschile, si amalgama alla perfezione, sia con i tremoli serrati e velocissimi del bravissimo marito Mike e degli altri (due!) chitarristi – Harris e Wampler – sia con i frequentissimi mid-tempo, qui ancor più valorizzati da brevi ,ma sensazionali, atmosferici periodi musicali.
Pioggia e campane a morto sono l’intro di Solitude. Qui la tecnica dei nostri è eccelsa. I riff quasi maideniani dell’inizio (sarà un puro caso, ma anche qui abbiamo tre chitarristi…), ci rimandano per un istante alla gloriosa ottantiana NWOBHM inglese. Un pezzo splendido nella sua struttura melodica, ma mai troppo ruffiano, con un corpo classicamente black e – volendo ripeterci- un cantato scream, quello di Emily Low (nulla da invidiare alla nostra bravissima Raffaella Rivarolo, alias Cadaveria, solo forse un pizzico più profondamente epico) azzeccatissimo e sempre in armonia con gli altri strumenti, rendendo l’ascolto piacevolmente snello, di un brano fluido come un fiume (di sangue) che scorre.
Momento sublime con Elegy, eccelso brano gotico, armonizzato da leggiadri arpeggi e soavi voci femminili, che non ha nulla da invidiare a band del calibro di Nightwish nei loro momenti più melodici, e che farebbe arrossire di invidia mostri sacri del gothic doom  death dei primi anni ’90 (dagli Amorphis di The Karelian Isthmus, ai Paradise Lost di Gothic, passando da Always dei The Gathering), per poi terminare con un classico veloce periodo black, tanto per mostrarci che i nostri non cadranno mai nella rete del “troppo fuori tema”. Infine, di questo meraviglioso pezzo, prendiamo buona nota degli ottimi leads di Mr. Low.
Dopo una crepuscolare e malinconica Emptiness, dalla breve durata (49”), ecco The Raven’s Lullaby, sublimi sette minuti di autunnale nostalgica bruma musicale. Anche qui gli arpeggi rendono il brano uggioso come una piovosa mattina di novembre, ma l’imponenza musicale di tutto l’impianto sonoro nel suo insieme, non ci fa mai assopire completamente. Ci mantiene in un costante dormiveglia, quasi a volerci cullare, ma non ad indurre completamente sopore, per poterne assaporare ogni singola maiestatica nota.
Grande equilibrio tra melodie black, gothic doom e schegge di psichedelia in Barren. Un pezzo quasi floydiano, almeno nei suoi primi due minuti e mezzo. Attingendo da acide sonorità rock dei Seventies, muta la nostra brama per l’estremo, in una più ovattata necessità di suoni tenui, surreali, soporiferi che, in un turbinio di stordenti luci e profumi anni ’70, ci annebbiano la coscienza, sino al brusco risveglio del minuto 2:36, che quasi come un versetto dell’Apocalisse, ci ripiomba nel loro ottenebrante malinconico –ma nel contempo magicamente suadente – black metal.
Con grande tristezza arriviamo al termine dell’album, non prima di aver assaporato in toto un vero black in pieno stile scandinavo – The Passage – che pare uscito direttamente dalla produzione di un certo Roberto Mammarella della (mitica) Avantgarde Music. Un pezzo alla Carpathian Forest di Strange Old Brew per intenderci, vero maestoso epic black metal a cui non manca nulla, se non un’altra canzone a seguire. Ma l’album è oramai terminato, lo show finito, e a noi non resta che attendere nuove gemme … dalla terra della country music.

Tracklist
1.A Pale Innocence
2.The Curse
3.Solitude
4.Elegy
5.Emptiness
6.The Raven’s Lullaby
7.Barren
8.The Passage

Line-up
Mike Low – Guitars
Emily Low – Vocals
Todd Harris – Guitars
Greg Vance – Drums
Andrew Wampler – Guitars
James Turk – Bass

OUBLIETTE – Facebook

The Passage by Oubliette

Sahon – Chanting For The Fallen

Chanting For The Fallen perpetua la tradizione del gruppo sud coreano, ispirato dai maestri Slayer e Venom per mezz’ora di metal sparato ad alta velocità come si faceva negli anni ottanta.

La scena estrema asiatica è arrivata negli ultimi anni alla nostra attenzione grazie soprattutto al lavoro della Transcending Obscurity, label importantissima per lo sviluppo dei suoni metallici a livello mondiale.

Death, thrash, black, heavy metal e sonorità moderne: i paesi asiatici regalano sorprese a non finire in campo metallico, tra giovani promesse e gruppi da anni a combattere per un posto al sole nel sottobosco musicale.
I Sahon, per esempio, sono una band che da anni mette a ferro e fuoco la scena thrash metal di Seul: attivi dal 1999, hanno attraversato questi primi anni del nuovo millennio licenziando cinque full length fino al 2013.
Chanting For The Fallen è il sesto album della serie e continua quindi la tradizione del gruppo sud coreano, ispirato dai maestri Slayer e Venom per mezz’ora di metal sparato ad alta velocità come si faceva negli anni ottanta.
L’attitudine old school si intreccia con un’ottima produzione ed accende una miccia metallica che finisce la sua corsa nel candelotto che, all’esplosione, rilascia otto spari nella notte, urgenti, diretti e senza compromessi.
La buona tecnica dei musicisti (Yong-Ho basso e voce, Sun batteria e Chang-Myung chitarra) permette loro di giocare con ritmiche mozzafiato e solos veloci come il vento creato dall’esplosione del loro sound, dedicato alle storiche band di cui sopra ma che lascia trasparire una personalità acquisita con gli anni.
Chanting For The Fallen è il classico lavoro da spararsi in toto senza andare troppo per il sottile e ad un volume ovviamente consono.

Tracklist
1.Faith Of Savagery
2.At The Edge Of Cliff
3.Survive
4.Condemnation
5.Charge Til The End
6.Born To Lose Live To Win
7.Joy Of Hatred
8.You Shall Pay

Line-up
Yong-Ho – Bass, Vocals
Sun – Drums
Chang-Myung – Guitars

SAHON – Facebook

Cold Snap – All Our Sins

All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto.

Non solo calcio, pallacanestro e pallanuoto è ciò che arriva dalla Croazia, ma ora anche ottimo groove metal, nella fattispecie quello dei Cold Snap, che escono su Arising Empire dopo aver vinto il concorso indetto dalla stessa etichetta.

I nostri sono peraltro famosi in madrepatria e ascoltando questo loro nuovo disco si può capire facilmente il perché. Il loro suono è un groove metal molto moderno ed incalzante, con elementi di nu metal e decise svolte nel deathcore e anche nel death metal, senza però mai perdere di vista la melodia. Si può benissimo dire che questo gruppo incarni le nuove tendenze del metal al meglio, non annacquandole come fanno molti gruppi. All Our Sins è un album che avrà consensi trasversali, dato che piacerà a chi ama il metalcore ed il groove metal, ma anche ascoltatori di altri generi lo apprezzeranno molto. La forza del disco sta nel buon bilanciamento tra potenza e melodia, la composizione dei pezzi non è mai scontata ma ben strutturata e lo sviluppo delle trame musicali è assai corretta. Il ritmo che ha questo gruppo esce allo scoperto fin da subito, in quanto ha un incedere che basa le sue strutture in vari generi e sottogeneri ben amalgamati fra loro. I Cold Snap hanno vinto il concorso indetto dalla Arising Empire perché hanno chiaramente qualcosa in più rispetto alla maggioranza dei gruppi in giro, e All Our Sins lo dimostra molto bene. Era il momento per un disco come questo, dato che ultimamente tanti gruppi che sono nel giro metalcore/groove metal sono smaccatamente e forzosamente melodici, mentre qui il metal è l’elemento fondante di tutto, la trave portante del suono, che ha anche molti elementi dell’hardcore; infatti il gruppo ha una forte mentalità DIY, che non è andata smarrita neppure entrando nel roster della sussidiaria della Nuclear Blast.

Tracklist
01. Hešto And Pujto
02. Fallen Angels
03. Nothing
04. Demons
05. Crawling
06. Remission
07. 2 4 The System
08. Witness Of Your Sickness
09. No We’re Not Even
10. Pain Parade
11. Hated
12. Distance

Line-up
Jan Kerekeš – Vocals
Dario Sambol – Drums
Zoran Ernoić – Bass
Dario Berg – Vocals, Samples
Dorian Pavlović – Guitar
Zdravko Lovrić – Guitar

COLD SNAP – Facebook