Horehound – Holocene

Holocene si insinua dentro di noi, ammantato da una vena doom/stoner che raccoglie molti degli input naturalmente assimilati di questi tempi dal genere, accompagnandoli con le immancabili sfumature sludge/psichedeliche, marchio di fabbrica degli Horehound.

Il lento incedere sabbathiano viene potenziato da scariche di potente sludge/stoner metal, l’atmosfera evocativa si scontra con quella estrema creando un muro sonoro di notevole spessore con la voce che alterna litanie a rabbiose parti in growl.

Holocene si insinua dentro di noi, ammantato da una vena doom/stoner che raccoglie molti degli input naturalmente assimilati di questi tempi dal genere, accompagnandoli con le immancabili sfumature sludge/psichedeliche, marchio di fabbrica del combo statunitense.
Gli Horehound sono un quartetto di Pittsburgh attivo dal 2015, il primo album omonimo uscì un anno dopo, ed ora Holocene torna a far parlare del gruppo lungo i suoi quarantacinque minuti di musica del destino.
The Kind apre le danze, lenta ed atmosferica traccia che mette subito in risalto la potenza sludge che affiora a tratti, mentre veniamo trasportati in un lungo viaggio psichedelico, accompagnati dal canto della vocalist e violentato da rabbiosi interventi in growl che a loro volta accentuano il lato estremo del sound.
L’Appel Du Vide è il singolo e video che accompagna la nuova avventura firmata Horehound, traccia più varia nella struttura e con un ottimo lavoro ritmico risulta il brano che più alterna i vari elementi che formano la musica del gruppo, mentre con la mastodontica Sloth si torna in lidi sabbathiani.
Gli Horehound si rivelano una monolitica e potente macchina doom/stoner metal, e tra le note spesse e fangose dell’album convivono in un mondo parallelo, nel quale anche il tempo scorre lento, i Black Sabbath, gli Sleep e i Kyuss, uniti attraverso un mood psichedelico e fissati da catene sludge metal in Holocene.

Tracklist
01. The Kind
02. Dier’s Dirge
03. L’appel du Vide
04. Sloth
05. Anastatica
06. Highball
07. Hidden Track

Line-up
JD Dauer -Drums
Brendan Parrish – Guitars
Shy Kennedy – Vocals
Nick Kopco – Bass

HOREHOUND – Facebook

HOLY SHIRE

Il lyric video di “The Legendary Shepherds of the Forest”, dall’album omonimo in uscita ad ottobre (Heavy Metal Records).

Il lyric video di “The Legendary Shepherds of the Forest”, dall’album omonimo in uscita ad ottobre (Heavy Metal Records).

Il primo singolo del nuovo album targato HOLY SHIRE.
Traccia numero quattro nonchè title track del nuovo lavoro, “The Legendary Shepherds of the Forest” è la canzone che introduce al secondo disco della fantasy metal band meneghina, presentata oggi con un lyric video.
Vanta il featuring di Simona Aileen Pala, ex Unicorn Vocals Holy Shire e successivamente ospite per molti live, che ha contribuito alla composizione di melodie e testi nei brani da lei cantati nell’album.

Queste le parole della band sul brano:
Le due voci interpretano le due anime della canzone: la prima ispirata al Signore degli Anelli e ai personaggi più maestosi e misteriosi, personificazioni di Madre Natura, gli Ent, esseri saggi e antichissimi che proteggono la foresta e la guidano come pastori attraverso le ere, rappresentati nella copertina del singolo. La seconda è un personale ricordo del batterista Maxx, nonno Ferdinando, uomo di rettitudine, morale e coraggio, un maestro per il piccolo Maxx che ne conserva gli insegnamenti e immaginiamo anche le mosse e il carattere. Abbiamo voluto nascondere tra i pastori degli alberi la dedica a lui che, se fosse vissuto nella Contea, sarebbe stato certamente un Ent. Il risultato vuole essere sognante e malinconico, splendidamente reso in senso visivo da Roberto del Piccolo nel lyric video dove gli Ent disegnati da TheMaxx prendono vita. La produzione è di Masha Mysmane (Exilia) che ha perfezionato il sapore fantasy e guidato sapientemente le voci nelle armonie sovrapposte.

Il nuovo album “The Legendary Shepherds Of The Forest” uscirà il prossimo 26 ottobre per Heavy Metal Records e verrà presentato il giorno stesso presso il Legend Club di Milano con opening acts e special guests d’eccezione. Evento FB > http://bit.ly/2O364J0

www.facebook.com/HOLYSHiRE

Eternal Rot – Cadaverine

Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Cadaverine è il primo album per gli Eternal Rot, autori di un death doom che tiene totalmente fede alla ragione sociale e alla copertina per le sonorità offerte.

I quattro brani, infatti, si snodano lungo una linea di putridume sonoro, con sonorità distorte e ribassate ed un growl degno del brutal più verace; se la varietà sonora latita, come contraltare troviamo una capacità non così scontata di evocare sensazioni quanto mai morbose, rendendo il tutto un prodotto in grado di soddisfare gli amanti di entrambi i generi dai gusti più vintage.
Mayer e Grindak sono due musicisti polacchi (anche se il secondo vive nel Regno Unito) il cui primo e unico parto risale ad un demo datato 2013, prima che i connazionali della Godz Ov War li inserissero nel loro mefitico roster; in mezz’ora scarsa, Cadaverine lascia la sua riprovevole scia di putrefazione senza che il duo molli mai la presa, chiudendo anzi a doppia mandata i cancelli del cimitero che hanno eletto quale loro dimora concettuale.
La formula è per certi versi semplice e ampiamente battuta, ma anche per questo non è affatto scontato renderla avvincente e relativamente appetibile per una cerchia seppure ristretta di ascoltatori.
Parlare dei singoli brani è superfluo, perché dalla prima nota di Undying Desolation fino all’ultima di Slough of Despond gli Eternal Rot ci tengono rinchiusi senza cedimenti o pentimenti nella cripta che hanno creato usando materiale grezzo, ma capace di resistere lungamente all’usura del tempo.
Cadaverine è una prova tutt’altro che trascurabile, forte di un’ortodossia stilistica che mai come in questo caso appare inattaccabile quanto gradita.

Tracklist:
1. Undying Desolation
2. In Their Decaying Eyes
3. Putrid Hallucination
4. Slough of Despond

Line-up:
Mayer – Vocals, Guitars, Bass, Drum programming
Grindak – Vocals, Lyrics

ETERNAL ROT – Facebook

Hermóðr – Rovdjur & Northern Might

Viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere.

Due lunghe suite di black metal atmosferico minimale e dal grande fascino, un qualcosa di arcaico che risveglia un senso di bellezza e di soddisfazione come se ci si stendesse sopra un prato verde in una primavera ventilata su al nord.

Hermóðr è un progetto dello svedese Rafn, attivo dal 2012, che ha saputo raccogliere un buon numero di adepti e ascoltandolo non si può fare a meno di amarlo perché incarna molte delle cose belle del black metal. Come già detto poc’anzi, la struttura del suono è fortemente atmosferica, la struttura è molto minimale e la bassa fedeltà non è estrema ma è voluta ed è indispensabile per la riuscita del tutto. Il suono nel suo complesso è debitore dei Bathory, del resto Quorthon è il nume tutelare di un certo modo di fare e di credere il black metal, ma è ugualmente originale. Il dipanarsi delle canzoni è progressivo (la forma canzone è lontana da questi lidi) e si può cogliere qualcosa in quota primo Alcest, giusto per far capire le coordinate, senza però l’attuale “piacioneria” del francese ma con un rigore minimale. Bisogna essere molto bravi e capaci per fare due pezzi di oltre quindici minuti l’uno in questo genere riuscendo a farsi apprezzare. Da ogni aspetto, copertina, titolo etc, traspare la ferrea volontà di mettere la musica come motore primo e scopo ultimo ed unico, senza fronzoli e pose. Tutto qui va verso un’idea mitica ed idealizzata del nord, sia esso quello antico o forse quello che non c’è mai stato, ma sempre meglio di ciò che stiamo vivendo, che è davvero sbagliato; viviamo in tempi distopici e il black metal non offre le risposte ma semmai dischi di una bellezza eroticamente mortale come questo, dove è presente uno dei tanti pneuma di questo immenso genere. Un sogno lento dal quale non vi vorrete svegliare.

Tracklist
1.Rovdjur
2.Northern Might

Line-up
Rafn – Everything

HERMODR – Facebook

Jack Brain – The Seeker

The Seeker è un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Giacomo “Jack” Casile, alias Jack Brain, è un musicista e compositore calabrese noto nella scena underground per aver fondato realtà come Insomnia Creep, Greetings From Terronia,H.S. e No More Nothing.

Lo scorso anno è uscto il suo primo lavoro, da lui stesso interamente registrato, composto e arrangiato nei Lex Audiolab ed intitolato Epic Spleen, ora raggiunto dalla prima parte di The Seeker, opera che vede il nostro alle prese con diciotto brani divisi in due album.
Il sound del disco si rifà al rock alternativo dei primi anni novanta, e la Seattle del grunge è presente con una manciata di icone ad ispirare il musicista nostrano in questa raccolta di brani diretti.
Suoni distorti e chitarre sature di elettricità sono le peculiarità di brani che si muovono tra Alice In Chains, Nirvana e Screaming Trees, con l’unica variante newyorkese rappresentata dai seminali Sonic Youth.
Dalla title track, passando per Relive, Out Of The Box e The Frame, l’alternanza tra il grunge e l’alternative rock è ben in evidenza e sapientemente dosata da Jack Brain, il quale non rinuncia ad una dose di urgenza punk noise in Higher e qualche scarica elettrica di matrice Nine Inch Nails in Dissolute Guy.
The Seeker risulta un buon lavoro, interessante per chi ha amato gli impulsi dettati dal rock americano degli anni novanta e ancora freme per le uscite di quelle band e artisti che hanno portato il genere nel nuovo millennio.

Tracklist
1.The Seeker
2.Relive
3.Roger Rabbit
4.Out Of The Box
5.Higher
6.The frame
7.Dissolute Guy
8.Zen
9.Oroboro

Line-up
Giacomo Jack Casile – Voce,chitarre,basso,drum programming

JACK BRAIN – Facebook

Graveborne – 1918

Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a molti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918, se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

La guerra civile finlandese, sisällissota in lingua originale, fu un sanguinoso e poco conosciuto conflitto interno allo stato nordico che cominciò il 27 gennaio 1918 e che terminò il 27 maggio dello stesso anno.

Gli schieramenti in campo erano fondamentalmente tra i finlandesi rossi, punaiset, guidati dai socialdemocratici e dai comunisti con il supporto sovietico, e dall’altra parte i finlandesi bianchi, i valkoiset, che furono aiutati dalla Germania. Lo scontro, nonostante il limitato periodo di tempo, fu cruento e mise di fronte la Finlandia a quello che sarebbe stato il suo futuro, ovvero di baluardo atlantico alla minaccia sovietica che ha sempre visto la Finlandia come un suo possedimento di diritto. I Graveborne raccontano tutto ciò attraverso un black metal classico e molto influenzato da momenti punk, dove non mancano importanti melodie con le tastiere ed intarsi epici. Il gruppo finnico è attivo da circa una decina di anni e nel corso degli anni ha saputo ritagliarsi una fetta importante di pubblico molto fedele, anche perché i suoi lavori sono tutti di ottima fattura, e forse questo 1918 è il loro episodio migliore. Il disco è interamente in lingua finlandese e ciò fa parte del suo fascino anziché essere un ostacolo alla comprensione: questo lavoro conferma che il black metal è un mezzo molto consono al racconto storico, sia per la sua capacità di rottura che per la sua urgenza musicale e verbale, una poesia di guerra e sangue. 1918 ha al suo interno un vortice di emozioni e di situazioni musicali diverse e tutte molto valide, che lo rendono un’opera black metal di alto livello e variegata, dalle molte opzioni. Dischi così non hanno data di scadenza, prestandosi a ripetuti ascolti che daranno sempre soddisfazione, perché chi ama il black metal classico e con contenuti amerà 1918. Se poi approfondirete anche la guerra civile finlandese scoprirete molte cose interessanti.

Tracklist
1.1918
2.Myrskytuuli
3.Jääkärin tie
4.Valkokaarti
5.Susinarttu
6.Kuoleman kellot
7.Tuomittu
8.Punakaarti
9.Vaiti
10.Jumalan palvelija

Line-up
Raato – Vocals
Marchosias – Guitar
Horkka – Guitar
Kalmo – Bass
Pentele – Drums

GRAVEBORNE – Facebook

Sektarism – Fils de Dieu

L’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine.

C’è chi considera già le forme, per così dire, canoniche del funeral doom un qualcosa di totalmente alieno alla propria concezione di musica.

Bene, si sappia allora che si può anche andare ben oltre una straziante evocazione del dolore e del senso della caducità umana, come avviene per esempio con l’opera dei Sektarism, combo francese giunto con Fils de Dieu al proprio terzo full length.
Questa sorta di confraternita del dolore formata da musicisti gravitanti nella ben conosciuta ed oblique scena black metal francese, in circolazione da circa un decennio e molto attiva in particolare negli ultimi tre anni, ha ripreso a martellare impietosamente l’audience per ribadire con forza l’ignominia dell’esistenza umana.
Quello dei Sektarism è un vero e proprio rituale, che si perpetra attraverso album registrati dal vivo ed esibizioni che, immagino, siano quanto di più lontano si possa immaginare da un canonico concerto; il sound solo a tratti assume le sembianze di un funeral doom deviato, ma per lo più è segnato delle invocazioni del vocalist Eklezjas’Tik Berzerk che si stagliano incessanti su un substrato dronico/rumoristico che rifugge ogni parvenza di forma canzone.
Detto questo, l’unica maniera per ascoltare la musica dei Sektarism senza essere respinti con perdite è quella di cogliere, innanzitutto, il senso della loro proposta dal punto di vista concettuale: compreso questo, ovvero il fatto che la band transalpina mette in scena un sorta di autoflagellazione musicale, allora si può tentare di aprire questo terrificante libro e sfogliarne la pagine provando a lasciarsi ferire le carni dai dieci minuti di urla strazianti di Oderint Dum Metuant, che altro non sono poi che una sorta di lunga introduzione al secondo brano Sacrifice, oltre mezz’ora di disperazione sonora che ci precipita nella più assoluta oscurità.
Fils de Dieu è un lavoro per stomaci forti ed orecchie ben allenate, ma pensare di sfuggire ai Sektarism è un vano tentativo; in fondo tutti noi dovremmo cominciare a ragionare sull’opportunità di espiare, prima o poi, la colpa di esistere, perché quando ne saremo chiamati a rispondere sarà inevitabilmente troppo tardi.

Tracklist:
1.Oderint dum metuant
2.Sacrifice

Line-up:
Shamaanik B. – Drums
Messiatanik Armrek – Guitars
Eklezjas’Tik Berzerk – Vocals
Kristik A.K. – Bass

KrashKarma – Morph

Morph è un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

I KrashKarma sono un duo statunitense, formato dalla cantante/batterista Niki Skistimas e dal chitarrista/cantante Ralf Dietel, indicato come una sorta di The White Stripes del metal che, però, con la rock band di Jack e Meg White non hanno nulla a che fare.

Niente rock’n’roll,blues o garage per la coppia, che invece ci travolge con un hard rock moderno, ispirato dall’alternative metal a cavallo dei due millenni, e da qualche più poderosa ispirazione nu metal.
Il primo vagito della band risale al 2009 con il primo ep, seguito da due full length, Straight To The Blood del 2011 e Paint The Devil del 2015 che hanno portato buoni giudizi e quel pizzico di popolarità che sicuramente verrà rimpinguata dopo l’uscita di Morph, ultimo lavoro composto da una dozzina di brani da buon appeal, con il buon uso delle voci che si alternano in tracce dure e melodiche, pregne di chorus che catturano fin dal primo ascolto.
Ai KrashKarma non manca certo la carica metallica, su cui si strutturano brani dal buon impatto, e le ispirazioni si muovono tra le top band del periodo in cui il genere faceva sfracelli sui canali e radio satellitari, con accenni più o meno espliciti a Linkin Park, Avril Levigne e Disturbed.
A tratti ci vanno giù veloci e diretti i ragazzi: Morph Into A Monster alterna infatti ritmiche veloci e dirette a chorus di pesantissimo nu metal, risultando il brano più devastante di un lotto di brani che, imperterrito, continua ad alternare melodia e violente sciabolate di hard rock moderno, con la voce della Skistimas in grado di alzare la temperatura quando si fa carico dei chorus.
Morph è in definitiva un album piacevole che qualche anno fa avrebbe fatto probabilmente più proseliti, mentre oggi rischia d’essere leggermente in ritardo sulle tabelle di marcia, non così tanto però per negargli un ascolto.

Tracklist
1. Wake Them Up
2. Stranded
3. Footsteps Of A Lemming
4. The Forgotten Man
5. R.I.O.T.
6. Mechanical Heart
7. Children Of The Never
8. Morph Into A Monster
9. Bury Me Alive
10. Way In/Way Out
11. War
12. Picture Perfect

Line-up
Niki Skistimas – Vocals, Drums
Ralf Dietel – Vocals, Guitars

KRASHKARMA – Facebook

GERDA

Il video di “Lulea, TX”, dall’album “Black Queer”.

Il video di “Lulea, TX”, dall’album “Black Queer”.

“One of the best noisecore bands coming out of Italy these days”.
CVLT NATION

Italy’s GERDA have made a name for themselves as a premiere noise/shoegaze/post-everything band. Each album is an oppressive slab of frantic, emotive and dark music, somehow building on the framework of acts such as Neurosis and Drive Like Jehu, among others. They return this year with a brand new release titled “Black Queer”, which expands upon the foundation laid down with the earlier releases. Each of the songs are haunting and unique in their expressions and linger in the memory long after the album is over.

Says GERDA:

“‘Black Queer’ is our fifth album, recorded and produced by ourselves and delivered to you thanks to 4 italian diy labels.
It is another step in our search for chaos and confusion in sound and style. Our musical language is identified by the permanent overlapping of different rhythmic, harmonic, lyric and sound ideas, we don’t know what will be the synthesis of these elements in advance. Our sound is a life form not the product of a factory. Composing to us is releasing natural and heterogeneous images, then help them survive altogether within the same musical space, within the same pentagram, within the same metronome, within the same metaphor.
Ok, genres exist, and there’s a whole stylistic equipment that you inevitably meet and you inevitably use or chose not to but anyway you cannot escape from coping with it. We know there’s a tradition.
Now, one who listens to our music has probably already listened to a lot of punk, hc, post punk, noise, post rock, post hc, rock and roll, garage, kraut, psychedelia, metal, drone, isolationist electronic music, industrial, techno. Just like we did. What remains of all this in ‘Black Queer’?
Enough, we hope, to maintain a dialogue between us and the tradition to which we feel we belong, and at the same time we know it is a unique record. Openly dedicated to Francesco Vilotta, musician and unsettled seeker of the absolute. It is a homage and an invitation to slam one’s own diversity in the face instead of hiding it, one’s own being opposite”.

Tracklist:
1. Jeg kjorer inn i tunellen
2. Lulea, TX
3. Mare
4. Terzo regno
5. Notte
6. Hafenklang
7. Figlia
8. Theme

Line-up:
Alessandro Turcio
Alessio Compagnucci
Andrea Pasqualini
Roberto Vilotta

Contacts:

gerdatuasorella@gmail.com
shoverecords@gmail.com
wallacerecords.com
sonatineproduzioni.bandcamp.com
bloodysoundfucktory.com
openaudio.it

Credits:
“Figlia” originally written and performed by Vel, original version included in “VEL” (Bloody Sound Fucktory 2014)
“Theme” originally written and performed by PIL
Recorded by Alessio Compagnucci among the hills between Montecarotto (AN) and Poggio S. Marcello (AN) summer 2017
Mixed by Alessio Compagnucci and Gerda at SCA TNT Jesi (AN), fall 2017
Mastered by Maurizio Giannotti at New Mastering, Milano
Artwork by Alessio Compagnucci and Mirko Spino

Discography
Gerda (Wallace, Shove, Donnabavosa 2005)
Cosa Dico Quando Non Parlo (Wallace, Shove, Donnabavosa, Sons of Vesta, Concubine 2007)
Gerda (Bloody Sound Fucktory, Wallace, Shove, The Fucking Clinica 2009)
w/ Dead Like Me – Me And Gerda Are Both Dead Like You (Wallace, Shove, Prototype, The Left Hand, Swarm Of Nails, Not A Pub 2012)
Your Sister (Wallace, Shove, La Fine, Sonatine, Fallodischi 2014)
w/ Tutti i Colori del Buio, Storm O, Chambers – Nerorgasmo 1985-2015 (Escape From Today, Bare Teeth 2015)
w/ Lleroy – Vipera / Siluro (Bloody Sound Fucktory 2017)
w/ Moe – Karaoke (Wallace, Shove, Icore 2017)

Riverside – Wasteland

Wasteland conferma i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tornare sul mercato con un nuovo album dopo una tragedia come quella capitata ai Riverside non è sicuramente compito facile, così come la scelta di continuare come trio dopo la perdita del chitarrista Piotr Grudziński, deceduto nel 2016.

Il successore del bellissimo Love, Fear and The Time Machine suscita sicuramente la curiosità di chi segue da anni il percorso musicale del gruppo polacco, una band diventata di culto per i progsters da quando, nel lontano 2003, esordì con Out Of Myself.
Mariusz Duda, Michał Łapaj e Piotr Kozieradzki, aiutati da una manciata di ospiti, continuano il loro personale viaggio nel mondo della musica progressiva con Wasteland, poetica, tragica ed ombrosa opera che non lascia spazio a molte critiche ed ammalierà i fans del genere.
Introverso, concettualmente durissimo, sferzante di nobile metallo ed attraversato da un’atmosfera di malinconica poetica rock, Wasteland è aperto dall’intro The Day After, sorta di presentazione dei nuovi Riverside e del mood che aleggerà nell’album, che parte invece rabbioso con Acid Reign, spettacolare brano progressive metal.
Lament è un altro brano top del disco: la voce melanconica si erge su un tappeto sonoro che alterna bordate elettriche ad arpeggi delicati e dark, mentre The Struggle For Survival è uno splendido strumentale di oltre nove minuti che, di fatto, divide l’album e lascia al tenue incedere di River Down Below il compito di accompagnarci nella parte conclusiva dell’opera.
La title track è uno straordinario esempio di metal progressivo, in cui oscure atmosfere di matrice folk sono spazzate da venti metallici in un saliscendi emozionale intenso e coinvolgente.
L’album si chiude con le raffinate note dark del pianoforte in The Night Before, traccia che scrive la parola fine di un’ opera molto suggestiva, confermando i Riverside come una delle band cardine dei nuovi suoni progressivi sviluppatisi nei primi anni del nuovo millennio.

Tracklist
1. The Day After
2. Acid Rain Part I. Where Are We Now? Part II. Dancing Ghosts
3. Vale Of Tears
4. Guardian Angel
5. Lament
6. The Struggle For Survival Part I. Dystopia Part II. Battle Royale
7. River Down Below
8. Wasteland
9. The Night Before

Line-up
Mariusz Duda – vocals, electric and acoustic guitars, bass, piccolo bass, banjo, guitar solo on ‘Lament’ and ‘Wasteland’
Michał Łapaj – keyboards and synthesizers, rhodes piano and Hammond organ, theremin on ‘Wasteland’
Piotr Kozieradzki – drums

RIVERSIDE – Facebook

P.H.O.B.O.S. – Phlogiston Catharsis

Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese.

Il mio ultimo incontro con i P.H.O.B.O.S. risale a qualche anno fa in occasione dello split album con i connazionali Blut Aus Nord, ma in realtà il progetto di Frederic Sacri arriva abbastanza da lontano, avendo mosso i primi passi all’inizio del nuovo millennio.

Phlogiston Catharsis è il quarto full length che, indubbiamente, conferma questa entità come un qualcosa volto a non fare sconti all’ascoltatore, tramortito dal pervicace industrial che bandisce ogni ammiccamento ritmico per lasciare al doom e al black più sperimentale il compito di fungere da base stilistica.
Volendo esemplificare al massimo, ascoltare i P.H.O.B.O.S. potrebbe essere paragonabile a quello che accadrebbe se una band sludge decidesse di coverizzare i Godflesh, rallentandone così lo squadrato ed incessante incedere ed accentuando al massimo le tonalità ribassate, tanto da produrre una sorta di rombo sullo sfondo, volto ad accompagnare sporadiche note di lancinante chitarrismo ed uno screaming malignamente filtrato e distorto.
Nonostante le sue tetragone sembianze, Phlogiston Catharsis è un album che desta notevole interesse, a patto d’essere già abbastanza in sintonia con le devianze metalliche proveniente dalla terra francese; solo così brani temibili come Igneous Tephrapotheosis (forse quello più “orecchiabile” dell’intero lavoro, il che è tutto dire) o la rituale Aljannashid avranno una chance di indurre una certa frequenza d’ascolto .
Il risultato finale è alienante il giusto per intrigare gli ascoltatori più spericolati e indurre alla fuga tutti gli altri; a Sacri penso vada benissimo così, e non c’è alcun motivo perché debba cambiare il suo disturbante modus operandi.

Tracklist:
1. Biomorphorror
2. Igneous Tephrapotheosis
3. Zam Alien Canyons
4. Aurora Sulphura
5. Neurasthen Logorrh
6. Taqiyah Rhyzom
7. Aljannashid
8. Smothered In Scoria

Line-up:
Frederic Sacri – distortion / keys / pulse / vox
Mani Ann-Sitar, distortion / keys / vox
Magnus Larssen – subs / infras / lines / pulse

P,H.O.B.O.S. – Facebook

Gnaw Their Tongues & Crowhurst – Burning Ad Infinitum: A Collaboration

Molto raramente una collaborazione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore.

Quando due estremismi musicali e due produttori di rumore si incontrano non può che venirne fuori una piccola apocalisse, e questo è proprio il caso della collaborazione fra l’olandese Gnaw Their Tongues e Jay Gambit aka Crowhurst.

Gnaw Their Tongues è la creatura di noise tribale estremo di Maurice De Jong, che si è creato con le su opere uno zoccolo duro di amanti dei suoi suoni alieni, mentre Jay Gambit è un altro esploratore sonico in solitaria, ma ha anche collaborato proficuamente con Caïna ed Ævangelist
Il risultato è un ep devastante e bellissimo, una fotografia insanguinata ed in movimento di ciò che può essere un uso del metal e dl rumore fatto da due produttori molto talentuosi. I quattro pezzi dell’ep sono tutti diversi e portano avanti un discorso separato, quasi come se fossero opere a sé stanti ed autosufficienti, con il titolo che rende benissimo la struttura portante del lavoro. Burning Ad Infinitum, bruciare all’infinito, è un qualcosa che è molto ben rappresentato da questa musica, un continuo rovesciamento, un incrociare droni con un black death che vive di grind, un sottofondo violento che poi esplode in passaggi vicini all’hardcore e ai Sepultura più tribali. Un misto di estremismo e di grandi scelti musicali non convenzionali, qui come in ognuno di noi non vi è nulla di normale, come tastiere angeliche che fanno da accompagnamento ad un pezzo grind noise. Ascoltando questa collaborazione (che non è uno split, attenzione) si viene completamente immersi in una forma musicale che è una deprivazione sensoriale, poiché qui il vero protagonista è il rumore che distorce la realtà e ce la fa vedere per quello che è: il nulla. Molto raramente l’unione fra due entità musicali e spirituali è stata così proficua e valida, come se si trattasse di un nuovo gruppo che nasce da due teste, un incubo sonoro votato al dio rumore. A differenza di tante avanguardie che sono inascoltabili od illeggibili, a volte per scelta volontaria, qui tutto è perfettamente leggibile ed ascoltabile, e ciò spaventa ancora di più perché questo è rumore vero. Il dodici pollici è pubblicato dalla Crown And Thorne Ltd, che è una delle etichette più libere e creative in circolazione, nonché la casa più adatta per questi suoni.

Tracklist
1.Nothing’s Sacred
2.Speared Martyrs
3.The Blinding Fury of Suffering
4.The Divinity Of Our Great Perversions

Sweeping Death – In Lucid

In Lucid è un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.

Il precedente ep dal titolo Astoria ci aveva presentato una band assolutamente in grado di dire la sua nell’affollato panorama del metal progressivo europeo, grazie ad un sound maturo ed affascinante che univa thrash metal nobile alla Mekong Delta, intricate parti progressive ed heavy che molto avevano dei maestri Savatage, alternate a devastanti ripartenze classiche di scuola Annihilator.

Tornano così gli Sweeping Death con il primo full length, un’opera straordinariamente riuscita e perfettamente calata in un contesto metallico e progressivo di assoluto valore.
In Lucid risulta quindi un album nel quale la tecnica importante dei protagonisti è al servizio di brani che non lasciano spazio alla banalità, rifacendosi a band storiche del genere ma con la dovuta dose di personalità.
Squadra che vince non si cambia, e la line up è la stessa del precedente lavoro, con il vocalist Elias Witzigmann a scuotere le fondamenta dietro al microfono con una prestazione emozionante, i due Bertl (Simon ed Andreas, alla chitarra e al basso) coadiuvati da Markus Heilmeier (chitarra) e Tobias Kasper (batteria e piano) a formare una band che sanno il fatto suo, dimostrandolo in ogni passaggio.
Heavy/thrash metal progressivo, drammatico e a tratti teatrale, è quello che ascolterete tra le note di In Lucid, composto da nove brani uno più intenso dell’altro, a cominciare dalla magnifica Blues Funeral, per attraversare i cinquanta minuti a disposizione del gruppo tra atmosfere di tensione palpabile, tragiche note progressive e splendide partiture estreme che compongono le varie Suicide Of A Chiromantist, Resonanz e la title track, la quale aggiunge alle ispirazioni già citate gli Evergrey e i Symphony X.
In Lucid è un album fortemente raccomandato agli amanti del metal progressivo dalle atmosfere teatrali ed oscure.

Tracklist
1.Eulogue
2.Blues Funeral
3.Horror Infernal
4.Suicide of a Chiromantist
5.Purpose
6.Resonanz
7.Antitecture
8.Lucid Sin
9.Stratus

Line-up
Elias Witzigmann – Leadvox
Simon Bertl – Guitar / Backingvocals
Markus Heilmeier – Guitar
Tobias Kasper – Drums/Piano
Andreas Bertl – Bass

SWEEPING DEATH – Facebook

NEVROREA

Il video di “Revolver”, dall’album in uscita in ottobre (Suburbansky Records).

Il video di “Revolver”, dall’album in uscita in ottobre (Suburbansky Records).

Il bellissimo videoclip di “Revolver” su YouTube ed in esclusiva sulla home page di Rock Hard Italy!

Inoltre il brano è disponibile su tutte le piattaforme digitali in streaming e download.
“Revolver” è il secondo singolo dei Nevrorea, tratto dal loro primo full length in uscita questo ottobre per Suburbansky Records.

“Quando dentro di noi è freddo,ci scegliamo per accenderci l’un l’altro, innescarci come fuochi, a volte senza una logica. Ci scegliamo per illuderci, a volte senza un perchè, ci illuminiamo alimentandoci. Ma a volte noi fuochi non badiamo agli zampilli, dal fuoco nasce un rogo, e quando il rogo si consuma, l’odio ci congela.”

Giuseppe Calini – Verso L’Alabama

Verso L’Alabama è un piacevole viaggio verso le strade del rock impolverate dalla sabbia del deserto, magari non proprio sul caldo asfalto della Route 66, ma tra le colline e le valli del centro Italia.

Rock targato Italia o Stati Uniti, dipende dai punti di vista, fatto sta che Verso L’Alabama, nuovo album del musicista Giuseppe Calini, risulta un piacevole viaggio verso le strade del rock impolverate dalla sabbia del deserto, magari non proprio sul caldo asfalto della Route 66, ma tra le colline e le valli del centro Italia.

Calini prova a farci sognare l’America: a tratti ci riesce, in altri frangenti lascia che il rock da classifica, che da anni spadroneggia nelle radio della penisola, si riprenda il comando di uno spartito con gli angoli bruciati dal sole e dal calore delle marmitte di vecchie Harley, con troppi chilometri a far faticare pistoni e cilindri.
Verso L’Alabama è il diciassettesimo album del rocker di Legnano, un numero davvero importante per un musicista che si è sempre mosso in un mondo nel quale i soliti nomi non hanno mai lasciato troppo spazio a rocker veri, duri e puri come lui.
L’album è una raccolta di brani che alternano, dunque, ruvido rock’n’roll valorizzato da atmosfere che sicuramente possiamo definire southern, a episodi i più leggeri, ma pur sempre sporcati dall’attitudine di Calini, rocker d’annata, dal tocco hard sulla chitarra e la voce che tradisce una vita spesa sui palchi a suonare.
Le ballate infrangono la dura scorza di noi uomini duri e i brani raccontano storie mentre la chitarra graffia, i riff si fanno spessi e la frontiera è sempre più vicina, simbolo di una libertà ormai dono per pochi.
L’opener Il Rock Degli Anni 70, la title track, Sangue Nervoso, Io Sono Il Tuo Capitano e la conclusiva Rock’n’roll sono le canzoni migliori di questo lavoro piacevole, per chi, dopo tanto metal, sente il bisogno di un po’ di sano e sanguigno rock classico.

Tracklist
1.Il Rock Degli Anni 70
2.Take It Easy
3.Mettimi Di Buon Umore
4.Una Lunga Strada Da Casa
5.Il Sogno Non C’è
6.Tu Sei Qui
7.Verso L’alabama
8.Marco E Marina
9.Ho Finito Le Cartucce
10.Io Sarò Con Te
11.Un Altro Giorno Perfetto
12.Sangue Nervoso
13.Quando Gira Male
14.Io Sono Il Tuo Capitano
15.Peter Pan
16.Rock’n’roll

Line-up
Giuseppe Calini – voce, chitarra, batteria, basso

Guests:
Matt Laugh
Simone Sello
Johnny Tad
Leonardo di Bernardini

GIUSEPPE CALINI – Facebook

Louna – The Best Of

Trattandosi di una raccolta, i brani mantengono una buona qualità media, rivelandosi melodici e ruvidi il giusto per non apparire troppo pop.

La Sliptrick Records ci presenta un’altra alternative band proveniente dalla Russia: dopo i Nookie, progetto solista della singer Daria Stavrovich, è la volta dei Louna, anch’essi capitanati da una giovane cantante, Lousine Gevorkian.

The Best Of è una raccolta dei migliori brani che andavano a comporre i tre lavori usciti a nome Louna: Сделай громче! (Let’s Get Louder!) il debutto del 2010, Время Х (Time Of The X), licenziato un paio di anni dopo, e Behind The Mask, ultimo urlo alternative del 2013.
Molto conosciuti nel loro paese, i Louna in questi anni hanno raggiunto una buona popolarità, presenti a molti festival in terra russa, con apparizioni anche negli Stati Uniti.
Il sound del quintetto non si discosta molto dall’hard rock moderno di estrazione statunitense, un classico se si suona alternative: molto meno originale e più commerciale di quello dei Nookie, l’album riesce a convincere per un appeal elevato e sicuramente più indirizzato alle radio.
Lineare è forse la parola più adatta per descrivere la musica dei Louna, belle canzoni con qualche sfuriata metal, ma in generale adagiata su un innocuo alternative rock da classifica, appunto piacevole ma nulla più.
Ovviamente, trattandosi di una raccolta, i brani mantengono una buona qualità media, rivelandosi melodici e ruvidi il giusto per non apparire troppo pop: cantati in lingua madre ma assolutamente non ostici, hanno dalla loro un’anima rock’n’roll che risulta la parte più ribelle e graffiante della musica prodotta dal gruppo di Mosca e che, affiancata a quella più pop, lascia buone sensazioni a chi si avvicina per la prima volta alla musica dei Louna.

Tracklist
01.My – eto LOUNA
02.Boytsovskiy klub
03.Vremya X
04.Biznes
05.Lyudi smotryat vverkh
06.Noch, doroga i rok
07. Shturmuya nebesa
08. S toboy |
09. Moy rok-n-roll
10. 1.9.8.4.
11.Vo mne feat. Dmitriy Rishko
12. Mama
13.Doroga boytsa
14.Sdelay gromche! | Bonus tracks:
15.Svoboda |
16.Put k sebe (acoustic)

Line-up
Lousine Gevorkian – Vocals
Vitaly Demidenko – Bass
Rouben Kazariyan – Guitar
Sergey Ponkratiev – Guitar
Leonid “Pilot” Kinzbursky – Drums

LOUNA – Facebook

https://sliptrickrecords.com/louna-album-the-best-of-out-today/

HELL’S CROWS

Il video di Fall Of The Divine”, dall’album omonimo (Valery Records).

Il video di Fall Of The Divine”, dall’album omonimo (Valery Records).

Il 25 settembre 2018 è la data di uscita di “Fall Of The Divine”, il nuovo video degli Hell’s Crows tratto dal loro primo album omonimo “Hell’s Crows” pubblicato il 31 marzo 2017 su etichetta Valery Records www.valeryrecords.com, distribuito da Audioglobe www.audioglobe.it/disk.php?code=8032642781605 e dai migliori stores digitali wordlwide.

Gli HELL’S CROWS, melodic-heavy metal band italiana, in collaborazione con CROWN METAL Booking Agency www.crownmetal.it sono stati impegnati nell’ultimo anno e mezzo in giro per l’Italia nella promozione dell’ultimo lavoro in studio, spesso dividendo il palco con colleghi di fama nazionale ed europea come PINO SCOTTO, SKW, NECRODEATH, TRICK OR TREAT, SKELETOON, SICK N’ BEAUTIFUL, SOUNDSTORM, EAGLEHEART, STARSICK SYSTEM, SAWTHIS e molti altri ancora.

La band presenterà l’uscita del video il 29 settembre all’Arci Tom di Mantova (MN) suonando di supporto ad Edu Falaschi (ex Angra Vocalist) e Arthemis. Per ulteriori dettagli sull’evento:
https://www.facebook.com/events/134422490757015/

Il video è stato diretto da Studio Close Up (www.studiocloseup.it) e prodotto da Studio Close Up (www.studiocloseup.it) e Randy Rush.

Operatori Camera: Roberto Balestrini e Fabio Pergolesi (Drone)

Ehfar – Everything Happens For A Reason

Metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.

Dopo tanto scrivere e suonare per gli altri Titta Tani ha deciso di fare qualcosa di completamente proprio e sono nati gli Ehfar, quartetto che si completa con Emiliano Tessitore alla chitarra (Stage Of Reality), Matteo Dondi al basso (Theia) e Andrea Gianangeli alla batteria (Dragonhammer).

Ex di DGM ed Astra (tra gli altri), batterista dei Claudio Simonetti’s Goblin e cantante degli Architects of Chaoz, Titta Tani è sicuramente una delle figure più importanti e carismatiche nella scena metal/rock tricolore, un musicista dall’enorme talento confermato anche in questo suo nuovo progetto.
La band debutta con Everything Happens For A Reason, album composto da nove brani che spaziano tra i generi in cui il mastermind si è dedicato in questi anni: quindi nell’album troverete metal alternativo, hard rock progressivo, impulsi moderni e classe sopraffina al servizio delle canzoni che Titta Tani interpreta con la solita bravura e quel trasporto che sottolinea quanto di suo abbia messo in questo lavoro.
A Man Behind The Mask risulta la traccia più classica dell’opera, con Oliver Hartmann (Avantasia, At Vance, Iron Mask) che compare come ospite al microfono, mentre il resto dell’album mantiene un approccio moderno, progressivo e a tratti durissimo, schegge impazzite di metal tecnicamente ineccepibile, tra atmosfere drammatiche ed un approccio melodico sopra le righe.
Everything Happens For A Reason ci riserva una escalation di emozioni che dalle prime note dell’opener Shout My Name, passando per il groove della seguente Night After Night, esplodono nelle due spettacolari e bellissime tracce poste verso la fine dell’opera (Victims e Master Of Hypocrisy), le quali in pochi minuti uniscono Alice In Chains, Symphony X e Savatage nello stesso splendido e drammatico spartito, prima che il crescendo di emozioni della splendida Losing You concluda questo bellissimo lavoro.
Nel mezzo tanta ottima musica metal moderna, melodica e progressiva, dura e pulsante che vi avvicinerà al mondo di questo bravissimo musicista e songwriter nostrano.

Tracklist
01. Shout My Name
02. Night After Night
03. A Man Behind the Mask
04. Dead End Track
05. Once Upon a Time
06. Someone Save Me
07. Victims
08. Master of Hypocrisy
09. Losing You

Line-up
Titta Tani – Vocals
Emiliano Tessitore – Guitars
Matteo Dondi – Bass
Andrea Gianangeli – Drums

EHFAR – Facebook

Felis Catus – Banquet On The Moon

Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Felis Catus è l’affascinante progetto solista di Francesco Cucinotta, voce e chitarra dei catanesi Sinaoth.

In questo progetto solista cominciato nel 2010 Francesco si esprime liberamente e spazia in tantissimi generi, dando vita ad una delle cose più interessanti dell’underground italiano, uscendo per la Masked Dead Records di Brescia che ha un catalogo molto interessante. Il disco è visionario e usa diversi linguaggi musicali per dipanare una narrazione interessante ed assolutamente non convenzionale. Per idee e prolificità Francesco è una di quelle persone che vive di musica, ed è molto bravo a rendere al meglio atmosfere diverse. Ascoltando Banquet On The Moon, seppure non sia di lunga durata, ci sono innumerevoli sorprese, è come un palazzo con ampie stanze, ma anche passaggi segreti che scorrono a fianco delle cose visibili. Il suo approccio alla musica è totale, la sua ricerca musicale è immensa, in questo disco ci sono vere e proprie visioni musicali che denotano la sua voracità musicale. Qui dentro troviamo dal death metal all’ambient e tanto altro, ma soprattutto si incontra una coerenza nel raccontare una storia, come se Banquet On The Moon fosse la colonna sonora di un libro o di un film. Il filo conduttore del disco è la meraviglia, lo stupore dell’uomo di fronte a qualcosa di molto più grande e misterioso di lui, e Felis Catus mette in musica una grandissima gamma di emozioni, di vita, sogni e morte. Praticamente Cucinotta ha suonato da solo tutto il disco, come un magnifico direttore di orchestra, e il risultato assomiglia molto a vecchie colonne sonore di film italiani underground dimenticati ma ancora vivi. Il metal è solo un punto di partenza e c’è un forte gusto italiano in queste musiche, una sensazione che parte dagli anni sessanta ed arriva ai giorni nostri, un visionario filo che lega insieme molto dell’underground e di aspetti che attraversano varie discipline, senza terminare con il mero atto musicale o di scrittura. Banquet On The Moon è un’opera che vi porterà lontano dandovi modo di sognare attraverso un reticolato musicale che si espande dentro e fuori di noi.

Tracklist
1) Banquet On The Moon
2) Cydonia (Feat. Gray Ravenmoon)
3) Baron Munchausen
4) Eternity (The Nothigness) (Feat. Alessandro Riva)

Line-up
Francesco Cucinotta – All Instruments and voice

FELIS CATUS – Facebook