EDWARD DE ROSA

Il lyric video di Legend: The Omega Man, dall’album Zeitgeist in uscita a ottobre (Revalve Records).

Il lyric video di Legend: The Omega Man, dall’album Zeitgeist in uscita a ottobre (Revalve Records).

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Zeitgeist will be available on October 26th via Revalve records.

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Barreleye – Insidious Siren

Il quintetto berlinese ha dalla sua questa ottima vena progressiva per cui i brani non lasciano mai nulla di scontato, dimostrandosi vari e molto ben suonati, con le due voci che si danno il cambio, una più dura e rabbiosa, l’altra pulita ma comunque maschia.

I Barreleye arrivano da Berlino e sono una thrash groove metal band che non disdegna trame progressive, pur mantenendo una potenza di fondo impressionante.

Questo ep segue di tre anni il primo lavoro su lunga distanza (Urged To Fall) e di quattro l’esordio in formato ep (Virus), un lavoro che si divide nell’opener Cosmic Downfall e nelle tre parti della title track.
Il quintetto tedesco risulta una gradita sorpresa: Insidious Siren si propone come un devastante esempio di thrash progressivo, dall’anima moderna e devastato da improvvise accelerazioni ma che si nobilita per il ricorso a momenti di quiete prima che ripartenze thrash tornino a far cavalcare le onde del metal più riottoso e groove.
Il quintetto berlinese ha dalla sua questa ottima vena progressiva per cui i brani non lasciano mai nulla di scontato, dimostrandosi vari e molto ben suonati, con le due voci che si danno il cambio, una più dura e rabbiosa, l’altra pulita ma comunque maschia, in un susseguirsi di metalliche scale tecnicamente ineccepibili, veloci e coinvolgenti.
E’ nelle tre parti della title track che si concentra il massimo sforzo dei Barreleye, una tempesta marina con alte onde estreme che si infrangono su un muro di groove, con momenti di intricati risucchi progressivi che portano a riva resti di imbarcazioni dai nomi storici come Mastodon e Grip Inc. , influenze neanche troppo velate del gruppo.
Un ottimo ep consigliato ai fans del genere più tecnico e progressivo e nuovo gruppo da seguire nelle sue prossime mosse.

Tracklist
1.Cosmic Downfall
2.Insidious Siren I – Overcome
3.Insidious Siren II – The Tyrants Is Dead
4.Insidious Siern III – Long Live The Tyrant

Line-up
Danilo Garbe – Guitar
David Nelband – Vocals
Dmitry Frolov – Drums
Christoph Witte – Guitar
Szymon Lesniewski – Bass

BARRELEYE – Facebook

Behemoth – I Loved You At Your Darkest

I Loved You At Your Darkest è un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.

Tornano, a pochi mesi di distanza dal notevole Messe Noire (live che immortalava la band nel tour del precedente capolavoro The Satanist), i Behemoth, probabilmente il più famoso e controverso gruppo estremo attualmente in circolazione.

Nergal oltre ad essere un ottimo musicista e songwriter, è un infallibile manager di sé stesso e del gruppo, tanto che la pubblicazione di questo nuovo I Loved You At Your Darkest è seguita ad un periodo di polemiche e trovate assurdamente geniali che poco hanno a che fare con la musica e molto con il business.
Ma qui siamo su MetalEyes, quindi poco inclini ai pettegolezzi e concentrati su quello che i gruppi hanno da offrire in termini musicali e l’ultimo lavoro dei Behemoth, da questo punto di vista, non delude le aspettative.
Ovviamente Nergal e soci non sono più la black metal band di inizio carriera o quella che di fatto, ha contribuito allo sviluppo del blackened death in tutto il mondo, ma si sono trasformati in una creatura satanicamente gotica, magniloquente e a suo modo teatrale, puntando molto sull’impatto visivo (basti vedere i curatissimi, ultimi video) senza perdere un’oncia dell’attitudine diabolica che ne ha incrementato la fama.
Fin dai primi due singoli e video (God = Dog e la magnifica ed evocativa Bartzabel) si evince che la band ha ormai cambiato registro, limitando rispetto al passato le devastanti accelerazioni di stampo black per avvolgerci in un nero drappo gothic/death, ed il risultato farà sicuramente storcere il naso a molti fans della prima ora, ma ha del clamoroso per la sua resa finale.
I Loved You At Your Darkest è dunque un album magnifico, vera arte estrema dall’appeal altissimo anche per chi è solito ad ascolti più melodici, orchestrato a meraviglia, prodotto perfettamente e composto da dieci brani, più intro ed outro, del tutto inattaccabili.
Nergal, Orion ed Inferno hanno saggiamente optato per un sound di facile presa, almeno per i canoni del genere, creando un sound che unisce a quel poco di blackened death metal rimasto, gothic metal ed atmosfere dark rock in una versione estrema feroce ed orchestrale di Fields Of The Nephilim e Sisters Of Mercy.
I brani non lasciano spazio a indecisioni strutturali, tutto funziona a meraviglia e I Loved You At Your Darkest rappresenta l’ennesimo imperdibile centro di un artista a suo modo geniale.

Tracklist
1. Solve (Intro)
2. Wolves Ov Siberia
3. God = Dog
4. Ecclesia Diabolica Catholica
5. Bartzabel
6. If Crucifixtion Was Not Enough
7. Angelvs XIII
8. Sabbath Mater
9. Havohej Pantocrator
10. Rom 5 8
11. We Are The Next 1000 Years
12. Coagula (Outro)

Line-up
Nergal – Vocals, Guitars
Orion – Bass, Vocals
Inferno – Drums

BEHEMOTH – Facebook

Lovecraft in Rock: una prima ricognizione

Gruppi e artisti che si sono rifatti a HPL sono stati innumerevoli, pertanto la presente ricognizione mira solo a rompere il ghiaccio (cosmico) e a sgrezzare la pietra (nera).

Un grandissimo scrittore come Howard Phillips Lovecraft – il padre del fantastico moderno e della fantascienza orrorifica – non poteva non ispirare, sul piano delle suggestioni letterarie e filosofiche, l’universo del rock, e del metal in particolare.

Due in particolare sono stati, della vasta narrativa del solitario di Providence, i filoni che hanno esotericamente nutrito l’immaginazione di infinite schiere di musicisti: l’orrore cosmico e quello marino. Lo vedremo più in dettaglio, in questa rassegna, che, tuttavia, non ha alcuna pretesa di completezza ed esaustività assolute (sarebbe impossibile).
Gruppi e artisti che si sono rifatti a HPL sono stati innumerevoli, pertanto la presente ricognizione mira solo a rompere il ghiaccio (cosmico) e a sgrezzare la pietra (nera).
Altri studi sull’argomento dovranno in seguito necessariamente venire, anche perché il tema si presta non soltanto ad un articolo (o ad una serie di articoli), quanto piuttosto a un libro vero e proprio, che a quanto ci risulta ancora manca nel panorama editoriale italiano.
Il discorso in merito finisce per riguardare anche il piano iconografico, visto che grandi illustratori che tanto hanno lavorato con band di area metal – Micheal Whelan, solo per fare qui un esempio – si sono rivelati largamente debitori verso l’immaginazione lovecraftiana e tutto ciò a cui essa mette capo (geometrie impossibili, altri mondi, entità aliene, minacce insondabili provenienti dallo spazio, mari oscuri popolati da mostri indicibili, nonché paesaggi onirici).
Iniziamo questa nostra ricognizione preliminare cogli imprescindibili pionieri H.P. Lovecraft, nati a Chicago sul finire degli anni Sessanta del secolo scorso e divenuti, dopo i primi due dischi, molto più semplicemente Lovecraft.
Proponevano un hard prog primevo, influenzato dai maestri inglesi – Pink Floyd e Procol Harum in testa – incorporandovi altresì influenze più americane (leggasi Love, CSNY, Steve Miller).
Il loro Valley of the Moon guardava oltre che a HPL anche a Abraham Merritt (altro grande scrittore affine al solitario di Providence e, da lui, molto amato).
Degli H.P. Lovecraft, in questa sede, possiamo senz’altro consigliare le due raccolte At the Mountains of Madness (1988) e Dreams in the Witch House (2005), che fin dal titolo richiamano, in maniera esplicita e voluta, due dei maggiori racconti lovecraftiani, traducendoli in musica attraverso trame sonore assai suggestive ed eteree, con divagazioni folk e belle tastiere.
Gli stessi testi della band altro non erano se non veri e propri adattamenti delle poesie scritte da HPL (edite in Italia, da Agfa Press, con il titolo Il vento delle stelle qualche anno fa).

Restando nel periodo degli albori del progressive e spostandoci in Gran Bretagna, è impossibile non menzionare gli Arzachel di Canterbury, che nel 1969 dedicarono un brano del loro debutto (rimasto senza seguito: una vera meteora) al minaccioso Azathot.
Anche i Black Widow, nel loro capolavoro Sacrifice (1970), furono influenzati tra gli altri dagli incubi di HPL.
Né possiamo scordare gli High Tide del violinista Simon House, con il loro Sea Shanties (1969), ispirato agli orrori marini descritti in termini sublimi ed inquietanti da HPL in pagine di prosa barocca rimaste immortali, non solo per gli estimatori.
L’hard rock anglo-americano dei Seventies vide due gruppi soprattutto cimentarsi con liriche e temi di matrice lovecraftiana: ci riferiamo agli statunitensi Blue Oyster Cult (in più dischi) e soprattutto ai Black Sabbath, i quali inserirono nel loro esordio omonimo del 1970 un brano molto evocativo e rappresentativo, se non emblematico, come lo stupendo Behind the Wall of Sleep, impregnato sino al midollo di atmosfere evocative ed ancestrali rese con suoni oscuri e cadenzati. Il racconto Oltre il muro del sonno, si sa, data 1919 ed è una delle cose migliori scritte da HPL, allora agli inizi del suo percorso di autore.
Il vero revival lovecraftiano è tuttavia cominciato con gli anni Ottanta (per non cessare poi più).
Nel 1984, i Metallica omaggiarono HPL con lo strumentale The Call of Ktulu, nel loro storico secondo album Ride the Lightning, prodotto, come noto, da Fleming Rasmussen in Danimarca e dominato da ricerche sulle linee armoniche che hanno fatto veramente epoca ed aperto una strada a generazioni di musicisti.
I Metallica hanno successivamente composto almeno un altro brano, debitore verso il talento visionario e occulto di Lovecraft, The Thing That Should Not Be, omaggio a La maschera di Innsmouth.
Ma anche il loro ultimo lavoro, l’eccellente e sottovalutato Hardwired to Self-Destruct è intriso di aromi lovecraftiani: anche sotto questo profilo, un autentico ritorno al passato.
Rimanendo in ambito thrash e speed, possiamo annoverare i geniali Mekong Delta di The Music of Erich Zann (1988, omaggio dichiarato all’omonimo racconto di HPL) e i Necronomicon (pure loro tedeschi, da pochi anni riformatisi).

Fra epic metal e thrash, quello che è uno dei migliori dischi dei Manilla Road, Out of the Abyss (1989), celebra il sognatore di Providence fin dal titolo. Tra heavy classico e speed-thrash teutonico d’alta scuola rammentiamo quindi i Rage, con due lavori del tutto lovecraftiani, come il capolavoro Black in Mind (1995) e l’ottimo Soundchaser (2003).
Altrettanto si può affermare per la canzone Cthulhu incisa dagli Iced Earth, nel 2014, a mezza strada fra thrash-speed americano e dark metal epico anni Ottanta.
Il metal classico ha omaggiato HPL con gli Arkham Witch (tra Black Sabbath era Dio e primi Iron Maiden) e con gli ellenici Diviner di Fallen Empires (stile Accept-Judas Priest-King Diamond), fin dalla grafica di copertina e da certi testi.
Lovecraftiani sono stati, in A’arab Zaraq / Lucid Dreaming (1997), gli svedesi Therion, a cavallo tra hard sinfonico e gothic melodico (peraltro non certamente il loro prodotto migliore).
Su lidi contrassegnati da una bella ricerca melodica si collocano anche gli hard-glamsters Casablanca di Miskatonic Graffiti (al loro fianco troviamo Per Wiberg, tastierista di Spiritual Beggars e Grand Magus) e i finnici Eternal Silence di Chasing Chimera (2015), bel disco di pomp metal stampato dall’italiana Underground Symphony.
E’ stato specialmente nel settore dell’extreme metal che l’influenza di HPL si è fatta di più sentire. Il death metal nella fattispecie è stato moltissime volte più lovecraftiano di altri generi.
Basti pensare alle discografie di numeri uno, quali Morbid Angel e Hate Eternal. Floridiani come loro sono stati anche gli storici Massacre, tra i padri del death a stelle e a strisce, che si sono apertamente rifatti al genio di Lovecraft per il loro seminale debutto, del 1991, sin dal titolo (From Beyond) e dalla cover (opera di un mago del disegno horror, Ed Repka).
Altri acts di death lovecraftiano da ricordare sono i messicani Shub Niggurath (uno dei Grandi Antichi) con A Deadly Call from the Stars e gli iberici Graveyard (su etichetta War Anthem Records).
Anche gli alfieri del brutal più tecnico e epico, cioè i californiani Nile, hanno tratto gran frutto e giovamento dalla lettura, attenta e competente, dei Miti di Cthulhu.
Altro grande ammiratore di HPL è stato in America il chitarrista James Murphy, che con l’unico disco dei suoi Disincarnate ha fornito una colta e fedele ricreazione in chiave death dei temi e delle tetre atmosfere lovecraftiane, ispirandosi dichiaratamente pure a Brian Lumley, tra i migliori continuatori nel secondo Novecento dell’opera di HPL.
In generale, tra quei gruppi che attingono in ambito death ad elementi fantastici e fantascientifici (gli orizzonti aperti in Florida, a inizio anni ’90, dai seminali Nocturnus), una delle fonti più citate è proprio quella costituita dai racconti di HPL.

In questi ultimi anni, sono infatti cresciute di numero le band dedite esclusivamente all’esplorazione in chiave death di scenari come quelli dello scrittore di Providence: poniamo mente agli Starspawn, ai Sulphur Aeon di Gateway to the Antisphere, agli Chthe’ilist di Le Dernier Crépuscule, così come agli svedesi – e con svariati album in carniere – Puteraeon, o ancora ai francesi Monsterbrau (fra death e grindcore), ed i brasiliani Sanctifier.

Vengono, invece, dal techno-death, i Gigan di Tampa: per loro sono già quattro i compact, dal suono spaziale e progressivo, cosmico e violentissimo, cupo e sperimentale. Una delle migliori band degli ultimi anni, non soltanto per i richiami a HPL.

Sempre death, ma colombiani, gli apocalittici Yogth Sothoth. Un nome, una garanzia.
Passando al black metal, qui i nomi da fare sarebbero persino troppi. Scegliamo di segnalare almeno gli statunitensi Dagon (la divinità sumera degli oceani primordiali che ispirò l’omonimo racconto di Lovecraft ed il seguito di Fred Chappell, pubblicato nel nostro paese da Urania), i fantastici Great Old Ones dalla Francia, gli US blacksters Necronomicon (da non confondersi con i colleghi thrash della Germania) con il loro mix di Dimmu Borgir e Behemoth.
Evidentemente il nichilismo del BM ha trovato nella letteratura di marca lovecraftiana terreno fertile da investigare e da rappresentare in musica, in particolare relativamente al nichilismo anti-antropocentrico ed alla glaciale alterità di un universo caotico e negativo, rovesciato di segno rispetto al più rassicurante quadro teologico della astronomia gravitazionale newtoniana sei e settecentesca, codificata dalla cultura dell’Illuminismo, francese ed europeo, nel XVIII secolo.
Argomenti che molto stavano a cuore a Lovecraft, come la sua sua biblioteca – il cui catalogo è stato da poco pubblicato – ed i suoi carteggi provano senza più ombra alcuna di dubbio.
Tra black post-industriale e dark ambient elettronico si sono mossi poi gli inglesi Axis of Perdition,
autori di svariati lavori assai astratti e complessi, quasi una traduzione in chiave futuristica (usando i campionamenti e la programmazione tecnologica in una chiave aggressiva e modernista) di liriche e ambientazioni lovecraftiane.
Il dark ambient più astratto ha omaggiato diverse volte, da parte sua, il genio di HPL: si ricordino i Kammarheit di R’lyeh (2002) e Cthulhu (2014), quest’ultimo un tetro e inquietante abisso sonoro, fatto di tonalità oscure, realizzato in collaborazione con altri quattordici artisti ed edito dalla Cryo Chamber.
Né vanno dimenticati, nel genere, gli Aklo di Beyond Madness (2005) ed i notturni e ritualistici Dead Man’s Hill di Esoterica Orde de Dagon (2008), molto bello anche come confezione (in formato libro).
Molto di HPL anche nel doom. Pensiamo solo ad una canzone come Dunwich degli inglesi Electric Wizard, a un disco come Raised by Wolves (2011) dei Serpentcult (ottimi interpreti belgi di sludge e doom atmosferico), allo stoner-doom degli Space God Ritual, nonché ai grandiosi Ahab, gruppo eccezionale e responsabile del cosiddetto ‘nautic funeral doom’, che tanto deve agli orrori marini, sia di Lovecraft, sia del suo maestro britannico William Hope Hodgson.
L’ultimo disco degli Ahab, non a caso, si intitola The Boats of Glen Carrig, opera magna di Hodgson che Fanucci tradusse nel 1974 in italiano.
Più antico nelle scelte timbriche e ostentatamente retrò il dark-doom sepolcrale e sinistro dei Bloody Hammers, mentre sono da apprezzare anche i Doom’s Day, i Void Moon, i Wo Fat  di Psychedelonaut, i Fungoid Stream, i Bretus di The Shadow Over Innsmouth e gli High on Fire di De vermis mysteriis: il libro maledetto attribuito da HPL e dal suo amico e discepolo Robert Bloch alla fantomatica e leggendaria figura dell’alchimista-negromante Ludwig Prynn, vissuto tra il XVI e il XVII secolo.

Sempre in campo heavy-doom, vanno menzionati anche i lovecraftiani Demon Eye, anche loro assai validi.
Nel funeral doom più intransigente, evocativo e materico, vanno inclusi poi i Catacombs americani, che hanno dedicato il loro unico lavoro, In the Depth of R’lyeh (2006), alla città sommersa ove dorme il suo sonno millenario Cthulhu.
Fra doom atmosferico, post-metal, prog e math-rock lovecraftiano, infine, gli interessantissimi Labirinto di Gehenna (2016), tra le sorprese più accattivanti e da seguire dell’ultimo quinquennio.
Esplicitamente lovecraftiano è il progetto internazionale Space Mirrors, della tastierista russa Alisa Coral, cui di deve uno space rock elettronico e metallizzato, con inserti post-black.
Da avere almeno la trilogia di Cosmic Horror (2012-2015).

Più classicamente prog – nel senso analogico, valvolare e caldo del termine – la proposta dello svedese Annot Rhul (ora su Black Widow Records), che nello splendido Leviathan omaggia tanto HPL quanto la grande scuola nordica di Anglagard, Anekdoten e Landberk: un grande esempio di dark prog, non dissimile da quello dei nostrani Ingranaggi della Valle, che nel loro Warm Spaced Blue – sempre della scuderia Black Widow – si sono consacrati ad una intensa e raffinata rilettura musicale dei Miti di Cthulhu.
Restando in Italia, rammentiamo pure i fiorentini Goad, tra hard prog e dark wave – non senza echi folk alla Paul Roland, altro artista di scuola lovecraftiana – i quali a HPL hanno dedicato tra l’altro il loro bucolico The Wood (2006), un disco intriso di poesia arcana e riferimenti letterari.
Metal e non solo metal, come vediamo. Lovecraft ha ispirato infatti anche artisti zeuhl e euro-rock, come i belgi Univers Zero, che gli hanno tributato la cameristica La Musique d’Erich Zann, grande improvvisazione dissonante e crimsoniana, contenuta nel loro Ceux du Dehors (1981).
Altro pezzo improvvisato è la jam dedicata nel 1988 dai Bevis Frond al fiume Miskatonic, del New England, la cui geografia di fatto HPL riscrisse in versione immaginaria e fantastica.
Astratti ed avveniristici, i francesi Shub-Niggurath hanno preso il nome – come i loro colleghi deathsters meso-americani – da una delle creature di Lovecraft.
Musicalmente vicini ai Magma più caotici e destrutturati, hanno intitolato a Yog-Sothoth una composizione, di oltre undici minuti, presente sul loro disco omonimo, uscito per Musea nel 1985.
Persino il crust punk e l’hardcore più weird non hanno mancato di rivolgersi all’universo di HPL.
Al riguardo, possiamo citare i fenomenali Rudimentary Peni, gruppo davvero oltranzista e feroce, che a Lovecraft ed al suo mondo si è rivolto in un lavoro quali Cacophony, da molti punti di vista vicino nelle sonorità al grindcore di primi Napalm Death, Heresy e Unseen Terror, nonché al punk-metal di Broken Bones, Discharge e (Charged) GBH.
Veniamo alle compilation. Da possedere assolutamente The Stories of H.P. Lovecraft, cofanetto in 3 CD, pubblicato dalla francese Musea, che tributa in chiave prog il solitario di Providence.
Figurano, fra i partecipanti all’operazione, Glass Hammer, Karda Estra, La Coscienza di Zeno, Guy Le Blanc (keybords-wizard dei canadesi Nathan Mahl e anche negli ultimi Camel), Sithonia, Daal e Nexus tra gli altri.
Altro CD collettivo che gli appassionati non potranno obliare è di certo Yogsothery, edito da I Voidhanger: quattro band – Jaaportit, Umbra Nihil, Aarni e Caput I,VIIIm – che tra dark ambient e post black atmosferico-escatologico esplorano, con un brano ognuna (la durata delle tracce va dagli undici ai ventinove minuti), l’universo d’uno dei più grandi scrittori del XX secolo.