Mindwalker – Burning Past

Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Hard rock melodico di classe attraversato da una vena gotica e romantica per una raccolta di brani piacevolmente raffinati racchiusi in una quarantina di minuti.

Loro sono i Mindwalker, progetto del musicista peruviano Daniel Roman (Battlerage / Valkiria) e Burning Past è il secondo lavoro sulla lunga distanza dopo l’esordio licenziato un paio di anni fa (Walking Alone).
Accompagnato dal singer Chris Clancy (Mutiny Within/Wearing Scars) Roman crea un sound molto intrigante, sempre in bilico tra la decadenza romantica del gothic/dark moderno e l’hard rock melodico, con il vocalist che interpreta le tracce con il dovuto trasporto, e le tastiere che ricamano tappeti musicali su cui poggia tutta la struttura del sound.
Burning Past non rinuncia alla giusta dose di grinta hard & heavy, la chitarra tiene le ritmiche alte, specialmente nei brani più grintosi, anche se l’eleganza del songwriting fa dell’album un ottimo esempio di rock melodico.
Street Of Dust apre le danze entrando subito nel vivo, con tastiere e chitarra in evidenza così come l’ottima interpretazione di Clancy che fanno di Burned To A Crisp e Heart Of Stone piccoli gioielli gothic rock, nei quali le raffinate melodie fanno la differenza.
Cercando di trovare degli utili paragoni per i lettori, direi che siamo al cospetto di un sound che unisce le parti meno progressive dei Nightingale di Dan Swano con gli Him e i Sentenced più melodici (Chains Of Fear).
Burning Past è una piacevole sorpresa in arrivo da uno dei paesi del Sudamerica meno conosciuti in ambito metal/rock, e se amate il genere il consiglio è quello di non perdervelo.

Tracklist
1.Street Of Dust
2.Fearlessly
3.Burned To A Crisp
4.Mad World
5.Heart Of Stone
6.Puppeteers
7.I Can´t Breathe
8.Signs
9.Chains Of Fear
10.Nothing There

Line-up
Daniel Roman – Composed , recorded , mixed and mastered
Chris Clancy – Vocals
Mike Lukanz – Drums

MINDWALKER – Facebook

Mutilation Rites – Chasm

Black death statunitense viscerale, selvaggio, con una grande sezione ritmica: l’adrenalinico e ispirato terzo disco di una band in costante evoluzione.

Chasm è un pericoloso e turbolento intruglio di sonorità death black che ingerito ripetutamente può portare a putrefazione la nostra mucosa gastrica.

I newyorkesi Mutilation Rites rappresentano una solida realtà dell’underground statunitense che nasconde tante band devote a sonorità estreme composte con buona personalità, dote che non manca di certo a questo quartetto attivo dal 2010 e giunto al terzo full length, primo per Gilead Media, etichetta del Wisconsin molto attiva (un occhio ai Vile Luxury, Forn e Hell tra gli altri). I Mutilation Rites rientrano in quella categoria di band che navigano nei limacciosi e putridi liquami del black death, dove lentamente ci si inabissa senza possibilità di respirare; una perfetta e intossicante miscela che, per certi versi ricorda la genia di band della etichetta Dark Descent. Sei brani, poco più di quaranta minuti condotti da un songwriting molto efficace, dove le chitarre di George Paul e Michael Dimmitt si rincorrono senza sosta, trovando linfa vitale in territori black, death e grind e sorretti da un grande drumming, condotto da Tyler Coburn (membro anche dei THOU), e creano brani mozzafiato come Ominous Rituals, brano carnivoro e dotato di un impulso ritmico straordinario. Invece di lavorare il suono sulla lentezza e sull’oppressione i Mutilation Rites agiscono con un impatto ritmico devastante multiforme e potentissimo che trasuda adrenalina ad ogni momento. Il death rappresenta il primum movens di questo album e miscelandolo con il black i brani diventano incendiari con un carattere di urgenza più presente rispetto agli altri due album (Harbinger ed Empyrean, decisamente consigliati). La cover spettacolare inquadra al meglio il sound, un saliscendi emozionale su scale che portano in territori abissali e neri come la pece dove non vi è possibilità di redenzione. La title track esploderà nei padiglioni auricolari e non tragga in inganno la lenta movenza iniziale di Putrid Decomposition, dissonante e sinistra, perchè il growl slabbrato mostrerà presto la natura selvaggia del brano. Un gran bel disco come molti altri nell’underground statunitense … tocca a noi dargli la dovuta importanza.

Tracklist
1. Pierced Larynx
2. Axiom Destroyer
3. Ominous Rituals
4. Post Mortem Obsession
5. Chasm
6. Putrid Decomposition

Line-up
George Paul – Guitars, Vocals
Michael Dimmitt – Guitars
Ryan Jones – Bass, Vocals
Tyler Coburn – Drums

MUTILATION RITES – Facebook

Lethal Injury – Melancholia

Mezz’ora abbondante da trascorrere immersi nel vorticoso mondo del thrash metal che tanto sa di vecchia scuola ma che, grazie ad un’ottima produzione, esce potente e devastante, assolutamente in linea con quanto prodotto in questi anni e quindi per nulla nostalgico.

I Lethal Injury sono una giovane band estrema proveniente dal Belgio e dedita un maligno esempio di thrash metal old school, potenziato da dosi letali di death metal e reso cattivissimo da un’attitudine black che ne enfatizza l’anima nera.

Dopo il primo demo licenziato tre anni fa, arriva per il quintetto di Ostenda la firma per Wormholedeath che si occuperà della distribuzione del primo lavoro sulla lunga distanza, intitolato Melancholia.
Trattasi di mezzora abbondante da trascorrere immersi nel vorticoso mondo del thrash metal che tanto sa di vecchia scuola ma che, grazie ad un’ottima produzione, esce potente e devastante, assolutamente in linea con quanto prodotto in questi anni e quindi per nulla nostalgico.
Le parti death/black sono perfettamente inserite nel sound del gruppo, lasciando trasparire ispirazioni heavy metal in alcuni passaggi e per il resto corre veloce come un treno partito dall’inferno e che senza fermate arriva a destinazione tre le fiamme che divorano le anime imprigionate nei vagoni.
Ritmiche e cambi di velocità denotano una buona tecnica, le vocals sono maligne ed il piatto è servito, devastante, potentissimo e senza compromessi.
Splendidi i due brani che formano la parte centrale di questo agguerrito manifesto estremo, Suicidal Call e Scream Burn Die: la prima veloce e valorizzata da ottimi solos dalle melodie heavy, la seconda meno veloce ma ancora più potente, con parti in mid tempo pesanti come macigni e cambi di marcia repentini.
Slayer ed Exodus, poi una lunga serie di ispirazioni, si fanno spazio tra le note di questi nove brani che vanno dal thrash metal statunitense al blackened death metal, fino a più tradizionali lidi heavy metal, creando un sound assassino di notevole impatto.

Tracklist
1. Haima
2. Mothman
3. Melancholia
4. Denounce
5. Suicidal Call (Intro sample: Full Metal Jacket)
6. Scream, Burn, Die 7. The Downward Spiral
8. Melancholia ‘Part II’ (Guest guitar: Collin Southard)
9. Veiled Woman Of The Black

Line-up
Rambo Exodus – Vocals
Dennis – Guitars
Jonjo – Guitars
Josha – Bass
Arthur – Drums

LETHAL INJRY – Facebook

Iron Void – Excalibur

Ascoltare gli Iron Void è come tornare in un luogo che è profondamente nostro ma che è stato seppellito e dimenticato dalla foga moderna, un ritorno al bello ed antico.

Dire Iron Void in campo doom metal è sinonimo di grande musica ed epici racconti, un medioevo altro, duro pesante e con riff di chitarra che spazzano via tutto.

Il gruppo inglese è qui alla terza prova:il disco uscirà a breve, dopo aver subito diverse posticipazioni. Il risultato degli sforzi del trio è notevole come i due dischi precedenti, anzi superiore. Chi ha ascoltato le opere prima di Excalibur sa già cosa aspettarsi, ovvero un doom metal molto canonico e fatto alla perfezione, con quel gusto che solo certi gruppi inglesi ci mettono dentro. Classicità gestita molto bene grazie ad un talento che è al di sopra della media, e che consente di trovare soluzioni adeguate sempre all’altezza e molto interessanti. Il respiro delle composizioni degli Iron Void è ampio e possente, con giri di chitarra sontuosi ai quali si va ad aggiungere una voce che è perfetta per il genere, ed una sezione ritmica pressoché inappuntabile. Il suono deve molto a mostri sacri quali St. Vitus, Pentagram e gruppi metal anni ottanta, ma la classe di questa band porta tutto ad un livello superiore. Le storie narrate sono epiche, cappa e spada che ci porta al medioevo del Graal e di Lancillotto, in quella che è poi una ricerca ed una lotta interiore, fra noi e i nostri demoni. La bellezza che sta in un disco come Excalibur è quella del doom classico, che è un genere che regala davvero grande soddisfazione a chi lo ama e lo segue fedelmente, perché è difficile che un disco come questo venga apprezzato da chi non ama certe sonorità lente, ma più impetuose, di molta musica assai più veloce. Ascoltare gli Iron Void è come tornare in un luogo che è profondamente nostro ma che è stato seppellito e dimenticato dalla foga moderna, un ritorno al bello ed antico. Grande prova che li imporrà all’attenzione mondiale.

Tracklist
1. Dragon’s Breath
2.The Coming of a King
3.Lancelot of the Lake
4.Forbidden Love
5.Enemy Within
6.The Grail Quest
7.A Dream to Some, A Nightmare to Others
8.The Death of Arthur
9.Avalon

Line-up
Jonathan ‘Sealey’ Seale – Bass/Vocals
Steve Wilson – Guitars/Vocals
Richard Maw – Drums

IRON VOID – Facebook

BE THE WOLF

Il video di “Burn Me Out”, dall’album “Empress” in uscita ad ottobre (Scarlet Records).

Il video di “Burn Me Out”, dall’album “Empress” in uscita ad ottobre (Scarlet Records).

Uscirà il prossimo 19 Ottobre via Scarlet Records (EU/US) e Marquee / Avalon (Giappone) il nuovissimo album dei Be The Wolf, “Empress”.

Prodotto da Andrea Fusini ai Fusix Studio di Settimo Torinese, “Empress” rappresenta il terzo e ultimo capitolo della trilogia iniziata con “Imago” nel 2015.

La band torinese e Rock In Park Agency hanno annunciato tre release show per presentare l’album ai fan:

2 Novembre 2018 – Legend Club, Milano
3 Novembre 2018 – Officine Ferroviarie, Torino
9 Novembre 2018 – Officine Sonore, Vercelli

I Be The Wolf sono una band hard rock formata nel 2011 con due album all’attivo sotto Scarlet Records e Marquee Inc./Avalon (Giappone). Il gruppo si contraddistingue per il suo sound: high speed, heavy, con riff melodici ed importanti assoli di chitarra. I Be The Wolf sono: Federico Mondelli (voce e chitarra), Marco Verdone (basso) e Paul Canetti (batteria).

The Devil’s Trade – What Happened To The Little Blind Crow

What Happened To The Little Blind Crow in poco meno di quaranta minuti regala tutto quanto ci si attenderebbe sempre da un disco: profondità , sentimento, emotività, dolore, malinconia e, soprattutto, poesia trasformata in musica da questo splendido artista, meritevole d’essere inserito fin d’ora tra i migliori esponenti del cantautorato rock/folk dei nostri tempi.

Quando si parla di cantautorato, probabilmente molti appassionati di metal non saranno spinti a soffermarsi e prestare un ascolto a quanto viene loro proposto; ebbene, se così fosse fanno decisamente male, soprattutto perché, in quest’ultimo periodo, ne stanno emergendo alcuni che, anche grazie ad un background metallico, riescono ad imprimere ai loro lavori un carico emotivo superiore alla media.

Se recentemente abbiamo constatato la grande maturazione dell’ex A Forest Of Stars Duncan Evans, oggi è il momento di spalancare il sipario su un talentuoso musicista ungherese, David Makò (con un presente nella stoner band HAW ed un passato recente con i doomsters Stereochrist), il quale da qualche anno ha intrapreso una carriera solista sotto il nome The Devil’s Trade che ne ha visto crescere esponenzialmente le quotazioni.
What Happened To The Little Blind Crow è un vero e proprio capolavoro, all’interno del quale Makò assembla una serie di brani intensi, commoventi, ruvidi ma al contempo melodici, ricchi di sfumature blues e richiami etno folk, esaltato poi da un’interpretazione vocale sentita e vibrante.
La bellezza dell’’incipit acustico I Can Slow Down Time Pt. 1 è già sufficiente a farci comprendere che il lavoro si attesterà su un livello tale da lasciare letteralmente annichiliti: David usa solo la voce e la chitarra (o il banjo) e nonostante questo riesce a riempire qualsiasi spazio, indipendentemente dalla direzione verso la quale la sua musica possa fluire. To An End colpisce con le corde degli strumenti acustici che paiono quasi frustate e si stempera a in un finale folk (che verrà ripreso nella chiusura della conclusiva I Can Slow Down Time Pt. 2) preparando il terreno alla perfezione rappresentata da Your Own Hell, canzone che non può lasciare indifferenti, grazie ad un’interpretazione vocale e ad un chorus che vanno a creare un connubio realmente da brividi.
La lunga St. James Hospital si ammanta di un’aura blues, che il retaggio del musicista magiaro rende un qualcosa di unico, con il dolente sentire del doom che si tramuta in un mood più malinconico e soffuso.
12 To Die 6 To Rise è l’altra traccia segnante dell’album, capace di replicare lo spasmodico incedere di Your Own Hell: è proprio in queste occasioni che Makò si trasforma in una sorta di versione irruvidita del Mick Moss più appassionato ed introspettivo (per intenderci quello di Leaving Eden), ma questo accostamento, che forse a qualcuno potrà persino apparire improprio, è utile sostanzialmente ad inquadrare il potenziale evocativo del lavoro.
What Happened To The Little Blind Crow in poco meno di quaranta minuti regala tutto quanto ci si attenderebbe sempre da un disco: profondità , sentimento, emotività, dolore, malinconia e, soprattutto, poesia trasformata in musica da questo splendido artista, meritevole d’essere inserito fin d’ora tra i migliori esponenti del cantautorato rock/folk dei nostri tempi.

Tracklist:
1. I Can Slow Down Time Pt. 1
2. To An End
3. Your Own Hell
4. Only As A Ghost
5. St. James Hospital
6. No One Here
7. 12 To Die 6 To Rise
8. I Can Slow Down Time Pt. 2

Line-up:
David Makò

THE DEVIL’S TRADE – Facebook