Asylum – 3-3-88

Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox.

Ritorna uno dei dischi fondamentali della storia del doom metal del Maryland, una delle scene più feconde ed influenti per questo lento e devastante sottogenere del metal.

Gli Asylum nacquero negli anni ottanta, e da questo gruppo nacquero poi gli Unorthodox, un altro grande gruppo di quello stato, ed infatti l’ultima traccia di questo lavoro ha proprio quel nome. Questo lavoro non vide mai la luce, ed è composto da canzoni e demo mai pubblicati. Lo stile è quello del doom del Maryland in fase di formazione, nel senso che è ancora forte l’influenza dell’heavy metal sul gruppo, e si potrebbe affermare che sia un metal non ancora doom, ma con al suo interno un nucleo di composizione differente dall’heavy canonico, che risente fortemente anche della tradizione americana. Colpisce anche la bravura tecnica della band, di molto superiore alla media di quel periodo, e ciò si riflette anche sulla composizione dei pezzi. Ascoltando il disco si può percepire molto bene il cambiamento stilistico degli Asylum, che avanza sempre di più verso una forma maggiormente dilatata del suono, acquistando anche maggiore pesantezza, e valicando spesso i confini della psichedelia, con un suono davvero in stile Maryland. Oltre ad essere un documento storico, questa raccolta inedita, che ha girato per anni in forma di mp3 fra i collezionisti più accaniti, è un ottimo disco e soprattutto una validissima introduzione a ciò che poi saranno gli Unorthodox, un gruppo fondamentale per una certa scena doom, che intitolerà il suo disco di esordio proprio Asylum. Il loro talento qui esce con prepotenza, senza lasciare nulla di intentato, e ci troviamo di fronte ad una notevole opera recuperata con grande merito dalla Shadow Kingdom Records.

Tracklist
1. World In Trouble
2. Mystified
3. Time Bomb
4. Road To Ruin
5. Psyche World
6. Forgotten Image
7. Nowhere
8. Funk 69
9. Indecision
10. Unorthodox

Hate – Useful Junk

Useful Junk segna il ritorno degli Hate, storica hard rock band genovese che ebbe un buon successo nella seconda metà degli anni ottanta.

A dispetto di una tecnologia preistorica rispetto al giorno d’oggi e al passaparola che in molti casi sostituiva il web, gli anni ottanta sono stati per i suoni hard & heavy il periodo d’oro, con l’interesse e l’amore dei fans che non finiva all’ultima nota di un brano o, per i più fortunati ,di un demo tape, ma alimentava la fiamma del rock che ancora brucia in molti di noi.

Settecento presenze ad un concerto sono numeri che oggi si ritengono inarrivabili per qualsiasi band underground, tristemente chiuse in piccoli locali con il più delle volte poche decine di appassionati e quasi tutti con un’età media purtroppo troppo alta, eppure in quegli anni band come i genovesi Hate, con solo due demo tape all’attivo, riuscirono a scrivere questi esaltanti numeri nella storia dell’hard & heavy nazionale: quattro ragazzi genovesi, Enzo Vittoria (bassista e cantante), David Caradonna (chitarra) e Luca Lopez (batteria) e Daniele Ainis (chitarra), ed un sogno che si spezzò quando quest’ultimo scomparve nel 1989 (anche se la band in quel periodo era in una fase di stand by), dopo aver appunto licenziato quei due demo che valsero loro i complimenti degli addetti ai lavori e concerti sempre più seguiti, tra cui si ricorda quello con i giovani Necrodeath di supporto.
Dopo quasi trent’anni gli Hate tornano con questo nuovo album licenziato dalla Diamonds Prod., con un nuovo chitarrista nella persona di Sebastiano Rusca e sette brani di hard & heavy che viaggia nel tempo per poi tornare nel nuovo millennio, forte di quell’appeal che non fa prigionieri, almeno se chi ascolta è un rocker di origine controllata.
Presi per mano dalla bellissima interpretazione di Enzo Vittoria al microfono, ci tuffiamo nel sound di questo pezzo di storia dell’hard rock tricolore con il benvenuto dell’opener Play It Louder, brano roccioso e bluesy di scuola Whitesnake.
Jenny e Do The Right Thing continuano ad alternare rock duro di matrice settantiana a quello più ruffiano del decennio successivo, tra riff massicci e melodie in quota Whitesnake tra lustrini e pailettes del periodo americano.
Il grosso rettile parte sul dirigibile zeppeliniano, e il sound ricorda in effetti l’unico testamento musicale lasciato dalla strana coppia Coverdale/Page (Do The Right Thing), mentre atmosfere southern alla Bon Jovi ammantano di polvere e whiskey la power ballad Pouring Rain e il blues torna a nobilitare il rock duro nella conclusiva This Game.
Useful Junk è un album del quale tutto si può dire ma non che appaia nostalgico, grazie ad un sound che vive di tradizione ma risulta fresco e suonato da un gruppo il cui unico “difetto” è quello di aver atteso troppo per tornare sulla scena.

Tracklist
01.Play It Louder
02.Jenny
03.Do The Right Thing
04.Your Troubles
05.Pouring Rain
06.City Of Dreams
07.This Game

Line-up
Enzo Vittoria – Vocals / bass
Luca Lopez – Drums
David Dido Caradonna – Guitar
Sebastiano “Seba” Rusca – Guitar

HATE – Facebook

Chapter V: F10 – Pathogenesis

Pathogenesis si candida come uno dei migliori lavori dell’anno in campo black metal, e non sorprende più il fatto che provenga dall’inesauribile fucina ucraina.

Con i Chapter V: F10 ritroviamo all’opera uno dei migliori musicisti ucraini, ovvero Astaroth Merc, colui che sta dietro i magnifici Raventale.

Questa volta il nostro agisce in coppia con il vocalist Howler, uno che tiene decisamente fede al proprio nickname in quanto autore di una prova all’insegna di un parossismo vocale che ben si accompagna ad un black metal che non lascia respiro, pur senza smarrire una precisa idea melodica.
Il concept che sta dietro all’operato dei Chapter V: F10 non è dissimile, per certi versi, da quello che rese noti i Carcass, con liriche in lingua madre incentrate sulla malattia vista, però, quasi come un elemento purificatore di un’umanità la cui putrefazione si estrinseca soprattutto dal punto di vista morale.
Come con i maestri inglesi in Necroticism …, in Pathogenesis troviamo inseriti tra i brani principali diversi frammenti campionati di conversazioni che, pur nella loro incomprensibilità per noi occidentali, non fanno certo presagire argomenti piacevoli.
Fulcro del lavoro sono comunque, dal punto di vista musicale, i quattro ordigni sonori intitolati Pathogenesis As Grace, Wrong Alien Endorphin, Nuclear Dogma AN602 e Helvetestoner, brani spettacolari per potenza, impatto, esecuzione e fluidità. Il lavoro chitarristico di Astaroth Merc è quanto di meglio si possa ascoltare nel genere: le sue doti, già mese ampiamente in evidenza con il più cadenzato black doom dei Raventale, qui assumono sembianze sferzanti, emblema di quei micidiali agenti patogeni capaci di spazzare via in un attimo ciò che resta di quel disordinato formicaio chiamato umanità.
Il black metal, nell’interpretazione dei Chapter V: F10, non è ovviamente una novità assoluta ma possiede una freschezza ed una capacitò di coinvolgimento raramente riscontrabili: Pathogenesis si candida come uno dei migliori lavori dell’anno nel genere, e non sorprende più il fatto che provenga dall’inesauribile fucina ucraina.

Tracklist:
01 – Pathogenesis As Grace / Патогенезис Как Блаженство
02 – Xenomorph Synthesis / Синтез Ксеноморфа
03 – Wrong Alien Endorphin / Инородный Ложный Эндорфин
04 – Blame To Human Beings / Обвинение Человечества
05 – Nuclear Dogma AN602 / Ядерная Догма АН602
06 – Mephistopheles Discipline / Трактат Мефистофеля
07 – Helvetestoner / Helvetestoner
08 – Error Circulation / Круговорот Погрешностей

Line-up:
Astaroth Merc
Howler

CHAPTER V: F10 – Facebook

Voidhaven – Voidhaven

Questa prima uscita dei Voidhaven ci regala una nuova band con i cromosomi doom al collocati al posto giusto per offrirci, nel prossimo futuro, un’interpretazione del genere qualitativamente all’altezza di questo graditissimo primo assaggio.

Prima uscita omonima con questo ep per i tedeschi Voidhaven, band che annovera tra le sue fila due membri degli Ophis (Simon Schorneck e Philipp Kruppa)

Con tali premesse, unite al fatto che poi gran parte della band ha un passato anche nei Crimson Swan, nome meno noto ma pur sempre gravitante nella cerchia del doom, il sound offerto è ovviamente ben orientato verso una direzione malinconica seppure piuttosto melodica, grazie anche al ricorso consistente alle clean vocals.

I due brani in scaletta, che si attestano attorno ai dieci minuti di durata, si rivelano sufficientemente probanti riguardo alle potenzialità di questa nuova band, e non è certo un caso se la Solitude se ne è già assicurata le prestazioni.
I Voidhaven raggiungono un ideale equilibrio tra il funeral melodico degli Ophis ed il gothic doom dei Crimson Swan, andandosi ad attestare su territori contigui a Swallow The Sun ed Evadne, in virtù di un sound per lo più dolente ed atmosferico, sporcato solo di tanto in tanto da qualche ruvidezza rappresentata da riff più robusti e dall’uso del growl.
Troviamo così una The Floating Grave nel complesso più suadente mentre, a seguire, Beyond the Bounds of Sleep mostra tratti più drammatici, anche se il cantato pulito normalmente si snoda come avviene nelle band citate, andando a coincidere con i passaggi più intensi dal punto di vista emotivo.
Ne consegue che questa prima uscita dei Voidhaven ci regala una nuova band con i cromosomi doom al collocati al posto giusto per offrirci, nel prossimo futuro, un’interpretazione del genere qualitativamente all’altezza di questo graditissimo primo assaggio.

Tracklist:
1. The Floating Grave
2. Beyond the Bounds of Sleep

Line-up:
Jakob Bass, Vocals (backing)
Martin Drums
Marcos Lege Keyboards
Simon Schorneck Guitars, Vocals
Phil Guitars

VOIDHAVEN – Facebook

Gourmand – Blossoming From The Grave

Con una forza ed una potenza impressionanti al servizio di un sound dalle partiture mai banali, in Blossoming From The Grave vivono in perfetta simbiosi l’anima progressiva e quella estrema.

Una devastante proposta estrema e progressiva in arrivo dagli States e precisamente dal Kansas, firmata da questo ottimo quintetto chiamato Gourmand.

Il secondo album del gruppo, intitolato Blossoming Of The Grave, segue le coordinate del primo lavoro uscito lo scorso anno (The Inquisitionist) permettendogli di affacciarsi con ancora più impeto sulla scena estrema.
Il death metal old school di ispirazione statunitense viene rielaborato in chiave progressiva senza perdere impatto, con una serie di brani diretti, a tratti impreziositi da atmosfere pacate, per poi ripartire come bolidi in corse all’ultima nota, grazie anche ad una tecnica invidiabile dei musicisti presenti.
Con una forza ed una potenza impressionanti al servizio di un sound dalle partiture mai banali, in Blossoming From The Grave vivono in perfetta simbiosi l’anima progressiva e quella estrema in brani spettacolari come Between Vessel and Body, Siren’s Song e The Price Of Cosciousness. I Gourmand sorprendono, la vena melodica si sostituisce alla parte più violenta lasciando spazio ad aperture ariose e a strumentali che sono ben più di semplici riempitivi bensì brani importanti per l’economia dell’album, come per esempio la splendida Redemption.
Il sound di Blossoming From The Grave trae linfa dal death metal tecnico e progressivo, tra Death, Suffocation e Between The Buried And Me, con sprazzi atmosferici che ricordano gli Opeth: queste influenze si tramutano in un affascinante e convincente mosaico di metal estremo suonato da un gruppo di notevole abilità tecnico compositiva.

Tracklist
1. Blossoming From The Grave
2. A Message In Wax
3. Between Vessel and Body
4. Metamorphosis
5. Redemption
6. Siren’s Song
7. Perpetual Sickness
8. The Price of Consciousness
9. Empathy Gap (Ft. Justin Payne of Unmerciful)
10. The First of My Name

Line-up
Luke Adams – Vocals/Cello
Ben Harvey – Bass/Keys/Backing vocals
Scott Prewitt – Guitar
Danny Loomis – Guitar/Backing vocals
Trevor Hall – Drums

GOURMAND – Facebook

Necrotombs – Embalmed With Rotten Flesh

Si parla di alieni e di temi horror e gore attraverso un metal estremo che varia le sue sfumature, passando dal death metal classico di matrice statunitense al doom/death, fino a toccare lidi brutal in un’orgia si sonorità estreme da buon impatto.

I Necrotombs sono la creatura del polistrumentista nostrano Christian “Xerberus” Contran, con un passato nei Rapist e negli Stigmhate.

Questo ferocissimo esempio di death metal old school si intitola Embalmed With Rotten Flesh ed è il secondo lavoro dopo l’esordio dello scorso anno intitolato 37th Parallel.
Si parla di alieni e di temi horror e gore attraverso un metal estremo che varia le sue sfumature, passando dal death metal classico di matrice statunitense al doom/death, fino a toccare lidi brutal in un’orgia si sonorità estreme da buon impatto.
Xerberus la materia la conosce bene e ci fa dono di una raccolta di brani putridi, vere sinfonie brutali di marca death metal, che alternano scorribande ritmiche a lente marce con il fango alle caviglie, brulicante di vermi che affiorano dai resti umani di cavie da laboratorio.
L’atmosfera creata dal musicista nostrano conduce quindi oltre l’oceano Atlantico, e i brani che compongono Embalmed with Rotten Flesh sono vari ed ispirati da un songwriting che sorprende, passando dagli Obituary, ai Morbid Angel, dai Cannibal Corpse ai Suffocation, con disinvoltura e sagacia senza perdere mai il filo di un discorso che ha nell’impatto e nelle atmosfere macabre la propria forza.
Sono tante le tracce che meritano un plauso, dall’opener Strangled With Guts (Obituary oriented) al doom/death della prima parte della title track fino alla brutale Born From a Corpse.
Embalmed With Rotten Flesh, pt.2 è un gioiellino strumentale con parti oscure e dark, picco compositivo di questo ottimo lavoro che non lascerà sicuramente indifferenti i deathsters dai gusti classici.

Tracklist
1.Strangled with Guts
2.Dissolved in Acid
3.Putrefied
4.Embalmed with Rotten Flesh, Pt. 1
5.Emptiness of Solitude
6.Born from a Corpse
7.Embalmed with Rotten Flesh, Pt. 2
8.Forced to Die
9.Frozen to Be Eaten

Line-up
Xerberus – Everything

NECROTOMBS – Facebook

Pestilence – Dysentery

Un nastro che è una pietra miliare: l’alba del death metal nell’Europa continentale.

Un po’ di storia. I primi dischi death metal escono in Florida tra il 1987 e il 1988.

L’Europa risponde con la concomitante scuola svedese (i cui primi album, a partire dallo storico Left Hand Path degli Entombed, escono dal 1990 in poi) e – cronologicamente addirittura prima, sia pure di poco – con i Pestilence di Consuming Impulse (Roadrunner, 1989). In precedenza, la band olandese aveva dato alle stampe il suo esordio (Malleus Maleficarum nel 1988, un concept sulla caccia alle streghe e sul libro tardo-quattrocentesco che l’aveva avviata). All’origine di tutto vi era un demo davvero di culto, Dysentery, inciso naturalmente su cassetta nel 1987 dai Pestilence: qui, con testi che anticipano gli Autopsy e i Defecation, assistiamo a una primissima commistione – che rimane pressoché unica sul continente europeo – di speed-thrash (nello stile degli Slayer di Show No Mercy) e del nuovo genere inventato dai Death, in America. I quattro pezzi di Dysentery sono stati successivamente ristampati, insieme al secondo demo Penance, su CD dalla Vic Records nell’ottobre del 2015.

Track list
1- Against the Innocent
2- Delirical Life
3- Traitor’s Gate
4- Throne of Death

Line up
Patrick Mameli – Vocals / Guitars / Bass
Randy Meinhard – Guitars
Marco Foddis – Drums

https://www.youtube.com/watch?v=6hJYy7L9akU

1987 – Autoprodotto

SKÁLD – Ep

Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Nuovo progetto francese di riscoperta filologica della musica degli skald, i cantastorie vichinghi che tramandavano le gesta dei figli di Odino.

Ultimamente i vichinghi sono molto di moda (anche se la cosa sta scemando), soprattutto per il telefilm Vikings che narra in maniera storicamente raccapricciante le gesta di una delle prime ondate di invasioni in Europa ed oltre. Gli Skaldscandinavi erano figure che incrociavano musica, magia e tanto altro, simili ma differenti rispetto ai bardi, e ci sono giunte a noi un pugno di testimonianze realmente chiarificatrici. Una di esse, la più conosciuta a livello mondiale, è l’Edda in prosa, raccolta dell’islandese Snorri Sturluson, e ancora meno sono le pagine sulla musica degli Skald. Non si sa molto, ma è fuori di dubbio che le loro musiche grazie a ritmi serrati e con particolari modulazioni canore gutturali e non, inducevano il pubblico alla trance, poiché la società vichinga ricercava molto l’esperienza fuori da sè stessi, anche con l’uso di funghi allucinogeni e non solo nel caso dei guerrieri berserk. In questo lavoro edito da Decca, la famosa major di musica classica, troviamo questo trio di cantori specializzato in canto Skald, accompagnati da musicisti che suonano strumenti che si rifanno a quell’epoca. La ricerca filologica è notevole, ed è la caratteristica più importante del disco, dato che tutto viene ricostruito nei minimi dettagli, e non è un’operazione fatta con approssimazione o faciloneria. In questi tre pezzi dell’ep abbiamo un assaggio del disco che uscirà il prossimo novembre, e che sarà un’opera molto coinvolgente e straniante rispetto alla musica moderna che siamo abituati ad ascoltare. La bravura dei tre cantori è pari alla loro preparazione specifica, e anche la parte musicale è notevole. I testi in islandese antico si rifanno alla Völuspá e al Gylfaginning, due parti della Edda. I tre brani sono un qualcosa di molto interessante, che fanno capire quale sarà la cifra stilistica del lavoro, la produzione è assai accurata, ed infatti su di loro puntano sia la Decca Records e la Universal, e non è un investimento da poco, visto anche i tre video che hanno tratto dall’ep. Un lavoro molto interessante e piacevole, che ha il notevole pregio di farci ascoltare una musica che viene direttamente da un altro tempo ,e che come tutte le musiche antiche va ben oltre il significato che diamo attualmente alla musica.

Tracklist
1. Gleipnir
2. Ódinn
3. Rún

Line-up
Justine Galmiche
Pierrick Valence
Mattjö Haussy

SKALD – Facebook

TRST

Il video di Confine, dall’album Origine.

Il video di Confine, dall’album Origine.

I TRST sono una nuova realtà del panorama alternative-rock italiano. Fondata nel 2015 a Pordenone, la band nasce dal bassista e cantante Andrea Marson (voce, basso, chitarra, synth) e dall’idea di voler unire musica di stampo pop con sonorità alternative rock.

Insieme a Joshua Levine (batteria, tastiere) i due uniscono le radici punk con l’amore per la new wave, arricchendo le sonorità del gruppo. Inizia il lavoro sul primo album della band attraverso uno studio attento e approfondito del genere pop, con particolare interesse verso strumenti come pianoforte e sintetizzatori. La lingua scelta dalla band è l’italiano.

Il 12 ottobre i TRST hanno pubblicato il loro primo album dal titolo ORIGINE, registrato agli Artesonika Recording Studio insieme ad Ivan Moni Bidin (Starsick System, ex-Pathosray) e Fabio D’Amore (Serenity).

La band ha lanciato l’album con il singolo CONFINE, un vero e proprio anthem dell’alternative rock made in Italy, che unisce new wave, pop, rock e un ritornello super catchy.

Nei mesi precedenti la band ha rilasciato anche il primo singolo METROPOLIS e la cover di CHEAP THRILLS di Sia, entrambi contenuti nell’album.

Line-up:
Andrea Marson – Voce e Basso
Alessandro Foladore – Voce e Chitarra
Joshua Levine – Batteria
Lorenzo Muscherà – Chitarra

Facebook: www.facebook.com/TRSTband
Instagram: www.instagram.com/trst.music
Mail: trst.band@gmail.com
Spotify: https://spoti.fi/2OQaQHc

Firmo – Rehab

Rehab è un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che ultimamente hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato, consigliato.

Ancora un buon esempio di rock melodico firmato Street Symphonies/Burning Mind Music Group, etichette della grande famiglia Atomic Stuff che licenziano il primo album di Gianluca Firmo, tastierista, cantante e songwriter bresciano, già protagonista del progetto Room Experience.

Rehab è stato registrato negli Atomic Stuff Studio di Isorella, con la supervisione di Oscar Burato e vede il musicista nostrano accompagnato da una band e da una serie di ospiti di livello internazionale, tra cui spiccano il chitarrista Mattia “Noise Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast), Davide Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace) che ha aiutato il nostro per quanto concerne la prestazione vocale, Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast) al basso e Daniele Valseriati (Tragodia) alla batteria.
Gli special guest vanno da Paul Laine (The Defiants, Danger Danger), a Mario Percudani (Hungryehart, Hardline), ed altri non meno importanti per un prodotto altamente professionale e dedicato a tutti gli amanti del rock melodico di classe.
Ovvio che in un album come Rehab troverete solo belle canzoni derivanti da un modo di fare musica rock che si perde negli anni ottanta e che continua ad arrivare a noi tramite il lavoro e la passione di label come quella nostrana: quindi lasciatevi catturare dalle melodie AOR di brani come Shadows And Light o Didn’t Wanna Care, o elettrizzare dall’hard rock d’annata dell’opener A Place Of Judgement Day o dalla title track.
I musicisti danno il loro importante contributo, il suono esce cristallino e Rehab risulta un lavoro riuscito, assolutamente da non perdere per i fans del genere che, ultimamente, hanno potuto trovare nel nostro paese valide alternative ai grandi nomi del passato.

Tracklist
01. A Place For Judgement Day
02. Heart Of Stone
03. Shadows And Lights
04. Maybe Forever
05. No Prisoners
06. Didn’t Wanna Care
07. Unbreakable
08. Don’t Dare To Call It Love
09. Cowboys Once, Cowboys Forever
10. Rehab
11. Until Forever Comes
12. Everything

Line-up
Gianluca Firmo: Lead & Backing Vocals, Keyboards
Davide “Dave Rox” Barbieri (Raintimes, Room Experience, Wheels Of Fire, Charming Grace): Backing Vocals
Mattia “Noise Maker” Tedesco (Vasco Rossi, Gianluca Grignani, Candies For Breakfast): Guitars
Nicola Iazzi (Hardline, Candies For Breakfast): Bass
Daniele Valseriati (Tragodia): Drums & Percussion

SPECIAL GUESTS:
Paul Laine (The Defiants, Danger Danger): Backing Vocals
Mario Percudani (Hungryehart, Hardline): Guitars
Stefano Zeni (Wheels Of Fire, Room Experience): Guitars
Carlo Poddighe: Guitars Pier Mazzini (Danger Zone): Keyboards
Andrea Cinelli: Piano
Alessandro Moro: Sax

FIRMO – Facebook

ATHROX

Il lyric video di Empty Soul, dall’album Through the Mirror in uscita a novembre (Revalve Records).

Il lyric video di Empty Soul, dall’album Through the Mirror in uscita a novembre (Revalve Records).

https://youtu.be/vQXeUegtZL4

Enjoy the first lyric video “Empty Soul” of the new ATHROX album “Through the Mirror”, album will be released on November 9th via Revalve records.

Pre-order the record here:
https://player.believe.fr/v2/3615934288249
https://apple.co/2OZixhw
https://www.revalverecords.com/Athrox.html

Athrox is the brainchild of the guitar player Sandro Seravalle and the drummer Alessandro Brandi, with the addition of Francesco Capitoni at the guitar and the bassplayer Andrea Capitani. The lineup found its final shape with the singer Giancarlo Picchianti. With these members Athrox started the songwriting process for their first full lenght album entitled Are you alive? featuring 11 brand new heavy metal tracks released by Red Cat Records in 2016. Athrox music style is a powerful mixture of heavy metal with thrash elements, but characterized by different elements which brought the band to a great response from critics and audience. The lyrical concept behind Are you alive? features the rising problems of mankind: war and massive new media problems which enslaved our free will and sensibility. Are you alive? is the question Athrox would like to ask to everyone, to everyone enslaved by this corrupted society. The live activity has led the Athrox to share the stage with great artists such as Iced Earth, Ross The Boss, Mike Le Pond, Phil Campbell and many others, playing in local and renowned festivals. Now the band is working for the new album Through the Mirror, which is going to be released on November 9th 2018 via Revalve Records.

http://www.athroxofficial.com/
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http://instagram.com/athroxofficial
http://twitter.com/OfficialAthrox

METEORE: PHLEGETON

Precursori della attuale scena finnica, i Phlegeton sono da riscoprire per godere appieno della loro grande capacità compositiva e delle loro ammorbanti atmosfere.

Penso tutti sappiano cosa sia una meteora. Un corpo celeste che entrando nella nostra atmosfera si incendia a causa dell’attrito e con elevata velocità passa alla nostra vista seducendoci con la sua bellezza per poi scomparire. La meteora può passare accanto al nostro pianeta senza impattarlo mai, in alcuni casi può anche creare sconvolgimento e panico colpendolo. In senso musicale molte ne sono cadute ed a volte ancora ne cadono sul pentagramma della storia della musica. Questa rubrica vuole essere uno strumento astronomico in grado di individuarle e permetterci di analizzarle, catalogarle per capire se saranno in grado di colpirci oppure solamente sfiorarci per poi morire.

PHLEGETON

Da considerare come pioniera della scena finnica, la band proveniente da Joensu (FIN) è ancora “on hold”, ma è stata veramente attiva dal 1989 con una serie di demo, un EP (Fresco Lungs, 1991) e uno split con Tormentor, Atrocious, Funebre sempre dello stesso anno. Preso il nome da uno dei cinque fiumi infernali qu,esti artisti hanno inglobato nel loro sound nobili derive death (Morbid Angel, Death), influenze thrash e techno thrash (Slayer, Pestilence) e un gusto melodico “weird” per un risultato che ai tempi dimostrò personalità e assoluta qualità con brani medio lunghi dallo sviluppo cangiante e con un grande suono di chitarra. Di assoluto interesse la compilation doppia Drifting from the crypt edita nel 2010 dalla etichetta Xtreem, contenente ogni nota registrata dalla band. Togliamo la polvere da questa gemma perduta ricordando anche che il loro leader Lasse Pyykko oggi suona con gli Hooded Menace, nome di punta del panorama doom death europeo.

Discografia
– Fresco Lungs (1991) mini
– Split (1991) with Tormentor / Atrocious / Funebre
– Drifting From the Crypt (2010) collection

https://www.youtube.com/watch?v=7va9PRZYbsU

Soulfly – Ritual

Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto.

Ritual, il nuovo lavoro dei Soulfly, cattura il gruppo capitanato da Max Cavalera nel momento migliore degli ultimi anni.

I Soulfly sono una band che non deve innovare nulla, ma che in compenso hanno il durissimo compito di essere sempre all’altezza del loro blasone e della loro fama. Come una squadra con un certo palmares le cadute contano doppio, e sebbene la loro carriera sia sempre stata su buoni livelli era il momento di una riscossa, e Ritual è proprio il disco giusto. L’aggressività musicale sale di livello e si torna ai Soulfly più veraci, con una produzione che riesce a valorizzare il tutto. Il suono cambia leggermente soprattutto nel maggior respiro delle canzoni, che sono più ampie e con elementi diversi al loro interno, sviluppando maggiormente la composizione rispetto agli episodi precedenti. Una delle maggiori peculiarità è Zyon Cavalera alla batteria: il figlio di Max è davvero un batterista interessante e molto intenso, forse non ancora del livello e della ricchezza musicale dello zio Igor, ma ci stiamo avvicinando.
L’ultima fatica di Max e compagnia ha un suono molto incattivito che attinge pienamente dalle radici metal del gruppo, mentre i temi trattati sono quelli di sempre, ma declinati in maniera maggiormente oscura e marcatamente horror. La scelta del titolo, Ritual, calza a pennello perché come dice lo stesso Max, il metal è un rituale che ha i suoi tempi e i suoi modi, e questo disco è un rituale della famiglia Soulfly, che include chi sta sopra e sotto il palco. Max è in forma come non lo era da tempo, ed il resto del gruppo lo segue molto bene per un risultato che rende Ritual uno degli album migliori dei Soulfly.
Intensità, velocità, cattiveria, incisività, e capacità di far divertire e pensare con il metal, questi sono i Soulfly e tutto ciò è dentro Ritual.

Tracklist
1. “Ritual”
2. “Dead Behind the Eyes” (featuring Randy Blythe)
3. “The Summoning”
4. “Evil Empowered”
5. “Under Rapture” (featuring Ross Dolan)
6. “Demonized”
7. “Blood on the Street”
8. “Bite the Bullet”
9. “Feedback!”
10. “Soulfly XI” (instrumental)

Line-up
Max Cavalera – Vocals and Rhythm Guitar
Marc Rizzo – Lead Guitar
Mike Leon – Bass Guitar
Zyon Cavalera – Drums

SOULFLY – Facebook

Marrasmieli – Marrasmieli

Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Il fatto che ci si occupi della prima uscita dei Marrasmieli, nonostante si tratti di un singolo, è motivato da due aspetti fondamentali, ovvero la lunghezza complessiva del lavoro che raggiunge i venti minuti, durata buona anche per un ep, oltre al fatto che l’etichetta che ne cura l’uscita è la Naturmacht, quanto basta perché il tutto sia meritevole d’attenzione.

Ce ne sarebbe in realtà un terzo, ma quello lo si può scoprire solo a posteriori, cioè la bontà oggettiva dell’operato di questo trio finlandese, capace di disimpegnarsi abilmente con un pagan black ricco di buon gusto melodico e compositivo.
La traccia autointitolata presenta in maniera esemplare questi aspetti , senza accentuare certi elementi folk che si palesano invece nella più lunga e diretta What Nature Fears, nella quale i nostri sconfinano a tratti nei territori di competenza dei Finntroll, anche se si percepisce sempre un’impronta più marcatamente estrema rispetto ai profeti dell’’humppa metal.
Buona la prima, quindi, per competenza, intensità ed impatto, anche se il giudizio nei confronti dei Marrasmieli resta inevitabilmente sospeso in attesa di un’uscita più probante a livello quantitativo.

Tracklist:
1. Marrasmieli
2. What Nature Fears

Line-up:
Nattvind – vocals & drums
Zannibal – guitars
Maelgor – bass

MARRASMIELI – Facebook

Switchblade Jesus/Fuzz Evil – Second Coming Of Evil: Chapter 7

Second Coming Of Evil: Chapter 7 risulta è uno degli split più interessanti degli ultimi tempi, almeno per quanto riguarda lo stoner/sludge, presentando una coppia di band assolutamente da non perdere se siete amanti di queste sonorità

Uscito qualche tempo fa, questo split, come suggerisce il titolo, è il settimo capitolo dell’interessante iniziativa della Ripple Music, che consiste nel portare in superficie ottime band underground con questo tipo di uscite curate nei minimi dettagli.

Il settimo sigillo della label presenta due notevoli band statunitensi, i pesantissimi texani Switchblade Jesus e gli heavy/rocker dell’Arizona Fuzz Evil.
Il trio proveniente dal Texas risulta attivo dal 2010, con il debutto omonimo risalente al 2013: i tre brani presenti in questo split risultano altrettante mazzate heavy/stoner/sludge rock, attraversate da un’aura psichedelica ed un’attitudine vintage che ci riporta negli anni settanta.
Snake And Lion è un brano hard rock che si muove tra pesantezza sludge, blues acido e psych rock travolgente, mentre la seguente Wet Lungs, si apre con un cameo country per poi lasciare spazio ad un riff in crescendo, monolitico e cadenzato.
Heavy Is The Mountain è un perdersi nel deserto affrontando il caldo letale, un trip psichedelico, un incubo stoner/sludge rock che lascia spazio al rock’nroll dei Fuzz Evil.
Altro trio, la band proveniente dall’Arizona mostra un impatto più rock, con uno stoner desert urgente e diretto dal quale scaturiscono quattro scariche di adrenalina dalle quale fanno capolino gli Stooges.
Anche per i Fuzz Evil il mood è settantiano, grazie ad un rock vintage drogato da iniezioni letali di stoner rock che unisce in una jam psychedelica Stooges e Kyuss: una manciata di tracce per convincere l’ascoltatore travolto dalla forza dei loro colleghi texani ed ora ringalluzzito dall’onda desert rock’n’roll di Better Off Alon, Grave And Cupids, If You Know e la più marcia e strippata Flighty Woman.
Second Coming Of Evil: Chapter 7 è uno degli split più interessanti degli ultimi tempi, almeno per quanto riguarda il genere, presentando una coppia di band assolutamente da non perdere se si è amanti di queste sonorità.

Tracklist
1.(Switchblade Jesus) Snakes And Lions
2.(Switchblade Jesus) Wet Lungs
3.(Switchblade Jesus) Heavy Is The Mountain
4.(Fuzz Evil) Better Off Alone
5.(Fuzz Evil) Grave And Cupids
6.(Fuzz Evil) If You Know
7.(Fuzz Evil) Flighty Woman

Line-up
Switchblade Jesus :
Jon Elizondo – Drums
Eric Calvert – Guitars
Chris Black – Bass

Fuzz Evil :
Wayne Rudell – Vocals, Guitars
Joseph Rudell – Vocals, Bass
Orgo Martinez – Drums

SWITCHBLADE JESUS – Facebook

Arcane Tales – Legacy Of The Gods

Gli Arcane Tales sono la versione musicale dei racconti scritti di Luigi Soranno, scrittore e polistrumentista veronese giunto al quarto full length della sua one man band.

Gli Arcane Tales sono la versione musicale dei racconti scritti di Luigi Soranno, scrittore e polistrumentista veronese giunto al quarto full length della sua one man band.

Soranno costruisce la degna colonna sonora ai suoi racconti fantasy, suonando tutti gli strumenti e dedicandosi con ottimi risultati al microfono, creando una serie di brani di epico e sinfonico power metal.
Un altro bellissimo concept conferma il talento di questo artista nostrano, che tutto solo come un guerriero errante dà vita ad un’opera che poco ha da invidiare ai nomi che più riecheggiano nella nostra mente all’ascolto di Legacy Of The Gods.
Rhapsody e compagnia di cavalieri senza macchia e paura sono ovviamente le ispirazioni primarie per la musica degli Arcane Tales, anche se le atmosfere sono più oscure ed il symphonic power metal di brani come la title track o il piccolo devastante capolavoro The Angel Of Death è più estremo, specialmente nelle ritmiche che risultano veloci e potenti come un attacco a sorpresa di un gruppo guerriero ad un sperduto villaggio.
Soranno dimostra di possedere più di un talento oltre alla bravura come quale di opere di genere e scrittore, alzando la qualità di un songwriting che non trova ostacoli o cedimenti.
Se proprio si vuol trovare un difetto, la produzione non risulta all’altezza della musica composta, dettaglio perdonabile e superato dalla di gran lunga dalla bellezza di queste nove composizioni.
Chi non conosce gli Arcane Tales si avvicini senza timore a quest’opera di power metal sinfonico che, se risulta debitrice nei confronti dei Rhapsody, riesce a coinvolgere non poco.

Tracklist
1. Divine Fire Burns Within
2. Breaking The Hard Chains Of Destiny
3. Legacy Of The Gods
4. Pathway To A Forbidden Place
5. Inside The Arcane Reign
6. The Angel Of Death
7. Between These Silent Shores
8. Axes And Hammers
9. Magic Horizons At Nightfall

Line-up
Luigi Soranno – Voice, guitars, ritmic & orchestral section programming

ARCANE TALES – Facebook

HAKEN

Il video di “A Cell Divides”, dall’album “Vector” (InsideOut).

Il video di “A Cell Divides”, dall’album “Vector” (InsideOut).

A una settimana dalla release del nuovo album “Vector” gli HAKEN ci presentano il video di “A Cell Divides”, l’ultimo singolo estratto. “Vector” sarà pubblicato la prossima settimana, il 26 ottobre 2018, su InsideOutMusic. L’album è stato prodotto dalla band stessa e registrato e mixato da Adam ‘Nolly’ Getgood (Periphery, Devin Townsend Project).

“Vector” sarà disponibile in Limited edition 2CD Mediabook (con tutto il disco in versione strumentale), 2LP+CD, CD e in digitale. Disponibile il preorder: https://haken.lnk.to/Vector

Di seguito la tracklist:

Clear
The Good Doctor
Puzzle Box
Veil
Nil By Mouth
Host
A Cell Divides

Ricordiamo inoltre che gli HAKEN saranno in Italia per un’unica data il 9 marzo 2019 presso i Magazzini Generali di Milano.

The band recently launched a video for the album’s first single, titled ‘The Good Doctor’.

The band says of the track: “Finally, the prescription you’ve all been waiting for… This dose of Haken is the result of one of the earliest tests we conducted during the Vector experimental process. Best taken aurally three times a day before meals. ‘The Good Doctor’’will see you now!”

They add on the video: “Making this video was a very cool, creative experience for us. Our director Stuart White presented his interpretation of the song in which we follow a man experiencing a manic, psychotic episode. Combined with the band footage, it encapsulates the energy of the song splendidly.”

The band will embark on an epic tour starting this October in North America, and the band recently announced South American & European tour dates for 2019. Find the full list below of recently confirmed dates below:

Latin America 2019
26th January – Teatro Teleton, Santiago, Chile
27th January – Groove, Buenos Aires, Argentina
29th January – Caricoa Club, Sao Paolo, Brazil
30th January – Auditorio Centro De La Amistad Peruano China, Lima, Peru
1st February – Lunar, Mexico City, Mexico

Europe 2019
15th February – Academy 3, Manchester, UK
16th February – St Luke’s, Glasgow, UK
17th February – The Fleece, Bristol, UK
19th February – Essigfabrik, Cologne, Germany
20th February – Batschkapp, Frankfurt, Germany
21st February – Übel & Gefährlich, Hamburg, Germany
22nd February – Lille Vega, Copenhagen, Denmark
23rd February – John Dee, Oslo, Norway
24th February – Debaser Strand, Stockholm, Sweden
26th February – Columbia Theater, Berlin, Germany
27th February – Kwadrat, Krakow, Poland
28th February – A38, Budapest, Hungary
2nd March – Szene, Vienna, Austria
3rd March – Futurum, Prague, Czech Republic
4th March – Conne Island, Leipzig, Germany
6th March – Im Wizemann, Stuttgart, Germany
7th March – Backstage Halle, Munich, Germany
8th March – Kiff, Aarau, Switzerland
9th March – Magazzini Generali, Milan, Italy
10th March – Transbordeur, Lyon, France
12th March – Mon Live, Madrid, Spain
13th March – Kafe Antzokia, Bilbao, Spain
14th March – La Maroquinerie, Paris, France
15th March – De Boerderij, Zoetermeer, Netherlands
16th March – Islington Assembly Hall, London, UK
23rd March – Tavastia, Helsinki, Finland

Full ticket details as well as all upcoming dates including North America can be found here: https://www.hakenmusic.com/tour

To celebrate the announcement of the new album, the band ran a competition for one lucky fan’s artwork to be etched into the fourth side of the vinyl version of the record. They invited people to submit their own version of the Rorshach test ink-blot which graces the album cover, and the winner was revealed as Shakoor Bukhuth aka SHAUN BEYOND.

Since their inception in 2007, Haken have shown over four previous studio albums, one EP and a live release that they never stand still, merely satisfied to rely on past triumphs. Rather, Haken always look for ways to challenge themselves as musicians and artists, and also to keep the listeners on their collective toes. “We don’t like to make simple music,” laughs vocalist Ross Jennings. “We always aim to defy expectations, and I believe we’ve surpassed what we aimed to achieve with our new album.”

Their fifth studio record sees the band going in a heavier direction with the music. “We’ve always had a heavy influence”, explains guitarist Charlie Griffiths, “but it was obvious from the riffs that were naturally coming out of us early in the writing process that this would be a more metal album. These are some of the most riff driven songs we’ve ever written.” As is usual, Haken produced the album themselves, but for the first time they have enlisted Adam ‘Nolly’ Getgood during the recording and mixing stages. Formerly bassist with Periphery, in the last couple of years he has built a reputation as a fine producer. “We produced the album ourselves, as we always do,” insists Jennings. “but we’re fans of what Adam has done with Periphery, Sikth and Devin Townsend. He has a great reputation for the heavier end of our genre”.

But if this album is musically heavy, then there’s an underlying theme running through the seven songs which is certainly esoteric and fascinating. “The scene is set with the track The Good Doctor, which was a really fun song. Musically it feels like a logical step from ‘Affinity’, but lyrically it’s a bit more theatrical and about as ‘rock opera’ as Haken has ever got”, explains Griffiths. “It’s about a Doctor with an intriguing, perhaps sinister interest in a particular patient. From there the story enters the point-of-view of the patient – who appears to be catatonic, but his mind is sparking with what could be memories, or delusions brought on by the treatment he’s receiving – we leave this up to the listeners to decide. Although we don’t want to give too much away, people who are familiar with our back catalogue will have fun discovering further clues we’ve planted throughout the album. And that’s the challenge for the fans – to find out for themselves their own meaning for ‘Vector’ as an album”.

HAKEN are:
Ross Jennings
Richard Henshall
Charlie Griffiths
Diego Tejeida
Conner Green
Ray Hearne

HAKEN online:
www.hakenmusic.com
www.twitter.com/Haken_Official
www.facebook.com/HakenOfficial

Chaos Over Cosmos – The Unknown Voyage

The Unknown Voyage ha nelle note del synth la sua arma migliore, protagoniste di atmosfere futuriste e psichedeliche, anche se la tradizione metal/rock è ben in evidenza.

Sicuramente da considerare come una band metal prog, arrivano al debutto i Chaos Over Cosmos, duo polacco/spagnolo formato da Rafal Bowman (chitarra, synth e programming) e Javier Calderon (voce).

The Unknown Voyage, album che troverete gratuitamente sul web, è un bellissimo lavoro che racchiude in sé una manciata di generi in un’unica proposta, assolutamente progressiva, melodica ma che non nasconde una vena estrema di matrice scandinava.
I Chaos Over Cosmos miscelano in un cocktail metallico prog metal, melodic death e power confezionando quattro lunghe jam di cui tre superano i dieci minuti e solo l’opener A Hidden Path (che funge da intro) rimane confinata in un minutaggio di tre minuti.
Il concept del viaggio spaziale influisce non poco sull’aura psichedelica che aleggia sui brani, da Amour of The Stars (Xenogears), alla settantiana They Will Fall, lungo brano cadenzato che ricorda i Black Sabbath era Dio, dall’incedere evocativo ed epico che si trasforma in un brano heavy veloce e progressivo.
The Compass è il brano più progressivo del lotto, il viaggio del duo continua toccando rive musicali che ricordano gli Edge Of Sanity di Crimson, mentre la conclusiva They Sky Remembered My Name torna su lidi prettamente prog metal dal tagli psichedelico.
Buon ascolto per gli amanti dei suoni progressivi moderni, The Unknown Voyage ha nelle note del synth la sua arma migliore, protagoniste di atmosfere futuriste e psichedeliche, anche se la tradizione metal/rock è ben in evidenza, specialmente nella monumentale They Will Fall.

Tracklist
01. A Hidden Path
02. Armour of the Stars (Xenogears)
03. They Will Fall
04. The Compass
05. The Sky Remembered My Name

Line-up
Rafal Bowman – Guitars, Synth, Programming
Javier Calderon – Vocals

CHAOS OVER COSMOS – Facebook

In Britain: i Napalm Death dal crust punk al death-grind

1. Un anno basilare il 1977. Il rock, come sempre voce del disagio giovanile, riesce ad oltrepassare i limiti di una lettura razionale ed a cogliere tutto il lato simbolico ed emotivo di questo disagio, trasformandolo in ribellione. Dall’Inghilterra, arriva l’urlo nichilistico dei Sex Pistols, No Future. In Italia i centri sociali lo amplificheranno in tutta la sua potenza anarcoide. Band come Clash, Carcass e gli oscuri Cure daranno vita ad una scena musicale capace di evolversi, in seguito, in altre forme più estreme (crust punk, hardcore, grind, thrash e death), come qui di seguito andremo a analizzare.

2. Dici Grindcore e pensi ai Napalm Death. Descrivere questo genere, senza citarne i veri padri fondatori, sarebbe come parlare del Futurismo dimenticandoci del Manifesto di Filippo Tommaso Marinetti. Quando un genere musicale nasce, notoriamente possiede più padri (ed un’unica madre, ossia la passione per la musica stessa). Pensiamo al thrash o al death e ci vengono in mente almeno dieci band genitoriali (e tre o quattro nazioni). Il caso del Grindcore è forse più unico che raro. Esso possiede un’identità ben definita, un’unica terra Natale (l’Inghilterra) e un solo ed unico padre. Per riprendere il paragone con il Manifesto del poeta, scrittore e drammaturgo italiano, non possiamo esimerci dal citare almeno i primi due punti essenziali del testo che paiono scritti ad emblema del messaggio che i Nostri, esattamente settantadue anni dopo, hanno voluto lasciare ai posteri: a) noi vogliamo cantare l’amor del pericolo, l’abitudine all’energia e alla temerità; b) il coraggio, l’audacia, la ribellione, saranno elementi essenziali della nostra poesia.
Vogliamo parlare del coraggio, dell’amor del pericolo, dell’audacia e dell’abitudine all’energia, di questi ragazzacci di Birmingham, che agli albori degli anni ’80 (a quei tempi si facevano chiamare Civil Defence), si permisero di proporre un genere assolutamente in contro-tendenza con i canoni fondamentali della musica (almeno quella di allora)? Nel 1981, per estremo si intendeva al massimo Welcome to Hell dei Venom (Reign in Blood uscì solo nel 1986 e i Death, così come i Bathory, uscirono solo nel 1984, e comunque sempre uno step indietro – in termini di violenza sonora – da quanto proposto dal combo inglese). Certo, ai tempi di demo come Halloween e And, Like Sheep, We Have All Gone Astray (i primi due, usciti nel lontano 1982) c’era ancora tanto Punk e Hardcore. Comprensibile! D’altronde, l’allora terzetto di Birmingham (Nic Bullen alla voce, Miles Ratledge alla batteria e Daryll Fideski alle chitarre, poi divenuto quartetto con l’ingresso di Finbar Quinn al basso) arrivava direttamente dagli sconquassi social-musicali della stravolgente scena punk inglese. Ma già a quei tempi preistorici, si intravvedeva una ricerca di un’energia al di là di quanto espresso dalla scena di allora. Un’estenuante necessità di correre alla velocità della luce, quasi a fuggire dalle meschinità della società post anni ‘70 (almeno nella visione punk del periodo) o a corrergli contro, urlando il proprio disprezzo. E forse, ad un certo punto, si accorsero che il nome di Civil Defence fosse troppo ‘leggero’. Ci voleva qualcosa di potente e distruttivo, che ardesse tutto e tutti, e che emanasse forte odore di bruciato: Napalm Death, appunto! Ma, tutto ciò, non rappresentava che l’inizio; il progetto era ancora grezzo, indefinito; un diamante sì bello, ma ancora finemente da tagliare.
Nel 1985 – la leggenda racconta – in un negozio di dischi di Birmingham, Nic Bullen incontra un giovanissimo chitarrista – Justin Broadrick – che si unisce al gruppo. E’ un momento decisivo per la band (onestamente nella loro storia, di circostanze determinanti per i loro cambiamenti, ce ne sono state poi parecchie). Esce Hatred Surge, il demo tape che abbandona, quasi definitivamente, ogni collegamento col passato: non più anarcho-punk o crust punk, non più Amebix o Crass. Un suono nuovo, devastante, mai ascoltato prima di allora. Per inciso, la chiave del loro successo, probabilmente fu proprio la demo del 1985. E’ con questa uscita, infatti, che scandalizzati critici musicali iniziarono ad appioppare alla musica dei ND, il sostantivo di ‘rumore’; pensando di cucinare per bene questi “presunti musicisti da quattro soldi”, stroncandoli con piogge di critiche, spesso mai troppo benevole, finirono – a loro insaputa – per farne la loro fortuna.
Ma fu l’arrivo di Mick (Harris) a fa virare i Napalm Death verso lidi molto più caotici, assordanti, passando attraverso velocità mai sperimentate, prima di allora. Sostituendo Ratledge alle pelli (mentre Bullen divenne anche bassista, sostituendo Shaw, che a sua volta aveva sostituito il primo Quinn), rielaborò quasi tutti i pezzi sino ad allora composti, riducendone drasticamente le durate, ri-arrangiando il sound, rendendolo molto più brutale e più veloce. Con questi presupposti si arrivò all’incisione di due demo: From Ensalvement to Obliteration e Scum, poi divenuti i celeberrimi omonimi album (con alcune eccezioni, nelle rispettive track list), e fiori all’occhiello della storia musicale dei Nostri.
Ma è il 1987 che consacra il combo a vera icona dell’estremo. Oramai diciamo che si era già sparsa la voce e, grazie anche al tape-trading, i Napalm Death incominciavano a farsi conoscere, anche nella scena d’oltre oceano. Iniziarono a condividere idee e pensieri con band (allora nascenti) del calibro di Heresy , Unseen Terror, Extreme Noise Terror e Ripcord (tutti loro connazionali) e ancora Siege, Macabre, Cryptic Slaughter, Repulsion (USA). La fama giunse alle orecchie di un certo Digby Pearson, proprietario dell’allora minuscola etichetta Earache. Pearson ne vide le potenzialità (e sicuramente la possibilità di rendere famosa la propria etichetta) e li mise sotto contratto; uscì quindi Scum. Le novità rispetto alla precedente formazione furono: al basso un allora sconosciuto Jim Whitely (divenuto poi front-man di famosissime band, con diversi pseudonimi come ‘Jimbo’ e ‘Big Jim Grinder’, quali Extinction of Mankind, Prophecy of Doom, Filthkick, Doom e Ripcord), e alla chitarra un certo Bill Steer (Carcass) e uno sconosciutissimo Lee Dorrian (anche se molte track erano allora ancora cantate da Bullen).
Se Scum, lo possiamo affermare con certezza, rappresentò il primo vero album di Grindcore (l’album che sconvolse le masse, con accelerazioni spaventose, sonorità più affini ai rumorismi sperimentali di storiche band quali i Throbbing Gristle e gli Swans, vocalizzi più simili a schizoidi gorgoglii di un lavandino, tracce di una brevità sconcertante – You Suffer tocca l’apice, con il suoi eterni 00:01 secondi…), From Enslavement To Obliteration (uscito l’anno dopo) ne rappresentò il vero Manifesto Futurista. Qui troviamo una formazione che si consolida nella storia, e che rimarrà, negli anni a venire, nei cuori di tutti i ‘grinders’ più nostalgici e malinconici. Chi può affermare di non aver amato Lee Dorrian alla voce (cupissimi growls e schizoidi urli che hanno tracciato le linee guida del genere), Bill Steer alla chitarra (un favoloso chitarrista, divenuto, poi, un’icona con i suoi Carcass), Shane Embury al basso (anche lui un prime-mover, con i suoi Unseen Terror, poi successivamente leader incontrastato di Brujeria e Lock Up, per citarne qui solo alcuni), ed infine, ovviamente l’anima e core della band, Mr. Mick Harris alla batteria?
Il seguito, tra centinaia di concerti, alcuni split (tra cui quello famosissimo con i giapponesi S.O.B.) e una seconda edizione delle celebri Peel Sessions (la prima è datata 1987), ci porta ad un fatidico agosto del 1989, che vede l’uscita di un mini, non capito da molti fan, Mentally Murdered. Anzi, ad onore del vero, considerato da alcuni un vero e proprio tradimento. Un mini lp di 4 canzoni… della durata totale di 15 minuti e mezzo! Signori, il Grindcore – per come era stato inteso, sino a quel momento – venne considerato definitivamente defunto… o almeno defunta era la fase Grindcore dei Nostri. Sonorità estreme si, ma molta più ricerca e tecnica compositiva, sounds spesso accostabili al death (oramai divenuto l’estremo più ascoltato di quegli anni), cancellarono ogni parvenza musicale riconducibile al primo Grindcore, all’Hardcore, al Crust Punk.
Forse per questa ragione (e forse per svariate altre: Bill Steer lasciò, per esempio, la band solo per dedicarsi completamente ai suoi Carcass, che divenivano, ogni giorno di più, leader incontrastati del Goregrind), la formazione cambiò. Entrarono, alle chitarre, Mitch Harris (già leader dei grinders Righteous Pigs) e il compianto Jesse Pintado (come non ricordare i Terrorizer di World Downfall?); ma soprattutto, Lee Dorrian (che fondò, a quel tempo, i doomsters Cathedral), fu sostituito da un allora giovanissimo (ma già divenuto famoso per i suoi Benediction) Mark “Barney” Greenway.

3. Trovata la stabilità cercata, i Napalm decisero, assecondando anche la passione mai sopita e mai nascosta di Embury e del chitarrista Harris, di rendere più pesante il loro suono, non svoltando completamente verso il death ma incorporandolo in modo naturale nel loro sound. Affidandosi alle sapienti mani di Scott Burns, ai tempi il re Mida del death, andarono ai famosi Morrisound Studios, un passaggio obbligato per ogni gruppo dedito a queste sonorità. Il risultato, nel 1990, fu Harmony Corruption, che sconvolse il popolo Grindcore, non pronto a una svolta così decisa da parte dei loro beniamini; non tutto, ma molto death si trova nei solchi di quest’opera, che esce nello stesso anno (1990), di Left Hand Path degli Entombed, non sfigurando, ma neanche centrando completamente il bersaglio; la produzione, nonostante Burns, non è ancora perfettamente calibrata, con le due chitarre un po’ schiacciate dal suono della batteria, ma brani come Suffer the children e It the truth be known dimostrano, ampiamente, che la convinzione è notevole e che la strada si deve percorrere. Mick Harris, guru e prime mover del Grindcore, lascia la band, forse non convinto completamente della direzione intrapresa e viene prontamente sostituito da Danny Herrera. Così la band instancabile nel 1992 propone Utopia Banished, maturando ulteriormente quella fusione tra grind, (crust) punk e death. Pintado sforna riff memorabili ed il sound è selvaggio, violento e in alcune parti decisamente anche tecnico. Christening of the Blind e Aryanism sono autentiche mazzate in faccia, sorrette dalle vocals di Barney, incisive e pronte a declamare testi mai banali, improntati sul sociale e sulla degradazione umana. La tesissima e claustrofobica Contemptuous dimostra che la band ha anche altre frecce da scoccare nella sua faretra. Incredibilmente, la band non ha variazioni di formazione e prosegue lo sviluppo del suo suono proponendo nel 1994 Fear, Emptiness, Despair, forse l’apice da quando hanno ‘osato’ abbandonare il puro grind; i cinque musicisti, in grande spolvero, ci donano undici brani cattivi, strutturati con grandi riff, semplici e travolgenti, accostati a suoni dissonanti, generando un’atmosfera devastante ed allo stesso tempo claustrofobica (State of Mind); la ferocia hardcore rimane immutata, ma è innestata in una materia cangiante e assolutamente ispirata. Scena musicale in continuo movimento negli anni ’90 ed i Napalm Death forse si fanno prendere troppo la mano; in perenne movimento in sede live, dal punto di vista discografico, nel 1995 (Greed Killing, un EP) e nel 1996 (Diatribes), danno alle stampe due dischi non perfettamente centrati: vogliono incorporare nel loro sound parti di groove metal, tracce industrial, nu metal ed il risultato non da i frutti sperati. Intendiamoci, se si togliesse il monicker Napalm Death sarebbero due buoni dischi, ma chi ha fatto la storia non può permetterselo; il sound sembra stratificato su diversi piani, con la voce di Barney troppo pesante per la struttura dei brani, che oltrettutto sono a volte poco ispirati per la presenza di troppi ingredienti forse mal pesati. Sono quasi irriconoscibili i ND, mancando la ferocia e la cattiveria a cui ci hanno abituati; riescono raramente ad accendere l’interesse (Cold forgiveness), senza però riuscire a mantenerlo alto. Due dischi che chiaramente divisero la critica e il pubblico, che apprezzò molto relativamente la loro scelta; invito il lettore a mettere nel lettore cd in successione Fear e Diatribes per capire la differenze di suono ed emozionali che ne derivano. I Napalm Death hanno però troppo credito, hanno fattto la storia e non si può credere che possano aver imboccato una strada che non li rappresenti, è giusto guardare al futuro, trarre ispirazione per produrre arte sempre nuova e coinvolgente; sono transitati dal grind al death, con buona naturalezza e hanno rilasciato opere fondamentali, ma forse ora hanno bisogno di correggere la rotta. A distanza di solo un anno, nel 1997 esce Inside the torn apart che inizia a riportare il loro suono su coordinate più consone ai Napalm: introdotto da un opener fantastica come Breed to Breathe, potente e agile il disco, non tutto dello stesso livello, non depone completamente i suoni del precedente, ma mostra incoraggianti segnali di cattiveria che forse ora è meno selvaggia, ma più controllata. Assolutamente non è tra i primi acquisti da fare per conoscere questa band seminale, forse non ci sono brani cosi memorabili, ma rappresenta un buon ritorno a qualcosa che si svilupperà poi successivamente di lì a poco.

4. Nel 1998 i Napalm Death pubblicano sempre per la Earache Words From the Exit Wounds. Qui, il sound aggressivo e moderno degli ultimi dischi viene confermato, non senza sperimentazioni di tipo industrial, sulla scia dei Killing Joke più claustrofobici e violenti. Si tratta di un lavoro di notevole e grande maturità artistica, anche sotto il profilo della scrittura musicale, con una marcata attenzione per la cura dei suoni e le nuove e più aggiornate tecnologie di incisione.
A questo punto, il gruppo di Birmingham sente evidentemente di avere concluso una stagione della propria storia e puntuale arriva il live (semi-ufficiale), Bottlegged in Japan, pubblicato soltanto nel paese del sol levante: un doppio CD che vede i Napalm Death davvero al massimo della forma pure sul palco, con un’ottima carrellata di pezzi più recenti e di classici del loro repertorio.
Senza alcuna fretta sulla strada da intraprendere, i nostri si concedono un’ulteriore – ma fruttuosa – pausa di riflessione, dando alle stampe un interessante Leaders Not Followers (1999), per la Dream Catcher: trattasi, questa volta, di un disco di sole covers, tese (come si evince chiaramente a partire sin dal titolo scelto) a riconoscere l’importanza storica di coloro che sono stati, nella storia del metal e dell’hardcore punk, iniziatori se non pionieri che hanno saputo aprire una strada seguita in seguito da altri. Troviamo così brani dei Death di Chuck Schuldiner, dei doomsters Pentagram, degli italiani Raw Power (la loro Politicians resta evidentemente un pezzo-manifesto noto e amato in Inghilterra, a conferma della statura internazionale dell’act emiliano), degli Slaughter, dei Repulsion e dei Dead Kennedys. Finalmente, nel 2000, sempre per la Dream Catcher, esce il nuovo capitolo in studio dei ND: Enemy of the Music Business, fin dal titolo una (programmatica ed esplicita) dichiarazione di intenti e musicali e lirici, si segnala positivamente come uno dei più feroci ed intransigenti episodi, nella discografia del gruppo inglese. Dal punto di vista stilistico, l’assoluto diniego verso qualsiasi forma di concessione commerciale si trova poi confermata da un approccio non dissimile da quello del coevo brutal death metal d’oltreoceano: un monolite compattissimo ed inflessibile, una grande testimonianza di coerenza e di integrità, da parte della band britannica. Nello stesso anno, vengono stampate anche le Complete Radio One Sessions, gli storici provini radiofonici incisi per John Peel, disc jockey che tanto fece in favore del riconoscimento del movimento punk inglese.
Da questo momento in poi, i Napalm Death si orientano sempre più verso il death-grind: ricuperano cioè il grindcore da loro inventato nella seconda metà degli anni Ottanta, ne rivedono e aggiornano la formula portandola nel terzo millennio e facendo, soprattutto, tesoro dell’esperienza death. Order of the Leech vede la luce nel 2002 per la Spitfire ed è un fantastico affresco di grindcore moderno, con piccoli tocchi black metal alla Immortal. Nel 2003, appare Noise for Music’s Sake, una raccolta di materiale registrato in concerto e di EP con il tempo divenuti piuttosto rari, edita dalla Earache, in formato doppio. Si tratta di una chicca davvero imperdibile: il secondo CD in particolare ripropone il mitico mini Mentally Murdered e pezzi dallo split con gli svedesi At the Gates.
Nel 2004 esce il secondo capitolo di Leaders Not Followers. Questa volta tocca a Cryptic Slaughter, Devastation, Hellhammer, Discharge, Master, Kreator, Massacre, Attitude Adjustment e Agnostic Front, Sepultura e Hirax tra gli altri venire coverizzati in chiave death-grind, con risultati grandiosi; passa solo un anno e nel 2005 è nei negozi il nuovo The Code is Red / Long Live the Code, in linea sotto ogni aspetto con il suo predecessore in studio. Qualche variazione introduce Smear Compaign (licenziato, nel 2006, dalla tedesca Century Media), che vede ospite la vocalist degli olandesi The Gathering. Tre anni e Time Waits For No Slave (2009) ritorna al più classico e collaudato grindcore-death. Dodici mesi dopo esce sul mercato per la Snapper (pure in versione DVD) il live Punishment in Capitals, dall’infuocata esibizione registrata a Londra nel 2002.
I due dischi successivi dei Napalm Death, Utilitarian (2012) ed Apex Predator – Easy Meat (2015), pur non aggiungendo forse più moltissimo in termini di novità – ma è possibile dopo oltre trent’anni e poi può essere cosa che alla band interessa? – ci restituiscono un gruppo ormai intoccabile, sicuro di sé ed entrato di diritto nella storia, incorruttibile e inossidabile come l’etica crust punk impone.
Assolutamente irrinunciabile è l’ultimo Coded Smears and More Uncommon Slurs (2018), antologia doppia, costituita da sessions inedite dagli ultimi lavori, due covers dei Melvins (i veri padrini dello sludge), B-sides e brani dagli split realizzati con Voivod, Converge e Heaven Shall Burn a conferma di un interesse anche verso math-core, SCI-FI metal e post-core melodico. Napalm Death: la Storia.

Roberto Grassi – Michele Massari – Massimo Pagliaro – Dazagthot

Letture essenziali
– Stefano Cerati e Barbara Francone, I 100 migliori dischi death metal (Tsunami)
– Gianni Della Cioppa, Il grande libro dell’heavy metal (Giunti)
– Ian Glasper, Anarcopunk (Shake)
– Ian Glasper, Quando bruciammo l’Inghilterra (Shake)
– Albert Mudrian, Choosing Death (Tsunami)
– Jason Netherton, Profondo estremo (Tsunami)