Terror – Total Retaliation

Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto.

Dal 2002 i losangelini Terror hanno cominciato la loro scala alla montagna dell’hardcore e da qualche anno ne hanno raggiunto la vetta, tenendola molto bene grazie a lavori come questo.

Total Retaliation è la loro nuova uscita su Nuclear Blast Records e ha tutte le caratteristiche che li hanno resi famosi ed amati: hardcore americano violento e ruggente con molte somiglianze con il metal ed il crossover degli anni migliori, una grandissima intensità e tanta cattiveria. Questa volta alla produzione troviamo il chitarrista degli ottimi Fit For An Autopsy, Will Putney, che dà al suono dei Terror una maggiore modernità, rendendo il tutto ancora più potente, a volte ai confini del beatdown. Non ci sono compromessi in questo album, i tempi sono serrati ed incalzanti, e questo loro settimo disco suona benissimo e li proietta ad un livello superiore. Chi ascolta hardcore lo fa perché questo suono ha una violenza positiva, o negativa se la si fraintende, che permette di vivere le brutture del mondo a testa alta, e qui c’è tutto ciò. Non è aggressività fine a se stessa, ma è un qualcosa che lega le persone, porta dei valori attraverso dei suoni rabbiosi ma sempre in veste positiva. Total Retaliation è una classica opera di hardcore americano ma ha effettivamente qualcosa in più sia in termini di suono che di composizione. In un genere così inflazionato non è facile avere la propria impronta ben riconoscibile, i Terror la hanno e hanno addirittura aperto nuove strade nell’hardcore con il loro suono, venendo presto riconosciuti come uno dei migliori gruppi del genere. Difficilmente in questo genere si raggiungono le altezze dei Terror, che nel loro suono sono profondamente americani e fanno musica per suonare dal vivo, perché ascoltando il disco ti rendi conto di quanto bene funzionerà davanti ad un pubblico che sarà un magma incandescente pronto a bruciare tutto. Grande spirito e grande musica per un disco di hardcore di qualità superiore.

Tracklist
1. This World Never Wanted Me
2. Mental Demolition
3. Get Off My Back
4. One More Enemy
5. Break The Lock
6. In Spite Of These Times
7. Total Retaliation
8. Post Armageddon Interlude
9. Spirit of Sacrifice
10. I Don’t Know You
11. Behind The Bars
12. Suffer The Edge Of The Lies
13. Resistant To The Changes

Line-up
Scott Vogel – Vocals
Nick Jett – Drums
Jordan Posner – Guitar
Martin Stewart – Guitar
David Wood – Bass

TERROR – Facebook

Mentaur – No Mortal Man

Una interessante band britannica della seconda ondata new prog, abile nel sapere aggiungere ai suoi pezzi una componente più metallica rispetto ai tanti altri colleghi albionici di allora.

Formatisi a metà degli anni Ottanta nel Regno Unito come Mordred – innamorati, dunque, del ciclo arturiano e dei suoi aspetti più oscuri – i Mentaur ebbero la sfortuna di proporsi nel momento in cui il neo-progressive anglo-britannico iniziava ormai la sua parabola discendente.

Eppure il gruppo era dotato di una certa personalità e lo spessore compositivo di certo non gli mancava. Solo nastri per i Mentaur: il primo demo tape uscì nel 1989 con il titolo No Mortal Man. In questa cassetta, il tipico new prog inglese di Marillion e Abel Ganz, Pallas ed Aragon veniva riletto – attraverso brani anche piuttosto lunghi ed elaborati – in chiave oscura ed a tratti quasi medievaleggiante, con liriche intrise di misticismo. La musica, dominata dall’ottimo interplay di chitarre melodiche e tastiere pompose, dialogava inoltre proficuamente anche con un approccio sovente hard e metal, come se i Pendragon andassero a braccetto con Saga, Magellan, Shadow Gallery, World Trade ed i Rush tecnologici degli anni ’80. In seguito, i Mentaur rilasciarono altri quattro demo tapes: Try Your Brakes (1990), Verdict (1991), Time Being (1992) e Silencing the Alarm Bells (1993, dal vivo). Tutto il loro materiale è poi stato raccolto e ristampato su compact, dalla Cyclops, nel 1997, con il suggestivo titolo di Darkness Before Dawn. Una band da rispolverare.

Track list
1 Imperatrix
2 Cracks
3 The Last Battle

Line up
Carlton Evans – Vocals
Robin Barter – Guitars
Tim Ridley – Keyboards
Nick Ridley – Bass
Ed Lepper – Drums

Autoprodotto 1989

Steingrab – Jahre nach der Pest

Il tipo di black metal offerto si rivela adatto particolarmente a chi preferisce quelle atmosfere cupe e malinconiche che Mahr non lesina affatto, facendone alla fine un solido punto di forza del suo lavoro.

Terzo full length per Steingrab, il progetto solista del tedesco Mahr (Stephan Krämer).

Jahre nach der Pest offre tre quarti d’ora (a mio avviso la durata ideale per qualsiasi opera musicale) di buon black metal atmosferico, con il valore aggiunto di una nient’affatto scontata varietà compositiva.
Il musicista di Darmstadt mette in luce la propria dimestichezza con il genere, il che gli consente di spaziare fluidamente tra diverse sfaccettature, con predilezione per ariose melodie da un lato e certe propensioni depressive dall’altro; si passa così con buona fluidità da uno stile tipicamente tedesco, solenne e al contempo teatrale (Falscher Frühling e la title track sono tracce emblematiche in tal senso) a richiami più ortodossi alla tradizione scandinava.
Jahre nach der Pest è davvero un buon lavoro, sufficientemente curato sotto tutti gli aspetti per non trovarsi a rimpiangere d’aver impiegato il proprio tempo per ascoltarlo; indubbiamente il tipo di black metal offerto si rivela adatto particolarmente a chi preferisce quelle atmosfere cupe e malinconiche che Mahr non lesina affatto, facendone alla fine un solido punto di forza del suo lavoro.

Tracklist:
1. Präludium
2. Dämon
3. Rachewalzer
4. Das trübe Glas
5. Fort von hier
6. Falscher Frühling
7. Der trübe See
8. Mondfinsternis
9. Jahre nach der Pest
10. Walzer toter Zukunft
11. Verlorene Engel

Line-up:
Mahr – Everything

STEINGRAB – Facebook

ABOUT: BLANK

Il video di Dr. Jack & Mrs White, dall’album Random Rock.

Il video di Dr. Jack & Mrs White, dall’album Random Rock.

Gli italiani About:Blank (rock) hanno firmato con Too Loud Records per la realizzazione del loro nuovo album “Anthology of a Cave”.
Il full lenght album sarà mixato e masterizzato da Riccardo Daga presso il Titans Lab Studios (Ferrara).

Statement About:Blank
Questo album che stiamo componendo e registrando rispecchia a pieno quella che è la nostra idea di musica. Se il nostro primo lavoro “Random Rock” è più che altro una raccolta di brani che abbiamo composto negli anni antecedenti alla formazione about:blank definitiva, quello che andremo a rilasciare sarà decisamente più omogeneo come approccio compositivo, come sonorità e come tematiche. Quello che possiamo definire a pieno il nostro primo album sarà un progressive a metà tra il “duro” e l’acustico con temi complessi e vari ma con una stessa origine: la manifestazione pratica dell’animo umano, delle sue paure e delle sue più antiche domande. I brani presentano strutture compositive in continua evoluzione di pari passo con il tema della canzone. Le nostre canzoni sono per lo più storie e come tali in continuo cambiamento. Cerchiamo di trasmettere attraverso le sonorità e la musica lo stato d’animo del momento della
canzone-storia a prescindere dalla comprensione o dalla lettura del testo in se in modo da creare uno stimolo coerente sotto ogni aspetto.

Biografia
Il progetto about:blank nasce a Bologna nel 2012 dal desiderio di quattro ragazzi musicalmente alle prime esperienze: Enrico e Mark fondano la band e nell’arco di pochi mesi si uniscono anche Ambro e Raul. Dopo qualche anno trascorso tra fase di composizione in sala prove, i primi concerti dal vivo, ed una lunga ricerca di un secondo chitarrista, è il 2015 l’anno della svolta per il gruppo: complici l’ingresso del chitarrista Mazzio, e la collaborazione con NUKE CREW, realtà formata da altre band bolognesi, il gruppo entra in studio e registra in maniera completamente “home-made” il suo primo album, “Random Rock” che uscirà poi ufficialmente nel 2017. Dal 2016 in poi la band continua a lavorare in parallelo tra concerti a Bologna e ulteriore lavoro in studio: dopo aver vissuto le prime esperienze di buon livello sul palco, una trentina di concerti e più di 200 album venduti, la band accresce la propria consapevolezza artistica e, decide di buttarsi a capofitto sul mondo progressive rock/ progressive metal, lasciandosi solamente in parte alle spalle la grande infleunza hard rock. L’uscita del secondo album e dunque l’ufficiale cambio di genere arriveranno nel 2019 .

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www.youtube.com/aboutblank

Postcards From Arkham – Spirit

L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore.

Ritorna l’ottimo gruppo ceco Postcards From Arkham, che offre musica progressiva misteriosa e malinconica ispirandosi a H.P. Lovecreaft, nume immenso e tutelare di chi nelle tenebre vede meglio che nella luce piena.

Spirit è il loro ultimo lavoro ed è come sempre un piccolo grande capolavoro. Partendo dai capisaldi della letteratura lovecraftiana il disco si snoda attraverso una struttura onirica, con musiche progressive che si adattano alle situazioni da raccontare, con una voce che ci sussurra e ci racconta storie che vengono da lontano, o forse dalla foresta più vicina. Ascoltando Spirit si viene pervasi da un senso di ricongiungimento a qualcosa da cui eravamo lontani, prigionieri delle nostre false convinzioni e delle nostre assurde sicurezze. Rispetto agli altri loro dischi, che consigliamo tutti molto caldamente, Spirit è ammantato da bellissime percussioni che punteggiano i momenti più importanti, rinforzando melodie che sono particolari ed originali di questo gruppo, che è una vera gemma nascosta dell’underground europeo. Lo scopo di questo lavoro è quello di far innalzare per qualche tempo la nostra anima ascoltando questi suoni che sono magici, oscuri ma positivi, hanno dentro il post rock e suoni etnici, qualcosa del neofolk e tanto di sognante e mesmerico. Musicalmente sono sempre stati un gruppo molto avanti, ma qui si superano ed innalzano ad un livello superiore la loro musica, raggiungendo vette molto alte, infatti l’ultima bellissima traccia del disco si intitola per l’appunto Elevate. L’aria in questo lavoro è differente, si respira a pieni polmoni grazie a musica composta con cura e talento, per un disco che raggiunge il cuore e ci porta a stupirci nuovamente della musica, finalmente dei suoni che ci rendono la vita migliore. I Postcard From Arkham finalizzano il loro percorso di maturazione con un’opera molto importante e dai grandi contenuti che si pone al di là dei generi.

Tracklist
1. One world is not enough
2. From the bottom of the ocean
3. Owls not what they seem
4. 2nd of april
5. Thousand years for us
6. Polaris
7. My gift, my curse
8. Elevate

POSTCARDS FROM ARKHAM – Facebook

Powerdrive – Rusty Metal

Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.

Girate la chiave, accendete i motori e lasciate che la vostra macchina metallica sfrecci nella notte tra le curve della riviera del ponente ligure fino al ponte immaginario che vi collegherà alle coste degli States, tra la città degli angeli e le strade della polverosa frontiera.

L’ascolto del debutto dei rockers savonesi Powerdrive sarebbe da vietare mentre si è alla alla guida; troppo pericoloso, troppi effetti collaterali, troppa voglia di schiacciare il piede sul pedale dell’acceleratore e portare la vostra auto e i vostri sensi al limite: d’altronde The Road Is My Best Friend come canta Machine Gun Miche, vocalist dei Machine Gun Kelly, uno che di hard rock se ne intende.
I Powerdrive nascono nel 2013, ma dopo poco tempo l’attività si ferma per ricominciare nel 2015, con una line up che vede, oltre al cantante, Dr. Rock (ex Sfregio, Denial, Hastur) e Jacopo Napalm (Eligor ex Sacradis, Hastur) alle chitarre, Roby Grinder (Winternius, ex Sacradis, Sfregio, Hastur) al basso e Ylme (ex Sfregio, Lethal Poison) alla batteria.
Dopo essere stata chiusa ai Blackwave Studios quel tanto che basta per uscirsene con questa esplosiva raccolta di brani, la band piazza uno straccio dentro il serbatoio del bolide che li ha portati in giro nella notte, avvicina la fiamma dell’accendino e mentre le prime note dell’opener riempiono lo spazio, il botto e le fiamme fanno da coreografia al loro hard & heavy, pregno di rock ‘n’roll di scuola Ac/Dc, Motorhead e della scuola losangelina.
Rusty Metal si rivela un lavoro imperdibile grazie a dieci brani perfetti, dieci inni al rock’n’roll style, dai chorus che, dopo un solo ascolto, sono già lì a ronzarvi in testa, dieci candelotti di nitroglicerina dai riff scolpiti sulle tavole della legge del rock.
Solo Lady Of The Moonlight, power ballad posta a metà album, raffredda i bollenti spiriti dell’ascoltatore, travolto dalla forza dei quattro brani che danno il via al bombardamento targato Powerdrive; rilassate le membra si riparte con Serpent Seib e non ci si ferma più.
Hard To Survive, Living, il punk rock di Singin’ In The Cemetery (che tanto sa di Ramones) e la canzone autointitolata vi strapperanno un sorriso maligno: è l’ora di togliersi la cravatta, sbottonare la camicia, salire in auto e sfrecciare nella notte con l’acceleratore a tavoletta e il rock’n’roll dei Powerdrive nelle orecchie.

Tracklist
1.The road is my best friend
2.Hard to survive
3.Living hell
4.On the run
5.Moonlight lady
6.Serpent seib
7.Fire in the small club
8.Midnight dancer
9.Powerdrive
10.End of the world

Line-up
Machine Gun Miche – Vocals
Dr. Rock – Guitars
Jacopo Napalm – Guitars
Roby Grinder – Bass
Ylme – Drums

POWERDRIVE – Facebook

Vreid – Lifehunger

Il sound dei Vreid è ben più composito e ricco di sfaccettature rispetto a quello pur sempre apprezzabilissimo del cosiddetto black’n’roll”; così, pur senza assumere toni preponderanti, heavy metal, hard rock e altre sfaccettature entrano a buon diritto nel tessuto sonoro di Lifehunger consentendoci di ascoltare una raccolta di brani scorrevoli e convincenti.

Parlare dei Vreid non equivale certo a farlo per una qualsiasi band proveniente dalla Norvegia e dedita al black metal.

Il combo di Sogndal è, infatti, come la maggior parte dei lettori saprà molto bene, la diretta emanazione di ciò che furono i Windir, una delle band più importanti del movimento black scandinavo ed una delle prime, soprattutto, ad inserire nel genere elementi folk e pagan in maniera più convinta ed articolata.
Dopo la morte prematura di Valfar, i Windir di fatto non si sciolsero ma mutarono il loro monicker in Vreid, cambiando, saggiamente, le sonorità ed optando per un black più diretto e allo stesso tempo aspro ma non per questo monolitico.
Se gli anni migliori per il gruppo sono forse stati quelli della fine dello scorso decennio, il livello delle uscite si è sempre mantenuto ben al di sopra della media, e se una punta di opacità era stata riscontrata nei più recenti Welcome Farewell e Sólverv, si può tranquillamente affermare che con Lifehunger questa viene spazzata via per lasciare spazio a quello che, in maniera decisamente riduttiva, viene definito dalla stessa band black’n’roll.
In realtà il sound dei Vreid è ben più composito e ricco di sfaccettature rispetto a quello pur sempre apprezzabilissimo all’insegna del “palla lunga e pedalare”; così, pur senza assumere toni preponderanti, heavy metal, hard rock o addirittura qualcosa di vicino al country (Hello Darkness) entrano a buon diritto nel tessuto sonoro di Lifehunger consentendoci di ascoltare una raccolta di brani scorrevoli, intriganti e decisamente vari.
Se i Vreid scaricano tutti i cavalli in Sokrates Must Die o nella title track, d’altra parte dimostrano di sapersi muovere anche a ritmi più ragionati (One Hundred Years, Heimatt) senza perdere mai di vista il proprio filo conduttore; questi musicisti sono oggi una garanzia di qualità all’interno del genere e se, magari, la band è meno celebrata rispetto alle altre “storiche”, ciò avviene solo perché spesso ci si dimentica che si tratta della logica e naturale evoluzione di un gruppo che, nello scorso millennio, contribuì fattivamente alla crescita esponenziale di una scena che ancora oggi continua a diffondere il proprio misantropico ed irrequieto sentire.

Tracklist:
1. Flowers & Blood
2. One Hundred Years
3. Lifehunger
4. The Dead White
5. Hello Darkness
6. Black Rites in the Black Nights
7. Sokrates Must Die
8. Heimatt

Line-up:
Sture: Vocals & guitars
Strom: Guitars
Steingrim: Drums
Hváll- Bass and keys

Guest Musician
Aðalbjörn ‘Addi’ Tryggvason (SÓLSTAFIR): vocals on “Hello Darkness”

VREID – Facebook

NeversiN – The Outside In

I Neversin mettono in campo le loro doti al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo ugualmente un approccio caldo ed una forma canzone ben definita.

Non sono pochi gli album usciti negli ultimi anni che hanno rinfrescato la scena progressive metal, specialmente per quanto riguarda la scena underground italiana, una delle più ricche di talenti.

Certo che il prog metal classico (quello che si rifà ai Dream Theater, tanto per intenderci), ha poche frecce da scagliare contro il bersaglio dell’originalità, ma con album piacevoli, prodotti e suonati bene come il terzo lavoro dei nostrani NeversiN il risultato è ampiamente convincente e consigliato agli amanti del genere.
In The Outside In troverete prog metal di classe che non disdegna passaggi di ruvido hard & heavy e più melodico classic rock, un buon cantante che ricorda James La Brie ed una raccolta di brani che, appunto, uniscono grinta e melodia sotto il segno del metal progressivo, genere non così facile da proporre se non si è bravi musicisti ed ottimi songwriter.
Il quintetto nostrano mette in campo un po’ tutte queste caratteristiche, al servizio di dodici piacevoli brani che formano un album fresco e solare, nel quale il metal sposa soluzioni tecnicamente importanti, mantenendo un approccio caldo ed una forma canzone che in brani davvero belli come A Storm Is Coming, Life Preserved, o nelle ultime quattro tracce che formano la splendida suite The Symphony Of Light, confermano la band come un’ottima alternativa ai soliti nomi, proveniente dall’undergorund tricolore.
Come sempre la Revalve ha visto giusto, licenziando questa ottima terza prova dei NeversiN, gruppo che ha le carte in regola per non farsi dimenticare dagli appassionati.

Tracklist
01 – When Darkness Falls…
02 – A Storm Is Coming
03 – Rage, Pt. 2
04 – Life Preserved
05 – Rain
06 – B.O.Y. (Because of You)
07 – Light of the West
08 – Evenstar
09 – Cosmic Stroll in C# (Symphony of Light – Movement I)
10 – Light the Universe (Symphony of Light – Movement II)
11 – The Main Sequence (Symphony of Light – Movement III)
12 – Collapse (Symphony of Light – Movement IV)

Line-up
BeN – Vocals
Skench – Guitars
Sgana – Guitars
Hurt – Bass
Albertino – Drums

NEVERSIN – Facebook/

SADIST

Il lyric video di ‘Bloody Bates’, dall’album ‘Spellbound’ in uscita a novembre (Scarlet Records).

Il lyric video di ‘Bloody Bates’, dall’album ‘Spellbound’ in uscita a novembre (Scarlet Records).

I Sadist hanno pubblicato il lyric video di ‘Bloody Bates’, il primo singolo tratto dal nuovo, attesissimo album della band ‘Spellbound’, in uscita il prossimo 9 novembre suScarlet Records.

‘Spellbound’, il nuovo, attesissimo album dei Sadist, veterani della scena Progressive Death Metal europea che tornano dunque con l’ottavo lavoro in studio. Il filo conduttore di questo nuovo lavoro è la filmografia del maestro indiscusso del brivido Alfred Hitchcock. Ogni traccia ripercorre infatti la trama di un film, tinteggiandola ovviamente di “nuances’ tipicamente Sadist, da ‘Frenzy’ a ‘Notorius’, passando per ‘The Birds’ e naturalmente per l’indimenticabile ‘Psycho’. ‘Spellbound’ è un’opera matura, un album solido ed aggressivo (sicuramente il più estremo della band ad oggi) ma sempre con gli immancabili richiami Prog/Death che hanno reso noto ed apprezzato in tutto il mondo il marchio Sadist.

La bellissima cover è opera di SoloMacello (Ennio Morricone, Nick Oliveri, Mos Generator).

Si consiglia di seguire www.scarletrecords.it per le ultime notizie.

The Flesh – Dweller

Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

All’ascolto di Dweller non si può non constatare l’attitudine estrema degli olandesi The Flesh, tale da far impallidire una buona fetta delle band ascoltate negli ultimi tempi sotto la voce hardcore/punk.

La band olandese, composta da membri di Herder, Vervohed e Blood Diamond, trascende dai generi e si impone come decadente ed alcolico disfacimento mentale e fisico, un bombardamento di lucida pazzia che unisce in un sound corrosivo hardcore, crust, stoner malatissimo e black metal.
Ne esce un mostro cerebrale, un sound che trascina in un vortice di autolesionismo fagocitando pustole di menti malate e vomitandole insieme ai residui di fegato e organi impregnati di whiskey.
La voce di Jelle Kunst è un urlo di dolore sopra un tappeto di musica torturata da ritmiche sludge e black metal, come se nelle varie Black Rain o Siren’s Call, Darkthrone e Motorhead si riunissero per una jam crust/hardcore.
Lunga discesa nell’inferno del decadimento, Dweller non lascia speranze, il suo violento incedere non dà tregua, mentre Kunst vomita ormai senza freni perversione e livore.
Ventidue minuti di note che creano un mondo (quello dei The Flesh) di totale annientamento psichico, disturbante ed estremo come i generi da cui trae abominevole energia per arrivare inesorabilmente alla fine.

Tracklist
1.Tot In Den treure
2.Black Rain
3.Siren’s Call
4.Dweller (In The Dark)
5.Salax
6.Thrones In The Sky
7.A Knife To The Conformist
8.Fire Red Gaze

Line-up
Jelle Kust – Vocals
Sven Post – Guitars
Jeroen Vrielink – Bass
Tom Nickolson – Drums

THE FLESH – Facebook

LE INTERVISTE DI OVERTHEWALL – VULGAR SPEECH

L’intervista di Mirella agli emergenti Vulgar Speech.

Grazie alla reciproca collaborazione con la conduttrice radiofonica Mirella Catena, abbiamo la gradita opportunità di pubblicare la versione scritta delle interviste effettuate nel corso del suo programma Overthewall, in onda ogni domenica alle 21.30 su Witch Web Radio.
Questa volta tocca ai pordenonesi Vulgar Speech.

MC Partiamo dagli inizi.La band si forma nel 2012 come quartetto. Mi raccontate la genesi di questo progetto musicale?

VS Inizialmente io, Riccardo, e mio cugino Fabio, ci divertivamo a suonare  qualche cover nel giardino di casa sua. Successivamente, decidemmo, quasi per scherzo, di provare a formare una band e con due amici creammo gli Iron Farter ( ovviamente se lo traducete capirete che era un progetto inizialmente fatto per ridere ). Successivamente, dopo aver suonato in qualche localino soprattutto cover, scegliemmo di evolverci come gruppo e creammo pezzi nostri, registrando in casa il primissimo vero progetto. Con il tempo, decidemmo di cambiare nome poiché il progetto stava prendendo una piega più “seria” e cambiammo il nome in Vulgar Speech. Con gli anni i componenti diminuirono a tre, dove il bassista Mirko si aggiunse alla band.
Da quel momento decidemmo di restare un power trio e registrammo, dopo numerosi concerti, il primo vero EP dal titolo Is this Vulgar? presso il Deposito Giordani di Pordenone.

MC Come definireste il vostro genere musicale ?

VS Un misto tra il groove, l’heavy e il melodic metal, con piccole influenze trash.

MC A chi è affidata la composizione memodica e la scrittura dei testi? Ci sono argomenti che trattate più frequentemente?

VS La composizione è affidata a tutti, sia per le canzoni sia per i testi, in modo tale da rendere il risultato qualcosa che viene fatto dal gruppo stesso e non da uno solo. Gli argomenti sono generalmente temi legati all’essere umano: vita, morte, il superamento delle difficoltà ecc.

MC Il vostro primo disco viene pubblicato a giugno del 2015. Com’è stato l’impatto con il pubblico e la critica?

VS Per certi versi molto buono, nonostante avessimo scelto di registrare qualcosa di “grezzo”, non troppo trattato come molti altri progetti, per altri ci venne spesso criticato il fatto di aver fatto dei “collage” di generi. Questa critica però non ci ha fermati, ne abbiamo fatto tesoro e ora abbiamo un materiale molto più amalgamato, orientato sul groove/melodic metal, che si caratterizza da riff forti che si trascinano ed alternano con melodie più lente e melodiche. Speriamo presto di registrare in studio l’album!

MC Quali difficoltà incontra una band come la vostra a trovare una casa discografica? Avete qualche esperienza in merito?

VS Sì, esperienze legate a richieste di denaro elevate solo per una sponsorizzazione che, alla fine, non vale nulla, specialmente se hai solo un EP a disposizione, poiché molti preferiscono investire su un album piuttosto che su un EP. Siamo comunque in cerca di un etichetta e con il prossimo album speriamo di proseguire con nostro progetto.

MC Preferite il rapporto diretto col pubblico, quindi i live o vi trovate più a vostro agio in sala registrazione?

VS Assolutamente live! L’impatto che abbiamo sul pubblico, nonostante il fatto di essere solo in tre, è sempre stato buono ed apprezzato.

MC State lavorando ad un nuovo album? Quali sono i progetti immediati?

VS Come dicevo prima, il materiale per il nuovo album è quasi pronto, appena le finanze lo permetteranno potremmo procedere con le registrazioni. Altri progetti sono l’aver fatto il video ufficiale, disponibile su YouTube, della nostra Can U Really..?, track n° 5 del nostro EP.

MC Dove i nostri ascoltatori possono seguirvi? ( pagina, sito, live…)

VS Facebook: Vulgar Speech Instagram: vulgarspeech  Twitter: vulgarspeechban

Riporto esattamente come cercarci, è più facile!

Zardonic – Become

La musica di Zardonic è un infuso potente di metal e dance, con un’energia incredibile, e riesce anche ad essere orecchiabile e vendibile anche in altri ambiti.

Torna il più grande fra gli assassini sonori che potrete incontrare sul dancefloor, dal Venezuela Federico Ágreda Álvarez aka Zardonic.

Il nostro è in giro da molti anni, ha rotto molte barriere, ha portato il metal nella drum and bass e nell’elettronica in generale, e la dance nel metal, firmando numerosi ottimi remix, oltre che molto materiale suo. Il nuovo disco Become arriva dopo qualche anno di pausa seguita al precedente Antihero del 2015, che era un ottimo disco, ma con Become il venezuelano residente a Colonia si supera con un’opera potentissima e dalla produzione perfetta, come sua consuetudine. Zardonic prende anche una posizione precisa su ciò che sta succedendo in Venezuela: ora il tutto è sparito dalle notizie ma la situazione è tuttora molto difficile, e lo fa soprattutto nel singolo Revelation che è una mazzata incredibile, dance e riff metal, con un pezzo che i Prodigy attuali darebbero milioni di sterline per farlo, e anche il video è molto bello. Become è un potentissimo disco di dance con inserti metal, ma più che nella musica il metal è preso come attitudine, infatti i suoni sono elettronici ma lo spirito è decisamente metal. Gli esordi di Federico in Venezuela furono infatti con un gruppo black che ebbe un discreto successo, i Gorepriest; poi nel 2004 prende il nome di Zardonic e un travestimento con maschera simile all’alieno di Predator e comincia a picchiare durissimo attraverso i computer e i sintetizzatori. La sua musica è un infuso potente di metal e dance, con un’energia incredibile, e riesce anche ad essere orecchiabile e vendibile anche in altri ambiti, ad esempio come con Monster, la traccia di Become che vede ospiti Malek e APE, che nonostante sia un massacro possiede notevoli linee melodiche diventando quasi un pezzo di metalcore dance. Il disco continua nel solco del suono di Zardonic ma ne amplia le possibilità con una produzione pressoché perfetta e una potenza di fuoco devastante; il musicista nasce come testa metallica, ma alla pari nel suo cuore c’è la drum and bass, ed è stato il primo ed unico produttore di fama mondiale venezuelano in questo campo. Nel nuovo disco c’è appunto una collaborazione con uno dei migliori master of ceremonies del genere, Coppa, inevitabilmente inglese perché la drum and bass è un qualcosa di fortemente albionico: il pezzo si chiama Children Of Tomorrow e vi spaccherà le casse, inondando la strada di caos e morte. Become a pochi giorni dalla sua uscita è già balzato ai vertici delle classifiche dance e non solo, soprattutto di quelle digitali, e ciò è dovuto oltre che alla bontà del disco alle tantissime date che Zardonic ha fatto dal vivo in questi anni e ancor più all’immensa passione che questo ragazzo mette dentro i suoi lavori. Inoltre Become possiede diversi generi dentro di sé (troviamo addirittura del free jazz metal in Trashuman) ed è davvero un viaggio interessantissimo. Se andate sul sito di Zardonic, nella sua discografia troverete delle cose in free download: scaricate assolutamente il mix Metal Up Your Bass Revamoed Edition e ascoltate Become.

Tracklist
1 No Más Revolución (Intro)
2 Revelation
3 Black and White (Ft. American Grim)
4 Takeover (Ft. The Qemists)
5 Children of Tomorrow (Ft. Coppa)
6 Before the Dawn (Ft. Celldweller)
7 Follow the Light
8 Transhuman (Ft. Jørgen Munkeby)
9 Army of One
10 Monster (Ft. Ape & Malke)
11 Libertadores (Finale)

ZARDONIC – Facebook

Rabhas – Maelstrom

L’impatto è notevole, i brani sono convincenti, manca solo un minimo di cura in più nella produzione, ma è un dettaglio messo in ombra dal monumentale impatto che il gruppo produce con questa raccolta di brani estremi.

Continuano ad arrivare interessanti proposte dall’underground estremo nazionale come i bolognesi Rabhas, band attiva dal 2011 e con alle spalle un primo demo ed un full length (Demolizione) uscito nel 2014.

Questo nuovo album Maelstrom, invece, è uscito nella primavera di quest’anno tramite la label russa Narcoleptica Prod ed è composto da nove brani cantati in italiano, come da tradizione del gruppo.
E appunto di un maelstrom musicale si tratta, un devastante death metal che non disdegna parti intricate capaci di mettere in evidenza la buona tecnica del gruppo che alterna death metal classico a parti più brutali e dall’impatto di un asteroide.
Il growl brutale accompagna dunque le evoluzioni dei musicisti impegnati sulle varie Maelstrom, Perversione Assassina, la progressiva Putridamente, in un death metal di scuola americana e consigliato agli amanti di Death, Morbid Angel ed Obituary.
L’impatto è notevole, i brani sono convincenti, manca solo un minimo di cura in più nella produzione, ma è un dettaglio messo in ombra dal monumentale impatto che il gruppo produce con questa raccolta di brani estremi.
Maelstrom si rivela così un buon lavoro per gli amanti del death metal di matrice statunitense, ai quali va l’invito a supportare il gruppo bolognese.

Tracklist
1.Intro
2.Maelstrom
3.Perversione assassina
4.Nevrotomia
5.Putridamente
6.Effetto nocebo
7.Visione
8.Rabhas
9.Tenebrae ad Libitum

Line-up
L – vocals
Preck – bass + guitars
Sguicio – drums
Fischio – guitars

RABHAS – Facebook

Ultha – The Inextricable Wandering

Grande affresco di black metal angosciante, disperato e figlio della desolazione metropolitana. Un’opera di altissimo livello.

Nella recensione del loro ultimo full length Converging Sins, del 2016, mi auguravo un’ulteriore crescita della band tedesca e tale auspicio, alla luce del nuovissimo lavoro, è stato assolutamente ben riposto.

Anche l’approdo alla potente Century Media non ha scalfito di una virgola la proposta di questi artisti, che proseguono la loro strada peculiare e personale, mettendo a fuoco il loro sound, senza perdere un oncia di potenza e passione costruendo noto dopo nota un’ atmosfera oscura, drammatica, angosciante. Memori dei suoni del passato (nel 2016, coverizzarono Raise the Dead di Quorthon), i quattro musicisti di Colonia definiscono un passionale suono black metal, miscelandolo con misteriosi aromi darkwave e derive doom: il risultato che ne scaturisce è un blend affascinante estremamente avventuroso e dal flavour metropolitano; non respiriamo gli aromi derivanti dalle fredde lande scandinave, ma la puzza del degrado urbano, la dissoluzione della civiltà industriale. E’ angosciante viaggiare all’interno di questi sei brani per più di un’ora di musica: l’approccio disperato è disturbante, la proposta non è immediata, non ci sono comfort zone, tutto è lacerante; non aspettatevi cambi di tempo repentini all’interno dei brani, che sono invece infinite cavalcate appassionate, condotte su note di basso ora avvolgenti ora frenetiche, con le chitarre instancabili nel tessere trame sonore prettamente black con le tastiere che immergono il tutto in un atmosfera grigia, fosca e plumbea. Non una nota sprecata, non manierismi, il suono è altamente coinvolgente fin dall’ opener The Avarist, quindici minuti meravigliosi che ci immergono in mondi bui, senza speranza ma allo stesso tempo ammalianti. Il potere dell’oscurità penetra i nostri sensi, diventa un tutt’uno con la nostra essenza vitale e ci spinge ad amare incondizionatamente tutte le note espresse nell’album sia quando l’afflato cosmico e l’ambient presenti in There Is No Love, High Up in the Gallows ci fanno galleggiare in un liquido amniotico primordiale, sia quando le note ossessive, noir e cinematografiche di We Only Speak in Darkness ci ricordano che… you exist for nothing. Le pressanti pulsioni dark wave di Cyanide Lips si aprono in un disperato scream forgiando un black angosciante e senza futuro. L’ “inestricabile vagare” del titolo ci “costringe” ad affrontare con paura le disilluse note dei quasi diciannove minuti dell’ultimo disperato viaggio: I’m Afraid to Follow You There, dove una fredda e distaccata maestosità lentamente si sfibra in note black feroci, capaci di fagocitare l’ultimo anelito di speranza che pensavamo di avere. Sarebbe fantastico vedere questa band dal vivo, nel frattempo godiamoci quest’opera di altissimo livello. Tra le uscite dell’anno ha trovato sicuramente un posto importante nella mia anima, insieme all’esordio dei Mare.

Tracklist
1. The Avarist (Eyes of a Tragedy)
2. With Knives to the Throat and Hell in Your Heart
3. There Is No Love, High Up in the Gallows
4. Cyanide Lips
5. We Only Speak in Darkness
6. I’m Afraid to Follow You There

Line-up
C – Bass, Vocals
M – Drums
A – Electronics
R – Guitars, Vocals

ULTHA – Facebook

Anisoptera – Spawn Of Odonata

Spawn Of Odonata è composto da otto brani di death progressivo e dissonante, in linea con quanto proposto negli ultimi tempi dai gruppi prog e technical metal.

Arrivano dalla Bay Area, luogo storico per il metal a stelle e strisce (specialmente parlando di thrash e death metal), gli Anisoptera, duo in attività dal 2014 con un demo seguito dal singolo Ammonite, licenziato un anno dopo e che troverete in questo nuovo full length.

Spawn Of Odonata è composto da otto brani di death progressivo e dissonante, in linea con quanto proposto negli ultimi tempi dai gruppi prog e technical metal.
Il mood è brutale, la provenienza da un luogo storico come la Bay Area si sente, ma il duo ne valorizza l’aspetto più tecnico con una serie di partiture intricate che arricchiscono l’approccio estremo del gruppo con sonorità jazz e fusion, nascoste nell’atmosfera estrema di brani come Rebirth, Cursed o Sterilization.
Randall Krieger e Robby Perry mettono la tecnica al servizio del sound, e rispetto a molti loro colleghi la parte più violenta e metallica è sempre in evidenza: un bene, perché Spawn Of Odonata rimane legato ben stretto al genere, senza lasciare i lidi estremi per avventurarsi in generi totalmente opposti al classico death metal.
Le ritmiche sono i constante cambiamento di tempi e modi, pur con una potenza sempre devastante, il growl è arcigno e la chitarra ha il suo daffare nel creare scale vorticose ma seguendo sempre l’economia del brano.
L’album si chiude al meglio con Heterochromia Iridis, brano strumentale acustico, mai come in questo caso definibile quale sorta di quiete dopo la tempesta metallica.

Tracklist
1. Parasite
2. Rebirth
3. Cursed
4. Aerial Predator
5. Sporadic Cycle
6. Ammonite
7. Sterilization
8. Heterochromia Iridis

Line-up
Randall Krieger- Guitar
Robby Perry- Vocals

ANISOPTERA – Facebook

STINS

Il video di “Ride my skin”, dall’album in uscita a novembre (Red Cat).

Il video di “Ride my skin”, dall’album in uscita a novembre (Red Cat).

Gli STINS, lanciano in anteprima il primo singolo “Ride my skin”, tratto dal loro full length, in uscita i primi di novembre per Red Cat Records.

Qui invece il brano su Spotify:
http://open.spotify.com/album/588WxK0s7HYq9kg8iH77d7

Acquistabile su tutti gli store mondiali tramite The Orchard:
https://www.amazon.it/Ride-My-Skin-Stins

CONTATTI BAND:
Facebook: www.facebook.com/thestinsofficial
Instagram: thestinsbandofficial

LABEL:
www.redcatpromotion.com

Martyr Lucifer – Gazing at the Flocks

Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Gazing at the Flocks è il terzo full length marchiato Martyr Lucifer, progetto dell’omonimo leader degli Hortus Animae.

Come avevamo già visto in passato, qui non si rinvengono tracce di black metal bensì un sound maturo e molto curato, a cavallo tra dark wave e gothic con più di una digressione alternative; anche per questo motivo l’album scorre in maniera piuttosto lineare e gradevole, senza necessitare di diversi ascolti per apprezzare i buoni spunti melodici ed i chorus disseminati al suo interno.
Ecco, forse questa ingannevole sensazione di leggerezza può costituire il solo limite di un’opera ben costruita e che vede protagonisti, oltre al musicista romagnolo con il suo timbro profondo e molto adatto al genere, la vocalist ucraina Leìt, l’arcinoto Adrian Erlandsson alla batteria e l’ottimo ungherese Nagaarum alla chitarra, oltra a Simone Mularoni a fornire il proprio contributo in sala d’incisione non solo al di là del vetro ma anche al basso.
Il risultato è quindi oltremodo soddisfacente, tanto più dopo aver constatato che, in effetti, ad ogni successivo passaggio nel lettore molti brani rivelano interessanti sfumature sfuggite al primo approccio; se, da una parte, non ci troviamo di fronte ad un’opera epocale, va dato atto a Martyr Lucifer d’aver assemblato un lavoro privo di particolari punti deboli ma, semmai, con diversi picchi rappresentati dalla suadente Benighted & Begotten (notevole il duetto vocale) e le centrali Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy e Leda and the Swan Pt. 1; resta, alla fine l’impressione d’aver ascoltato musica di qualità, collocabile senz’altro nella scia delle band guida del genere (Tiamat, The 69 Eyes) ma anche, a tratti, del Peter Murphy solista, il che è indicativo di un’oscurità diffusa che avvolge Gazing at the Flocks conferendogli un’aura a suo modo differente rispetto ai modelli citati.
In buona sostanza Gazing at the Flocks è un album che merita un’attenzione diversa da quelle che molto spesso viene rivolta nei confronti di estemporanei progetti paralleli; Martyr Lucifer, nonostante il monicker faccia riferimento al singolo musicista, ha tutte le sembianze della band vera e propria e come tale va considerata, con tutte le positività che la cosa implica.

Tracklist:
1. Veins of Sand Pt. 1
2. Veins of Sand Pt. 2
3. Bloodwaters
4. Feeders, aka Heterotrophy / Saprotrophy
5. Leda and the Swan Pt. 1
6. Leda and the Swan Pt. 2
7. Wolf of the Gods
8. Somebody Super Like You
9. Benighted & Begotten
10. Spiderqueen
11. Flocks
12. Halkyónē’s Legacy, aka The Song of Empty Heavens

Line-up
Martyr Lucifer – vocals, synth, programming
Leìt – vocals
Adrian Erlandsson – drums
Nagaarum – guitars
Simone Mularoni – bass (session)

MARTYR LUCIFER – Facebook

Akroterion – Decay of Civilization

Alle soglie del capolavoro, la conferma della qualità assoluta di quello che è un grandioso gruppo italiano: l’oscurità e le tenebre in musica, raccontate in maniera creativa e personale.

L’opera seconda di questa eccezionale band italiana – un trio composto da Skrat (voce), BP Gjallar (chitarre, basso, sintetizzatori) e Francisco Verano (batteria) – esce non casualmente il 21 settembre, giorno dell’equinozio di autunno: gli Akroterion sono infatti da sempre attenti cultori di tematiche di matrice esoterico-occulta ed astrologico-ermetica.

Decay of Civilization presenta sette nuove tracce, splendidamente tenebrose e drammatiche, intarsiate di elementi dark, doom, ma soprattutto thrash e black mutati, sulla scia di Celtic Frost e in parte Coroner. In certi frangenti e nella costruzione delle atmosfere, poggiando su di una competenza artistico-musicale e tecnico-compositiva di prim’ordine, gli Akroterion paiono inoltre guardare ancora più indietro, a certo oscuro prog, per proiettarlo poi in questo nostro assurdo terzo millennio. Fondamentale al riguardo, secondo l’opinione di chi scrive, è l’uso di tastiere e synth, che rendono abilmente il sound tanto antico ed ancestrale quanto moderno e futuristico. Siamo in presenza di un gioiello, che risplende di luce (nera), possente e meditativo nel medesimo tempo, sperimentale ed originale, che merita – a mio avviso – un posto di assoluto primo piano tra i dischi dell’anno.

Tracklist
1- Initiatory Death
2- Blood Label
3- Red Dawn Under a Chemical Sky
4- Soul Corruption
5- Brains
6- Decay of Civilization
7- The Gift of Lady Death

Line-up
Skrat – voce
BP Gjallar – chitarre. basso, sintetizzatori
Francisco Verano – batteria

AKROTERION – Facebook