Home Style Surgery – Trauma Gallery

Un fantastico disco di thrash finlandese: tecnico, melodico e potente nel medesimo tempo, di certo tra i migliori del genere quest’anno.

La forza dell’underground, quello puro ed autentico.

Questo gruppo finlandese è in pista da dieci e più anni, una storia la sua fatta di demo, mini, singoli e split (come nel Nord Europa di fine anni ’80 e primissimi ’90). Questo secondo full length degli Home Style Surgery segna un nettissimo passo in avanti, rispetto all’esordio di Painfilled Noise, risalente ormai ad un lustro fa. Il quintetto lappone suona un techno-thrash che in oltre quaranta minuti di musica si rivela molto godibile, con una bella varietà sonora e pezzi che si stampano subito nella mente dell’ascoltatore (cosa che oggi non accade certo sempre). Anche i brani più melodici, quali Sachiko Even After e Verge Of Confrontation, non fanno altro che confermare l’avvenuta crescita degli Home Style Surgery, che si sono lasciati oramai alle spalle le inclinazioni gore-metal dei loro primi anni. Notevolissimi, inoltre, pezzi come Beware The Lurkers e Haunted Mindscape, che colorano di tinte vagamente prog la lezione degli Havok: la cosa migliore sono qui le sezioni strumentali, quasi geometriche nella loro impostazione. Se la band finnica è dunque stilisticamente assai varia nella sua proposta complessiva, lo stesso si deve dire in relazione al cantato: la voce del singer è perfettamente a suo agio, molto dinamica, nel saper passare da parti pulite allo screaming del black o al growl del death. Tutta l’abilità degli Home Style Surgery emerge, credo, nella title-track conclusiva: oltre nove minuti, di grande classe, a spasso fra gli Anthrax di fine anni Ottanta e i Dark Angel del capolavoro, storico e incompreso, Time Does Not Heal (1991).

Tracklist
1- Explore the Dimensions
2- Atomosophobia
3- Sachiko Ever After
4- The Red Ripped Case
5- Beware the Lurkers
6- Haunted Mindscape
7- Verge of Confrontation
8- Trauma Gallery

Line-up
Tommi Lakkala – Bass
Joel Mantyranta – Vocals
Jussi Keranen – Guitars
Joonas Hiltunen – Guitars
Joni Jarra Jarlstrom – Drums

HOME STYLE SURGERY – Facebook

Symphony of Symbols – Historiocriticism

Oscurità e soffocanti atmosfere regnano sovrane in questo Historiocriticism, nuovo e mastodontico lavoro in cui atmosfere glaciali e liquide e metal estremo brutale e devastante creano un sound vorticoso, violento ed abissale.

MetalEyes vola virtualmente in Ungheria per fare la conoscenza dei Symphony Of Symbols, band che del death metal oscuro possente e brutale fa il suo credo.

Fondata dal chitarrista Sándor Hajnali e dal batterista István Forró nel 1997, il gruppo inizia la sua avventura nel mondo del metal estremo come death/black metal band; il suo esordio infatti (Fall of Enigma licenziato nel 2002) si avvale di un sound ispirato alla scena polacca, storica in questo tipo di sonorità.
Dieci anni e vari assestamenti di line up portano al secondo lavoro targato 2012 (Stupefying Beliefs) sotto l’ala della Metal Scrap, con il sound proposto che si avvicina a quello offerto in questo ultimo album, ovvero un death metal brutale, tecnico e progressivo.
Oscurità e soffocanti atmosfere regnano sovrane in questo Historiocriticism, nuovo e mastodontico lavoro in cui atmosfere glaciali e liquide (Gates) e metal estremo brutale e devastante (Verity In The Legends), creano un sound vorticoso, violento ed abissale.
Il growl di matrice brutal estremizza se è possibile ancora di più il concept musicale di questo macigno sonoro, ad opera di un quartetto che a livello tecnico sa il fatto suo, risultando apprezzabile anche sotto l’aspetto creativo.
Un’ora secca di scale musicali ed atmosfere chirurgiche, pervase da un’atmosfera terrificante (Giant Signs, In The Serve Of Evil), che sfumano su brani di progressive death metal pregno di sana pesantezza estrema, che non lascia trasparire debolezze ma ci travolge compatta come un carro armato in Pyramid Cities e The First Nation, The Last Survivor.
Morbid Angel e Suffocation sono le maggiori fonti di ispirazione per il gruppo ungherese, da considerare una sorpresa anche se il nome circola dal lontano 1997: se non li conoscete, recuperate il tempo perso, non ve ne pentirete.

Tracklist
1.Flood
2.Dispersion
3.Gates
4.Pyramid Cities
5.Rings
6.Verity in the Legends
7.Giant Signs
8.Beyond Earth
9.In the Serve of Evil
10.The First Natoin, the Last Survivor
11.Everything Reveals

Line-up
Kovács Zoltán Frigyes – Vocals
Sándor Szalkai – Guitar
Tamás Mezey – Bass
István Forró – Drums

SYMPHONY OF SYMBOLS – Facebook

The Sticky Fingers LTD. – Point Of View

L’album presenta un sound meno immediato rispetto al passato ma sicuramente più maturo e personale, con la band che prende posto tra le migliori realtà per quanto riguarda i suoni vintage, almeno nei confini nazionali.

Tornano dopo quattro anni dal debutto i The Sticky Fingers LTD, quartetto di rockers modenesi fresco di firma con Sneakout Records e Burning Minds Music Group.

Non sono andati molto lontano, visto che il precedente lavoro uscì infatti per Logic(Il)Logic, sigla facente parte della famiglia Atomic Stuff, una garanzia per i suoni hard rock nel nostro paese.
E Point Of View, oltre ad essere un ottimo lavoro incentrato sul rock e le sonorità anni settanta, porta con se una novità anche riguardo la line up, con il cambio dietro la sei corde tra il nuovo arrivato Jesus e Sputnig Inch Raganov.
Point Of View prosegue con la formula già utilizzata per il precedente album, un rock dalle forti tinte blues, meno rock’n’roll in senso stretto e più aperto a sonorità psichedeliche e hard rock a cavallo tra gli anni sessanta ed il decennio successivo.
Diciamo intanto che Mark Bolan e i T.Rex sono a mio parere l’ispirazione più importante (Hope You Like It), insieme ovviamente ai Fab Four (quelli in trip della seconda parte degli anni sessanta), ai Lynyrd Skynyrd (splendidamente southern il riff di Shine) e ai Rolling Stones (Underdog), il tutto rivisto con quel tocco psichedelico di marca The Sticky Fingers LTD..
L’album presenta un sound meno immediato rispetto al passato ma sicuramente più maturo e personale, con la band che prende posto tra le migliori realtà per quanto riguarda i suoni vintage, almeno nei confini nazionali.
Point Of View risulta così un lavoro decisamente riuscito, che dà la giusta connotazione al gruppo modenese quale realtà di un certo spessore per quanto riguarda questo tipo di sonorità.

Tracklist
01. Bad Mood
02. You Don’t Have To Go
03. Hope You Like It
04. Be Your Man
05. Shine
06. Underdog
07. I’ll Go Alone
08. This Misery
09. North Star
10. Naked Soul

Line-up
Lorenzo – Vocals & Guitar
Jesus – Guitar & Backing
Vocals Jaypee – Bass
Flash – Drums

THE STICKY FINGERS LTD. – Facebook

Lantern – Ancòra

Qui troviamo molta sostanza e attenzione per la musica e le parole, descrivendo chi e cosa non è più con noi con molta eleganza e forza.

I Lantern sono uno dei gruppi più bravi e particolari della bella scena screamo italiana che ha regalato ottima musica.

Negli ultimi tempi la suddetta scena è un po’ in ritirata, perché tutto muta e allora si cambia un po’ stile. Non i Lantern, che a tre anni dall’ultima uscita tornano con un disco solido e che lascia il segno. Il loro è un insieme di emo primi anni duemila, screamo e soprattutto tanto pop fatto con gran classe. Infatti uno dei più grandi pregi del gruppo è quello di avere una grande predisposizione a scrivere canzoni molto ritmate e potenti, ma che hanno una grandissima anima pop. La composizione dei brani dei Lantern è molto più stratificata rispetto a quella della maggioranza dei gruppi dello stesso genere. Una canzone come A 14 Blues, per esempio, è notevole sia per originalità che per profondità. Tutto il disco è permeato dalla memoria e dalla perdita, si ricorda e si cerca di non perdersi nelle perdite. Come si può fare altrimenti ? Non regniamo su nessun regno, siamo tutti dei sopravvissuti e si ha l’esigenza di raccontarsi, come fanno benissimo i Lantern. Questo disco, con un rebus in copertina e anche dentro, ha uno spessore molto forte e ridà fiato all’asfittico panorama indie rock italiano. Un lavoro simile, così forte nella sua diversità, serviva come il pane per far vedere che il talento è soprattutto capacità compositiva e non soltanto apparire o fare gli strani. Qui troviamo molta sostanza e attenzione per la musica e le parole, descrivendo chi e cosa non è più con noi con molta eleganza e forza. Un disco che ti fa pensare, rivelandosi una delle migliori tra le ultime uscite alternative italiane.

Tracklist
1 In cambio di una pistola parte 1
2 In cambio di una pistola parte 2
3 Cimitero
4 Nube purpurea
5 Semaforo blu segnale per altre partenze
6 Dalla parte sbagliata di un telescopio
7 E. Fermi tutti!
8 A14 blues

Line-up
Daniele
Sergio
Michael
Marco
Sorbo

LANTERN – Facebook

Mongol – The Return

Il gruppo canadese celebra in maniera possente le gesta dei mongoli e del loro estesissimo impero, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore.

Il folk metal è un linguaggio musicale dalla grande varietà e forza, che può essere declinato in molte maniere e lascia molta libertà a chi lo adotta.

I canadesi Mongol lo usano per narrare le gesta degli antichi mongoli e di Dschinghis Khan, il mitico condottiero che li condusse ad avere un impero di grandi dimensioni, ma soprattutto ad entrare nella storia come popolo guerriero, anche se erano molto più di ciò. Le dominazioni mongole arrivarono alla porte dell’Europa, e stupisce vedere quanto conquistarono, specialmente nel medio e nell’estremo Oriente, diventando uno degli imperi più estesi della storia, ma anche uno dei meno conosciuti, almeno in occidente. Il gruppo canadese celebra in maniera possente le loro gesta, con un folk metal molto ben composto ed eseguito con vigore. Le parti migliori delle loro canzoni sono quando avanzano compatti e cantano coralmente, dando vita a momenti molto intensi e di grande presa. Il lavoro è generalmente di buona qualità, confermando e superando quanto fatto in precedenza, mettendo maggiormente l’accento sulla velocità e sulla potenza, sempre ben presenti. Ben strutturato è anche l’uso degli strumenti tipici, ma i Mongol rimangono più metal che folk. Molti pezzi saranno devastanti dal vivo, perché si sente che sono stati studiati per la quella dimensione che è quella naturale per questi barbari. In certi frangenti si è maggiormente vicini al black death che al folk, ma poi si torna sempre all’ovile, dimostrando una non comune versatilità nel cambiare registro. Uno dei gruppi più interessanti del folk metal nordamericano e non solo.

Tracklist
1. Prophecy of the Blind
2. The Return
3. Sacrificial Rites
4. Takhil
5. Amongst the Dead
6. To the Wind
7. Dschingis Khan
8. The Mountain Weeps
9. River Child
10. Warband

Line-up
Tev Tegri – Vocals
Zev – Lead Guitar, Folk Instruments, Clean Vocals
Zelme – Rhythm Guitar, Backup Vocals
Sorkhon Sharr – Bass
Sche-khe – Folk Instruments & Keyboards
Bourchi – Drums

MONGOL – Facebook

DELIRANT CHAOTIC SOUND

Il video del singolo Alone In Vain.

Il video del singolo Alone In Vain.

Nuovo brano, nuovo singolo: Alone In Vain

“Con questa canzone vogliamo presentare ufficialmente Alice Grupallo come nuova voce femminile del gruppo.
Questo è solo un punto di partenza in vista di future registrazioni che inizieranno nel 2019 (vedetelo come un “assaggio”) per il nuovo Album.

Ringraziamo Phaser Studios e Wavemotion Recordings per registrazioni e master, Mattia Castiglia della Matæria Visual Arts per la realizzazione di questo video che ci riempe di orgoglio e Valeria Vannutelli e Andrea Rada per aver partecipato come truccatrice e come attore.”