RUN CHICKEN RUN

Il video di Rust From Space, dallìalbum “Don’t forget the wine” (Volcano Records).

Il video di Rust From Space, dall’album “Don’t forget the wine” (Volcano Records).

RUN CHICKEN RUN band is born in October 2014. After several adjustments the group reaches the final formation consisting of: Michele Montesi on vocals and guitar, Leonardo Piccioni on guitar, Paolo Scarabotti on bass and Mirko Santacroce on drums. From the first meetings of the band the style was clear: Hard Rock. A hard Rock with blues nuances completely new. In the summer of 2016 he released his first album entitled “Open the grill”. Recorded in the Pink House studio, it is published by RaRa Records, a label that even if it does not deal with Rock music after listening to the songs has decided to expand its channels to this genre. In 2018 the collaboration with the Brothel of Sound Agency begins and in April of the same year Run Chicken Run are the special guest of the Saxons of Oliver / Dawson. The following month the band was supposed to be the special guest of the Phil Rudd’s band (ex AC / DC drummer). Unfortunately, the international artist’s tour was canceled due to passport problems.

“Don’t forget the wine” tracklist:
1. Rust From Space
2. Your Girl
3. Louder On You
4. Sun
5. My Heart Is A Stone
6. Black Shadow
7. Good Brewer
8. Boredom Killers
9. Real Man
10. Blackout Out​
Running Time: 38’25”

RUN CHICKEN RUN are:
Michele Montesi – Vocals and Guitar
Leonardo Piccioni – Guitar
Paolo Scarabotti – Bass Guitar
Mirko Santacroce – Drums

More information at:
BAND: https://www.facebook.com/weregonnarockyou
LABEL: http://www.volcanopromotion.com

Black Oath – Behold The Abyss

Behold The Abyss è una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.

I Black Oath sono un’entità progressive doom nata nella nostra penisola nel 2006 in quel di Milano.

Il quartetto lombardo, capitanato dal bassista, chitarrista e cantante A.Th, arriva al quarto full length, licenziato dalla High Roller Records, di una discografia che si completa di un buon numero di ep, split e demo.
Behold The Abyss è un lavoro che si muove agevolmente nella parte oscura e mistica del metal progressivo, con un composto da atmosfere dark e doom: un’atmosfera occulta e misteriosa avvolge questo splendido album che si ispira ai classici della tradizione tricolore che, per quanto riguarda il genere, rimane una delle più importanti e rispettate a livello mondiale.
I Black Oath la lezione dei maestri (Death SS, Paul Chain e Goblin su tutti) l’hanno imparata a dovere, amalgamandola però con altre e non meno importanti ispirazioni che vanno dai Black Sabbath al metal classico dei Mercyful Fate fino al gothic dark dei Fields Of The Nephilim, creando un’atmosfera mistica ed evocativa di grande effetto.
Behold The Abyss, in virtù delle caratteristiche elencate, risulta un ottimo esempio di musica oscura: un alone magico contorna brani che tanto sanno di rituali, come la lunga ed affascinante title track, Lilith Black Moon, Once Death Sang (valorizzata dalla presenza al microfono di Elisabeth, cantante dei Riti Occulti) e la metallica e trascinante Profane Saviour.
Behold The Abyss è una raccolta di brani che ci conducono verso la parte magica, oscura e rituale del metal, un lavoro fuori dal tempo dedicato a chi ascolta la musica in maniera sicuramente non frettolosa.

Tracklist
1. Behold the Abyss
2. Chants of Aradia
3. Lilith Black Moon
4. Once Death Sang
5. Profane Saviour
6. Everlasting Darkness

Line-up
A.Th – vocals, bass, guitar
Gabriel – guitar
Bon R. – guitar
Chris Z. – drums

BLACK OATH – Facebook

Lascar – Wildlife

Il musicista sudamericano propone un black metal atmosferico, o post black, come lo si preferisce chiamare, sulla scia di Deafheaven e compagnia e lo fa in maniera competente ma senza raggiungere, almeno questa volta, particolari vertici qualitativi.

Lascar è il progetto solista del cileno Gabriel Hugo, giunto con questo Wildlife al terzo full length.

Il musicista sudamericano propone un black metal atmosferico, o post black, come lo si preferisce chiamare, sulla scia di Deafheaven e compagnia e lo fa in maniera competente ma senza raggiungere, almeno questa volta, particolari vertici qualitativi.
Questo avviene perché il sound proposto da Hugo, al netto della sua indubbia gradevolezza, soffre di una marcata uniformità che alla lunga si rivela penalizzante, aspetto già riscontrato nel precedente lavoro Saudade dove però il songwriting si rivelava ben più coinvolgente; se a tutto ciò poi si unisce inevitabilmente il fatto che l’esibizione di sonorità già ampiamente ascoltate in passato necessita di elementi compositivi in grado di fissarsi in maniera più marcata nella mente dell’ascoltatore, l’esito finale non può che risultare solo in parte soddisfacente.
Hugo esibisce un gusto melodico sufficiente a fargli reggere la scena per questi quaranta minuti, ma non abbastanza per indurre a passaggi ripetuti nel lettore; ad accentuare tale sensazione contribuiscono sia una produzione perfettibile sia un utilizzo della voce che talvolta si rivela più un elemento di disturbo che non un valore aggiunto.
Un peccato, perché per esempio una traccia come Fatigue esibisce linee davvero accattivanti e non banali, facendo intuire quel potenziale che viene ingabbiato all’interno di un’interpretazione del genere priva dei necessari guizzi.
Nonostante l’attività discografica sia già considerevole, il progetto è comunque ancora abbastanza giovane per cui restiamo in fiduciosa attesa di un auspicabile salto di qualità alla prossima occasione, anche se dopo un buona prova come Saudade era lecito immaginare che ciò potesse accadere già con Wildlife.

Tracklist:
1. The Disdain
2. Petals
3. Submission
4. The Zenith
5. Fatigue
6. The Majestic Decay

Line-up:
Gabriel Hugo – All instruments, Vocals

LASCAR – Facebook

Vanhelgd – Deimos Sanktuarium

Suoni death intinti in aromi doom per i gli svedesi Vanhelgd: quinto ottimo disco per una band che non deve dimostrare più niente ed essere ascoltata con attenzione.

Prosegue incessante il viaggio artistico del quartetto svedese, attivo dal 2009 con Cult of Lazarus e giunto con Deimos Sanktuarium al quinto full length.

La band non ha mai disperso le proprie energie compositive in formati minori, tranne un EP nel 2010, preferendo il formato sulla lunga distanza per farci apprezzare il proprio suono. Ogni due anni, corredati sempre da belle cover create da Mattias Frisk, i Vanhelgd ci regalano momenti di grande musica death, intinta nel doom; non fa eccezione anche quest’opera, sette brani di medio lunga durata, dove si rimane intrappolati in un mondo sonoro disperato, angosciante e catacombale. Nel tempo la band ha rilassato i propri ritmi, non perdendo nulla in ferocia e in tensione, anzi mortifere cadenze death doom ci fanno piombare in mondi tetri e sinistri dove le chitarre tessono atmosfere opprimenti senza aver bisogno di correre all’impazzata. L’andamento sinistro e maligno di Profaned is the blood of the covenant è raggelante e velenoso fino alla paralisi completa dei nostri sensi. La band non reinventa la ruota ma conosce molto bene la materia death e sa plasmare con assoluta ispirazione un proprio suono, dove tutto è mirato al lento disfacimento organo sensoriale; tutto è più subdolo, non troviamo violenza gratuita o ritmi forsennati ma atmosfere claustrofobiche che attanagliano le viscere con il growl mefitico di Mattias e Jimmy Johansson a condurre le danze. I brani hanno tutti delle peculiarità: in The ashes of our defeat un pesante suono di organo ci porta indietro nel tempo, regalandoci momenti maestosi e disperati, mentre in The silent observer i ritmi più propriamente death si stemperano nella coda a più voci dal forte sapore epico. Ottimo disco da parte di una band ispirata che non deve dimostrare più niente ed essere ascoltata con attenzione..

Tracklist
1. A Plea for Divine Necromancy
2. Så förgås världens härlighet
3. Vi föddes i samma grav
4. Profaned Is the Blood of the Covenant
5. The Ashes of Our Defeat
6. The Silent Observer
7. Här finns ingen nåd

Line-up
Jimmy Johansson Guitars, Vocals
Mattias Frisk Guitars, Vocals
Jonas Albrektsson Bass
Mathias Westman Drums

VANHELGD – Facebook

Dyrnwyn – Sic Transit Gloria Mundi

I Dyrnwyn suonano un viking folk metal molto epico con melodie struggenti, cantato in italiano e molto particolare.

Avevamo lasciato i Dyrnwyn con il loro ep Ad Memoriam del 2015, un disco che li aveva proiettati in alto nella scena viking folk metal, con i loro racconti molto coinvolgenti sull’Antica Roma.

Con questo nuovo lavoro in uscita per SoundAge Productions i nostri avanzano ulteriormente con un’opera molto convincente e curatissima in tutti i particolari. I Dyrnwyn fanno un viking folk metal molto epico, con melodie struggenti, cantato in italiano e molto peculiare. Traggono ispirazione dai grandi del genere, ma poi sviluppano una poetica tutta loro, già ben presente in nuce nei dischi precedenti, ma che arriva al suo culmine in questo Sic Transit Gloria Mundi. Come già scritto per il precedente disco la band ci porta sul campo di battaglia degli antichi romani, che sono stati uno dei popoli più complessi e multiformi della storia. Il fascino di questi conquistatori (anche se noi liguri non li abbiamo mai amati molto, si deve ammettere che ci hanno dato tanto) è narrato alla perfezione grazie all’uso del folk metal dalla forte connotazione epica, con un uso perfetto dei tempi e con aperture melodiche che rendono molto affascinante il tutto. Il viking folk metal annovera fortunatamente molti gruppi e molte tendenze diverse, ma ciò che ci danno i Dyrnwyn non è rintracciabile altrove. Canzone dopo canzone si viene totalmente avviluppati in un vortice che sale fino al cielo dove stanno gli dei, che possono essere sia benevoli che malevoli, comunque ben differenti dalle menzogne cristiane. Potrebbe forse essere inteso come escapismo l’andare a cercare un fortissimo punto di contatto con il mondo dell’Antica Roma come questo disco, e forse è proprio una fuga da questi tempi davvero brutti ed oscuri, ma è comunque bello perdersi in un disco come questo, che va ben oltre la musica. Il cantato in italiano è davvero un valore aggiunto alla musica dei Dyrnwyn, e la stessa musica è di alto livello, essendo una narrazione essa stessa. Sic Transit Gloria Mundi è un disco molto maturo ed appassionante, frutto del lavoro di un gruppo dalle idee molto chiare che si rivela fra le migliori realtà italiane in campo viking folk metal.

Tracklist
1. Sic Transit Gloria Mundi
2. Cerus
3. Parati Ad Impetvm
4. Si Vis Pacem…
5. …Para Bellum
6. L’Addio Del Primo Re
7. Il Sangue Dei Vinti
8. Feralia
9. Assedio Di Veio CCCXCVI

Line-up
Thierry Vaccher: vocals
Alessandro Mancini: guitars
Alberto Marinucci: guitars
Ivan Cenerini: basso
Ivan Coppola: drums
Jenifer Clementi: flute
Michelangelo Iacovella: keyboards

DYRNWYN – Facebook

https://www.youtube.com/watch?v=yCh01kLN6Og

Charlie Barnes – Oceanography

Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Il nuovo lavoro del musicista e compositore britannico Charlie Barnes è il classico album del quale qualcuno potrebbe obbiettare sulla sua presenza nelle nostre pagine, eppure la bellezza di Oceanography ci impone di presentarlo ai nostri lettori, almeno quelli più orientati al rock e alle sperimentazioni.

Barnes, al terzo album, centra l’obiettivo di creare musica rock dalle atmosfere liquide ed avvolgenti come appunto suggerisce il titolo: un oceano di note alternative nel quale confluiscono ispirazioni anche lontane tra loro ma perfette nell’economia dei brani che formano l’opera.
L’ex chitarrista e tastierista di Amplifier e Bastille parte da molto lontano, addirittura dagli anni sessanta, per attraversare il tempo che resta ed arrivare ai giorni nostri accompagnato da un raffinato pop inglese, alternative ed accenni alla new wave, coprendo così i vari decenni che lo separano dai giorni nostri.
E’ un rock elegante, dalle melodie dilatate e delicate che la voce del nostro, dal retrogusto lirico, accompagna in questa navigazione nelle acque calme e poetiche di questo oceano di emozioni, risvegliate dalla title track, dalla splendida Bruising e dalle aperture pop/rock di Maria.
Fuori dai soliti contesti metal ai quali siamo abituati, Oceanography risulta un ottimo lavoro per riappacificarsi con un certo tipo di rock che prende ispirazione dai Muse e dai gruppi mainstream, senza però dimenticare la tradizione pop del secolo scorso.

Tracklist
01.Intro
02.Oceanography
03.Will & Testament
04.Bruising
05.Ruins
06.One Word Answers
07.The Departure
08.Legacy
09.Former Glories
10.Maria
11.All I Have
12.The Weather

Line-up
Charlie Barnes – vocals, guitar, bass, piano, synthesizers
Steve Durose – guitar, bass, synthesizers, programming
Ste Anderson – drums

CHARLIE BARNES – Facebook